mercoledì 16 dicembre 2009

Lapidis materia




Non so se a voi è capitata quella situazione disperante di sentirsi sveglio con la mente e di non riuscire a comandare il proprio corpo addormentato. A me succedeva spesso, una decina d’anni fa, e ogni tanto mi capita ancora. Dopo una di quelle esperienze, quasi ancora in sogno, scrissi questo pezzo, che si discosta dalla mia consueta prosa illuminista. Lo utilizzai come incipit di un racconto che vinse un piccolo premio letterario, il mio primo.

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Il mio urlo disperato si perde nella valle silenziosa e muore tra il fragore dell'acqua che scorre in fondo, nel torrente. Rimbalza sulle pareti rocciose, provocando microscopiche frane di sabbia, striscia contro le arenarie umide, accarezza stentati licheni. Solo un cane in lontananza sembra rispondermi, uggiolando impaurito: nessun orecchio umano potrebbe cogliere le vibrazioni della mia voce. Da secoli grido in questo modo all'universo la mia pena eterna, la maledizione della mia esistenza minerale.

Sorde risonanze d'elettroni riempiono i miei sensi - perché, a mio modo, anch'io posso sentire - e tutto il mio essere quarzo, feldspati, albite, biotite e muscovite è in grado di percepire la fluida freschezza della pioggia, il tepore del sole, la forza del ghiaccio, la dolce levità dell'attrazione lunare, il rassicurante influsso delle stelle. Avrei preferito sparire completamente, annullarmi per sempre nella quieta certezza del non-essere, ma ciò non mi è dato. La terribile consapevolezza del mondo intorno a me, del ciclo delle esistenze, dell'ascesa e caduta di popoli, dèi e civiltà, rende ancora più difficile accettare la condanna della mia immortalità.

Sono stato la sillaba primordiale, l'uovo che galleggiava sull'oceano, il frassino piantato tra la sotterranea terra dei Nani e la celeste dimora degli Asi, ho rivestito la forma del nero corvo della battaglia, del lupo, del cinghiale, del gatto, sono stato più volte uomo.

Sono passato dal caos al cosmo, dall'indifferenziato all'essere individuale; esisto da miliardi d'anni - come tutti, del resto - e ho visto le gelide albe del Tibet, respirato l'odore acre e amico del cavallo sotto di me nelle immense steppe, ho pregato gli dèi in cima agli ziqqurat lungo l'Eufrate, ho assistito alla nascita d'Artemide e Apollo dalla nera Latona, ho navigato con le intrepide navi di Tiro, oltre le Colonne d'Ercole, fino al paese degli Iperborei, anche se non ricordo in quali vite e in quale ordine.

Ho amato molte donne, dai seni candidi di neve appena caduta, dai neri capelli di giaietto, dagli occhi chiari e sereni di cielo di maggio, dalla pelle bruna e lucida come il bronzo. Ho anche amato e educato fanciulli, che sono poi diventati filosofi o soldati, architetti o assassini. Sono stato umano e infelice, troppe volte ho temuto la morte e sono morto, ma quale grandezza in quegli attimi di felicità che la vita regala! Nessun dio potrà mai cogliere la gioia assoluta della risata d'un bimbo, della ninnananna di una mamma, dell'orgasmo degli amanti, di un boccale di birra o di vino corposo la sera dopo la battaglia vittoriosa! Forse è per questo che gli dèi hanno invidia degli uomini, per quanto possa sembrare assurdo.

Tutto questo è ora solo ricordo e rimpianto. Il ciclo delle mie vite è interrotto, cristallizzato nella non-vita e non-morte di questa roccia che è la mia tomba, la mia casa e il mio corpo.

Eppure, talvolta, mi è capitato di non sentirmi solo, di sorridere nel mio intimo, come solo noi pietre sappiamo fare. Qualche tempo fa - o sono secoli? - una ragazzina si allontanò per qualche minuto dal gregge di suo padre, mi prese in mano e batté ritmicamente la mia superficie con una bacchetta di legno, traendo un suono che sembrava darle piacere. Nessuno può immaginare il sollievo di poter liberare parte di quelle vibrazioni che credevo coagulate in me per l'eternità! Molti popoli costruiscono con le pietre degli strumenti musicali, scegliendone opportunamente alcune di diversa tonalità, e accompagnano così le loro danze rituali. E il suono incantato delle pietre è il ringraziamento per la possibilità che è loro offerta di vibrare nuovamente, di partecipare alla danza dell'essere, di sentirsi, in qualche maniera, vive.

In un'altra occasione un pastore approfittò della mia forma vagamente cubica, segno della mia natura saturnina, per utilizzarmi nella costruzione di un muretto a secco. Ora quel fugace manufatto non c'è più e della stirpe di quell'uomo s'è perso il ricordo. Ma conservo ancora la gaia sensazione della gravità delle altre pietre sopra di me e del contatto con le sorelle al mio fianco, con le quali scambiavo sostanze ed impressioni, in un chiacchiericcio elettrochimico che non ho più sperimentato da allora. Non ero la testata d'angolo di cui parla il libro dei cristiani, ma bastava così, perché il costruttore non mi aveva scartato.

Non solo il mio suono e la mia forza posso donare. Chi provasse a colpirmi con un corpo metallico ne trarrebbe scintille per accendere il fuoco. Il calore che raggelato conservo si libererà, scricchiolando e sfavillando fotoni: dal massimo della materialità terrestre si otterrebbe l'eterea leggerezza e l'infinita velocità della luce. Se solo qualcuno mi consentisse d'essere di nuovo fiamma! Tornerei ad assaporare il gusto perduto del calore primigenio che creò questo mondo, oppure m'illuderei, per un atomo di tempo, di essere una di quelle pietre infuocate cadute dal cielo che gli uomini venerano traendone oracoli o facendone l'unico oggetto degno della cerca d'un cavaliere puro.

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Per non tradire la vocazione lateralmente scientifica del blog Popinga chiedo ai lettori: in quale tipo di roccia si è trasformato il protagonista?

15 commenti:

  1. granito?

    Certo che ne hai di roba nel cassetto!

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  2. Io propenderei per una roccia sedimentaria, di una certa potenza per conservare nei suoi strati la memoria di tutti gli eventi vissuti. Ma forse sono fuori tema anche perché (bisogna sempre trovare qualcuno a cui dare la colpa) mi hai fatto venire in mente Carbonio di Primo Levi. Lo so è molto diverso, a questo punto è arrivato Qfwfq, non ne esco :-(

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  3. In effetti, la selce è una pietra un po’ infiammabile, da quel che mi ricordo di geologia, direi che tiene.
    Però non si appiccia a sproposito, solo quando la vanno a percuotere.
    Ergo, Juhan, non me la prendo per niente. Troppo facile dire che una è «incazzosa» quando gli altri, seppure in altri loci, si mettono d’impegno per farti incavolare.

    Pop, metto ai voti, dunque, la selce, anche sepperò ci dice pure la pietra serena, che dici?

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  4. Confermo: granito. Avevo pensato inizialmete ad una roccia magmatica come la Pegmatite ma l'albite mi ha riportato sulla retta via.

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  5. Ma che bel racconto intanto... coinvolgente il tuo scrivere...!
    La roccia?
    la selce mi è venuta in mente, ma ... la pirite?
    ciao Pop,
    g

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  6. laperfidanera17/12/09, 15:27

    D'accordo con Enrico: sei di granito. (Ma in quanto a granitica e tetragona, non scherzo neanch'io).
    Ciao

    LPN

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  7. Senti un po’, Pop, ma che tra le tue letture hai pure “Favola d’Amore” di Hermann Hesse?
    Domanda bibliografica.

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  8. Pop, posso fare una confidenza ad un amico fidato? Lo sai che a volte ho l’intangibile, ma netta sensazione di essere, come dire, “spiata”? Non dico qui o altrove in particolare, proprio nella vita in generale.

    Strani giorni, viviamo strani giorni.
    I had fallen into reverie.../ I dreamed a vague outline.../ The whisky flowed,/ sending me into the past. Action! (Roll the cameras!)./ Here comes a lightning tour of my life!/ The two in the corner didn’t say a word.

    va be’, anch'io ho i miei momenti psichedelici... mica solo Battiato :)

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  9. La risposta era proprio granito, come hanno detto Enrico e Peppe.

    Roberta: non conosco quell'opera di Hesse (non l'avrei mai comprato un libro con quel titolo ;) ). Per quanto riguarda l'essere spiati: non so se è la stessa cosa, ma per un insegnante essere osservato, commentato, imitato, parodiato per ogni atteggiamento, modo di dire, tic, ecc. è cosa di tutti i giorni. Sulla psichedelia: possibile che nessuno oltre a me ricordi Claudio Rocchi prima degli Hare Krishna (Volo magico n.1 e n.2)?

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  10. C’indovinassi mai una volta.

    Per quanto riguarda la favola di Hesse: ah be', ho googlato in giro, mi sa che se non l'hai letto te, l'ha letto lui ;)
    Lo comprai diversi anni fa: non avrei detto che mi sarebbe tornato utile, anche solo per scriverci un commento.
    Pictor's Verwandlungen è il manoscritto originale, con delle belle illustrazioni dell’autore.

    Ciao Pop! ;)

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  11. io me lo ricordo bene claudio rocchi quand'era capellone e grande promessa del cantautorato italiano (tra le altre cose era il bassista degli Stormy Six quando realizzarono il primo album). All'epoca rappresentava per me, esteticamente e musicalmente, un punto di riferimento (come può esserlo per un ragazzetto coi primi peli). Altra curiosità: in Volo Magico n.1 suonava con lui Alberto Camerini (che poi usci con un grande primo disco prima di diventare un deficiente ska). Quando passò agli Hare Krishna per me (non ancora ventenne) fu un colpo.

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  12. Claudio Rocchi lo ricordo bene, ad un concerto a Grosseto; si era cominciato a sentirlo alla radio a "Per voi Giovani" e nella sala saremo stati almeno in quindici...

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  13. State parlando di quello stesso Claudio Rocchi che con Paolo Tofani cantava: "la macellazione causa agli animali atroci sofferenze..."?

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  14. Sì, proprio quello, che ai tempi de La macellazione era un Hare Krishna (tra l'altro quell'album a me piaceva). Il Claudio Rocchi che ho amato è però quello del primo LP, Viaggio, acustico e sognante, con canzoni come "La tua prima luna" o "Non è vero".

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