sabato 23 aprile 2011

Parole inventate (5): Fànfole prima di Maraini


Nel mio primo articolo sulle parole inventate ho scritto che La Gnosi delle Fànfole di Fosco Maraini, la straordinaria raccolta di poesie scritte in una lingua “composta di termini privi di senso se non per quello, obliquo, conferito ad essi dal loro stesso suono”, è stato il primo esempio italiano di “poesia metasemantica”. Maraini ha pubblicato questo piccolo capolavoro nel 1994, ma ci ha lavorato per almeno due decenni, con il minuzioso metodo di continua insoddisfazione, revisione, correzione, limatura e controllo che caratterizza i grandi poeti, quasi mai “ispirati” al punto da scrivere di getto versi immortali. In realtà, prima del 1994 sono comparsi qua e là sulle riviste letterarie e nelle raccolte collettive ed individuali alcuni esempi di poesie composte interamente o parzialmente con parole inventate, per cui il mio giudizio iniziale andrebbe in parte rivisto: Maraini ha portato a compimento artistico un’idea che era nell’aria in quegli anni di grande sperimentazione e, ancor prima, dai tempi dello Zang Tumb Tuum di Marinetti e dei futuristi. La cosa non deve stupire: i poeti sono, chi più chi meno, onomaturghi, inventori di parole, e, anche quando non ne inventano di nuove, sanno conferire a quelle vecchie nuovi significati e, attraverso il loro accostamento, aprire nuove prospettive da cui guardare dentro il mondo e noi stessi.


Incomincio questa piccola rassegna di fànfole anticipatorie con alcuni componimenti di Cesare Viviani (1947), il quale proprio ieri ha compiuto 64 anni. Nel suo libro d’esordio, L’ostrabismo cara (Feltrinelli, 1973), egli, come ha scritto Antonio Porta (in Poesia degli anni Settanta, Feltrinelli, 1979) gioca d’azzardo con il linguaggio, attraverso una manipolazione in chiave di lapsus e quindi di sostituzioni. Ad una prima lettura delle sue poesie si coglie il ritmo di una narrazione senza afferrarne il senso, che comincia a svelarsi ad una seconda lettura, non come senso comune, ma come sotto– e sovra– senso del parlato, il parlato della sua terra d’origine, Siena. Le parole completamente inventate ancora non ci sono, ma c’è un linguaggio in cui è il loro accostamento inusuale a provocare lo straniamento nel lettore.

per il vestibolo agganciato male ebbe ottenuto
le spesse maleodoranti fazioni della linea
terraaria e s’innestò trangugiando il modesto
parato di sozza battitura alla quale imponendosi
piota aveva consumato. Ora s’intestava
all’ammasso dei bachini, decidevano i sorci
intesi se dare o meno metta!
per il turbinio trasloca lettera a epistrofeo
e il callifugo insulso più spalmato a dovere
non resiste alla cottura scoccola

Sull’esterno
convenzione d'albàlgia del punteggio, ti fregola
col muschio del supino e la ritesa dei
capperi archiviando il codino litote:
miura di sottintendere la fessura dell'arto in
pali tempo ricoveri le cozze all'Ignis Deborah
e allestisci il pendìo con le righe smagliate
arruolato, anche tre motti insieme
hanno rischiato di sciogliersi la melma da cui
avete teso le distanze. Fosse stato un approccio a due
in più, avesse compreso anche l'invidiosa parente
non evitavo il misto ma se indietreggia il bove astenico
figuriamoci Frater che, abbaiava, si sbriciola
legaccio e digestione
alzandosi due volte sul terrazzo

○○
il sorgere a fiducia del versante al dì intelaiatura
scoppiettata negroide al mi ti accalchi cappuccino non esce
l'accensione, meno male la pesa non esclude lo scatto gatto
e in funzione del ferì la comare espone volteggiando la cervice
immagino che è essere uscir di bocca rosso dal serpe nero
le soffiate col freno distribuite a mano
quarantunenne
la faccenda del fisico pompiere a spettacolarsi il traffico figurati
più abilità e piovigginoso stand, negotia europea:
a chi passi il cantone? perché vuoi che nel cotone s'inzuppi
il sale e l’unto o lasci perdere se un bel bioccolo
prende la chiave a ti
(…)


Il gioco è continuato con Piumana (Guanda, 1977) e L’amore delle parti (Mondadori, 1981), che presentano meno giochi taglienti e si aprono maggiormente al racconto, al ritmo della danza, alla gioia. Siamo già più vicini all’atmosfera, alla grazia, delle fànfole:

isotàta assunto
ostrabilia ventato s'è animato, in diretta tutù
l'è geminato, pòccia alle parve doglie dello sfratto
aliquò s'è affidato, a chi nicola, è fato!
Orunque ricomposto un annodo gentile al filone rubizzo,
da tuttùno a se no, sono corpi reparàti. Serto, principia
il calco del golpame, la tentescion d'emiro,
il core imbrana, annota il sito smunto
che fra' bernardo e il cesto della spera
la nozione è patrizia ha
per quietanza un colpetto di riso

oro conato
trittico a biologia per moggi pasta
addizioni gli scorci delle travi e,
chesciòn, fuori dal continente
il furioso barare del raccordo,
Gai mi vede di là.
Si svitò appena ammantato
dal modico greve impianto di
riso, accattivato, da verve
alla rosicchiatura di Pinti,
slacciato il bocciòlo di monte, via
arcana
tra doglie è sparito


alzassi i fiocchi e ti vedessi tana
come quel forno alla … centrale
marcia l’abbraccio amore …
non ti dimentico …
Mio ci cambiammo verso l’eterno fuori
il sopore del vezzo assottigliato
senza pletore e santi sentimenti.
Tu che fingi la gente e mi hai scartato …
ma poi mettendosi sulle tue facce
quanti stenti
frazioni (dell’immagine) …
un osanna col battito allargato
una falda completa. Oh nascondino
oh pulcherrimo schianto oh sofficino
sei tra le mie stampelle nella porpora


Di Giulia Niccolai (1934) ho già presentato una poesia qualche tempo fa, dalla quale emergono tutta la sua intelligenza, l’umorismo e l’amore per il nonsense, spesso plurilinguistico. Il suo approccio alle parole è spesso dadaistico: si può far poesia elencando toponimi (a lei mi sono ispirato per la Poesia metropolitana), altrettanto si può fare mescolando parole di varie lingue, in un calderone che sembra riempito dalle macerie della torre di Babele.

A marmolada
A marmolada omst wartburg the placid lake
whilst pirineus kodok to seascale ruhr.
Shiraz tyndale skaw algeria gate,
alhambra rode, las vegas trent
and rushmore mount romania to tashkent
Po hai, poitou, polànd, poitiers!

Samassi mannu
Samassi mannu
serpeddi ferru,
sennori ruju
strisaili torpe,
senorbi seulo
serrenti nieddu.

Lodi?
Treviglio. Rovato brescia asola visano
e adda e oglio e mincio e garda
lograto barghe pastrengo e margaria.
Navi che manerbo! Lodi?

Non torno
Acuto brienza sinnai il bussoleno
e bisceglie difesa melodia.
Acuto brianza. l'ultimo uomo fino la meta
— vaprio rivolta introbio.
Acuto brianza fino mornasco e saronno
grigna e lierna
turbigo sozzago e oggiono osnago.
Ah morto milano mortorio mosciano!

Palermo-Orgosolo
Ortisei donnalucata?
Lanusei donnafugata?
Ansici leonessa amatrice?
Premilcuore flumendosa lampedusa
Crevalcuore formosa generosa signora pulita!
Raddusa agira il regabulto
Sciacca siracusa il racalmuto.
Cianciana cianciana contessa Entellina...
Alto ulassai
Acuto ussassai
Staiti muta femmina morta!

Como è trieste Venezia
Igea travagliato
trento treviso e trieste
di disgrazia in disgrazia
fino pomezia.
Como è trieste Venezia...


La confusione, invece di turbare, è motivo di sempre nuove invenzioni linguistiche, in un gioco che sembra poter durare in eterno. La Niccolai, unica donna che è possibile associare al Gruppo ’63, ha ben presente la lezione di Toti Scialoja e, prima di lui, dell’Aldo Palazzeschi futurista quando scriveva Lasciatemi divertire!:

Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche!
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie

Bubububu,
fufufufu.
Friu!
Friu!

Ma se d'un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.

Non è vero che non voglion dire,
voglion dire qualcosa.
Voglion dire...
come quando uno
si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!

Ma giovanotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?

Huisc...Huiusc...
Sciu sciu sciu,
koku koku koku.

Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.

Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro,
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala
eppoi lala.
Lalala lalala.

Certo è un azzardo un po' forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine io ò pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!




Le immagini sono tratte dal Kôrin Album (1802) di Hôchû Nakamura.

5 commenti:

  1. Fiuuuu ho letto tutto d'un fiato e i toponimi sardi? Bellissimi! (beh io sono di parte)
    Bel post Pop!

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  2. Sarebbe come dire licenza poetica e mi intriga assai giocare con le parole tipo Dura l'ex o timeo ut -time out

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  3. Penso dunque sono, poèto dunque suono.

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  4. Patrizia Vicinelli non ti piace, vero Popinga? Nemmeno a me prima, però mi ero incuriosita dopo aver visto "Amore tossico" e certe cose che ho letto di lei dopo adesso mi piacciono, io diventando anziana. Ha scritto anche lei delle poesie sperimentali plurilinguistiche, col linguaggio mescolato, non inventato, una cosa diversa insomma da questo di cui parli tu. Però forse c'entra col Gruppo '63, non sono sicura. Perchè, secondo te, non c'entra?
    Secondo me Enrico dovrebbe scriverci qualcosa qui da te, che a me mi viene da ridere già da adesso (nel senso che sono sicura che potrebbe deliziarci e stupirci). Potresti chiederglielo, Popinga?

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