sabato 17 novembre 2012

Autoritratto del blogger compulsivo

Ho già parlato del volume collettivo degli Oulipiani C'est un métier d'homme. Autoportraits d’hommes et de femmes au repos quando ho proposto la mia traduzione dell’Autoritratto della radice di due della matematica Michèle Audin, da cui è tratto.

Il libro, uscito nel 2010 presso Mille et une nuits, è una raccolta di una ventina di “autoritratti” (del seduttore, del tiranno, dello psicanalista, ecc.) scritti da dieci autori diversi, tutti congegnati sulla falsariga dell'Autoportait du descendeur (Autoritratto del discesista) di Paul Fournel, racconto breve che ha costituito il canone e la matrice testuale per gli altri. Così, in tutti i racconti, la contrainte è stata quella di seguire lo sviluppo del racconto di Fournel e di adottarne la successione logica e certe frasi chiave (“È un lavoro da uomini”; “Ora ci sono io”; “una condizione che richiede il dono assoluto di sé stessi e una concentrazione totale”, ecc.). L’autoritratto del discesista, di Paul Fournel, inizia per esempio così:

Il mio lavoro consiste nel discendere dall'alto della montagna fino in basso. Nel discendere il più in fretta possibile. È un lavoro da uomini. 

Mentre l’autoritratto della radice di due, di Michèle Audin, inizia con: 

 Il mio lavoro consiste nell'essere estratta ed esibita. Nell'essere estratta con il maggior numero di decimali possibile. È un lavoro da numero. 

E quello del filosofo televisivo, di Hervé Le Tellier:

Il mio lavoro consiste nel comparire in mezzo al paesaggio audiovisuale. Nel farmi vedere da più lontano possibile. È un lavoro da uomini. 

Ho provato anch'io a misurarmi con un autoritratto secondo il modello degli oulipiani. Ne è uscito questo raccontino, che vi propongo sperando che piaccia.


Il mio lavoro consiste nel comparire sulla rete il più possibile. Per vivere il mio quarto d’ora di celebrità almeno una volta al giorno. È un lavoro da uomini. Prima di tutto perché bisogna pubblicare anche quando non si ha voglia, o non si ha tempo. Poi, perché, quando ce ne sono tanti come te, ciascuno vuole avere più lettori e commenti degli altri, per soddisfare il suo ego. È un lavoro stressante. 
Sono un blogger compulsivo. 

Ci sono quelli che twittano, quelli che hanno migliaia di amici su Facebook, quelli che compaiono in centinaia di cerchie su Google Plus, e poi ci sono io. Sono il blogger più presente, il più dedito alla causa e, se faranno le olimpiadi della specialità, vincerò la medaglia d’oro, altro che le classifichine italiane e i loro stupidi algoritmi. 

Sono il blogger più interessante, divertente e popolare della rete e il mio lavoro, il mio unico scopo nella vita, consiste nello scrivere articoli che siano letti dal maggior numero di persone. 

Essere letti e popolari. Scrivere frasi e pubblicare immagini e video che abbiano successo, che vengano condivisi, rilanciati, diffusi, commentati, segnati col dito pollice alzato o con il +1. Nel mio lavoro non importa la qualità, importa il numero. 

All'inizio ci sono stati i blogger americani, che hanno dominato la scena con la loro reputazione di “innovatori della comunicazione”, di avanguardie del diario elettronico, al punto che dopo un anno i primi cinquanta blogger innovavano e scrivevano come loro.  
Ora ci sono io. 

Essere un blogger presenzialista è una condizione che richiede il dono assoluto di sé stessi e una concentrazione totale. Sono un blogger a tempo pieno. Non si tratta solo di scrivere e pubblicare, ma anche di controllare se ci sono contatti e commenti, eventualmente rispondere, guardare chi si collega e da dove, da quale pagina proviene, per quale pagina mi lascia, quanto tempo è stato sul blog: tutto ciò ora dopo ora, minuto dopo minuto. 

Io batto tutti i blogger più famosi della politica, dello spettacolo, del giornalismo, della scienza e della letteratura, che non valgono niente, perché so che ciò mi aiuterà a essere il blog di me stesso. Prendete due blogger, a parità di pagine lette e di commenti ricevuti, che scrivono nella stessa lingua e degli stessi argomenti, e sarò sempre io il migliore. 

Mi preparo ad aprire altri tre blog oltre ai cinque che già gestisco, diversificando gli argomenti per raggiungere persone differenti, per soddisfare ogni tipo di lettore, sperimentando nuovi linguaggi verbali e iconici, perché il Web 2.0 oramai è un relitto del passato e sono pronto per il 2.73, persino per il 3.14. Conosco a memoria ogni segreto dell’html e penso con i tag, dalla mattina alla sera, almeno mille volte, e vedo scorrere le istruzioni al rallentatore se chiudo gli occhi. 
Tutto conta nella carriera di un blogger. 

Un bel giorno l’essenziale diventa un piccolo particolare, un trucchetto che conosci solo tu e pochi altri al mondo, sul quale ti sei esercitato mille volte, e sai che da quel trucchetto dipende il tuo successo sugli altri. Un trucchetto informatico che ti avrebbe permesso di essere il primo a fare una certa cosa in un articolo e invece c’è arrivato prima un canadese, mentre tu aspettavi l’argomento buono e l’occasione buona di usarlo.

Penso al blog quando lavoro, quando sono in bagno, mentre viaggio; sono sul blog persino quando dormo. Chi vuole avere successo come blogger deve sapere che lo scotto da pagare è molto alto: bisogna rinunciare agli amici, al relax davanti al camino, alla serata in pizzeria con la fidanzata o la moglie, persino alla fidanzata o la moglie. È la regola. 

Poi viene il momento che arriva immancabilmente per tutti. Il momento in cui la vita torna ad essere apprezzata nella sua pienezza e il campo visivo non è più circoscritto da uno schermo, la tua giornata non dipende dalla scelta del browser più efficiente o dai capricci del modem. Il momento del riposo assoluto. Il riposo del blogger. Un riposo immenso, in cui ogni fibra del corpo si rilascia, gli occhi finalmente si possono chiudere, gli alberi tornano a essere fatti di tronco, rami e foglie e producono ossigeno vero e non sono più fatti di pixel. Bisogna solo sperare che quel momento arrivi prima della morte.

6 commenti:

  1. Mi hai fatto venire voglia di chiudere il mio blog :)

    Saluti,

    Mauro.

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  2. Il mio lavoro consiste nel commentare il Pop. E nel farlo in maniera il più possibile pertinente. È un lavoro da uomini.

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  3. Il mio lavoro consiste nel commentare il Pop. E nel farlo nella maniera più coerente possibile. È un lavoro da uomini.

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    1. Colpa del mio problemino compulsivo, chiedo venia.

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  4. Io avevo già voglia di chiuderlo...

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