domenica 18 dicembre 2016

Nicola d’Oresme, un grande matematico del Trecento


Nicolas Oresme (ca. 1320 - 1384) fu senza dubbio uno dei principali filosofi scolastici del XIV secolo, famoso per le idee originali, il pensiero indipendente e la critica a diverse dottrine aristoteliche. Era nato nella diocesi di Bayeux in Normandia, nei pressi di Caen. Tra il 1341 e il 1342 si era laureato in materie umanistiche all'Università di Parigi, dove aveva conosciuto le idee di Giovanni Buridano (1290-1358 ca.), e vi insegnò filosofia. Nel 1348 il suo nome compare in una lista di insegnanti laureati in teologia al Collegio di Navarra dell'Università parigina. Divenne Gran Maestro del collegio nel 1356, per cui doveva aver completato in precedenza il suo dottorato teologico. Tenne questa carica fino al 1362, continuando a insegnare teologia come “professore ordinario”.

Dal 1362, anno in cui lasciò l'Università, fino alla morte, avvenuta vent’anni dopo, fu al servizio di Carlo, il Delfino di Francia, che era reggente durante la prigionia presso gli inglesi del padre Giovanni II il Buono (1356-1364) e fu incoronato come Carlo V alla morte del genitore (1364). Carlo era un intellettuale molto religioso, che si circondava di eruditi come Oresme. Questi fu nominato canonico (1362) e più tardi decano (1364) della Cattedrale di Rouen, oltre che canonico della Sainte-Chapelle a Parigi (1363). Dal 1370 visse principalmente a Parigi, facendo il consigliere del re per le questioni economiche. Diventò vescovo di Lisieux nel 1377, dove morì l’11 luglio del 1382.

Al di là del suo complesso e raffinato pensiero filosofico, Oresme è una figura interessante perché si occupò di questioni scientifiche e matematiche, facendolo con intelligenza e intuizioni anticipatrici per i suoi tempi. A questo brillante erudito è stata attribuita l’invenzione della geometria analitica prima di Cartesio, la scoperta della legge della caduta dei gravi prima di Galileo, quella della rotazione della Terra prima di Copernico. Nessuna di queste presunte priorità è completamente vera, sebbene in ciascuna di esse Oresme lasciò traccia del suo studio penetrante. Qui voglio proporre al lettore un’analisi necessariamente divulgativa di alcune sue opere, concentrandomi su quelle di maggior interesse matematico.

Tractatus de configurationibus qualitatum et motum (Trattato sulla configurazione delle qualità e del movimento) 


In quest’opera Oresme espone il suo metodo di rappresentazione grafica delle variazioni di una grandezza (che chiama qualità) in funzione di un’altra. Egli considera per esempio un corpo nel quale il calore non è omogeneo, ma varia secondo il luogo e la misura. Per rappresentare le variazioni del calore all’interno del corpo, egli immagina una retta tracciata sul corpo. Chiama longitudino la distanza che separa un punto qualsiasi della retta a un punto d’origine fissato arbitrariamente. In ciascun punto di questa retta traccia una perpendicolare la cui altezza (latitudino) è proporzionale all'intensità del calore nel punto corrispondente del corpo. Ottiene così una figura geometrica il cui esame rende più facile lo studio delle variazioni del calore. “Le proprietà di questa qualità - commenta - saranno esaminate più chiaramente è più facilmente quando qualcosa che le è simile è disegnato su una figura piana, e questa cosa, resa chiara per esempio visibile, viene colta rapidamente e perfettamente dall’immaginazione (…) perché l’immaginazione delle figure aiuta grandemente la conoscenza delle cose stesse”.



Egli intraprende poi uno studio matematico delle figure piane prodotte dalle rappresentazioni grafiche delle qualità. Fa loro subire delle trasformazioni geometriche semplici cercandovi delle proprietà invarianti, il che lo porta a una classificazione delle curve. Assistiamo così ai primi vagiti della geometria analitica, fatto che ha portato alcuni a considerare Oresme un precursore di Cartesio.

Il nostro autore tuttavia non si ferma a uno studio completamente astratto. Vuole dare delle applicazioni pratiche alla sua idea di configurazione in diversi campi. Inizia con la biologia: egli afferma per esempio che il calore naturale di un leone si comporta in modo diverso da quello di un asino o di un bue. “Esso gli fornisce una potenza più grande, non solamente perché è più intenso, ma anche perché la sua rappresentazione grafica è diversa”. Più oltre suggerisce che la configurazione del calore associato al seme di un uomo ha un ruolo fondamentale nel concepimento di un bambino, in quanto la natura è capace solamente di produrre questa configurazione nell’utero di una donna.

La dottrina della configurazione viene così presentata come capace di fornire una spiegazione al perché certe pietre preziose o altre cose possono avere effetti curativi. “La causa risiede nella similitudine tra la configurazione della qualità della pietra e la qualità corporale della persona che è ammalata (…) così, a causa della natura nascosta di questi rapporti certi stupidi negromanti dicono che le proprietà curative sono il risultato della presenza di certi spiriti che vi hanno introdotto”. In seguito tenta di trovare dei legami tra la dottrina della configurazione e l’estetica. Esiste una bellezza assoluta che possa essere caratterizzata da dei rapporti universali tra le configurazioni delle qualità delle cose?

Tutte queste idee restano tuttavia essenzialmente speculative. Si tratta di un documento molto significativo dello spirito che regnava alla fine del XIV secolo nelle scuole parigine, in cui si era stanchi di virtù occulte e si aspirava a una scienza razionale le cui spiegazioni fossero dipese da un piccolo numero di proprietà elementari sviluppate seguendo i metodi chiari e certi della matematica. 

Nella seconda sezione di quest’opera, quando applica la dottrina della configurazione allo studio del movimento, Oresme dà tutta la misura del suo genio. Si tratta della parte che esercitò un’influenza duratura sui suoi contemporanei e che senza dubbio ha lasciato una traccia nella storia della scienza del moto.

Per descrivere e studiare un movimento rettilineo, Oresme ha l’idea di rappresentare graficamente la velocità istantanea del corpo mobile in funzione del tempo. Su una retta orizzontale riporta una scala proporzionale al tempo, da cui traccia delle perpendicolari la cui lunghezza è proporzionale alla velocità del mobile nell’istante corrispondente. Ciò che gli interessa in questa costruzione è la parte di piano interessata da queste perpendicolari successive. Tramite l’esame di casi particolari semplici e la loro generalizzazione, giunge alla conclusione che l’area della superficie interessata dalle varie perpendicolari tracciate a partire da ciascuna punto della scala del tempo è proporzionale alla distanza percorsa dal mobile durante l’intervallo di tempo:



Questo postulato è alla base delle sue scoperte relative al moto uniformemente accelerato. Ecco in breve il suo ragionamento. In un moto rettilineo uniformemente accelerato, l’aumento della velocità del mobile è proporzionale al tempo durante il quale si produce questo aumento. La rappresentazione grafica della velocità in funzione del tempo descritta in precedenza porta allora a una figura a forma di trapezio:



Se M è il punto medio di AB, l’area del trapezio ABCD è uguale a quella del rettangolo ABC’D’. Sulla base del postulato precedente, il nostro matematico deduce che la distanza percorsa dal mobile nell’intervallo di tempo AB è la stessa di quella che avrebbe percorso se fosse stato mosso con una velocità uniforme uguale a quella che possiede nell’istante mediano M. Questo enunciato viene chiamato regola di Merton, dal nome di un collegio di Oxford che fu culla di molti importanti filosofi scolastici. I maestri di quel luogo l’avevano formulato, ma senza fondarlo su una chiara dimostrazione. Oresme fornisce invece un elegante modello geometrico di questa regola, facile da capire e imparare. Una dimostrazione rigorosa di questo risultato non si può fare senza ricorrere al calcolo integrale, che peró sarà inventato solo due secoli e mezzo più tardi. Nel frattempo il trapezio di Oresme fa il giro di tutte le università d’Europa.



Egli però non si ferma a questo. Proseguendo il suo studio, considera un moto rettilineo uniformemente accelerato con velocità iniziale nulla. In questo caso i punti A e D del trapezio precedente sono sovrapposti:



Suddividendo l'intervallo AB in un certo numero di parti uguali, mostra chiaramente sulla figura che le aree dei trapezi sopra gli intervalli sono nella proporzione 1,3,5,7...ecc. Tali sono le distanze percorse durante quegli intervalli. “Ora - sostiene - come ha fatto notare il grande matematico greco Pitagora, si ha: 
1 = 1 = 1 volta 1, 
1 + 3 = 4 = 2 volte 2, 
1 + 3+ 5 = 9 = 3 volte 3, 
1 + 3 + 5 + 7 = 16 = 4 volte 4, 
1 + 3 + 5 + 7 + 9 = 25 = 5 volte 5, 
e così via (…) 
Si ottiene sempre un numero quadrato. In questo modo si possono determinare i mutui rapporti delle quantità totali [cioè l’area].

Nicolas Oresme ha dunque stabilito la legge fondamentale del moto rettilineo uniformemente accelerato, vale a dire che, se velocità all’istante zero è nulla, la distanza percorsa è proporzionale al quadrato del tempo. Questa legge non fu mai dimenticata nel periodo trascorso tra Oresme e Galileo Galilei ed era insegnata a Oxford da William Heytesbury e i suoi discepoli. Se siamo abituati ad attribuire questa legge a Galileo, il motivo è che il grande pisano ha avuto l’idea di utilizzare un piano inclinato per verificare sperimentalmente quale legge si applica al moto di caduta dei corpi. La storia dimentica troppo facilmente il contributo dei maestri del Medio Evo nel seminare idee che sarebbero germinate in tempi moderni.

Il Trattato sulla configurazione delle qualità e del movimento ha segnato la storia della scienza. La dottrina di Oresme fu diffusa in tutta Europa, soprattutto in Italia, ma anche a Vienna, Heidelberg e Colonia, come attestano i registri di quelle università. Tuttavia, prima dell’avvento della stampa, non circolò l’opera originale, ma un compendio intitolato Tractatus de latitudinibus formarum, nel quale mancava il famoso trapezio. Questa lacuna fu colmata del filosofo e matematico parmigiano Biagio Pelacani (1355-1416), che insegnò a Padova. I suoi scritti ebbero larga diffusione in Italia, ed è probabile che Galileo per suo tramite fosse a conoscenza delle scoperte di Oresme.

De proportionibus proportionum (Proporzioni di proporzioni) 


Il punto di partenza di questo trattato è una legge formulata da Thomas Bradwardine, uno dei maestri di Merton, i filosofi inglesi che, nei decenni centrali del Trecento, applicando lo studio della logica e della matematica alle loro speculazioni, furono chiamati calculatores e contribuirono alla rinascita dell’interesse verso lo studio dei fenomeni naturali (e al pragmatismo inglese). La legge di Bradwardine (1328) legava in modo complicato forza, resistenza e velocità e costituiva un primo tentativo di quantificare la fisica di Aristotele. Per trattare l’argomento in modo generale, Oresme introduce per la prima volta il concetto di potenza di un numero con esponente frazionario, con una notazione già simile a quella attuale. Arriva persino a inventare il concetto di potenza con esponente irrazionale applicando il principio di continuità. Molto in anticipo sull’invenzione dei logaritmi, afferma che, dati due numeri x e y non nulli, esiste sempre un esponente razionale o irrazionale e tale che x elevato a e sia uguale a y.

Nel caso in cui x e y sono dei numeri interi, deduce, con un ragionamento aritmetico elementare, che la condizione perché l’esponente e sia razionale è che la scomposizione in fattori primi di x e y contenga gli stessi numeri. Ne conclude che se x e y sono scelti a caso, è più probabile che l’esponente sia irrazionale piuttosto che razionale. Ciò lo porta a pensare che quando un numero incognito interviene nella legge che regola un fenomeno naturale, ci sono grandi probabilità che esso sia irrazionale.

Questa osservazione è alla base della sua argomentazione contro le predizioni astrologiche. Oresme considera il semplice caso di due pianeti che percorrono orbite circolari e concentriche con velocità uniformi. Se il rapporto delle velocità di rotazione dei pianeti è razionale, le congiunzioni di questi due pianeti si produrranno periodicamente secondo un numero finito di raggi (esattamente come succede per le due lancette di un orologio, in cui la più grande ricopre la piccola ogni undicesimo di ora). Ma, se, come è più probabile secondo l’osservazione precedente, il rapporto delle velocità di rotazione dei due pianeti è irrazionale, le posizioni future delle congiunzioni, delle opposizioni, delle quadrature, dipendono allora dai decimali di questo rapporto sconosciuto. Ciò significa che è impossibile prevedere a lungo termine le posizioni reciproche dei due pianeti, svuotando di ogni credibilità le affermazioni degli astrologi.




Oresme tornò a criticare gli astrologi in altre opere. In Ad respicientes Pauca (il nome deriva dalla frase di apertura "Per quanto riguarda alcune questioni ..."), sostenne che l'astrologia era in tal modo confutata. Nel Livre de divinacions e nel Tractatus contra astronomos,cercò di dimostrare che l'astrologia è "più pericolosa per quelli di alto stato, come principi e signori, ai quali atterrebbe il governo del bene comune". Come contro l'astrologia, combatté contro la credenza diffusa in fenomeni occulti e "meravigliosi", spiegandoli in termini di cause naturali. Gli scritti di Oresme contro l'astrologia e la magia derivavano dal suo timore per la dipendenza del Re e della sua corte da queste pratiche.

Anche se le argomentazioni del filosofo normanno non ebbero alcun effetto sulle convinzioni dei suoi contemporanei (e anche di molti dei nostri, purtroppo), esse testimoniano la profondità del suo pensiero matematico. L’affermazione della preponderanza dei numeri irrazionali su quelli razionali dovrà attendere la fine del XIX secolo per essere chiaramente precisata e dimostrata da Georg Cantor, il fondatore della teoria degli insiemi.

Questiones super geometriam Euclidis (Domande sulla geometria di Euclide) 


Altre idee degne di nota in campo matematico sono contenute in questa breve opera scritta probabilmente come appunti delle lezioni tenute tra il 1343 al 1351 alla scuola di Parigi. Si tratta di una serie di domande non numerate, ricostruite solo recentemente sulla base di manoscritti provenienti da varie biblioteche europee, redatte secondo lo schema tipicamente scolastico della risposta concepita come disputatio tra pareri diversi. Le prime nove quaestiones riguardano il problema degli infiniti. Oresme dimostra attraverso esperimenti mentali che di due infiniti in atto nessuno è maggiore o minore dell’altro. La dimostrazione che adotta ricorda quella di Georg Cantor che certi insiemi infiniti sono equinumerosi. Infatti Oresme applica il principio della corrispondenza uno a uno per mostrare che la collezione di tutti i numeri pari oppure dispari naturali non è più piccola della collezione dei numeri naturali, perché è possibile contare i numeri pari o dispari attraverso i numeri naturali.

Egli non fu il primo a utilizzare il principio della corrispondenza uno a uno analizzando le proprietà degli infiniti attuali. Anche l’oxoniense Bradwardine, il cui scopo principale era quello di confutare l’opinione di Aristotele che il mondo è eterno, applicò la corrispondenza uno a uno per dimostrare che due infiniti sarebbero uguali o (in termini moderni) che un sottoinsieme infinito è uguale all’insieme di cui è una parte. Tuttavia Bradwardine prendeva per certo che un sottoinsieme infinito è più piccolo dell’insieme di cui fa parte. Così era dell’opinione che con l’assunzione di un mondo eterno che non ha inizio, la moltitudine di tutte le anime umane che sono state create finora deve essere maggiore delle moltitudini delle anime maschili o femminili considerate da sole. Da questa contraddizione (un sottoinsieme infinito non può essere contemporaneamente più piccolo e uguale all’insieme di cui fa parte) Bradwardine traeva l’inferenza che l’eternità del mondo è impossibile.

Diversamente dall’inglese, Oresme sostiene che di due infiniti in atto nessuno può essere maggiore o minore dell’altro. Ciò perché non necessariamente due infiniti in atto sono diseguali per numero, ma lo possono essere per qualità. Questa ineguaglianza non deve essere concepita nel senso di “maggiore o “minore”, ma piuttosto di diversità. Poiché quantità comparabili sono o uguali una all’altra oppure una è maggiore o minore dell’altra, Oresme conclude che gli infiniti in atto sono incomparabili, il che vuol dire che concetti come minore, maggiore o uguale non si possono applicare agli infiniti.

Alcune quaestiones riguardano le serie numeriche. Oresme è il primo a dimostrare che la serie armonica, cioè

è divergente. Il suo ragionamento è semplice e illuminante. Poiché questa serie consiste di un’infinità di parti che sono maggiori di 1/2, allora l’intera serie è infinita. La dimostrazione si basa sul fatto che la somma del terzo e del quarto termine (1/3 + 1/4) è maggiore di un mezzo, così come la somma dei termini dal quinto all’ottavo (1/5 + 1/6 + 1/7 + 1/8) è maggiore di 1/8 + 1/8 +1/8 + 1/8 = 1/2, e come la somma dal nono al sedicesimo è maggiore di 8 × 1/16 = 1/2, e così via. In termini moderni:






La dimostrazione si può estendere a qualsiasi serie della forma a + a/m + a/m2 + a/m3 + … + a/mn + a/mn+1 + …, con a che è una quantità qualsiasi (aliqua quantitas) e m un qualsiasi numero naturale maggiore o uguale a 2. 

Glosse al Trattato sul cielo di Aristotele 


Su richiesta formale del re, Oresme intraprende tra il 1370 è il 1373 la traduzione dal latino in francese di alcune opere di Aristotele, in particolare il Trattato del cielo e del mondo, una delle più importanti del filosofo greco. Tuttavia aggiunge alla mera traduzione un imponente apparato di glosse e commenti, che costituiscono una testimonianza fondamentale del suo pensiero. L’opera commentata sarà pronta nel 1377 e varrà all’autore la nomina a vescovo di Lisieux. 

Nelle glosse alla traduzione, Oresme accetta l’insieme della cosmologia di Aristotele, verso il quale mostra rispetto, anche se non omette di manifestare il suo pensiero critico su alcuni punti fondamentali. Eccone alcuni. 

Aristotele ignora il principio d’inerzia e, per spiegare la continuazione del moto di un proiettile dopo che ha lasciato la mano del lanciatore, sostiene che l’aria, riempiendo in modo turbolento il vuoto che si crea dietro l’oggetto, lo spinge in volo. Il mezzo in cui avviene il moto è così fondamentale. Per Oresme, discepolo di Giovanni Buridano, che aveva espresso tale idea, il moto dell’oggetto si spiega invece con il fatto che esso ha ricevuto dalla mano del lanciatore una qualità che chiama impetus, una sorta di antenato della nostra energia cinetica. Il moto non avviene a causa del mezzo in cui avviene, che semmai gli si oppone. 

Per Aristotele le orbite celesti percorse dagli astri sono ciascuna sottomessa a un motore eterno e immobile. Oresme ritiene invece che il moto degli astri, regolare e ordinato come quello delle sfere dell'orologio, derivi dalla virtù mobile impressa loro da Dio al momento della creazione, così come ai corpi terrestri il Creatore ha imposto la pesantezza. Questa idea del normanno non era originale, ed era condivisa dai filosofi della scuola parigina. 



Originale è invece l’ipotesi di Oresme che la Terra giri su se stessa in ventiquattro ore. Nella concezione aristotelica e scolastica, il mondo è costituito da un’immensa sfera che gira su se stessa da oriente a occidente portando su di sé le stelle fisse. All’interno, e a distanze diverse dal centro, le orbite dei pianeti e quella del sole sono trascinate dal movimento giornaliero della sfera delle stelle fisse, ma i pianeti, la Luna e il Sole si muovono rispetto alla sfera esterna in senso inverso al suo movimento, secondo un asse inclinato rispetto a quello dei poli celesti. Aristotele sostiene che, al centro di questo sistema di sfere e di cerchi concentrici, la Terra deve restare necessariamente immobile. Questo sistema corrisponde alle osservazioni e sembra in accordo con l’esperienza. 

Oresme non mette in discussione la forma sferica del mondo, né il geocentrismo, ma propone di spiegare il movimento giornaliero con l’ipotesi che sia la Terra a ruotare su se stessa in rapporto al cielo immobile. Egli infatti sostiene che nessun esperimento può decidere se sono i cieli a muoversi da est a ovest o è la Terra che si muove da ovest a est, perché l’esperienza dei sensi non può stabilire più di un moto relativo. Così come di due navi in mare aperto non si può dire quale sia ferma e quale si metta in movimento, “se un uomo fosse in cielo, nell’ipotesi che sia dotato del suo stesso movimento giornaliero, egli vedrebbe la terra e distintamente i monti, le valli, i fiumi, le città e i castelli, e gli sembrerebbe che la Terra sia mossa da movimento giornaliero, così come a noi sulla terra sembra del cielo”. Le due ipotesi sono equivalenti logicamente, ma Oresme propende per quella della rotazione terrestre aggiungendo altre considerazioni. “È la cosa che ha bisogno di un’altra cosa che si muove per ricevere il bene (....) e quindi la Terra e gli elementi di quaggiù, che hanno bisogno del calore e dell’influsso del cielo tutt'intorno, devono essere disposti dal movimento a ricevere questo vantaggio adeguatamente. D’altra parte, data l’immensità della sfera celeste, e la velocità inimmaginabile alla quale dovrebbe girare in ventiquattro ore, è più ragionevole supporre il movimento della terra. Inoltre Aristotele dice che Dio è la natura non fanno nulla invano. È dunque più semplice, per spiegare gli stessi effetti, supporre il movimento della Terra piuttosto che quello del cielo”. (E qui viene in mente il “rasoio” del grande filosofo inglese Ockham, anteriore di pochi decenni: tra due spiegazioni si preferisca la più semplice) 

A differenza di altre opere scientifiche di Oresme, questo testo restò poco conosciuto fuori dalla Francia, circolò solo come manoscritto e fu pubblicato a stampa solo nel 1942 negli Stati Uniti. Per questo motivo è assai dubbia la sua influenza sugli sviluppi successivi della teoria eliocentrica, in particolar modo sul pensiero di Copernico. 

Alla fine di questa esposizione può affiorare l’idea che Nicola d’Oresme sia stato un genio isolato, in anticipo sui tempi, un alieno intellettuale. Non è così. Senz’altro fu un erudito intelligente e originale, dai molteplici interessi, assai versato per la matematica. Tuttavia è bene ricordare che nell’ambiente della filosofia scolastica del Trecento, soprattutto in alcune scuole come Parigi e Oxford, l’impulso alla discussione e alla critica sulla natura e le sue leggi fu molto forte. Dobbiamo abbandonare l’idea che la filosofia degli ultimi secoli di quell’epoca che chiamiamo Evo di Mezzo sia stata solo un contrappunto su temi teologici e metafisici o una mera riproposizione delle idee degli antichi allora accessibili, soprattutto Aristotele. Iniziarono invece molte riflessioni sul mondo fisico e naturale e, se ancora non c’era l’esperimento a vagliare la correttezza di un’ipotesi (ma la matematica si affida piuttosto alla coerenza interna e alla dimostrazione), esisteva una comunità di intellettuali, estesa a livello continentale, in grado di valutarla e discuterla. Almeno da questo punto di vista non esiste soluzione di continuità con i secoli che avrebbero visto la rivoluzione scientifica.

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