mercoledì 2 giugno 2010

Il paradosso di Russell

“Il problema dell'umanità è che gli sciocchi e i fanatici sono estremamente
sicuri di loro stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi”

Ci sono molti motivi per ricordare Bertrand Russell (1872–1970). Innanzitutto la sua attività filosofica e scientifica, di cui si occuperà questo articolo, ma anche la sua figura di pacifista che pagò personalmente per le proprie convinzioni e quella di scettico in campo religioso che lo portò a scrivere tra il 1925 e il 1954 gli articoli e i pamphlet raccolti in Perché non sono cristiano. Un intellettuale poliedrico e completo, pienamente immerso nella sua epoca, qualche volta solitario, sempre convinto assertore delle proprie idee e servitore solo di esse. La sua figura spicca nel cielo del Novecento come una stella di prima grandezza, difficile da imitare.

Il suo paradosso è considerato una delle più celebri antinomie della storia del pensiero logico e matematico. Nella sua definizione più formale esso afferma:

Sia R l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Allora R appartiene a se stesso se e solo se R non appartiene a se stesso. Simbolicamente,


Allora


se e solo se


che è un’evidente contraddizione.

Sembra che Russel abbia scoperto l’antinomia nella tarda primavera del 1901, mentre lavorava ai suoi Principles of Mathematics (1903). Cesare Burali-Forti, un assistente di Giuseppe Peano, aveva già scoperto una antinomia simile nel 1897, quando rilevò che poiché l’insieme Ω degli ordinali è ben ordinato, possiede tutte le proprietà di un numero ordinale e dovrebbe quindi essere considerato a sua volta un numero ordinale. Tuttavia, questo ordinale deve sia essere un elemento dell’insieme di tutti gli ordinali sia essere maggiore di tutti i suoi elementi, generando la contraddizione:


Diversamente dal paradosso di Burali-Forti, quello di Russell non considera ordinali o cardinali, avendo invece a che fare solo con il concetto originario di insieme.

Russell scrisse del paradosso a Gottlob Frege il 16 giugno 1902. Il paradosso era fondamentale per l’attività logica di Frege poiché, mostrava effettivamente che gli assiomi che Frege stava utilizzando per formalizzare la sua logica erano inconsistenti. Nello specifico, la Regola V di Frege, che stabilisce che due insiemi sono uguali se, e solo se, i valori delle loro funzioni corrispondenti coincidono per tutti gli argomenti possibili, richiede che un’espressione come f(x) sia considerata sia una funzione dell’argomento x, sia una funzione dell’argomento f. Fu proprio questa ambiguità che consentì a Russell di costruire R in un modo tale che poteva sia essere sia non essere un elemento di se stesso.

La lettera di Russell giunse proprio mentre il secondo volume degli Grundgesetze der Arithmetik era in procinto di essere stampato. Comprendendo subito le difficoltà che il paradosso poneva, Frege aggiunse all’opera un’appendice scritta frettolosamente in cui discuteva della scoperta di Russell. In questa appendice Frege osserva che le conseguenze del paradosso di Russell non sono immediatamente evidenti. Per esempio, “È sempre lecito parlare dell’estensione di un concetto, di una classe? E se no, come riconosciamo i casi eccezionali? Possiamo sempre dedurre dall’estensione di una coincidenza del concetto con quella di un secondo che ogni oggetto che cade entro il primo concetto cade anche entro il secondo? Sono queste le domande sollevate dalla comunicazione del signor Russell”. Con grande signorilità e onestà intellettuale, Frege diceva anche: “Uno scienziato può difficilmente scontrarsi con qualcosa di più indesiderabile che avere i fondamenti spazzati via proprio quando il lavoro è terminato. Sono stato messo in questa situazione da una lettera del signor Bertrand Russell, quando l’opera era in procinto di essere data alle stampe”. A causa di queste vicende, alla fine Frege si sentì costretto ad abbandonare molte delle sue idee sulla logica e la matematica. Egli ritenne la teoria degli insiemi responsabile della confusione che si era creata (e Wittgenstein seguì Frege su questo punto) e giunse, negli ultimi anni della sua produzione scientifica, a sostenere che non si può fondare l'aritmetica sulla sola logica, perché tramite la logica sola non abbiamo la certezza che ci venga dato alcun oggetto.

Naturalmente Russell era anch’egli preoccupato per la contraddizione. Subito dopo aver letto che Frege concordava con lui sul significato della scoperta, iniziò immediatamente a scrivere un’appendice al suo Principles of Mathematics, anch’esso in via di pubblicazione. Intitolata “Appendice B: la Dottrina dei Tipi”, l’appendice rappresenta il primo tentativo dettagliato di Russell di fornire un metodo corretto di evitare ciò che sarebbe divenuto noto come il “Paradosso di Russell”.

Il significato del paradosso di Russell può essere colto una volta che si è compreso che, utilizzando la logica classica, tutte le proposizioni derivano da una contraddizione, Ad esempio, assumendo che sia P sia ¬P, qualsiasi proposizione arbitraria Q può essere provata come segue: da P otteniamo P∨Q dalla regola dell’addizione; poi da P∨Q e ¬P si ottiene Q dalla regola del Sillogismo distintivo. A causa di ciò, e poiché la teoria degli insiemi è alla base di tutte le branche della matematica, molti iniziarono a temere che, se la teoria degli insiemi fosse stata inconsistente, non si sarebbe più potuto fare affidamento su nessuna dimostrazione matematica.

La maggior parte dei tentativi di risolvere il paradosso si sono concentrati su diverse maniere di restringere i principi che governano l’esistenza degli insiemi che si trovano nella teoria ingenua degli insiemi, particolarmente il cosiddetto assioma di Comprensione (o di Astrazione) per cui, data una proprietà, si può assumere l'esistenza di un insieme ben determinato che corrisponde a questa proprietà. In termini più formali, questo assioma afferma che ogni funzione proposizionale, P(x), che contiene x come variabile libera può essere usata per definire un insieme. In altre parole, corrispondendo a ogni funzione preposizionale, P(x), esisterà un insieme i cui elementi sono esattamente quelle cose, x, che hanno la proprietà P.

La risposta di Russell al paradosso fu la sua ben congegnata Teoria dei Tipi. Ravvisando che l’auto–referenza si trova nel cuore del paradosso, l’idea di fondo di Russell è che possiamo evitare il coinvolgimento di R (l’insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi) organizzando tutte le proposizioni (o, allo stesso modo, tutte le funzioni preposizionali) in una gerarchia. Il livello più basso di questa gerarchia consisterà di proposizioni riguardanti gli individui. Il livello successivo consisterà di proposizioni riguardanti insiemi di individui. Quello successivo consisterà di proposizioni riguardanti insiemi di insiemi di individui, ecc. È allora possibile riferirsi a tutti gli oggetti per i quali vale una data condizione (o predicato) solo se essi sono allo stesso livello o dello stesso “tipo”.

Questa soluzione al paradosso di Russell è motivata in gran parte dal cosiddetto principio del circolo vizioso, un principio che, in effetti, stabilisce che nessuna funzione preposizionale può essere definita prima di specificare lo scopo di applicazione della funzione. In altre parole, prima che una funzione possa essere definita, bisogna specificare esattamente quegli oggetti a cui si applicherà la funzione (il dominio della funzione). Ad esempio, prima di definire il predicato “è un numero primo”, bisogna prima definire la collezione di oggetti che potrebbero soddisfare il predicato, in questo caso l’insieme N dei numeri naturali.

Come spiegò lo stesso Russell:

“Un’analisi dei paradossi da evitare mostra che tutti risultano da una specie di circolo vizioso. I circoli viziosi in questione nascono supponendo che una collezione di oggetti possa contenere elementi che possono essere definiti solo per mezzo della collezione nella sua totalità. Così, ad esempio, una collezione di proposizioni sarà supposta contenere una proposizione che afferma che “tutte le proposizioni sono sia vere sia false”. Sembrerebbe, tuttavia, che una tale asserzione non possa essere legittimata senza che “tutte le proposizioni” sia riferita a qualche collezione già definita, la quale non può darsi se le nuove proposizioni sono create da asserzioni riguardanti “tutte le proposizioni”. Dovremo pertanto dover dire che le affermazioni circa “tutte le proposizioni” sono prive di significato. (…) Il principio che ci consente di evitare totalità illegittime può essere espresso come segue: “Qualunque cosa comporti la totalità di una collezione non deve far parte della collezione stessa, o, viceversa, “Se, ammesso che una determinata collezione abbia un totale, essa possiede elementi definibili solo nei termini di tale totale, allora la detta collezione non ha totale”. Chiameremo ciò il “principio del circolo vizioso”, perché ci consente di evitare contraddizioni derivanti dall’assunzione di totalità illegittime” (Whitehead and Russell in Principia Mathematica,1910, ed. 37).

Da ciò consegue che nessuna funzione potrà includere oggetti definiti nei termini della funzione stessa. Perciò le funzioni proposizionali (con le loro proposizioni corrispondenti) finiranno con l’essere organizzate in una gerarchia esattamente del tipo che propone Russell.

Sebbene Russell introdusse la sua teoria dei tipi per la prima volta nei Principles of Mathematics del 1903, essa raggiunse la sua espressione matura cinque anni più tardi nell’articolo del 1908 “Mathematical Logic as Based on the Theory of Types” e, soprattutto nell’opera monumentale Principia Mathematica, scritta in collaborazione con Alfred North Whitehead (1910, 1912, 1913), di cui quest’anno ricorre il centenario. La teoria dei tipi di Russell appare così in due versioni: quella “semplice” del 1903 e quella “ramificata” del 1908. Entrambe le versioni sono state criticate per essere concepite troppo ad hoc per eliminare con successo il paradosso. Inoltre, anche se la teoria dei tipi riesce a eliminare il paradosso di Russell, non è essa che essa riesca a risolvere altri paradossi.

Russell mostrò che non è detto che, dato un concetto o una proprietà, si possa sempre definire un insieme ad esso corrispondente, senza cadere in contraddizione. La discussione sul paradosso di Russell ebbe il merito di rendere i logici più consapevoli della natura dei sistemi formali e delle implicazioni metalogiche e metamatematiche ad essi associati. Come ha scritto Douglas C. Hofstadter nel celebre Gödel, Escher, Bach, Adelphi, Milano, 1984:


"La teoria dei tipi aveva risolto il paradosso di Russell, ma non aveva nessun effetto sul paradosso di Epimenide [del mentitore] o sul paradosso di Grelling. Per chi non spingeva il proprio interesse oltre la teoria degli insiemi ciò bastava, ma quanti erano interessati ad eliminare i paradossi in generale avrebbero dovuto procedere ad una qualche analoga "gerarchizzazione". Alla base di una gerarchia del genere vi sarebbe un linguaggio-oggetto. In esso sarebbe possibile riferirsi soltanto a un dominio specifico e non ad aspetti del linguaggio-oggetto medesimo, come regole grammaticali o enunciati particolari del linguaggio; per parlare di questi, vi sarebbe un metalinguaggio. Questa esperienza dei due livelli linguistici è familiare a tutti coloro che imparano una lingua straniera. Vi sarebbe poi un metametalinguaggio nel quale si discute sul metalinguaggio, e così via. Si richiederebbe ad un enunciato di appartenere a un preciso livello della gerarchia. Di conseguenza, se per un dato costrutto linguistico non fosse possibile individuare un livello di appartenenza, questo costrutto dovrebbe essere giudicato privo di significato e dimenticato”.

Doveva ancora arrivare Gödel, ma questa è un’altra storia.

Questo articolo è in gran parte debitore a: Irvine, A. D., "Russell's Paradox", The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2009 Edition), Edward N. Zalta (ed.).

8 commenti:

  1. La domanda sorge spontanea: essendo dio uno e trino, esso può essere considerato elemento della trinità?
    Sono abbastanza sicuro di avere capito il paradosso, ma sono altrettanto sicuro di non averne capito la soluzione. Rileggerò più attentamente l'articolo più in là.

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  2. Colapesce, l'insieme "persone della trinità" è di un tipo logico diverso da "Dio": qualunque cosa comporti la totalità di una collezione non deve far parte della collezione stessa. Dio quindi non può essere inserito nell'insieme "persone della trinità". Così Russell. In realtà sappiamo che ciò può avvenire, perché è un mistero della fede.

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  3. Anche se stiamo andando nel difficile quando parlate di trinità vi riferite a don Matteo da giovane o all'insieme {Silvio, Moggi, la Madonna}?
    Che poi a pensarci bene quest'ultima sarebbe forse una classe: Fatima, Lourdes, delle nevi, Pellegrina, Noemi, Naomi, quella che piange lacrime di sangue (plurima, la mia preferita).
    Io sono Pastafariano e non sono bravo in queste cose. Ma so che il Nostro Pastoso Signore fa un po' quello che gli riesce, RAmen.
    Ma aspetta; questo post sarebbe ottimo in un carnevale, come non detto. Ri-RAmen.

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  4. Dio ha creato gli insiemi per risolvere l'imbarazzante situazione precedente, quando cioè apparteneva all'insieme di coloro che non appartengono a nessun insieme

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  5. Juhan: in effetti, potrebbe andar bene per un carnevale ;-)

    Profeta Incerto: è oramai dimostrato, quindi, che la creazione non è avvenuta una volta per tutte, ma continua man mano che dio si accorge dei propri errori. Cantor, morto pazzo, è stato solo un suo strumento.

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  6. e, ironia della sorte, a pochi giorni di distanza ci hanno lasciato Arnold (Gary Coleman) e Arnold (Vladimir)

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  7. "La matematica può essere definita la materia in cui noi non sappiamo mai di che cosa stiamo parlando né se quello che stiamo dicendo è vero."
    Allora io avrei deciso di fidarmi di te, Popinga. E ti ho anche preparato una "nicchia", tutta per te, qui a casa mia: io ti immagino tutto di bronzo, serio e seduto, con in braccio un gatto, peloso, perchè "la matematica, vista nella giusta luce, possiede non soltanto verità ma anche suprema bellezza – una bellezza fredda e austera, come quella della scultura".
    Ma non sarà un paradosso, fidarsi di una statua, eh?
    B

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  8. Carissima B., per uno che quando parla in pubblico viene rimproverato di muoversi continuamente, di andare avanti e indietro, talvolta di coprirsi la bocca con la mano, essere paragonato a una statua (di bronzo, poi, anche la faccia?) è abbastanza ingiusto. Il gatto peloso accarezzato e ronfante va benissimo, ma come statua vorrei poter anche fumare.

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