giovedì 27 maggio 2010

Le tre algebre di Luca Pacioli

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La storia delle matematiche è anche storia dell’evoluzione dei linguaggi simbolici e algoritmici che ne hanno accompagnato lo sviluppo. L’epoca in cui visse Luca Pacioli (1445–1517) si collocherebbe in quella fase della storia dell’algebra che il filologo tedesco Georg Nesselmann definì come algebra sincopata, nella quale alcuni termini sono regolarmente indicati con abbreviazioni. L’algebra sincopata sarebbe succeduta all’algebra retorica antica e medievale, nella quale i procedimenti algebrici venivano espressi mediante l’uso del linguaggio naturale, e avrebbe anticipato l’algebra simbolica, nella quale si usano le lettere per tutte le quantità e i segni per rappresentare le operazioni, che incominciò con i lavori di François Viète (1540-1603) e già con Cartesio (1596–1650) raggiunse la forma che utilizziamo tuttora. Bisogna però precisare che la classificazione del Nesselmann, che data al 1842, pur essendo ancora utilizzata a livello descrittivo, è stata criticata in più occasioni, perché non tiene conto né dell’uso di simboli nella matematica medievale indiana, né dell’algebra geometrica greca (che utilizzava le proprietà delle figure geometriche per rappresentare relazioni ed equazioni) né, soprattutto, dell’opera isolata di Diofanto di Alessandria, vissuto in epoca ellenistica, che utilizzò un simbolismo piuttosto complicato e incompleto (mancano i simboli per le operazioni e relazioni) costruito a partire dall’alfabeto greco. Inoltre l’uso isolato e non sistematico di simboli si ritrova già nelle opere di matematici del XIII e XIV secolo, come Giordano Numerario (morto nel 1237), il Fibonacci (circa 1170-dopo il 1240) e Nicola di Oresme (1323?-1382).

L’abbreviazione delle parole ricorrenti nell’esposizione di problemi di aritmetica è stato quindi il primo passo dell’evoluzione dal linguaggio naturale a quello simbolico. In generale, come sostiene il ricercatore canadese di didattica della matematica Luis Radford, la storia della matematica non può essere separata dalla parallela trasformazione sociale, economica e tecnologica. Nel processo di progressiva astrazione, gli oggetti matematici non si sarebbero “purificati sottraendo da essi la dannosa sostanza fisica”, ma la loro rappresentazione prima sincopata e poi simbolica risponderebbe a una precisa esigenza di scrittura più agile, dettata dal passaggio dai manoscritti ai libri a stampa: l’abbreviazione sarebbe dunque un accorgimento tecnico. Da questo espediente si sarebbe poi sviluppato il potere straordinario di astrazione dell’algebra simbolica.

Il processo di progressiva formalizzazione del linguaggio matematico non è importante solo dal punto di vista lessicale (semplificazione e restrizione delle necessità terminologiche), ma ha avuto anche altre importanti conseguenze: esprimere un calcolo in una formula di mezzo rigo invece che in una pagina di prosa non può che portare a dei progressi sul piano della logica, e quindi della matematica stessa. Una notazione più compatta ed evoluta permette infatti un livello di astrazione più elevato, rappresentando uno strumento essenziale per la risoluzione dei problemi, procedendo sempre più dal particolare al generale. Inoltre essa consente una maggiore efficacia degli algoritmi di calcolo, velocizzandoli e rendendoli manipolabili più facilmente.

Qualche esempio potrà chiarire l’importanza della fase di passaggio alla quale si assiste alla fine del Quattrocento. Raffaella Franci e Laura Toti Rigatelli (Storia della teoria delle equazioni algebriche, Mursia, Milano, 1979) presentano un utile schema con esempi delle espressioni proprie dell’algebra retorica confrontati con le corrispondenti espressioni simboliche moderne:

cose uguale a numero ax = b
censi e cose uguale a numero ax2 + bx = c
censi uguale a numero ax2 = b
censi uguali a cose ax2 = bx
censi e numero uguale a cose ax2 + c = bx
censi uguale a cose e numero ax2 = bx + c
cubo e cose uguale a numero x3 + bx = c
cubo uguale a cose e numero x3 = bx + c
cubo e numero uguale a cose x3 + c = bx

In Piero della Francesca (1416–1492), pittore straordinario e autore di trattati matematici e di geometria prospettica, della generazione precedente a quella del Pacioli, troviamo qualche esempio di un incipiente uso di simboli. Nel Trattato d'abaco, sulla matematica applicata, forse del 1450, è presente ad esempio un problema risolto algebricamente attraverso l’equazione:
 

Trovame uno numero che presone 1/4 e moltiplicato in sé faccia il rimanente de quello numero, cioè tre quarti de tucto il numero.
Poni che quello numero sia I cosa; tòine 1/4 de cosa e moltiplicalo in sé cioè 1/4 de cosa via 1/4 de cosa fa de censo il quale è equale ad 3/4 de cosa. Reduci 3/4 de cosa a sedicesimi sono 12/16 , che sono equali a de censo; parti per uno censo ne vene 12 et tanto vale la cosa, et noi dicemmo quello numero essere I cosa, adunqua fu 12. Pigla 1/4 de 12, che è 3, che moltiplicato in sé fa 9 et li 3/4 de 12 è 9. Adunqua ài quelo che aì dimandato.

Un trattino o un quadratino sopra il coefficiente numerico indicano rispettivamente l’incognita e l’incognita al quadrato. Tali segni non sono però usati in modo sistematico e non escludono l’utilizzo dei termini tradizionali cosa e censo.


Mentre la notazione tradizionale caratterizza ancora la prima opera a stampa di Luca Pacioli, la Summa de Arithmetica Geometria Proportioni et Proportionalità pubblicata nel 1494, si assiste a un netto progresso con la sua traduzione in volgare del Libellus de quinque corporibus regularibus di Piero della Francesca, che fa parte della prima edizione a stampa del De Divina Proportione, pubblicata a Venezia nel 1509. Così viene trattato un problema di geometria piana risolto con l’equazione:

 


Il Pacioli utilizza qui una simbologia algebrica innovativa e funzionale. Un rombo sta per l'incognita, un quadrato per l'incognita al quadrato. In campo aritmetico, egli usa p per indicare l’addizione (dove Piero utilizzava additus, et, plus) e m per indicare la sottrazione (al posto delle varie espressioni ablatus, ammissiis, deductus, demptus, demìnutus, detractus, minus, remotus), mostrando in modo evidente come il fissarsi di sigle e simboli sia funzionale non solo alla sinteticità del linguaggio matematico, ma abbia un ruolo decisivo anche nei riguardi dell'univocità degli elementi lessicali.

In altre parti dell’opera del Pacioli, così come in quelle degli algebristi italiani dei decenni successivi, troviamo esempi di linguaggio algebrico sincopato. Così l’equazione oggi indicata con x + x2 = 12 era espressa dal frate di Sansepolcro con:

Trouame 1.n° che gioto al suo qdrat° facia. 12

a dimostrazione che la classificazione tradizionale del Nesselmann non può essere intesa in senso assoluto: tra la metà del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento le tre “algebre” convissero, addirittura nella stessa persona.

10 commenti:

  1. bello assai, mi piacerebbe approfondire la questione delle connessioni tra i linguaggi e le trasformazioni socio-economiche. Curioso ed interessante pure lo sviluppo della simbologia. C'è roba per una vita di studi.

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  2. Io sarei andato malissimo in matematica in quei tempi! Sono tardo di comprendonio ma di solito ci arrivo, o almeno lo pensavo fino a 1/4 d'ora fa; adesso non più.
    L'argomento meriterebbe davvero di essere approfondito ma non so se rientriamo nella cifra pattuita nel post precedente (io sono sempre per la versione padana senza complicazioni formali/scritte).
    Noto poi una somma (non in senso matematico) ingiustizia: c'è chi può latexare e chi non può neanche mettere una faccina (noi türinèis diciamo emoticon) che venga visualizzata in modo decente. ;-)
    Bravo M. Pop e grazie 10.cubo()
    P.S.: non so se la notazione da me usata si capisce ma in C++, Python, Java e altri linguaggi che non sto ad elencare, vista l'ora, funziona; forse non è tanto sintetica :-(

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  3. Piaciuto molto e anche a me piacerebbe disporre di approfondimenti. Una domanda mi viene al volo: ma ai tempi di Pacioli c'era una "comunità scientifica" così come la intendiamo oggi?

    Grazie, attendo coordinate per il bonifico... ;)

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  4. Fino a pochi minuti fa ero convinto, per chissà quale motivo, che il formalismo matematico di oggi (escluso il linguaggio degli insiemi) fosse lo stesso di quando furono introdotti i cosiddetti numeri arabi e il sistema di numerazione posizionale.
    Saluti

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  5. Interessante come sempre, anche se riuscire a intererpretare il significato di un'equazione scritta in notazione non moderna rimane comunque una cosa alquanto ostica (almeno per me).

    Mi ci ero scontrata quando avevo cercato di tradurre in formule le terzine che Tartaglia scrisse per spiegare a Cardano il suo metodo di risoluzione delle equazioni di terzo grado (per la cronaca, Cardano non capì, e dovette chiedere ulteriori spiegazioni...) :D

    http://it.wikisource.org/wiki/Quando_chel_cubo_con_le_cose_appresso

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  6. Gavagai, non so se avevi visto questo:
    http://books.google.it/books?id=LRWmiRu21WEC&printsec=frontcover&dq=La+formula+segreta+Fabio+Toscano&cd=1#v=onepage&q&f=false

    (p. 134)

    Fonte: Juhan

    p.s.: complimenti per il tuo nick, per me uno dei migliori che abbia trovato nella blogosfera :)

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  7. Mi stupisco che Juhan non citi una fonte Polito. Io cito il sempre eccelso Dario Bressanini.

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  8. @ Aidel
    A dire il vero la fonte del tutto è .mau. (mi raccomando i punti che altrimenti si arrabbia). http://xmau.com/notiziole/arch/201004/006502.html

    @ Popinga
    due versioni si prega di scegliere:
    1) ero da lunga data a conoscenza del tutto ma volevo lasciare qualcosa anche agli altri;
    2) for c = 1 to 1000: print "grazie!": next c

    Ci sono più cose tra il cielo e la terra di quante Cota e il Trota possano immaginare!
    Da domani per consultare questo blog mi metterò sempre in giacca e cravatta, come quando si va alla messa grande (non è che lo faccia spesso, ma se ricordo bene di quando ero bambino...)

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  9. Be', si sa, ogni fonte ha la sua fonte: io mi limito a citare solo l'ultima fonte autorevole. :)

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  10. Complimenti per il post, Pop. La citazione di Georg Heinrich Ferdinand Nesselmann non può che risvegliare il Lituopadano che c'è in me. Non sarà un caso se buttando Georg Nesselmann in Google la prima occorrenza è proprio quella di Vikipedija (la versione lituana di Wikipedia). Proprio lì si legge: Savo knygoje Die Sprache der alten Preussen (Berlynas, 1845) pirmą kartą panaudojo baltų terminą. Permettimi l'omore della traduzione: Nel suo libro Die Sprache der alten Preussen (Berlino, 1845) ha usato per la prima volta il termine Balti.

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