martedì 28 luglio 2009

Nino Pascolo: mafia e poesia

L'archivio segreto dei boss Lo Piccolo, padre e figlio, arrestati il 29 novembre 2007, sembra l’aggiornamento di un’enciclopedia sulla mafia. Ci sono gli affari, i nomi di tutti gli uomini d'onore, quelli degli informatori dei servizi, tutti gli appalti pubblici e privati, la mappa delle estorsioni, i resoconti e le richieste di pareri sulla vita ed i contrasti interni a Cosa nostra, con le lettere di Provenzano, Messina Denaro e di altri boss. Ma, a suscitare la nostra curiosità, l’archivio dei Lo Piccolo contiene una novità finora inimmaginabile: l’opera letteraria di un autore organico a Cosa Nostra, il primo vero autore mafioso, il catanese Nino Pascolo.

Di Nino Pascolo non si conosce molto. Nato il 31 dicembre 1955 a San Mauro di Romagna, dove il padre scontava il soggiorno obbligato, ritornò a Catania all’età di dodici anni, dopo che il genitore fu assassinato con una fucilata mentre tornava a casa. Le ragioni e gli autori del delitto rimasero per sempre oscuri (nonostante la famiglia nutrisse sospetti sull'identità dell'assassino, un altro siciliano al confino). Il trauma lasciò segni profondi nella vita di Nino. La famiglia andò incontro a un progressivo declino economico e poi subì una serie impressionante di altri lutti, disgregandosi. Pascolo dovette lasciare il liceo di Catania, avvicinandosi sempre più alla delinquenza organizzata.

Incarcerato per estorsione nel 1983, scomparve improvvisamente nel 1991 durante un permesso premio e gli inquirenti ritennero che si trattava dell’ennesimo omicidio di lupara bianca all’interno di una guerra tra cosche. Invece le carte dei Lo Piccolo lo classificano come uomo d’onore ancora nell’aprile 2006, riferendosi a lui come “il poeta”. E di vero poeta si tratta, con una solida preparazione teorica. Non interessato all’uso del dialetto siciliano, che pure vanta una gloriosa tradizione, Pascolo, come risulta da una sua lettera a Salvatore Lo Piccolo, è il primo mafioso a mettere in discussione l'idea consolidata secondo cui la poesia deve e può cantare solo argomenti nobili ed elevati, quali la famiglia o l’onore; inoltre, aprendo le porte della poetica alle "piccole cose", Pascolo schiude anche la lingua della poesia alle "piccole parole" della comunicazione quotidiana. È la tematica del “picciotto”, una costante che si ritrova in tutta la sua opera: “L'età avanzata non impedisce di udire la vocina del picciotto interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l'altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell'anima. E se gli occhi con cui si guarda fuor di noi, non vedono più, ebbene il vecchio uomo d’onore vede allora soltanto con quelli occhioni che son dentro di lui, e non ha avanti sé altro che la visione che ebbe da picciotto e che hanno per solito tutti i picciotti”.

Alla poetica delle “piccole cose” appartiene l’interesse per il mondo naturale, visto con l’incanto di picciotto e con una personale considerazione del rapporto con le vicende umane:

La lucciola
Il destino della lucciola è degno di lamento:
a lei la luce serve per il corteggiamento,
come se i maschi umani, per far l’amore,
girassero con una torcia accesa nel posteriore.

Delle vicende personali che lo hanno segnato profondamente troviamo testimonianza in una delle poesie contenute nell’archivio dei Lo Piccolo, nella quale emerge la disperazione per l’impossibilità di conoscere il nome dell’assassinio del padre e una certa qual insofferenza per una madre disposta per amore a dimenticare i codici etici di appartenenza:

La cavallina dorma
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i picciotti del Rio Salto.
Erano i cavalli nella stalla indifferenti
agli urli della vecchia, ai suoi lamenti.
Pensava quella pazza di far parlare
una cavallina che voleva riposare,
fingendo di non sapere, la madame,
che un equino d’onore non fa l’infame.

La latitanza nei boschi dei Nebrodi ispira al poeta un canto insieme arcadico e angosciato:

Alla macchia
Errai nell’oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra quercie rigonfie di galle;
errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l’azzurra vïola;
errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.
Io siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d’un grido, d’un volo.
Io siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.
E il cantico all’ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di sbirro ripete,
Io ti vedo!

Anche la morte violenta di un compare, ucciso in un attentato alla sua vettura, è occasione per il Pascolo di poesia:

L’attentato
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una Mercedes apparì sparì d’un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.

Concludiamo questa breve rassegna (gran parte del materiale, comprese molte delle poesie del Pascolo, è ancora coperta dal segreto istruttorio), con un pensiero del poeta alle donne di strada, che egli vede non con l’occhio dello sfruttatore, ma con quello comprensivo e sensibile di chi apprezza le loro notturne fatiche:

Bottane
Siedon bottane a' pneumatici fumanti,
e il fuoristrada i biondi capi indora:
i biondi capi, i neri occhi stellanti,
volgono alla strada ad ora ad ora:
attendon esse a cavalieri erranti
che varcano la tenebra sonora?
Parlan d’amor, di clienti, di contanti:
così parlando aspettano l’aurora.

Un dubbio sta in questi mesi arrovellando inquirenti e critici. È di Pascolo anche il pizzino trovato nel covo di Provenzano e finora rimasto senza paternità?

Un giovane mafioso di Corleone
dei trenini aveva l’ossessione.
Gli arrivò questo pizzino:
“Picciotto non sei, sei cretino”.
Non fu capostazione, né capobastone.

Se, da un lato, non può non destare sorpresa vedere come Nino Pascolo abbia dimestichezza con un genere, il limerick, affatto estraneo alla tradizione italiana e alla sua produzione finora conosciuta, d’altro canto escludere la sua penna può voler dire che esiste, tra i vertici di Cosa Nostra o in contatto con essi, un altro autore di poesie. Il che aprirebbe nuove, inquietanti, prospettive.

10 commenti:

  1. Adesso sto rischiando di grosso. Recentemente ho avuto il tuo plauso per aver beccato l'Uno. La cosa mi ha fatto un immenso piacere e ho anche intravisto l'invidia (solo una puntina) di G.
    E mi gioco tutto: non ricordo quasi niente della letteratura italiana del quinto anno ma io ci vedo delle affinità tra il Pascolo e il Pascoli.

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  2. Quest'ultimo limerick apre la "nuova, inquietante prospettiva" di una pizza-pudding-connection. CHI SCANTU!

    Colapesce

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  3. Non sapevo nulla dell'esistenza di Nino Pascolo. Interessante anche se non amo il tipo di componimenti poetici che ho appena letto. C'è sempre da imparare qualcosa qui da te.

    Thanks!

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  4. @ juhan
    Anche io ho pensato subito a tale affinità: a parte quella, voluta, sulla Cavallina Storna, mi sembra in qualche modo che lo stile lo ricordi, soprattutto nell'Attentato. Be', ho terminato gli studi nel 1962...

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  5. Anonimo, allora hai proprio buona memoria... ;-)

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  6. E già, è più facile ricordare le cose lette e imparate da giovani, mentre l'odierno lo dimentico spesso "dal naso alla bocca" :-)
    Saluti dalla perfida nera

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  7. Una spiegazione metodologica all'interno della burla: Alla macchia e L'attentato sono due vere e proprie poesie di Giovanni Pascoli (rispettivamente Nella macchia e Il Lampo), che costituiscono il primo esperimento di applicazione di una contrainte di mia invenzione: cambiare una sola parola di una poesia e il suo titolo, in modo che sembri qualcosa di assolutamente diverso. Nella prima la parola "sbirro" ha sostituito "flauto", nella seconda "Mercedes" ha sostituito "casa".
    Anche la "poetica del picciotto" è una parodia della pascoliana "poetica del fanciullino", come ha riconosciuto Colapesce in un commento che mi ha chiesto di non pubblicare.

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  8. Amabile, divertente imbroglione...

    LPN

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  9. Perfida Nera, LPN, Anonimo, Bruna: TVB

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  10. Ma allora ci avevo preso! E pensare che in quinta avevo un pessimo rapporto con la prof di 'tagliano (di cui ho addirittura dimenticato il nome). In particolare dopo una interrogazione disastrosa a ottobre avevamo raggiunto un compromesso: non parlare più di Dante. Per cui ti chiedo di non approfittarne e non parlare del Paradiso.

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