martedì 30 aprile 2013

Transatlantic City


La tempesta è passata. Le onde dell’oceano sembrano essersi placate, ma i vecchi pescatori dicono di diffidare della calme improvvise, che talvolta nutrono guai peggiori. Sul lungomare ancora qualche goccia di pioggia, sulla spiaggia vecchie barche in rovina, nel cielo insistite grida di uccelli marini. Si fa buio. In uno degli alberghi-casinò, in un’ala inaccessibile al pubblico e protetta da uomini armati, i boss delle due famiglie hanno appena deciso una tregua per la spartizione del territorio. Uniti contro il comune nemico. La pace è stata voluta, quasi imposta, dal vecchio padrino, che ha salutato l’accordo con viva e vibrante soddisfazione. Comanda ancora lui, nonostante l’età e gli acciacchi. Non sono stati capaci di trovargli un successore che sia giunto vivo alla carica: tutti impallinati alle spalle, nei soliti regolamenti di conti, soprattutto tra membri dello stesso clan. 

I due nuovi boss sono convinti di aver fatto un buon lavoro. Henry e Angelo si sono anche stretti la mano, e pensare che solo un mese fa le due gang si sparavano ogni giorno, giurando eterna guerra contro i rivali. Ora tutti parlano di concordia e di sforzo comune contro l’emergenza. L’unica emergenza che li preoccupa, e che ha portato a quella stretta di mano, sono i nuovi arrivati sulla scena, gli irlandesi di Joe Cricket, gente dura, indifferente a ogni codice d’onore, decisa a impadronirsi di un potere consolidato da decenni. Sorseggiando un whiskey invecchiato, Angelo pensa al sorriso del suo vecchio, che ancora una volta è riuscito a evitare i guai con la giustizia. Henry sta telefonando allo zio e gli dice che l’irlandese si starà mordendo le mani. Entrambi ridono di P. L., che pensava di venire a patti con Cricket ed è stato fatto fuori senza tante cerimonie. 

Aver isolato gli irlandesi è un risultato importante, che non ammette critiche. Uno scagnozzo di Harry dice che chi non ci sta è fuori, è un traditore. La sua ganza è entrata nel comitato di una ventina di membri nato per garantire il patto. Lei garantisce due volte, dato che fa parte della famiglia di Angelo e il suo uomo è in quella di Henry. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni di tutti, in pochi sorridono. Vedi tizi nei corridoi e sugli ascensori con la pistola che spunta dall’ascella. C’è nel fumo del salone una tensione che non si riesce a nascondere, che si respira anche fuori, nell’aria salmastra che sa di pesce fritto e alghe marcescenti. Tra le slot e i tavoli verdi qualcuno tira fuori dalla custodia un sassofono e incomincia suonare.

 

Qualcuno chiede a Henry quando durerà la tregua. Lui risponde laconico: “Vedrò.” Intanto il vento si rialza e riprende a piovere.

venerdì 26 aprile 2013

Matematica e letteratura: i video della conferenza


Come molti dei miei lettori sapranno, sabato 20 aprile io e Roberto Natalini, matematico dirigente di ricerca del CNR e coordinatore di MaddMaths, abbiamo tenuto una breve conferenza divulgativa su Matematica e Letteratura presso la Libreria Assaggi di Roma, a cura dell’ Ufficio Stampa del CNR, nell'ambito del Festival Scienza 3 di Roma.



La conferenza è stata l’occasione di incontrare persone, come Roberto, Anna Parisi, Alessandro Aquilano, che finora avevo conosciuto e stimato solo tramite la rete, e che hanno creato un clima caldo e accogliente nella bella libreria del quartiere San Lorenzo, a pochi passi dall'Università. 

Qui presento il video dell’evento, durante il quale abbiamo letto e commentato brani di diversi autori, con la collaborazione dell’amica Stefania Mellace che ha interpretato magistralmente tre dei miei limerick.  Nell'ordine si trovano: 

• Una breve introduzione sulle intersezioni tra matematica e letteratura (matematica come oggetto, di letteratura, come struttura di un brano letterario, come oggetto e struttura); 
• Letture da La meravigliosa utilità del filo a piombo di Paolo Nori (l’algebra della realtà, il “salto di qualità”); 
• Lettura da Il limbo delle fantasticazioni di Ermanno Cavazzoni (dell’uso dei numeri in letteratura); 
• Qualche considerazione sull’Oulipo; 
• Lettura da Esercizi di stile di Raymond Queneau (versione geometrica, versione insiemistica); 
• Lettura da Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau (la letteratura combinatoria); 
• Letture da Giovanni Keplero aveva un gatto nero di Kees Popinga (poesia matematica umoristica); 
• Letture da That's impossible di Cristò (sul lotto infinito, con interessanti interventi del Prof. Roberto Pasquali); 
• Lettura de Il grande pi greco di Wislawa Szymborska (poesia e matematica) 
• Letture da Infinite Jest di David Foster Wallace (simmetrie, la storia del gilè, la cicloide sul pomello).

 

Nel secondo, piccolo, video, si può vedere l’appendice dedicata agli aforismi matematici di Renzo Butazzi:

 

Insomma: è stato un pomeriggio gradevole e divertente, seguito da una bella passeggiata in una Roma sempre stupenda, immersa in un clima abbastanza passionale (era stato appena rieletto Napolitano), ma questa è un’altra storia.

domenica 14 aprile 2013

Credito mal riposto dalle scuole di Frascati


La lettera che riporto qui sotto è stata elaborata da un gruppo di aderenti al gruppo Dibattito Scienza, tra i quali il sottoscritto, dopo aver letto la notizia che il prossimo 19 aprile si terrà a Frascati una conferenza di Giampaolo Giuliani, il mago del radon, e che essa varrà come credito formativo per gli studenti delle superiori che vi assisteranno. Roba de matt.


Ai signori Dirigenti Scolastici e Consigli di Classe: 

Istituto Tecnico Industriale “E. Fermi” – Via Cesare Minardi 14 – Frascati 
Istituto Professionale per i Servizi Commerciali “M. Pantaleoni” – Via B. Postorino 27 – Frascati 
Liceo Classico “Marco Tullio Cicerone” – Via Fontana Vecchia 2 – Frascati 
Istituto Tecnico Commerciale “Michelangelo Buonarroti” – Via Angelo Celli 1 – Frascati 
Liceo Scientifico “Bruno Touschek” – Via Kennedy – Grottaferrata 
Scuola Superiore “Giovanni Falcone” – Via Garibaldi,19 – Grottaferrata 
Scuola Superiore “San Nilo” – Piazza Marconi, 7 – Grottaferrata 
Istituto Salesiano Villa Sora - Via Tuscolana, 5 - Frascati 

e, per conoscenza: 

Italia Nostra – Settore Educazione al Patrimonio 

Oggetto: Crediti formativi per conferenza Giampaolo Giuliani 

Egregi Signori, 
scriviamo per richiedere una vostra presa di posizione in merito all'evento del titolo “È possibile prevedere i terremoti?”, che si terrà il 19 Aprile a Frascati. Questo evento prevede la presenza di Giampaolo Giuliani, che ha recentemente fatto parlare di sé perché sostiene di poter prevedere i terremoti osservando le emissioni di radon, affiancato da Leonardo Nicoli, direttore della Fondazione Giuliani. 

Dobbiamo con rammarico osservare che un’associazione meritoria, Italia Nostra, offra il proprio patrocinio a un evento in cui un signore che si muove all’esterno della comunità scientifica può liberamente divulgare le sue opinabili ipotesi su un tema alquanto delicato e sensibile, il tutto senza alcun contraddittorio. Certamente ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, il rammarico nasce dalla perentorietà di certe affermazioni del signor Giuliani, che non risultano a tutt'oggi verificate (vedi approfondimento allegato), diffuse sull’onda emotiva in un paese che negli ultimi anni ha avuto a che fare con eventi sismici particolarmente distruttivi. Il rammarico si trasforma però in sdegno nell’apprendere che la partecipazione a questo incontro verrà considerata come credito formativo per gli studenti, nonostante non ci sia alcun riconoscimento ufficiale delle idee del Sig. Giuliani, né da parte del MIUR né da parte di altri Istituti che si occupano di territorio, a qualunque titolo. 

Una cosa che vorremmo fosse insegnata agli studenti è che qualunque teoria riguardante fenomeni naturali deve umilmente sottoporsi al giudizio di tutti coloro che studiano, nei vari aspetti, questo stesso fenomeno (peer-review). Questo giudizio dovrà avvenire attraverso procedure standard, che non possono prescindere da metodologie condivise di indagine; dall’elaborazione di ipotesi e previsioni potenzialmente verificabili; da adeguata pubblicazione dei risultati sperimentali; dal controllo di esperti indipendenti; dalla verifica sperimentale indipendente delle ipotesi formulate, ecc. 

L’insieme di queste procedure non è un capriccio di qualche fantomatico establishment; al contrario, queste regole hanno lo scopo di garantire una conoscenza della realtà oggettiva, affidabile, verificabile e condivisibile. Esse costituiscono il metodo scientifico, che si è andato costruendo nel corso dei secoli con il contributo di tutti coloro che si occupano di Scienza e di Conoscenza, nella consapevolezza che la conoscenza scientifica ha come giudice unico la Natura stessa, non un’autorità terrestre, non sicuramente l’opinione pubblica. Chi si colloca al di fuori di queste pratiche collaudate – che, proprio in virtù del fatto di ammettere la possibilità di errore, forniscono gli strumenti per individuarlo e correggerlo – si colloca al di fuori del mondo della scienza. 

Purtroppo – e l’esame delle cause sarebbe lungo è complesso – in questi ultimi anni in Italia stiamo assistendo al fiorire di sedicenti “ricercatori indipendenti” in vari campi del sapere; personaggi che si fanno vanto dell’essere “emarginati dalla scienza ufficiale”, e trovano così la maniera di diventare noti all’opinione pubblica, propugnando fantomatiche “scoperte eccezionali”, rifiutate a causa di chissà quali indegni complotti. Questi venditori di illusioni giocano spesso con la sofferenza delle persone, e trovano chi li sostiene per meri interessi politici, ideologici od economici. 

Contemporaneamente viene sottovalutato, non finanziato, ostacolato il lavoro di tanti ricercatori seri (spesso precari e malpagati) la cui colpa è quella di non far parte del grande circuito mediatico, di non “far notizia”. Il vero scandalo non è il presunto ostracismo verso Giuliani o quelli come lui: il vero scandalo è che l’Italia destina sempre meno risorse alla ricerca, all’Università, all’Istruzione, mettendo una seria ipoteca sul nostro futuro come nazione sviluppata e costringendo molti dei nostri ingegni più brillanti a trasferirsi all’estero. Dare legittimità agli outsider come Giuliani di certo non aiuta a muoversi in questa direzione. 

In conclusione chiediamo a tutti voi, Dirigenti Scolastici e Docenti, di dare la massima visibilità a questo documento e di non riconoscere, in sede di consiglio di classe, crediti formativi a fronte della presentazione dell’attestato di frequenza all’evento. Possiamo suggerire, in alternativa, la partecipazione all’incontro "La previsione dei terremoti: tra miti e realtà" di Warner Marzocchi, direttore di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – INGV, che si terrà il 18 aprile ore 16-18 presso il Dipartimento di Fisica, Università la Sapienza, Aula Amaldi. 

Ci auguriamo, ove possibile e compatibilmente con il carico didattico, che quanto scritto funga da stimolo per aprire una discussione con gli studenti sull’importanza di una corretta e rigorosa informazione scientifica.

Distinti saluti. 

Marco Fulvio Barozzi, blogger scientifico e insegnante 
Luca Di Fino, ricercatore TD Dip. Fisica, Università Tor Vergata 
Aldo Piombino, blogger scientifico 
Simone Angioni, chimico, Università di Pavia, Segretario Associazione Culturale Scientificast 
Marzia Bandoni, esperta e-learning 
Martino Benzi, ingegnere 
Paolo Bianchi, blogger scientifico, Associazione Culturale Scientificast 
Marco Casolino, Primo Ricercatore INFN e Dip. Fisica, Università Roma Tor Vergata 
Pellegrino Conte, professore associato di Chimica Agraria, Università degli Studi di Palermo 
Carlo Cosmelli, docente di Fisica, Dipartimento di Fisica, Università Roma Sapienza 
Marco Ferrari, giornalista scientifico 
Mario Genco, Dibattito Scienza 
Milena Macciò, Dibattito Scienza 
Silvano Mattioli, Dibattito Scienza 
Marco Messineo 
Silvia Onesti, Elettra-Sincrotrone Trieste 
Daniele Oppo, cronista free lance e blogger. 
Giuseppe Perelli, studente di dottorato in Scienze Computazionali e Informatiche 
Lisa Signorile, biologa e blogger scientifica. 
Fabrizio Tessari, Dibattito Scienza 
Luca Vanini, studente in Ingegneria Meccanica 
Bruna Vestri, blogger 
Veronica Zaconte, fisico 


Un breve approfondimento 

Le idee di Giampaolo Giuliani non sono così originali e rivoluzionarie come certa stampa afferma: sulle relazioni fra emissioni di radon e terremoti ci sono diversi studi in molte aree sismiche del mondo, da Taiwan all'Islanda, passando per la California. Tutte le principali riviste scientifiche specializzate ne hanno prima o poi parlato. Che non sia propriamente una novità lo dimostrano le prime tracce in bibliografia, che risalgono al 1967. In California il sistema fu usato regolarmente per un po' di tempo negli anni '70. Ci furono dei riscontri per un paio di eventi nel 1979, ma poi il metodo è stato sostanzialmente eliminato perché la sua affidabilità era scadente; per esempio, il terremoto di Landers del 1972 fu seguito un paio di settimane dopo l'evento da anomali valori del gas e nel 1981 ci fu un brusco innalzamento dei livelli nell'area di Los Angeles, ma non accadde nulla. A Taiwan, dove vi sono aree particolarmente idonee a questi studi, sia geologicamente che climaticamente, si sono registrati diversi episodi di correlazione tra radon e sismicità. Ad esempio, la sorveglianza della faglia di Chuko ha dimostrato un aumento delle emissioni di radon prima di eventi sismici lungo quella specifica faglia, ma ancora senza raggiungere una predizione degli eventi stessi in qualche misura soddisfacente. 

Il problema è che questi studi hanno dato troppi falsi positivi mettendo in evidenza quanto poco il radon sia predittivo. Una previsione è valida quando funziona, cioè quando l'evento si verifica. Una previsione è sbagliata sia se prevede qualcosa che poi non avviene (falso positivo), sia quando non prevede qualcosa che invece avviene (falso negativo). Dire che prima o poi pioverà a Roma è sicuramente una previsione che sarà confermata dai fatti, ma non può considerarsi di certo rivoluzionaria, anche se basata su osservazioni condivise. 

C'è poi una differenza fondamentale fra Giuliani e queste ricerche: tutte si basano sullo studio di una singola faglia, quando invece Giuliani parla genericamente di aree. Questo è un particolare di non trascurabile importanza: prevedere un terremoto significa fare un comunicato in cui si scrive che “circa il tal giorno alla tal ora si verificherà lungo quella faglia un evento di magnitudo n il quale provocherà uno scuotimento come da cartografia allegata”. Come si può definire l'area in cui vanno presi provvedimenti di protezione civile senza sapere quale faglia si muoverà? 

Ricordiamo inoltre che Giuliani non ha mai realmente previsto nulla di significativo, come dimostra un video del Marzo 2010 preparato dai ricercatori dell’INGV, grazie al quale vengono messe in evidenza tutte le sue contraddizioni: infatti non riesce, nemmeno successivamente al tragico sisma che il 6 Aprile del 2009 colpì la città dell’Aquila, a fornire una informazione coerente sulla sua presunta previsione del terremoto. Anzi, risulta agli atti che una settimana prima del fatale terremoto aquilano voleva sgomberare Sulmona a seguito dell'evento di Magnitudo 4.0 che aveva colpito la cittadina il 29 marzo 2009. Insomma, si prevede pioggia a Frascati e poi aprono gli ombrelli a Ladispoli. Che previsione è?

 

Siamo convinti che la ricerca sui segnali premonitori dei terremoti sia importante, ma debba essere condotta in contesti davvero affidabili, non certo sull’onda dell’emotività o della personalizzazione. Siamo tuttavia altrettanto certi che in un paese come il nostro sia più importante investire nella prevenzione, con una adeguata gestione del territorio e con norme e controlli più stringenti sul patrimonio edilizio. La lezione ci viene dal Giappone, paese con sismicità anche superiore alla nostra: costruire in maniera corretta e nei luoghi corretti vuol dire anzitutto abbattere drasticamente la perdita di vite umane, anche in caso di forti terremoti, oltre a ridurre sensibilmente i costi per la ricostruzione post-sismica. Certo che ci vogliono precise scelte politiche, e all’orizzonte non si vedono segnali confortanti.


Chiunque vorrà sottoscrivere questa lettera  lo potrà fare nei commenti qui sotto, indicando nome, cognome e attività, entro oggi. La lettera sarà inviata agli indirizzi sopra indicati nella giornata di domani, lunedì 15 aprile. Firmate in tanti, ci conto: facciamo sentire che in Italia ci sono ancora persone non disposte a farsi turlupinare.

AGGIORNAMENTO: Il termine per la raccolta delle adesioni è stato prorogato a martedì 16 aprile alle 20.

giovedì 11 aprile 2013

Tradizione e traduzione degli Elementi

Gli Elementi di Euclide, redatti tra il IV e il III secolo a.C., sono una trattazione sistematica dei principi della geometria noti in epoca ellenistica. Come molte altre opere dell’antichità, gli Elementi non sono giunti fino a noi direttamente, ma attraverso un lungo processo di riscoperte, arrangiamenti e traduzioni, attraversando molteplici culture nei secoli, perciò la loro trasmissione ha inevitabilmente portato a numerose alterazioni del testo originale. 

La trasmissione di un’opera matematica è complicata dal fatto che essa è più facilmente alterabile di un testo filosofico, storico o narrativo. I testi matematici greci, in particolare quelli geometrici, sono caratterizzati da un linguaggio ben codificato il quale, assieme al vocabolario limitato e alle formule fisse e ripetitive, crea molteplici rischi di errore di copiatura per distrazione, ma induce anche facilmente alla tentazione di correggere, spiegare, integrare. Le alterazioni volontarie che hanno interessato il testo euclideo riguardano in primo luogo le aggiunte: in genere si tratta di aggiunte di lemmi, corollari, definizioni non presenti nel testo originario. Spesso le modifiche alle dimostrazioni, o il loro completo stravolgimento, sono dovuti al rifiuto di alcuni strumenti (ad es. la dimostrazione per assurdo), o al desiderio di chiarire punti oscuri. Poi ci sono i tagli: in molti casi il testo è stato trasmesso senza le dimostrazioni, giudicate poco interessanti secondo il redattore. Un’altra alterazione comune è quella dell’ordine originario delle proposizioni, finalizzato ad accentuare la struttura deduttiva.

Secondo gli studiosi, ci sono state almeno due edizioni fondamentali: la prima di epoca ellenistica, che è quella che si pensa sia l’originale di Euclide, mentre la seconda è la riedizione realizzata da Teone d’Alessandria nella seconda metà del IV secolo. Tra le due edizioni sono stati scritti due commenti molto importanti da parte di Erone (I sec.) e Pappo (III-IV sec.). Dato il grande lasso di tempo trascorso tra le due edizioni (sette secoli, anche se da lontano tendiamo ad appiattire il mondo greco in pochi decenni), non si può escludere che al tempo di Teone circolassero già redazioni che accoglievano le idee di Erone, di Pappo e di altri, e che Teone abbia utilizzato fonti diverse. 


Gli Elementi che abbiamo oggi derivano dall’edizione di Teone più che da quella euclidea, e la conferma è fornita da Teone stesso, il quale, nel suo Commento all’Almagesto, scrive: “Nella mia edizione degli Elementi, alla fine del libro VI, ho dimostrato che in cerchi uguali i settori circolari stanno tra loro come gli angoli su cui insistono”. Ora, questa proposizione si trova in tutti i manoscritti noti degli Elementi (tra i quali i più importanti sono conservati a Firenze, del sec. X, e a Oxford, scritto da un certo Stefano chierico nell'888), con l’unica eccezione del manoscritto Vat. Gr.190 (prima metà del IX sec.), che riporta l’aggiunta di Teone eseguita a margine da un copista posteriore. Fino al tardo Rinascimento, in molti addirittura pensavano che Euclide avesse scritto solo gli enunciati delle proposizioni e che le dimostrazioni fossero state fatte tutte da Teone. 


Nonostante Cicerone parli di Euclide, ad es. in De Orat., III, 132, gli Elementi non godettero di grande favore in epoca romana, durante la quale si preferivano i manuali di carattere pratico. Le prime versioni dal greco di cui si abbia notizia risalgono agli ultimi anni dell’Impero, quando il baricentro politico e culturale si trasferì a Costantinopoli. In un palinsesto veronese ci sono giunti frammenti di una traduzione latina dei libri XI-XIII eseguita nel IV secolo, ma nient’altro. 

Nel Commento al primo libro degli Elementi di Euclide, il filosofo neoplatonico Proclo (410-485), riporta numerosi aneddoti sulla figura e il rigore di Euclide, tra i quali è famoso quello in cui si narra che il re Tolomeo I gli chiese se ci fosse “una strada più breve per imparare la geometria”, invece che studiarla dagli Elementi, al che Euclide rispose che "non esiste nessuna strada regale che porti alla geometria”. Secondo Cassiodoro, Severino Boezio (475-525), uno degli intellettuali più influenti della tarda antichità, istituendo il trivio (grammatica, logica, retorica) e il quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia), tradusse in latino l’opera all’interno della Geometria, opera che però è andata perduta e di cui sono rimaste soltanto alcune tracce apocrife. Una tarda traduzione diretta dal greco fu realizzata in Sicilia nel 1160 circa da un autore anonimo, che tradusse anche Proclo. 

L’opera era conosciuta dai Bizantini e poi dagli Arabi, che ne raccolsero gran parte dell’eredità scientifica. La prima traduzione attestata in arabo è anteriore all’anno 809 e dunque precede il manoscritto greco più antico sopravvissuto. L’autore fu al-Hağğāğ ibn Yusuf ibn Matar, che intraprese l’opera di traduzione con lo scopo dichiarato di rendere fruibile il testo, omettendo il superfluo e correggendo gli errori! Nella seconda metà del IX secolo fu intrapresa una nuova traduzione, che non ci è pervenuta, che fu poi rivista da Tābit ibn Qurra (836-901) il quale confrontò le versioni arabe con alcuni manoscritti greci, mostrando interesse per le fonti oltre che per il contenuto matematico. Del suo lavoro ci sono giunti diversi manoscritti. Un’ultima importante versione fu realizzata nel XIII secolo dal matematico e astronomo persiano Nasīr ad Dīn at-Tūsī (1201-1274), autore di un’edizione commentata.

Fu proprio agli Arabi che il mondo occidentale dovette ricorrere per riscoprire questa come moltissime altre opere matematiche dell’antichità. La prima traduzione in latino dall’arabo si deve probabilmente a uno dei più grandi traduttori dell’antichità, Adelardo di Bath, filosofo, matematico e scienziato, attivo nella prima metà del XII secolo. 

Adelardo di Bath viaggiò molto: ebbe probabilmente in Sicilia un primo contatto con la cultura araba. Più tardi si trasferì per alcuni anni a Tarso, in Cilicia, e ad Antiochia, in Siria, dove poté studiare e approfondire le scienze arabe. È probabile che, tornato in Inghilterra, avesse portato con sé un certo numero di testi, che successivamente tradusse in latino. I suoi interessi principali erano la matematica, l’astronomia e l’astrologia, e le sue traduzioni hanno segnato una svolta nella storia della scienza medievale. Della sua traduzione degli Elementi di Euclide, priva però delle dimostrazioni e limitata agli enunciati, esistono tre distinte versioni denominate Adelardo I, II, III, di cui solo la I, probabilmente la più antica, è senza dubbio una traduzione dall’arabo (forse dalla versione di al-Hağğāğ) e potrebbe essere proprio sua. La II, la versione che ha goduto di maggiore fortuna, è invece una raccolta di enunciati euclidei, basata su diversi testi, che oggi si ritiene un compendio eseguito da Roberto di Ketton; infine la III è un commentario all’opera euclidea, composto dal benedettino Giovanni di Tynemouth.


Il secondo traduttore dall’arabo fu il filosofo e astrologo di origine slava Ermanno di Carinzia (il Dalmata), attivo tra il 1138 e il 1143. Gli interessi di Ermanno, che erano di tipo prevalentemente astronomico-astrologico e matematico, guidarono a Tudela, in Spagna, lui e il suo amico Roberto di Ketton, alla ricerca dell’Almagesto di Tolomeo. Entrambi, tuttavia, si occuparono anche di testi religiosi musulmani. I due individuarono una serie di manuali matematici e astronomici da far circolare tra gli studiosi latini, che includevano gli Elementi di Euclide, l'Almagesto e il Quadripartitum di Tolomeo, oltre alle tavole astronomiche di autori arabi. 

L’opera di traduzione dall’arabo fu completata da Gerardo di Cremona, che visse nella seconda metà del XII secolo. Anch’egli si trasferì in Spagna, a Toledo, per trovare l’Almagesto di Tolomeo e imparò la lingua araba proprio per tradurre l’opera. Terminata l’impresa, tradusse una settantina di opere di ogni genere, che spaziano dall’astronomia alla medicina, alla filosofia, alla logica. Gherardo conosceva gli Elementi di Euclide dalla redazione nota come Adelardo II. Tale redazione però era stata copiata togliendo completamente le dimostrazioni, o inserendovi soltanto brevi indicazioni insieme alle figure con le didascalie. La traduzione di Gherardo, della quale ci è pervenuta soltanto una copia latina, riporta invece integralmente le dimostrazioni, non soltanto aggiungendo altri testi sulla geometria, ma anche ampliando il campo stesso di questa disciplina; vi include infatti sia l'algebra sia la prospettiva e la statica, fino ad allora del tutto sconosciute in Occidente.

Come si vede, esisteva una fitta trama di relazioni internazionali tra gli studiosi, molti dei quali erano itineranti, alla ricerca di nuovi testi da acquisire, da tradurre o da inviare ai propri committenti, spesso costituiti da istituzioni religiose. Essi, che spesso facevano affidamento alle conoscenze linguistiche e scientifiche degli Ebrei che vivevano sotto la dominazione araba nella penisola iberica o altrove, erano interessati, per quanto riguarda la matematica, all'acquisizione e alla trasmissione delle tecniche dell'aritmetica indo-araba, della geometria euclidea e dell'astrolabio, oltre che all'interpretazione delle tavole astronomiche e al calcolo degli oroscopi. Per questo, la traduzione delle opere arabe non doveva necessariamente essere letterale, anzi spesso risultava meno importante del lavoro di interpretazione o di redazione di compendi di carattere pratico. 

L’ultima grande redazione medievale degli Elementi fu realizzata dal novarese Giovanni Campano, cappellano di papa Urbano IV alla corte di Viterbo, presumibilmente nel 1255-1259. Sicuramente fu quella che ebbe maggior successo nei secoli successivi, soprattutto nelle prime edizioni a stampa. Non si tratta di una traduzione, ma di una rielaborazione tratta dalle versioni latine precedenti, in modo particolare dalla Adelardo II, di cui riporta anche gli errori. Campano, non conosceva infatti né l’arabo né il greco, ma ebbe il merito di esporre, quando necessario, le dimostrazioni in una forma più accessibile. Egli infatti non si preoccupò di restituire il testo di Euclide, ma di comporre un’opera matematicamente coerente. Per far ciò egli fece uso anche di testi più recenti, come la coeva Arithmetica di Giordano Nemorario e il commento di Anaritius (al-Nayrīzī) agli Elementi (fine del XII sec.), con lo scopo di colmare alcune lacune della trattazione euclidea, soprattutto in ambito aritmetico. 

Il testo del Campano servì da base per la prima edizione a stampa, che fu eseguita a Venezia nel 1482 ad opera del celebre tipografo di Augusta Erhard Ratdolt, attivo nella città lagunare tra il 1475 e il 1486. Il libro, pubblicato in folio, fu uno dei primi testi a stampa ad essere corredato da un gran numero di figure matematiche, oltre quattrocento, collocate ai margini. La prima frase di ogni enunciato era impressa con inchiostro rosso. Nonostante operasse in uno dei centri più attivi per la rinascita degli studi umanistici e avesse verosimilmente la possibilità di procurarsi dei codici greci e latini dell’opera euclidea, Ratdolt scelse di pubblicare la redazione più diffusa, quella di Campano. Così, la prima edizione a stampa degli Elementi era assai estranea alla sensibilità umanistica e filologica che si era andata formando nei circoli veneziani. 


Gli ambienti umanistici della città non tardarono a rispondere. Giorgio Valla diede versioni parziali, da un testo greco, nell'opera De expetendis ac fugiendis rebus, pubblicata nel 1501. Quattro anni più tardi, sempre a Venezia, Bartolomeo Zamberti pubblicò l’intera opera. La sua ambizione era di restituire il testo euclideo originale, perciò aveva deciso di attenersi il più fedelmente possibile al codice greco che aveva a disposizione, che tuttavia era poco affidabile. Anche in questo caso, il risultato fu un’opera piena di errori, dovuti pure alla non grande dimestichezza con la geometria dell’intellettuale veneziano. 

Tra i redattori degli Elementi vi fu anche Luca Pacioli (Euclidis megarensis … opera a Campano interprete fidelissimo tralata…, Venezia, 1509), che si rifà esplicitamente alla versione del Campano, pur con qualche elemento di novità rappresentato forse dall’utilizzo della traduzione dal greco eseguita in Sicilia in epoca normanna. Il Pacioli era uno dei massimi esperti di Euclide e aveva insegnato la geometria euclidea dal 1500 al 1506. Nella Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita (1494) aveva già inserito molti passi tradotti in italiano dagli Elementi. Anche il suo De Divina Proportione ne è fortemente influenzato. 


Nel 1545 si ebbe la prima edizione degli Elementi in italiano, l’Euclide Megarense, realizzata dal grande algebrista Nicolò Tartaglia. Egli cercò di compendiare e commentare le versioni latine del Campano e dello Zamberti secondo criteri personali, ma il risultato non fu del tutto coronato da successo: gli interventi sulla struttura logica furono limitati anche se i commenti occupano una buona metà delle pagine totali. Anche il matematico bresciano, come la maggior parte dei precedenti autori, commise l’errore di confondere l’Euclide alessandrino con il filosofo Euclide di Megara, vissuto un secolo prima. Inoltre Tartaglia considerò un postulato in più: quelli di Euclide sono cinque, Tartaglia ve ne aggiunse un sesto ("due linee rette non chiudono alcuna superficie"). 

Si avviò nel frattempo un processo di correzione delle aggiunte e dei rifacimenti intervenuti nel corso dei secoli sull’opera originale, per dare coerenza alle parti più controverse, come ad esempio la teoria delle proporzioni per le grandezze, sviluppata nel V libro. L'operazione di ripristino del testo originale, ripulito dagli errori dei copisti e riportato alla sua originaria logica interna, si concluse solo nell'ultimo quarto del XVI secolo, grazie ad alcune traduzioni più corrette sia dal punto di vista matematico che filologico. 

Un quarto di secolo dopo la traduzione di Tartaglia venne pubblicata una nuova edizione latina (1572) da manoscritti greci, del matematico urbinate Federico Commandino, il quale realizzò anche una nuova traduzione italiana (1575). Commandino fu il massimo esponente dell'umanesimo matematico, con una grande competenza sia filologica sia matematica (tradusse anche moltissime altre opere di matematici greci tra cui Pappo, Erone, Archimede, Apollonio, Tolomeo e altri). La sua opera di traduttore ed editore fu della massima importanza per la rinascita della matematica in Europa nel XVI secolo, facilitando l’accesso degli studiosi alle opere sopravvissute dei grandi matematici della cultura greco-ellenistica. Egli finalmente corresse alcuni errori secolari, quali la confusione con l’Euclide Megarense o il presunto ruolo di Teone come autore delle dimostrazioni. 

Nel 1574 fu pubblicata a Roma, in due volumi, la traduzione dal greco in latino intitolata Euclidis elementorum libri XV, con i commenti del gesuita Cristoforo Clavio, insegnante di matematica al Collegio Romano. Si trattava di un ampio rimaneggiamento, corredato da note prese dai precedenti commentatori e alcune spiegazioni a scopo didattico. Una delle sei edizioni dell’opera, quella del 1603, servì come base al missionario gesuita Matteo Ricci (il vero gesuita euclideo…), per la traduzione in cinese dei primi sei libri degli Elementi, pubblicata a Pechino nel 1607. 


Con l’arrivo di Euclide in Cina io mi fermo. Non si concluse di certo l’opera di traduzione, restituzione, commento a uno dei testi più noti della storia. L’avventura matematica e filologica degli Elementi continuò, e qualcuno doveva ancora notare che le pecche emerse nel quinto postulato potevano portare a una vera e propria rivoluzione nella geometria.

sabato 6 aprile 2013

Geometria per lupetti






Un angolo retto 






si credeva perfetto 






e in un triangolo 





si sentiva costretto. 






S’allontanò con una scusa 






dalla povera ipotenusa. 






In un intestino, 







poveretto,











ora fa il retto.



lunedì 1 aprile 2013

Lo scettico redento, una conversione


Il Signore sceglie cammini imperscrutabili e inattesi per farci sentire la Sua presenza. Così, improvvisa come l’ennesimo cambio di fede di Magdi Allam, è giunta la Lieta Novella che il noto scettico e razionalista Silvano Fuso ha intrapreso un nuovo cammino di Fede sulle orme del Pescatore d’uomini. Non solo: egli ha voluto farci conoscere la maturazione di questa scelta in un libro, dal significativo titolo “Lo scettico redento”, che esce domani per Ichthys, la prestigiosa editrice apologetica dei Padri Giacobbiani di Genova. 

Scrive l’Autore sul risvolto di copertina: “Con questo nuovo libro spero di dare il mio piccolo contributo per rendere la realtà in cui viviamo libera dall'oppressione della ragione e dalla prepotenza della scienza di cui vediamo ogni giorno le gravi conseguenze. La nostra società non ha bisogno di scienza e razionalità, ma di fantasticherie, fede cieca, dogmatismo, olismo e slanci irrazionali. Solo abbandonando le catene della ragione, l’uomo sarà finalmente libero e potrà dare un nuovo corso alla sua esistenza.” 

E’ un invito che molti atei e agnostici, scettici e increduli, in realtà infelici in questo mondo dominato dal demone dello scientismo, sono pronti ad accogliere. La scienza non ha risolto i problemi dell’Uomo, anzi, vana hybris, lo ha reso più solo e triste. Nella gabbia d’acciaio della modernità, da cui sono nati i totalitarismi, la bomba atomica e i lazziali, la ragione esercita un potere fatto di presunte leggi di natura, di formule matematiche, di limiti invalicabili che imprigionano lo Spirito dell’umanità, che invece anela a credere, a stupirsi, a meravigliarsi. In mano a una casta di falsi pastori, gli scienziati, abbiamo perso l’approccio olistico alla realtà, la fede nel Miracolo, la giusta intolleranza nei confronti di chi la pensa diversamente, minacciati dalle scie chimiche e dai vaccini. Così, i segnali che ci giungono da altri mondi, i cerchi nel grano, le guarigioni miracolose, gli Ufi, non sono colti come segni della scintilla divina che è in noi, ma vengono derisi, sbeffeggiati. Così, ci vengono imposti cibi pieni zeppi di OGM cattivi, inutili cure che arricchiscono le multinazionali del farmaco, fragole-pesce e microchip sottopelle per controllarci e dominarci. 

Immerso in questo vortice, incapace di fermarsi come vascello senza vele in balia delle correnti, anche l’Autore ha contribuito a costruire la stessa gabbia in cui un giorno si è accorto di vivere. Ma il Signore è buono, e sa perdonare. Forse stimolato dalla lettura di Maestri come Zichichi, Paolo Brosio e Messori, meditando sul pensiero di Illuminati come Giacobbo e Celentano, l’Autore ha trovato il coraggio di esaminare a fondo la propria Anima e, come Prandelli dopo Spagna-Italia, di ammettere i propri errori. 

Anche chi scrive, dopo aver vissuto esperienze mistiche ed essere ritornato da Orione con nuove sconvolgenti verità, ha visto la stessa luce e può solo consigliare la lettura di questo vero e proprio manuale di Salvezza.

Silvano Fuso
Lo scettico redento 
Prefazione di don Riccardo Seppia 
Ichthys, Genova 
XII + 273 pp. 
Prezzo € 8,50