lunedì 27 marzo 2017

La parodia del «Calculemus!» di Swift

Dettaglio dal frontespizio della Miscellanea Berolensia ad incrementum scientiarum (1710). In basso si vede la macchina calcolatrice di Leibniz, che nel volume viene descritta per la prima volta
Ne I viaggi di Gulliver (Gulliver’s Travels, 1726), Jonathan Swift critica le miserie della natura umana, sfociando spesso in una satira feroce e in un vero e proprio humour nero. Nel terzo viaggio del protagonista, quello all’isola fluttuante di Laputa, di cui mi sono già occupato in precedenza, Gulliver ha modo di visitare l’accademia di Lagado dove gli scienziati si dedicano a esperimenti assurdi e ricerche improbabili, che dimostrano come il sapere teorico sia del tutto inutile se non ha reali ricadute pratiche. Molti commentatori hanno visto in questo episodio una critica ai “filosofi naturali” della Royal Society, ma neanche il tedesco Leibniz sembra sia risparmiato. Vediamo come la calcolatrice meccanica e il sogno di una lingua filosofica universale basata sul calcolo siano messi alla berlina dalla penna intinta nel fiele dello scrittore irlandese, che qui anticipa certi procedimenti contemporanei della generazione automatica di testi. 

“Traversando un giardino ci trovammo nella seconda divisione dell'accademia, assegnata ai cultori delle discipline astratte. 

Nella prima grande sala trovai un professore circondato da quaranta scolari. Dopo esserci salutati, siccome egli si accorse ch'io guardavo con curiosità una certa macchina che occupava quasi tutta la sala, mi spiegò che il suo più ambizioso disegno consisteva nella scoperta del metodo di perfezionare le scienze mentali con mezzi meccanici. Egli andava orgoglioso di questo concetto, il più vasto e geniale che cervello umano avesse mai avuto, e sperava che tutti, quanto prima, ne riconoscessero l'utilità. Mentre, infatti, i metodi comunemente adottati per arrivare alle diverse nozioni scientifiche e ideali sono faticosi e difficili, col suo nuovo sistema, invece, anche un ignorante poteva scrivere libri di filosofia o di poesia, trattati di politica e di matematica, senza bisogno di speciale vocazione né di studio: bastava una modesta spesa e un piccolo sforzo muscolare. 

Nello spiegarmi ciò, egli mi fece vedere il meccanismo intorno a cui stavano i suoi scolari.

Era una specie di telaio di venti piedi quadrati, sul quale erano disposti moltissimi pezzetti di legno simili a dadi, di cui alcuni erano alquanto più grossi; e tutti erano legati insieme per mezzo di fili sottili. Ogni faccia di ciascun dado portava un pezzo di carta, su cui stava scritta una parola; sicché sul telaio si trovavano tutte le parole della loro lingua nei differenti modi, tempi e declinazioni, ma mescolate alla rinfusa.
La "macchina" di Lagado da I viaggi di Gulliver di Swift illustrati in The Prose Works of Jonathan Swift, DD, Volume 8 (1899)

Il professore mi avvertì che stava per mettere in moto la macchina: a un suo cenno, infatti, ciascun allievo prese in mano un manubrio di ferro (ve ne sono quaranta fissati lungo il telaio). Essi, facendolo girare, cambiarono totalmente la disposizione dei dadi, e perciò delle parole corrispondenti. Allora il professore ordinò a trentasei dei suoi scolari di leggere fra sé le frasi che ne risultavano, via via che le parole apparivano sul telaio; e quando trovassero tre o quattro parole che avessero l'apparenza d'una frase, di dettarle agli altri quattro giovinetti, che facevano da segretari. Questo esercizio fu ripetuto diverse volte, e col successivo capovolgersi dei cubi sempre nuove parole e frasi comparivano sulla macchina. Gli scolari si dedicavano a tale occupazione per sei ore del giorno.

Il professore mi fece vedere diversi volumi in folio pieni di frasi sconnesse ch'egli aveva raccolto e di cui pensava fare un estratto, ripromettendosi di cavar fuori da codesto materiale, il più ricco del mondo, una vera enciclopedia scientifica e artistica. Egli sperava che codesto suo lavoro, spinto con energia, avrebbe toccata la massima perfezione, a patto che la popolazione consentisse a fornire il denaro necessario per impiantare cinquecento consimili macchine in tutto il regno, e che i sovrintendenti dei vari istituti mettessero in comune le loro personali osservazioni.

Ringraziai umilmente codesto illustre inventore, assicurandolo che, se avessi avuto la fortuna di tornare in Inghilterra, gli avrei reso giustizia celebrandolo fra i miei concittadini come primo creatore d'una macchina sì meravigliosa; anzi mi feci dare il disegno di questa e la descrizione dei suoi vari movimenti, e sopra tavole apposite li unii alle mie memorie. Assicurai anche l'accademico che avrei saputo prendere le necessarie cautele perché l'onore della scoperta restasse tutto suo, data l'usanza vigente fra gli scienziati europei di rubarsi reciprocamente i loro ritrovati, tanto che non si sa quasi mai a chi attribuirli”. 

La calcolatrice meccanica di Leibnitz, progettata con l’apporto di una rete di eruditi, predicatori e amici e sviluppata con l’assistenza tecnica di artigiani itineranti e precari, di costruttori di orologi e persino di un domestico, doveva essere azionata da una manovella e, attraverso un complicato sistema di ruote dentate di ottone di diversa grandezza, realizzare moltiplicazioni e divisioni oltre alle addizioni e sottrazioni. Essa funzionò a fatica (o non funzionò affatto) nelle dimostrazioni dal vivo che furono allestite a Londra e a Parigi, al punto che la Royal Society invitò Leibnitz a riproporla una volta risolti i problemi tecnici che rendevano il congegno inefficace.


La calcolatrice di Leibnitz in una illustrazione utilizzata per la presentazione al pubblico.

Anche in considerazione degli alti costi già sostenuti e di quelli da sostenere, la macchina fu abbandonata dal suo ideatore, e un suo prototipo fu ritrovato in una soffitta dell’Università di Gottinga solamente nel 1879, durante i lavori di rifacimento del tetto.

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