domenica 10 maggio 2009

Letteratura combinatoria (3): Composizione n°1



Composizione n°1 di Marc Saporta è uno di quei libri ai quali ci si riferisce obbligatoriamente quando si parla di letteratura combinatoria. Pubblicato in italiano da Lerici nel 1962, esso rappresenta in qualche modo una sorta di iper-romanzo ante litteram, scritto cinque anni prima che Calvino coniasse il termine e tre anni prima che si parlasse di ipertesto; eoni prima che le tecnologie informatiche permettessero la creazione di ipertesti elettronici. Anch’io ne ho già parlato in un precedente articolo per illustrarne il meccanismo fattoriale. Se ne parla, ma sembra che nessuno l’abbia letto, oppure che chi l’ha letto non abbia nulla da dire. Le risorse disponibili sulla rete sono estremamente scarse e le copie in circolazione sono ormai rare.

Me ne sono procurato una copia usata da una libreria on line al prezzo un po’ caro di 30 euro. Il “romanzo” fu pubblicato nel 1962. Come oggetto si presenta come una scatola in cartoncino ingiallito dal tempo. L’ultima facciata del cartoncino riporta l’estratto di una recensione anonima tratta da “Il Giorno”, che si conclude con la frase: “La libertà del lettore di leggere il suo romanzo disponendo come crede l’ordine delle pagine è totale ed effettiva. Questa è un’opera che merita tutta la nostra attenzione, è uno dei più compiuti e veri romanzi che la letteratura francese ci abbia saputo proporre”.

Aprendo il contenitore trovo un cartoncino di formato leggermente più piccolo delle pagine, scritto in caratteri blu, che, oltre al titolo, all’autore e all’editore, riporta la seguente avvertenza, probabilmente scritta da Saporta stesso:

“Si invita il lettore a mescolare queste pagine come un mazzo di carte. Se gli fa piacere, può anche alzarle con la sinistra, come si fa dalla cartomante. In ogni caso l’ordine in cui appariranno allora i diversi fogli determinerà il destino di X”. Suppongo che X sia il nome del protagonista, che forse è lo stesso narratore.
“In una vita, infatti, il tempo e l’ordine degli eventi contano assai più della natura, degli eventi stessi. Certo in questo quadro ci sono elementi imposti dalla Storia; la partecipazione di un uomo alla Resistenza e la sua presenza tra le truppe d’occupazione in Germania sono legate ad un’epoca ben precisa. E così i fatti che hanno contrassegnato la sua infanzia non possono essere presentati nello stesso modo di quelli che costituiscono la sua esperienza di adulto.
Ma non è indifferente sapere se ha incontrato l’amante, Dagmar, prima o dopo il matrimonio; se ha abusato della piccola Helga da adolescente o da uomo maturo; se il furto di cui si è reso colpevole è stato commesso in nome della Resistenza o in tempi meno torbidi, se l’incidente di cui è stato vittima non ha alcun rapporto col furto – o con lo stupro – o se si è verificato durante la sua fuga.
Dall’ordine in cui si susseguiranno i singoli episodi dipende anche che la storia finisca bene o male. Una vita si compone di parecchi elementi. Ma infinito è il numero delle possibili combinazioni”.

Il libro è costituito d’un certo numero di pagine non numerate, scritte da una parte sola, non rilegate. Un pacchetto di schede, insomma. Le conto: sono 142. La copertina è una sorta di contenitore, che sull’ultima facciata interna, che considero la pagina 143, riporta uno strano dialogo tra 17 personaggi che (mi accerto) compaiono nel testo, ciascuno dei quali pronuncia una breve frase preceduta da “[nome del personaggio] dice” (in corsivo nell’originale). Il libro è usato, dunque ignoro se il numero di pagine originario corrispondeva a quello che ho riscontrato. Non sono neanche in grado di stabilire se il dialogo finale faccia davvero parte del romanzo. In ogni caso il numero delle possibilità di lettura è di 142! + 1, cioè circa 2,69 × 10245, circa 17 ordini di grandezza in meno dell’ipotesi iniziale di 150 pagine che ho avanzato nel precedente articolo. Cambia poco: si tratta di una cifra che giustifica ampiamente l’affermazione che il numero delle possibili combinazioni è infinito.

Non si tratta di certo di un libro comodo da portarsi, che so, in treno o a letto. Le pagine-schede vanno da tutte le parti e consentono una lettura agevole solo davanti a un tavolo o una scrivania.. Le mescolo con cura, ignorando se l’ordine in cui ho trovato le schede sia quello stabilito dall’editore o se sia stato modificato da chi ha maneggiato il libro prima di me. In ciascuna pagina la lunghezza del testo è più meno sempre la stessa. Ecco le prime tre pagine che mi capita di leggere:

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L'UFFICIO, l'ufficio, l'ufficio, l'ufficio, l'ufficio, l'ufficio. Nel cassettone gli incartamenti. Negli incartamenti colonne di nomi e di cifre. Nel cassetto di mezzo, quello la cui chiave permette di chiudere tutto il mobile, i documenti pili importanti. Numeri corretti. Sostituiti. Cifre raschiate via.
Squilla il telefono. Una voce pacata chiede con urgenza il fascicolo delle ordinazioni della settimana. La settimana è una lunga successione di cifre in colonna. La sola differenza fra un giorno e l'altro è nel totale in fondo a ogni colonna. Ma la somma dei minuti e dei secondi è sempre rigorosamente uguale. Sarebbe inutile eseguire questa addizione: non servirebbe a nulla. Basta averla fatta una volta e rifarla magari ogni tanto, nella speranza che vi si intrufoli qualche errore. Ma un errore non cambierebbe niente. Uno sbaglio di calcolo non può variare il numero dei secondi di una giornata.
Ci sono invece errori capaci di variare in misura importante la somma in denaro contenuta nella cassa. A patto che le cifre siano raschiate come si deve e che i conti risultino, in apparenza, onesti.
Il capo dell'ufficio vendite fa riportare l'incartamento dalla segretaria. Non vi ha riscontrato neppure un errore.
Un'altra settimana guadagnata.
Sarebbe però imprudente prelevare dalla cassa l'intera differenza prima che sia definitivamente escluso qualsiasi rischio di un controllo.

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SOTTO LE BIONDE ciglia gli occhi di Dagmar hanno riflessi verdi. Un abisso al centro del viso. Visti molto da vicino assomigliano a certi vortici del Reno ai piedi della roccia di Lorelei. Sul fondo riposa l'anello d'oro dei Nibelunghi. Bisognerebbe immergersi nella ragazza come in una sorgente, ma Dagmar chiude gli occhi in un rapido battito e bianchi uccelli passano sfiorando con l'ala la superficie della corrente.
L'alba si leva nelle verdi pupille, mentre lunghi arcobaleni spuntano fra le ciglia. Dagmar dice:
«Quando mi guardi divento cieca.»
E le pupille si allargano smisuratamente come nell'oscurità. Ma il giorno è ormai apparso all'orizzonte e lo sguardo si anima. Dal fondo più segreto di Dagmar sgorga un'immagine che affiora alla superficie: una testa d'uomo minuscola e irriconoscibile alla quale ella rivolge un dolce sorriso.
Sotto la fronte altissima, rovesciata, gli occhi chiusi sono un fragile campo sconvolto da fremiti. Una minuscola lacrima fonde all'angolo delle palpebre. Dagmar dice :
«Sono felice.»
È soltanto una scusa. Una vana giustificazione per una lacrima che certo ha ben altro significato. Ma Dagmar dice:
«Sono felice. »
Per non dover dare spiegazioni.
Attraverso le ciglia, chiuse come una saracinesca all'ingresso del ponte levatoio, Dagmar contempla per un attimo il fossato che la divide dall'aggressore. Dice :
«Vorrei tanto potermi arrendere.»

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HELGA viene avanti lungo il corridoio, portando sulle braccia un vassoio sul quale è un piatto fumante. Intorno alla minestra, le posate, un bicchiere, una caraffa d'acqua.
Il corridoio è troppo stretto per lasciar passare un'altra persona proveniente dalla direzione opposta; dopo una breve esitazione, la ragazza s'addossa al muro, stringendo a sé il suo fardello. La caraffa scivola, ma si ferma a un pelo dalla caduta. L'acqua sussulta un poco, ma il disastro sembra evitato. Helga passa entrambe le braccia sotto il vassoio, tenendolo perfettamente orizzontale, e si stringe ancor più al muro.
Il corridoio è buio, ma gli occhi della giovinetta brillano. Forse si sente un po' in pericolo e un po' indifesa: di qui il suo evidente turbamento, temperato da una certa espressione divertita che le si legge in viso.
Sorride, con un impaccio che si fa a poco a poco sempre più impaziente.
Ma prima di poter pronunciare parola, la sua nuca si incolla istintivamente al muro, gli avambracci tentano di sbarazzarsi del vassoio, che oscilla pericolosamente, le mani si contraggono sull'orlo, il viso appare più sbalordito che indignato. Le labbra sono fresche, ma strette in un broncio ribelle. Non sa se ridere o arrabbiarsi.
Poi decide di fuggire, lungo il corridoio, scuotendo il capo come se avesse ascoltato una battuta un po' spinta. Regge il vassoio in perfetto equilibrio, ma praticamente corre.
La caraffa è giunta a destinazione senza incidenti. Tornando indietro Helga, prima di inoltrarsi nel corridoio, prende la precauzione di accendere la luce.

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Ogni pagina è un elemento a sé stante. Evidentemente non c’è una trama lineare: l’impressione è che i frammenti di testo si presentino così come affiorano nella testa di X alla maniera di ricordi strappati dal terapeuta alla mente di un paziente. Per fortuna una qualche sorta di lasco legame c’è: i personaggi ricompaiono, certe scene sono simili ad altre, certe situazioni sembrano ripetersi, in qualche caso si sovrappongono. Ci sono, come nei ricordi di ciascuno, anche delle incoerenze: due personaggi compaiono solo in una pagina e non sono richiamati altrove, alcune situazioni non sembrano collegarsi alle altre.

Man mano che la lettura procede i personaggi sembrano delinearsi: Dagmar è la giovane amante di X, Marianne è sua moglie. Ci sono episodi che sono ambientati durante la resistenza, c’è un furto, un incidente d’auto e la corsa verso l’ospedale, l’adolescente Helga che viene violentata, articoli del codice penale, qualche ricordo d’infanzia. Tutto è però rigorosamente al tempo presente: non c’è né passato, né futuro, solo voci disgiunte che parlano al presente. X non è mai descritto, non parla mai, sembra quasi non esistere. E se X fosse contemporaneamente il narratore e il lettore? Il lettore che si identifica con il narratore? Comunque sia, è la sua muta presenza che dà un po’ di coerenza al tutto, una coerenza semantica più che narrativa.

Come mi aspettavo, la contrainte estrema scelta da Saporta fa sì che Composizione n°1 sia il tipico libro in cui succede poco. Poiché le pagine devono poter essere lette in ogni combinazione possibile, è come se ciascuna di esse dovesse essere abbastanza indefinita da non vincolarne troppo il senso. Il lettore che si aspetta il racconto di una storia, che cerca la sicurezza di parametri di riferimento spazio-temporali precisi, rimane deluso. Il libro va preso per quello che è: un serio esperimento anticipatorio, il cui solo godimento, che è quello di comporre i pezzi di un puzzle, è penalizzato dal supporto cartaceo, l’unico disponibile quando fu scritto. Probabilmente un programma combinatorio e la possibilità di lettura al computer, così come è stato fatto per i Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau, oggi gli gioverebbero.

Due ultime informazioni: a) Composizione n°1 è il titolo di un quadro astratto incompiuto che compare dietro la testata del letto nella stanza di Dagmar; b) l’ipotesi di ammissione di Saporta all’Oulipo fu respinta in una delle periodiche riunioni del consesso.

17 commenti:

  1. L'affluenza al blog è buona, testimonia Sitemeter. Ma allora perchè cavolo nessuno lascia più commenti?

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  2. Io perché sono un voyeur: guardo senza fare niente. Ciao!

    Colapesce

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  3. Colapesce, almeno tu dichiari le tue perversioni. Chissà quali innominabili tendenze si nascondono dietro il silenzio di molti. Ho sentito di gente che si eccita guardando uno strip-tease. Da non credere. Ciao!

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  4. Dai, Pop...
    E' tutto interessante ("Tutto quello che è scritto è interessante!" protestava mio nonno veneziano, da cui ho ereditato la venerazione per la lettura, pur essendo lui morto che non avevo ancora tre anni), ma non tutto ciò che è interessante può far subito scattare la scintilla del commento... a volte è una sinergia con qualcosa di non ancora letto...

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  5. E' un po' come dice Colapesce, uno legge, gode della cosa e non ha niente da aggiungere, questo (e lo so ben io che mi tormento per i rari commenti) è il dramma di noi blogger esibizionisti; esibiamo le nostre grazie nella nostra vetrina sotto la luce dei riflettori e dall'altra parte, nel buio, anche se sappiamo quanti sono, solo voyeur silenziosi che ammirano i colpi di luce sulla nostra più o meno marcata procacità e poi se ne vanno in punta di piedi quasi scappando da sporcaccioncelli. Non sanno che il blogger è un vampiro che si nutre solo di commenti, senza di questi soffre, diventa esangue a poco a poco e infine si lascia morire.

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  6. Quanto hai ragione, Enrico! Se non fossi abituato al naturismo da una ormai abbandonata consuetudine, mi vergognerei di essere messo così a nudo.

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  7. grazie, popinga! mi stai aiutando a svolgere un progetto a scuola, sono anch'io un'insegnante e pesco molto nelle tue acque. Sono di Messina e avrei potuto definirmi Colapesce, ma ce n'è già uno...

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  8. Anonima insegnante di Messina: sono i commenti come i tuoi che mi fanno continuare: il mio scopo è divertire ed essere utile. Ciao.

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  9. Popinga, ho approfittato dei commenti visibili per leggere questo tuo post anch'io, che mi era "sfuggito". Non conosco questa scatola di fogli, e quindi la leggo solo qui, insieme a te. L'ipotesi che proponi, che cioè X sia il protagonista/narratore/lettore non regge, secondo me. Il lettore legge narrando una serie di elementi, descrive per non raccontare. Non succede nulla. Ti faccio un esempio: è l'alba e le "emozioni" di Dagmar sono rivelate dalla descrizione del suo viso, dei suoi occhi... E' un narratore iperpresente, alla Manzoni vecchio stile: che narra insinuando esplicitamente dei sentimenti attraverso i rimandi. Ma tutto ciò è sterile. Dagmar ha appena trascorso la notte col suo amato? Lui se n'è andato e lei lo ricorda e lo immagina? Si rivolge a se stessa o a lui, dicendo "Sono felice"?. Un lettore cerca sempre tante cose, leggendo, ma ha soltanto due strade da percorrere per trovarle =
    - storie = qualcosa deve accadere
    - emozioni = lo stile deve trasmetterle o evocarle.
    Il ricorso alla sospensione voluta del senso, il fatto che tutto sia scollegato è solo apparente. In realtà forse ci sono soltanto poche cose, in quella scatola. Pochi personaggi e poca aggettivazione. C'è un unico stile e un unico senso: quello dello sforzo di NON costruire una storia coerente. Secondo me la letteratura combinatoria non è questa. Il gioco deve avere delle regole, che poi il lettore magari non scoprirà mai, e quindi si diverte ancora di più, ma la costruzione deve essere "eroica", deve essere "epifanica", deve saltare dei passaggi, deve essere "geniale", ma restare artistica, deve divertirmi ed emozionarmi. Deve essere strutturalmente inattaccabile, proprio perchè mutevole. Cosa pensi tu? Non ho capito niente? Eh?
    B

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  10. B.: sai che la letteratura combinatoria, ricorsiva, governata da grafi, ecc. mi affascina, sia quando è dichiarata, sia quando è celata al lettore. Ma qui ho il dubbio che 142! + 1 combinazioni assomiglino troppo al caso. E, sperimentale quanto si voglia, un libro senza struttura benché minima, senza storia, non lo trovo per niente appassionante.

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  11. Molto interessante il libro, ma non tanto quanto la discussione dei primi commenti. Spero non vi dispiaccia, spero vi compiaccia l'idea di entrare a far parte del mio libro. L'idea è strana, ma è cominciato tutto da un libro simile a quello appena recensito. Non verrà messo niente di compromettente, i vostri id per quanto poco identificativi, verranno sostituiti. Non so nemmeno perchè ve lo sto dicendo, forse perchè spero di avere la vostra benedizione e magari di essere spronato nella mia idea. Sarei felice di farvi leggere qualcosa se siete interessati.

    MantaOfIndigo

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  12. MantaOfIndigo: Volevi incuriosirmi? Ci sei riuscito/a!

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  13. Sarei felice di passarvi qualcosa.
    La mia e-mail è OffTheHeezay@hotmail.it, se qualcuno fosse interessato invierei volentieri una parte del mio racconto. Sono nuovo per quanto riguarda lo scrivere romanzi, quindi se qualcuno ha un pò di tempo da perderci sopra...

    MantaOfIndigo

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  14. Il libro come scatola con pagine da rimescolare è un'invenzione di Marcel Duchamp: la sua prima Boite risale al 1914.

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  15. Ciao Popinga, una piccola curiosità: la prima scatola-libro con le pagine da rimescolare risale al 1914, è un'opera di Marcel Duchamp nota come "Boîte de 1914".

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  16. Paola, le due Boîtes di Duchamp non avevano alcun intento narrativo. Erano appunti e indizi sparsi, come in una caccia al tesoro.

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  17. Salve Propinga,
    sto cercando materiale su Saporta, ma a quanto sembra è molto difficile.
    Ci sono pochi indizi su di lui. Mi chiedevo, per esempio, come ha trovato la notizia del rifiuto all'Oulipo. Mi sarebbe di grande aiuto.

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