tag:blogger.com,1999:blog-50105638709623886882024-03-19T09:47:22.295+01:00Popinga<b>Scienza e letteratura: <br><i>terribilis est <br>
locus iste</i></b>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.comBlogger873125tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-1254842648496895662024-03-08T19:49:00.001+01:002024-03-08T19:49:08.595+01:00La guerra italiana contro la malaria <p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOGRQwcqJn2knirWnSOn4HfYfYBogm0qvwviPHvTfMEcGTIA-QbAYxAktCajNrDrZNMCQ9Ocs-xRQGbLbP-ouT-JdNgE9JlBavrsvNX3zTYvZNhPeOa4LOw8glyo0Yhpqh0UfMgBTwMiVeOC0_OPxFZdCN5ZXMOF6WcvdNWJ0moV3dl-otaIE3LtZrIGQ/s2000/anopheles-mosquito.webp" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1464" data-original-width="2000" height="468" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOGRQwcqJn2knirWnSOn4HfYfYBogm0qvwviPHvTfMEcGTIA-QbAYxAktCajNrDrZNMCQ9Ocs-xRQGbLbP-ouT-JdNgE9JlBavrsvNX3zTYvZNhPeOa4LOw8glyo0Yhpqh0UfMgBTwMiVeOC0_OPxFZdCN5ZXMOF6WcvdNWJ0moV3dl-otaIE3LtZrIGQ/w640-h468/anopheles-mosquito.webp" width="640" /></a></div><br />Il grande storico francese Fernand Braudel scrisse poco prima di morire che </span><i style="font-family: inherit;">«Sebbene pericolosa, la peste, importata dall'India e dalla Cina attraverso relazioni a distanza, è una straniera temporanea nel Mediterraneo. La malaria ha lì una sede permanente. Fa da sfondo al quadro della patologia mediterranea»</i><span style="font-family: inherit;">. In effetti, la presenza della malaria in ampie porzioni del territorio italiano è ampiamente documentata fin da tempi molto antichi e il flagello era endemico già ai tempi dell'antica Roma.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La malaria, che ogni anno mieteva migliaia di vittime, era tra i problemi sanitari più urgenti e gravi che il governo dell’Italia unita si trovò ad affrontare, perché riguardava ampie zone del territorio, desolate, inabitabili e improduttive proprio a causa della malattia. Particolarmente colpite erano le campagne intorno a Roma, l’agro pontino, la Maremma toscana, la Sardegna, il Veneto, la Romagna, la Puglia, la Calabria, la Basilicata, anche se nel passato più remoto ci sono stati sicuramente periodi in cui l'influenza della malaria aveva coperto estensioni territoriali molto più ampie, sia per il cambiamento delle condizioni climatiche, sia per le variazioni della dinamica delle popolazioni, sia per eventi storici che avevano causato l'abbandono dei lavori di regolazione idraulica nelle zone soggette a impaludamento.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Del problema non si ebbe un quadro preciso fino all’inchiesta agraria promossa dalla Camera dei deputati negli anni 1877-1886, che mise in luce le miserevoli condizioni delle popolazioni nelle campagne. La stima del numero dei colpiti dalla malaria era impresa non facile, perché le distanze, la distribuzione frammentata della popolazione, la mancanza di presidi medici, rendevano complicato un conteggio preciso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1882 il senatore valtellinese Luigi Torelli, più volte ministro, si occupò del problema: stilò la prima bozza di una carta geografica in cui erano segnalate le aree italiane colpite da malaria; delle 69 province, solo 6 erano completamente esenti dal morbo, mentre 21 presentavano territori con malaria gravissima, 29 con malaria grave, 13 con malaria leggera; risultava inoltre che le zone colpite erano anche quelle più fertili, tanto che Torelli stimò che circa due milioni di ettari di terreno coltivabile erano lasciati incolti e altrettanti venivano sfruttati in modo insufficiente; negli stessi anni fu valutato che il numero di morti annuali dovuto direttamente alla malattia si aggirava intorno ai ventimila, a cui si dovevano aggiungere i morti causati da complicazioni dovute al morbo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi810yk-BSaZHvGKzrP-Lp7CaPnJ9zfS76ZnSLNrBKGujMlasfSTI4aXGjdkG7yzVAmEvfm9fDzH9VlyrlDLcuiKEuPftQ4pbRweXtFHUDK5uXuhILaAPW6cY3qUrQeF8qcd2kFsBuco5DIaarRK88kZjTlYx6z9uAwImfSL-YmPK9OnzdQnYRyFqHxKk/s2225/Carta_malaria_torelli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2225" data-original-width="1920" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi810yk-BSaZHvGKzrP-Lp7CaPnJ9zfS76ZnSLNrBKGujMlasfSTI4aXGjdkG7yzVAmEvfm9fDzH9VlyrlDLcuiKEuPftQ4pbRweXtFHUDK5uXuhILaAPW6cY3qUrQeF8qcd2kFsBuco5DIaarRK88kZjTlYx6z9uAwImfSL-YmPK9OnzdQnYRyFqHxKk/w552-h640/Carta_malaria_torelli.jpg" width="552" /></a></div><br />Un aspetto importante riguarda infatti la struttura della mortalità registrata nelle aree malariche, che è solo in parte attribuibile ai decessi direttamente causati da questa malattia. Infatti, lo stato di debilitazione causato dalla malaria, anche quando questa infezione non è direttamente mortale, rende i soggetti malarici più facilmente preda di altre forme morbose (legate principalmente all'apparato respiratorio e gastrointestinale). D’altra parte, un attacco di malaria (soprattutto in caso di recidive) può aggravare altri tipi di infezioni già in corso. Inoltre, i figli di madri malariche nascevano spesso sottopeso e, anche se non contraevano la malaria, erano soggetti a rischi eccezionalmente elevati di morte, anche dopo il primo anno di vita, soprattutto per infezioni gastrointestinali e polmonari, come la tubercolosi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Inizialmente, per spiegare le ragioni dell’infezione, si pensò che fossero i terreni paludosi a produrre la malattia, ma se questo poteva essere plausibile per il Nord, dove gli acquitrini abbondavano, non poteva valere per il Sud: in molte zone non paludose, era sufficiente il calore e un piccolo grado di umidità per favorire la “fermentazione” del terreno (la </span><i style="font-family: inherit;">“mal aria”</i><span style="font-family: inherit;">) e dar luogo alla malattia. Nel tentativo di arginare il problema, furono progettati interventi di bonifica a partire dall’Agro romano, che lambiva la capitale. La prima legge in materia fu promossa dall'ingegnere e deputato Alfredo Baccarini (1826-1890, Legge 25 giugno 1882, n. 269) con la quale lo stato, consapevole dei limiti dell'azione dei privati, perseguì un intervento organico di impegno sociale e sanitario contro la malaria. La bonifica avrebbe dovuto provvedere al prosciugamento e al risanamento dei laghi, degli stagni, delle paludi e delle terre paludose.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHjp9gbu9PxxvX8NOoed0watjkbk8AsVNRAIku9p66KBbPB5B8uSmd1ESUBiS40dLlgCsCGOerCwuDJFOCvMMXL-EyvivLzLBZQgqDKyvUZjUSj9v6kjdgV0YcqDubFFn0Ucwn3dFvibN15X7a3bhDCzA8cRTZPrsFS-v3NOl_odStFS4-JPR4SaanAB0/s1772/Agro%20Pontino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1181" data-original-width="1772" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHjp9gbu9PxxvX8NOoed0watjkbk8AsVNRAIku9p66KBbPB5B8uSmd1ESUBiS40dLlgCsCGOerCwuDJFOCvMMXL-EyvivLzLBZQgqDKyvUZjUSj9v6kjdgV0YcqDubFFn0Ucwn3dFvibN15X7a3bhDCzA8cRTZPrsFS-v3NOl_odStFS4-JPR4SaanAB0/w640-h426/Agro%20Pontino.jpg" width="640" /></a></div><br />Negli ultimi trent'anni dell’Ottocento, un folto gruppo di scienziati italiani, come Giovanni Battista Grassi, Angelo Celli, Camillo Golgi, Ettore Marchiafava, Amico Bignami, Giuseppe Bastianelli, si impegnò per risolvere l’enigma della malaria e divenne noto come </span><i style="font-family: inherit;">gruppo romano di malariologia</i><span style="font-family: inherit;">, perché la maggior parte delle persone coinvolte lavorava a Roma e molte delle ricerche cliniche sull’argomento furono realizzate presso l’ospedale Santo Spirito della capitale, che ospitava degenti maschi provenienti dalle zone malariche vicine e nei momenti critici giungeva a curare fino a mille degenti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Negli anni 1878 e 1879, due eminenti patologi, Corrado Tommasi-Crudeli (1834-1900) e il tedesco Edwin Klebs (1834-1913), decisero di unire le loro forze per studiare insieme la causa della malaria nell’agro romano e per questo furono ospitati da Stanislao Cannizzaro nel laboratorio di chimica di Roma. I due isolarono dal suolo delle zone paludose un microbo, da loro chiamato </span><i style="font-family: inherit;">Bacillus malariae</i><span style="font-family: inherit;">, e pubblicarono due memorie negli atti della Regia accademia dei Lincei, sostenendo che il germe si rinveniva nelle zone malariche e poteva essere coltivato in laboratorio; asserirono inoltre che, inoculato nei conigli, procurava febbre e ingrossamento splenico.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ettore Marchiafava (1847-1935), allievo di Tommasi-Crudeli, rinvenne organismi simili a quelli descritti da Tommasi Crudeli e Klebs nel sangue di tre individui morti per malaria perniciosa; nella loro milza e nel midollo osseo era inoltre presente un pigmento nerastro simile a quello riscontrato dai colleghi nei conigli, lo stesso pigmento presente negli organi di individui deceduti per malaria e che già altri avevano descritto, attribuendolo ad accumuli di melanina. Sembrava che la malaria avesse finalmente trovato la sua causa (un batterio).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1880, il maggiore medico francese Charles Louis Alphonse Laveran (1845 – 1922), ex studente di Pasteur, che dal 1878 lavorava presso l’ospedale militare di Costantina, in Algeria, rese noto di aver analizzato il sangue prelevato da numerosi ricoverati malarici. Mentre le autopsie mettevano tutte in evidenza la tipica pigmentazione bruna, nel sangue prelevato da individui vivi poté osservare che i leucociti erano colmi di melanina e erano presenti cellule di dimensioni variabili e dotate di movimento ameboide, libere o aderenti ai globuli rossi; osservò inoltre cellule flagellate, dotate di movimenti rapidi. Le sue comunicazioni, però, destarono inizialmente scarsa eco, in quanto, sull’onda delle scoperte batteriologiche, non si poteva pensare che una malattia fosse provocata da protozoi; tuttavia, un altro medico, Eugène Richard, che lavorava in un ospedale vicino a quello di Laveran, confermò le sue osservazioni. Il lavoro di Laveran, </span><i style="font-family: inherit;">Traité des fièvres palustres</i><span style="font-family: inherit;">, fu pubblicato nel 1884.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel frattempo, in Italia non tutti erano d’accordo con le conclusioni di Tommasi-Crudeli e Klebs. Uno dei più convinti oppositori della teoria batterica era da tempo Guido Baccelli (1830-1916), professore di clinica medica presso l’Università di Roma e in seguito anche senatore e ministro, che da anni sosteneva che la malattia era dovuta a un’infezione dei globuli rossi e nel 1878 aveva pubblicato su incarico del Governo l’ampio trattato </span><i style="font-family: inherit;">La malaria di Roma</i><span style="font-family: inherit;">, presentato all’Esposizione universale di Parigi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Si decise allora di ricorrere al giudizio di Camillo Golgi (1843-1926), che in seguito (1898) avrebbe scoperto l’organulo cellulare che da lui prende il nome, premio Nobel per la Medicina (1906), la cui fama di istologo era ormai da tempo consolidata, e al parassitologo Edoardo Perroncito (1847-1936). Un gruppo di scienziati, coordinati da Perroncito e Golgi, ripeterono a Pavia gli esperimenti, utilizzando il protocollo di Tommasi-Crudeli e Klebs, che prevedeva un esame istologico condotto qualche ora dopo il prelievo, ma ottennero risultati ambigui; si poteva pensare che il ritardo nell’osservazione avesse contaminato il prelievo. Batteri simili a quelli rinvenuti da Tommasi-Crudeli e Klebs, vennero infatti rinvenuti anche in sangue prelevato da soggetti sani. Nel frattempo, Marchiafava, nel 1882, aveva conosciuto Laveran, che si era recato a Roma per verificare presso l’ospedale Santo Spirito se anche i malarici dell’agro pontino presentavano nel sangue gli organismi da lui osservati in Algeria; il medico francese aveva mostrato i preparati al collega, che da quel momento aveva cominciato a nutrire seri dubbi sulle conclusioni di Tommasi - Crudeli. Marchiafava e l’igienista Angelo Celli (1857–1914) ripresero ad analizzare numerosi campioni di sangue di persone con la malaria e infine i due, che disponevano di mezzi tecnici migliori, poterono confermare che il responsabile della malattia era un protozoo, da loro denominato </span><i style="font-family: inherit;">Plasmodium</i><span style="font-family: inherit;"> e non un batterio; i loro risultati vennero suffragati dalle osservazioni degli assistenti di Marchiafava, Bignami e Bastianelli. La causa della terzana maligna, il </span><i style="font-family: inherit;">Plasmodium falciparum</i><span style="font-family: inherit;">, fu infine individuato nel 1889 da Marchiafava e Celli, in seguito all’ideazione di un metodo di colorazione ottimale per identificare i parassiti negli strisci di sangue; si chiarì, in questo modo, che quasi esclusivamente al </span><i style="font-family: inherit;">P. falciparum</i><span style="font-family: inherit;"> erano attribuibili le forme cliniche delle febbri e gli episodi mortali di malaria. La comunità scientifica, così, si convinse che Laveran, Marchiafava, Bignami e Bastianelli avevano ragione; i riscontri clinici ottenuti da Tommasi-Crudeli e Klebs potevano essere attribuiti a infezioni non riconducibili alla malaria.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">C’era ora da capire se la periodicità con cui si manifesta l’attacco febbrile (le febbri malariche hanno accessi periodici per cui si distinguono la terzana, la quartana e altre forme periodiche meno diffuse) fosse provocata da due o più distinte specie di plasmodio, oppure se lo stesso parassita provocasse sintomatologie diverse in base a non meglio specificati fattori ambientali.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Camillo Golgi, che continuava ad interessarsi al problema, studiò numerosi pazienti, ponendo particolare attenzione alle variazioni della loro temperatura e prelevò loro il sangue a intervalli regolari sia durante gli accessi febbrili che nei periodi di remissione. L’osservazione al microscopio gli permise di notare che nel caso di malati affetti da quartana, i corpi pigmentati raggiungono il loro pieno sviluppo nell’intervallo fra i due accessi febbrili; inizia allora la divisione cellulare del parassita e subito dopo la temperatura del paziente si innalza. Nel 1885 dimostrò che i due diversi tipi di febbre malarica, la terzana e la quartana, sono provocati da due specie di plasmodio diverse: </span><i style="font-family: inherit;">Plasmodium vivax</i><span style="font-family: inherit;">, responsabile della terzana benigna, e </span><i style="font-family: inherit;">Plasmodium malariae</i><span style="font-family: inherit;">, responsabile della quartana. Nel 1889 dimostrò che gli attacchi febbrili si verificano nel momento in cui i merozoiti (stadio del ciclo del plasmodio) rompono i globuli rossi e si liberano nel circolo sanguigno. Gli accessi febbrili si manifestano nel momento in cui le cellule del parassita, riprodottesi all’interno del globulo rosso umano (fase di sporulazione), distruggono l’emazia, fenomeno che nella terzana avviene ogni 48 ore, nella quartana ogni 72; fuoriuscite nel plasma, si immettono in nuovi globuli rossi, aumentando il livello di infestazione. La precisa classificazione delle due specie, </span><i style="font-family: inherit;">P. malariae</i><span style="font-family: inherit;"> e P. vivax<i></i> si deve a Giovanni Battista Grassi (1854-1925) e al suo assistente Raimondo Feletti, mentre nel 1897, l’americano William H. Welch (1850 – 1934) descriverà il </span><i style="font-family: inherit;">P. falciparum</i><span style="font-family: inherit;"> e infine nel 1922, John W. W. Stephens il </span><i style="font-family: inherit;">P. ovale</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dal punto di vista clinico, gli studi di Golgi permisero di formulare una diagnosi rapida e precisa della presenza della patologia e la somministrazione del chinino qualche ora prima dell'accesso febbrile permise di evitare la riproduzione del plasmodio, liberando il paziente dall’infezione. Nel 1894 Bignami e Bastianelli riprodussero i sintomi della malaria in un volontario sano, iniettandogli per via intradermica una goccia di sangue prelevato da un paziente malarico.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Bisognava comprendere come la malattia venisse trasmessa all’uomo; era questa la chiave per poter attuare un intervento preventivo efficace. Da tempo, in molti pensavano che le zanzare fossero in qualche modo coinvolte nella trasmissione della malattia; agli inizi del Settecento Giovanni Maria Lancisi aveva suggerito che fosse un liquido velenoso inoculato dalla zanzare a produrre le febbri e aveva consigliato di prosciugare le zone in cui vi era ristagno di acqua, luoghi ideali per lo sviluppo delle larve. Nel frattempo, si cominciavano a scoprire molte malattie trasmesse da invertebrati e in molti casi era stato individuato il ciclo completo di molti parassiti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La scoperta più interessante per l’avanzamento delle indagini sulla malaria era stata fatta a Taiwan dal medico scozzese Patrick Manson (1844-1922), fondatore della medicina tropicale, che per la prima volta aveva verificato che una parassita, la filaria, poteva essere ospitato da un insetto, la zanzara </span><i style="font-family: inherit;">Culex fatigans</i><span style="font-family: inherit;">. Forte di questa scoperta, avanzò l’idea che qualcosa di simile avvenisse anche per il plasmodio: il globulo rosso protegge i parassiti dall’attacco dei globuli bianchi e può penetrare, quando questa punge l’uomo, nella zanzara, dove il parassita potrebbe completare il suo ciclo. Tornato nel Regno Unito, Manson divenne insegnante medico e consigliere del British Colonial Office; in questa veste, conobbe nel 1894 Ronald Ross (1857 – 1932), ufficiale medico dell’Indian Medical Service e pensò che questi, a contatto con zone dove la malaria era molto diffusa, avrebbe potuto trovare riscontri alla sua teoria. Fra Manson e Ross si stabilì una fitta corrispondenza: Manson insisteva perché l’amico “seguisse i flagelli” che si trovavano negli ammalati, nei tessuti delle zanzare, mentre Ross lo teneva informato dei suoi progressi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma quali zanzare? Ross non era uno zoologo e le sue conoscenze sui vari generi di zanzara erano piuttosto approssimate: inizialmente ebbe anche difficoltà a fare le prime dissezioni sugli insetti e comunque non annotò con precisione su quali specie conducesse i suoi esperimenti. Andando alla cieca, rivolse le sue iniziali attenzioni su generi non coinvolti nell’infestazione (</span><i style="font-family: inherit;">Aedes</i><span style="font-family: inherit;"> e </span><i style="font-family: inherit;">Culex</i><span style="font-family: inherit;">), come del resto stavano facendo negli stessi anni nei laboratori romani, non ottenendo risultati.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel frattempo, anche Grassi, Bignami e Celli stavano cercando di risolvere l’enigma; puntando sull’ipotesi dell’inoculazione, che stava acquistando sempre maggior credito rispetto a quella secondo cui stadi immaturi del parassita potevano essere presenti nel terreno, cercavano di trasmettere la malaria, facendo pungere da zanzare allevate in laboratorio individui malarici e poi liberando le stesse zanzare in stanze con volontari sani per verificare se in essi si sviluppasse la malattia; lavorando con le </span><i style="font-family: inherit;">Culex</i><span style="font-family: inherit;">, però, i risultati ottenuti erano sempre negativi. Nella primavera del 1898 Grassi intuì quale era stato l’errore in cui erano incorsi fino ad allora: non diverse specie di zanzare potevano disseminare la malattia, ma una sola.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L’idea di Grassi era semplice: dal momento che gli uomini si muovono nelle varie regioni italiane, mentre i luoghi malarici hanno una localizzazione costante, la causa della malattia deve essere legata soprattutto alla distribuzione di una determinata specie di zanzara nelle zone malariche, dato che zone con condizioni ambientali simili possono non presentare la malattia. Del resto, in Italia erano da tempo note zone infestate da zanzare, ma in cui la malaria non era presente. Nell’agosto del ‘98, Grassi aveva risolto il problema e identificato negli “zanzaroni” (</span><i style="font-family: inherit;">Anopheles claviger</i><span style="font-family: inherit;">) i vettori della malaria.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUXhABIQyTmMLtnfAZdjBpBaEyVj2a1ib03_g3EitpZd1ZrsMS6V1X9LMvznEVOXs2HRU4ErrS_YLwTJU-uhp8sPXAlqoX8NyeXWtRhu3cygL6qKl93fWd4KT7qRJbziCZMyzr_xZ74IWbUKMDhWYUk4PHemzFCTgGDikMNa7d-AmUMdrop-fchsgRCMQ/s570/Stadi%20infezione.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="435" data-original-width="570" height="488" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUXhABIQyTmMLtnfAZdjBpBaEyVj2a1ib03_g3EitpZd1ZrsMS6V1X9LMvznEVOXs2HRU4ErrS_YLwTJU-uhp8sPXAlqoX8NyeXWtRhu3cygL6qKl93fWd4KT7qRJbziCZMyzr_xZ74IWbUKMDhWYUk4PHemzFCTgGDikMNa7d-AmUMdrop-fchsgRCMQ/w640-h488/Stadi%20infezione.jpg" width="640" /></a></div><br />Naturalmente, completate le indagini biogeografiche, restava da verificare che effettivamente negli zanzaroni avviene una parte del ciclo del plasmodio. Grassi, allora, chiese aiuto a Bignami e Bastianelli, che accettarono di seguire il suo protocollo sperimentale; Grassi si sarebbe occupato di procurare gli zanzaroni, con cui sarebbero stati punti individui sani, mai vissuti in zone malariche. In novembre si fece l’esperimento fondamentale: un soggetto sano fu punto dalle zanzare sospette, sviluppò la malattia e guarì una volta che gli fu somministrato il chinino.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Del chinino, estratto dalla corteccia dell'albero della china di origine andina, erano note le proprietà antifebbrili sin dal Seicento. Antonio de la Calancha, un gesuita vissuto nel XVII secolo in Sud America, scrisse nel 1633 di un "albero che chiamano "l'albero della febbre" la cui corteccia trasformata in una polvere (...) e data come bevanda, guarisce le febbri e le terzane”. Il nome Inca di questo albero era </span><i style="font-family: inherit;">quina</i><span style="font-family: inherit;">, ma non ci sono prove che essi riconoscessero il suo valore per il trattamento della malaria, ma semplicemente la sua capacità di prevenire i brividi indotti dal freddo. Furono i missionari gesuiti i primi a usare la corteccia d'albero polverizzata per curare la malaria e così divenne nota come “polvere dei gesuiti”. Il cardinale Juan de Lugo ne aprì la strada all'uso a metà del XVII secolo a Roma. Nel 1742, Linneo gli diede il nome </span><i style="font-family: inherit;">“chinchona”</i><span style="font-family: inherit;">, probabilmente perché aveva sentito la leggenda della contessa di Chinchon, moglie del viceré spagnolo di Lima, che sarebbe stata guarita dalla malaria grazie all'uso della corteccia in polvere.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4vbTt0f5VVXmV76NpnahIPcVvZ8YVAliMKFHDreerf9J7yy0rQ3FAaCVkS3XZ-UuqWH1K3J-AuJa3d27d5sGv_S9wAsCOuRO4QZaXjc_ZjegGbEKNfk74qaMNC4G94_TnSAtVCURnNIbF0kh2DV_MpGtqYrocxcxvgFAVhyphenhyphenMh06AjTxlmpXjyMCPlni8/s1024/Cinchona_officinalis_-_K%C3%B6hler%E2%80%93s_Medizinal-Pflanzen-180.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="853" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4vbTt0f5VVXmV76NpnahIPcVvZ8YVAliMKFHDreerf9J7yy0rQ3FAaCVkS3XZ-UuqWH1K3J-AuJa3d27d5sGv_S9wAsCOuRO4QZaXjc_ZjegGbEKNfk74qaMNC4G94_TnSAtVCURnNIbF0kh2DV_MpGtqYrocxcxvgFAVhyphenhyphenMh06AjTxlmpXjyMCPlni8/w534-h640/Cinchona_officinalis_-_K%C3%B6hler%E2%80%93s_Medizinal-Pflanzen-180.jpg" width="534" /></a></div><br />Nel corso dei decenni successivi furono fatti diversi tentativi per isolare un principio attivo puro dalla corteccia di china, ma tutti fallirono. Nel 1819 Friedrich Ferdinand Runge isolò quella che chiamò "base cinese", e un anno dopo Pierre-Joseph Pelletier e Joseph-Bienaimé Caventou estrassero una sostanza dalla corteccia della </span><i style="font-family: inherit;">Cinchona cordifolia</i><span style="font-family: inherit;"> con acido seguito da neutralizzazione con alcali e ottennero una sostanza identica alla “base cinese”, che chiamarono </span><i style="font-family: inherit;">chinino</i><span style="font-family: inherit;">. Campioni di questo alcaloide della china furono messi a disposizione dei medici negli ospedali di Parigi e presto molti di loro riferirono dell'efficacia del chinino come trattamento per la malaria.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il problema fondamentale per i chimici che tentarono di isolare il principio attivo del chinino fu che esso fa parte di un gruppo di isomeri difficilmente distinguibili. Intorno al 1853, Louis Pasteur, trattò la polvere di Chinchona con acido solforico diluito, che diede un nuovo prodotto di degradazione che in seguito fu chiamato chinotossina. Il passo fondamentale per svelare la chimica alla base di questa degradazione fu infine compiuto nel 1908 dal chimico tedesco Paul Rabe, che ne dedusse correttamente la struttura. Il chinino è stato da tempo sostituito da farmaci sintetici meno tossici come la mepacrina (1932), la clorochina (1939), la primachina (1946), la meflochina (1979) e i derivati dell'artemisinina dalla pianta cinese </span><i style="font-family: inherit;">Artemisia annua</i><span style="font-family: inherit;">, ma è tuttora utilizzato come aroma alimentare nelle acque toniche e nella preparazione di vari aperitivi e digestivi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Al chiudersi del 1898, però, molti erano ancora i problemi da risolvere: le diverse febbri malariche si sviluppano avendo come vettore la stessa specie di zanzara? Come e dove gli insetti si infettano? Solo nell’uomo o anche in altri animali si completa il ciclo di sviluppo del plasmodio? Tra il 1899 e il 1902 il gruppo romano dimostrò che il ciclo vitale del plasmodio si completa all’interno del corpo dell’insetto - in cui avviene la riproduzione sessuale -, mentre nell’uomo avviene la riproduzione asessuata. I ricercatori dimostrarono inoltre che le larve sono sempre immuni, e quindi la malattia non può essere ereditaria; solo le femmine di alcune specie di anofeli veicolano la malattia e se non esistono uomini affetti da malaria, la regione ne è esente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il governo italiano si mosse tempestivamente per promuovere interventi antimalarici, anche grazie all’elevato livello scientifico della compagine parlamentare, in cui erano presenti, sia fra i deputati che fra i senatori, medici, igienisti, esperti in malattie del lavoro; dalla fine degli anni Novanta a tutta l’età giolittiana, inoltre, anche il livello scientifico della burocrazia italiana era altissimo e collaborò all’impresa di risanamento in piena sintonia con i medici, che segnalavano una situazione drammatica. Angelo Celli, che era stato eletto alla Camera dei Deputati nel 1892, presentò agli inizi del Novecento una proposta di legge molto articolata e moderna. Per parte sua, il medico e istologo Giulio Bizzozero (1846-1901), mentore e maestro di Golgi, nominato in Senato nel 1890, nel suo intervento sulla proposta sottolineò come il chinino non fosse soltanto un mezzo di cura, ma dovesse anche essere utilizzato per prevenire la malattia: dato che la malaria viene trasmessa da una persona all’altra per mezzo delle zanzare, che ricevono il parassita da un malato e lo immettono in un altro, il soggetto malarico è pericoloso come qualunque persona affetta da malattia infettiva, per cui spetta allo Stato predisporre i mezzi per impedire il contagio. Lo stesso Grassi intervenne in molti suoi scritti, definendo il chinino indispensabile alle popolazioni delle zone malariche come l’acqua e l’aria; la sua somministrazione, dunque, doveva essere fornita gratuitamente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Si rendeva necessario che lo Stato assumesse il monopolio di produzione del farmaco in modo da evitare abusi da parte di eventuali speculatori; per rendere facile l'acquisto del prezioso medicinale anche nei territori più isolati e arretrati, doveva essere venduto non soltanto nelle farmacie, ma anche presso gli spacci di sali e tabacchi; la cosa sollevò le proteste della potente categoria dei farmacisti, ma le insistenze dei medici ricercatori fecero sì che ottenesse l’approvazione del parlamento. Il chinino, inoltre, sarebbe stato distribuito a prezzo di favore alle pubbliche amministrazioni e alle imprese a rischio, purché venisse somministrato gratuitamente ai dipendenti; il suo prezzo sarebbe stato contenuto e i proventi per la sua vendita sarebbero stati reinvestiti per la battaglia antimalarica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel disegno di legge passò l’idea che la cura con il chinino era un vero e proprio rimedio sociale e pertanto doveva essere distribuito gratuitamente per mezzo del medico comunale o uno specifico ufficiale sanitario e a tale proposito in seguito si decise che i comuni potessero consorziarsi per il mantenimento degli ufficiali sanitari. La malaria contratta nei luoghi di lavoro, nel caso che procurasse morte o inabilità, doveva essere considerata alla stessa stregua di un infortunio sul lavoro; i proprietari terrieri erano invitati a utilizzare le reticelle metalliche, per impedire alle </span><i style="font-family: inherit;">Anopheles</i><span style="font-family: inherit;"> di penetrare nelle abitazioni e si stanziavano sussidi per coloro che avrebbero provveduto in tal senso; le reticelle, comunque dovevano essere presenti, nelle zone malariche, nelle stanze occupate dalle guardie di finanza, del personale addetto alle strade, nei locali per il servizio ferroviario e in quelli dei consorzi di bonifica. In realtà, in un territorio dove molte famiglie vivevano ancora in capanne di frasche e fango, sprovviste di finestre, le zanzariere erano improponibili (quando non venivano usate impropriamente per passare il pomodoro per la salsa o per rudimentali grill). Il trattamento con il chinino sembrava la via più facile e diretta per eradicare il morbo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Al chiudersi del secolo, il governo operò in due direzioni: mise a punto leggi che proseguivano quanto già iniziato a partire dagli anni Ottanta per favorire il risanamento del territorio nazionale attraverso mezzi tecnico-idraulici e agronomici, e promosse l’uso del chinino, non solo come cura, ma anche per la prevenzione dell’infestazione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La legge sul </span><i style="font-family: inherit;">chinino di Stato</i><span style="font-family: inherit;"> fu approvata il 4 luglio 1895 grazie all'iniziativa parlamentare del deputato ed editore Federico Garlanda. Al deputato padovano Leone Wollemborg, fondatore della prima cassa rurale italiana, si deve la legge "Provvedimenti per agevolare lo smercio del chinino" del 23 dicembre 1900.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbQBzGcYn0rgk5rtL8y5IRsSYIG40T8_rYgTR9wwgTJAABd-NIPaYdX4m5avV-u8TiK_ECInJEoYpDMdorTwjbDaSHNhS3afLMaYAvFdfG-sXZQxTsh8AADamZzVygNE743_qlxy94W4pk24-rQ0rau6CFiVZaGnYtTFnnrQuRaxctAqgUbMZhutWI5d8/s1024/chinino.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="907" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbQBzGcYn0rgk5rtL8y5IRsSYIG40T8_rYgTR9wwgTJAABd-NIPaYdX4m5avV-u8TiK_ECInJEoYpDMdorTwjbDaSHNhS3afLMaYAvFdfG-sXZQxTsh8AADamZzVygNE743_qlxy94W4pk24-rQ0rau6CFiVZaGnYtTFnnrQuRaxctAqgUbMZhutWI5d8/w566-h640/chinino.jpg" width="566" /></a></div><br />Su espressa richiesta parlamentare di Celli, la produzione di chinino venne affidata alla Farmacia centrale militare di Torino, che si approvvigionava annualmente di solfato di chinina per produrre tavolette compresse, poi distribuite nelle farmacie e negli spacci. La vendita al pubblico su tutto il territorio nazionale iniziò a partire dal 1903 e, dal momento che la malaria era stata definita malattia professionale, fu fatto obbligo ai datori di lavoro (proprietari terrieri, aziende ferroviarie, appaltatori di opere pubbliche che si svolgevano in territori malsani) di pagare una tassa proporzionale al numero di dipendenti; in questo modo fu sancito il principio del diritto dei poveri e degli operai ad avere gratuitamente il chinino profilattico e curativo. Spettava ai comuni promuovere nei loro territori la campagna antimalarica e far sì che fossero presenti strutture sanitarie idonee per la somministrazione del farmaco. Molti, fra cui lo stesso Grassi, avrebbero preferito che le spese per il consumo e la somministrazione del chinino fossero sostenute dallo Stato, mentre Celli, conscio delle resistenze che questa decisione avrebbe provocato, mediò fra le diverse esigenze. Lo Stato emanò anche precise disposizioni - del resto già presenti a partire dal 1865 - che imponevano ai proprietari terrieri di intervenire con lavori di scolo, di bonifica e miglioria dei terreni, assicurando ai proprietari dei terreni bonificati l’esenzione dall’imposta fondiaria per vent’anni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La campagna, partita con tanto entusiasmo, si trovò di fronte a difficoltà insormontabili, legate soprattutto al fatto che moltissimi comuni, soprattutto nel Sud, non potevano fornire un servizio adeguato perché non erano finanziariamente in grado di assumere personale specializzato, o retribuivano con salari talmente bassi i medici condotti, che essi erano costretti a esercitare anche la libera professione, dedicando ben poco tempo alla campagna antimalarica. La popolazione, inoltre, era dispersa su ampi territori, per cui raggiungere i pazienti malati era estremamente difficile e i contagiati, per parte loro, difficilmente si recavano dal medico, sia perché il tragitto era troppo lungo, sia perché non avevano fiducia nella terapia.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Si decise allora di ricorrere all’istituzione di una “stazione sanitaria rurale” (</span><i style="font-family: inherit;">dispensario</i><span style="font-family: inherit;">) che aveva il compito di raccogliere dati statistici sull’entità del problema: doveva verificare quanti erano nella zona le persone infette e quante quelle sane, attraverso il prelievo e l’esame di campioni di sangue, per stabilire quale tipo di infestazione fosse stata contratta e poi decidere come e quando somministrare l’adeguata terapia preventiva o curativa. La stazione sanitaria era spesso affiancata da distaccamenti mobili che battevano la zona alla ricerca della popolazione da esaminare. Nei dispensari lavoravano spesso giovani medici, convinti sostenitori delle teorie di Celli e Grassi che ben presto si resero conto che perché la campagna antimalarica giungesse a buon fine era necessario convincere i contadini e gli operai, e per far questo era fondamentale rendersi utili in modo più diretto, curando altre malattie e consigliando semplici norme igieniche.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Grazie a questi provvedimenti, la mortalità a causa della malaria calò drasticamente, passando da circa 16.000 vittime nel 1895 a 7.838 decessi nel 1905.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzx-tbHr_ScCpPerw_lRBKbIlh0MWs6fk3NNUE89sGmZl1MV_AHTOvUc3xxLUMixu_DRtYhz2IIAUjylkch4kcV_hweZgav5mB1UTWzeCCQkvq4yXWZ-4Is2R6mtNilNG8SHyIRKj-77RPrO13QHtqtPkZ9EPFI6KxMioj7ocj6V2DDBIVVZUW1MqXrlw/s504/Scuola_di_Malariologia_di_Nettuno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="328" data-original-width="504" height="416" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzx-tbHr_ScCpPerw_lRBKbIlh0MWs6fk3NNUE89sGmZl1MV_AHTOvUc3xxLUMixu_DRtYhz2IIAUjylkch4kcV_hweZgav5mB1UTWzeCCQkvq4yXWZ-4Is2R6mtNilNG8SHyIRKj-77RPrO13QHtqtPkZ9EPFI6KxMioj7ocj6V2DDBIVVZUW1MqXrlw/w640-h416/Scuola_di_Malariologia_di_Nettuno.jpg" width="640" /></a></div><br />Nel primo decennio del ventesimo secolo furono promulgati ben ventidue provvedimenti legislativi che affrontarono il modo per attuare efficacemente le opere di bonifica; dalla lettura dei provvedimenti, emerge come i legislatori fossero sensibili alle conseguenze igienico sanitarie di tali interventi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Prima dello scoppio della guerra, in molte province italiane la malaria sembrava finalmente controllabile: a fronte di una mortalità di 490 individui ogni milione di abitanti nel 1900, si giunse nel 1914 a 57 morti, anche se i dati erano approssimati per difetto, in quanto spesso, per esempio, la mortalità infantile non veniva registrata e inoltre non si teneva conto delle persone che la malaria rendeva inabili al lavoro, numero non diminuito nel tempo. Lo scoppio della prima guerra mondiale, con i soldati al fronte in zone paludose e malariche, favorì un riacutizzarsi del morbo. Dopo la disfatta di Caporetto, gli austriaci che dal 1917 erano nelle aree del Piave, con la volontà di ostacolare il passaggio all'esercito italiano nel 1918 al loro ritiro lasciarono dietro di sé ingenti danni: nel basso Piave, dove era stata debellata la malaria, per 1/3 si ebbe una recrudescenza.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Con l'avvento al governo del Partito Nazionale Fascista la lotta per la bonifica divenne nella propaganda la bellicosa "guerra alle acque”, ma, pur favorendo i grandi investimenti, la bonifica agraria entrò in contrasto con il sistema feudale del latifondo. Le proteste dei latifondisti meridionali, che furono anche ricevuti da Mussolini, ottennero le provvisorie dimissioni del sottosegretario all'agricoltura Serpieri e la limitazione delle sanzioni sugli espropri. Continuava anche il contrasto alla malaria: per intervento diretto di Mussolini veniva autorizzata la sperimentazione sulle persone di nuove terapie. Giacomo Peroni e Onofrio Cirillo operarono su duemila operai dell'Opera Nazionale Combattenti in Toscana e Puglia, separati in due gruppi di studio. Nel primo fu sospesa ogni cura con il chinino per osservarne il decorso, mentre il secondo era trattato con iniezioni intramuscolari di </span><i style="font-family: inherit;">"smalarina"</i><span style="font-family: inherit;"> (farmaco antimalarico a base di sali di mercurio e antimonio messo a punto dal medico sardo Guido Cremonese, docente di igiene alla regia università di Roma). L'esperimento, che si basava sulla constatazione che le persone curate per la sifilide non si ammalano di malaria (e soprattutto sul fatto che il commercio mondiale del chinino era controllato dagli olandesi) fu concluso nel 1929 dichiarando risultati positivi, ma un nuovo esame del Consiglio superiore di sanità su 395 persone in Sardegna ne sancì la tossicità.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Zone di endemismo malarico sono rimaste in Italia sino agli anni Sessanta dello scorso secolo, lungo delta del Po, in Sardegna e nell’Agro Pontino. Solo l’introduzione del controverso DDT dopo la Seconda guerra mondiale ha portato al totale sradicamento di questa malattia in Italia, nel resto d’Europa, negli Stati Uniti e negli altri paesi industrializzati. Nei paesi più poveri è tuttora responsabile di centinaia di migliaia di morti.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-61405711730256002482024-03-07T19:07:00.005+01:002024-03-07T19:17:34.050+01:00Beppo Levi, tra Torino, gli Appennini e le Ande<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuLrBl2w6jmyTo4e519hfMi8ejuKdkiQi0mQX2qdmV8XT1D3M9F2CzuuXyH2qohgG-Vk-f5Ceu1n1croy3i-fYUELHZwnkGc-p1F86qAFE2F_JK_8ELUkOcp2dbahyphenhyphenMea3SQGaBdnAyeAVVrEKoW376Yk43CDH-0O8hJFz0uSuBT4Keb7WIaaGZ679tRw/s1107/Beppolevi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1107" data-original-width="863" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuLrBl2w6jmyTo4e519hfMi8ejuKdkiQi0mQX2qdmV8XT1D3M9F2CzuuXyH2qohgG-Vk-f5Ceu1n1croy3i-fYUELHZwnkGc-p1F86qAFE2F_JK_8ELUkOcp2dbahyphenhyphenMea3SQGaBdnAyeAVVrEKoW376Yk43CDH-0O8hJFz0uSuBT4Keb7WIaaGZ679tRw/w498-h640/Beppolevi.jpg" width="498" /></a></div><br />Beppo Levi (1875-1961) è stato un matematico autore di articoli su logica, equazioni differenziali, variabili complesse, sul confine tra analisi e fisica.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La famiglia di Beppo Levi era ebrea, e Beppo era il quarto di dieci figli. Il padre, Giulio Giacomo Levi, esercitava la professione di avvocato, ma fu anche autore di diversi libri su questioni politiche e sociali in cui manifestava le sue idee liberali messe in discussione dal nascente socialismo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Studiò matematica all'Università di Torino, iniziando gli studi nel 1892. Frequentò i corsi tenuti da Corrado Segre, Enrico D'Ovidio e Giuseppe Peano, e questi matematici ebbero una grande influenza su di lui. Per tutti conservò un profondo affetto per il resto della sua vita.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ebbe come maestri anche Vito Volterra e Mario Pieri. Corrado Segre, che aveva studiato a Torino con D'Ovidio, era stato nominato nel capoluogo piemontese alla cattedra di Geometria Superiore nel 1888. Divenne relatore della tesi di Levi,. Studió </span><i style="font-family: inherit;">“...la varietà delle secanti delle curve algebriche, in vista dello studio delle singolarità delle curve spaziali”</i><span style="font-family: inherit;">. Sono del 1897 e del 1898 una sua ampia memoria pubblicata dall'Accademia delle Scienze di Torino </span><i style="font-family: inherit;">«Sulla varietà delle corde di una curva algebrica»</i><span style="font-family: inherit;"> e alcune note dei Rendiconti dei Lincei, in cui fra l'altro viene dimostrata la possibilità di mutare una data curva algebrica sghemba in un'altra priva di singolarità puntuali per mezzo di trasformazioni birazionali dello spazio e viene studiata la riduzione delle singolarità di una superficie algebrica mediante successive trasformazioni quadratiche. Ancora giovanissimo, Beppo Levi conquistò così un posto d'onore nel campo della geometria algebrica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Negli ultimi tre anni di studio all'Università di Torino, Levi era sostenuto da una borsa di studio. Laureatosi nel luglio 1896, Levi fu nominato assistente di Luigi Berzolari a Torino e mantenne questo incarico fino al 1899. Suo padre era morto nel 1898 e questo diede a Levi la responsabilità di capofamiglia (era il figlio maggiore superstite). Per mantenere se stesso e gli altri membri della famiglia, assunse diversi incarichi di insegnante nelle scuole superiori. Insegnò prima a Sassari, poi a Bari, passando poi a Vercelli prima di insegnare in Emilia-Romagna, prima a Bobbio poi a Piacenza. Alcuni di questi incarichi lo portavano lontano dalla sua famiglia, cosa che lo angosciava e cercava di trovare lavoro più vicino alla sua città natale. Ritornò a Torino, dove insegnò all'Istituto Tecnico fino al 1906 quando il suo incarico venne reso permanente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Durante questi sette anni come insegnante, Levi aveva tentato di ottenere diversi incarichi universitari ma senza riuscirci. Nel 1901, ad esempio, partecipò al concorso per la cattedra dell'Università di Torino indetto da Luigi Berzolari. In questa competizione arrivò terzo: il posto andò a Gino Fano.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1906 vinse il concorso per la nomina a professore di Geometria descrittiva e proiettiva all'Università di Cagliari. Mentre era sull’isola, Levi realizzò un lavoro eccezionale sull'aritmetica delle curve ellittiche che pubblicò in quattro articoli intitolati </span><i style="font-family: inherit;">“Saggio per una teoria aritmetica delle forme cubiche ternarie”</i><span style="font-family: inherit;"> (un articolo nel 1906 e tre nel 1908). Riferì di questo lavoro nella conferenza </span><i style="font-family: inherit;">“Sull'equazione indeterminata del terzo ordine”</i><span style="font-family: inherit;"> al Congresso Internazionale dei Matematici di Roma nel 1908. Rimase a Cagliari, insegnando geometria analitica, per quattro anni finché fu chiamato alla cattedra di analisi algebrica presso l'Università di Parma nel 1910. Mentre era a Cagliari, Levi aveva sposato Albina Bachi di Torre Pellice in Piemonte. Albina, come Levi, era ebrea; ebbero tre figli, Giulio, Laura ed Emilia. Anche se per Albina </span><i style="font-family: inherit;">“...Cagliari era una località esotica; per lui era troppo lontano dalla sua famiglia”</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'anno in cui Levi lasciò Cagliari era stato promosso a professore ordinario, ma era così ansioso di andarsene che era pronto ad accettare un posto inferiore a Parma, in un'università che non aveva il corso di matematica. Mario Pieri, però, che era stato uno dei maestri di Levi a Torino, era a Parma e desiderava che il suo ex allievo lo raggiungesse lì. Una volta a Parma (dal 1910), Pieri divenne l'amico più intimo di Levi. Trascorse diciotto anni a Parma impegnandosi notevolmente nello sviluppo scientifico dell'Università con una serie di politiche che produssero ottimi risultati. Levi occupò, oltre alla cattedra di Analisi algebrica, anche quella di Geometria analitica e, per un anno, anche quella di Fisica matematica. Ciò significava che il suo carico di lavoro era estremamente pesante. Tuttavia fece sforzi strenui per far sì che il corso di laurea in matematica si stabilisse a Parma e ottenne l'approvazione del rettore per tale scopo. Purtroppo, lo scoppio della prima guerra mondiale e l'entrata in conflitto dell'Italia nell'aprile 1915, impedirono la realizzazione dei piani di Levi. La guerra vide una tragedia colpire la famiglia Levi, poiché i suoi due fratelli Decio ed Eugenio furono entrambi uccisi in azione nel 1917.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dopo la fine della guerra, Levi rinnovò i suoi sforzi per ottenere il corso di matematica a Parma. La sua posizione si rafforzò quando divenne presidente della Facoltà di Scienze. Tuttavia, negli anni '20, la situazione politica in Italia cominciò a rendere il suo lavoro sempre più difficile, incidendo seriamente sui suoi tentativi di migliorare lo status di Parma. Giovanni Gentile, professore di storia della filosofia all'Università di Roma nel 1917, divenne ministro dell'istruzione nel governo fascista italiano nel 1922 e nei due anni successivi portò avanti importanti riforme dell’istruzione. Gentile organizzò nel marzo 1925 a Bologna il primo Congresso delle Istituzioni Culturali Fasciste che portò in aprile al "manifesto Gentile" che cercava l'appoggio degli intellettuali al fascismo. Due matematici, Corrado Gini e Salvatore Pincherle, appoggiarono il manifesto mentre altri redassero un contro-manifesto sostenendo l'indipendenza degli intellettuali dalle interferenze politiche. Levi firmò il contromanifesto, così come Leonida Tonelli, Vito Volterra, Guido Castelnuovo, Tullio Levi-Civita e Francesco Severi. Tuttavia, le riforme fasciste continuarono, portando alla chiusura del corso di matematica presso l'Università di Parma. Tutti i matematici se ne andarono tranne Levi, che divenne professore di matematica speciale e preside della scuola di chimica. Nel 1928, però, nell'ambito della riforma fascista venne chiusa anche la scuola di chimica di Parma.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nonostante queste estreme difficoltà, gli anni di Levi a Parma furono quelli in cui aveva ampliato la già ampia gamma dei suoi campi di ricerca. Prima di recarsi a Parma aveva già pubblicato oltre quaranta articoli su argomenti che spaziavano dalla geometria algebrica alla logica, lavorando in particolare sull'assioma della scelta.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Aveva studiato inoltre la teoria dell'integrazione, le equazioni differenziali alle derivate parziali e il principio di Dirichlet, producendo il </span><i style="font-family: inherit;">"teorema di Beppo Levi"</i><span style="font-family: inherit;">, o della convergenza monotona di sequenze di funzioni misurabili, che permette di passare con il limite dentro il segno di integrale quando la successione di funzioni integrate è puntualmente crescente. Il teorema implica in particolare che possiamo calcolare l’integrale di una funzione positiva e misurabile come limite di una successione crescente di integrali di funzioni semplici. Quindi non solo come estremo superiore di integrali di funzioni semplici dominati da </span><i style="font-family: inherit;">f</i><span style="font-family: inherit;">. Data una funzione misurabile positiva, esiste sempre una successione crescente di funzioni semplici che converge a </span><i style="font-family: inherit;">f</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDbbYXQdQl8GZTRMBonYFha_Czj9O1pSdYQhLONqtNAf80k2nWOV0TipUiXFdQkDytm96PItgpBCrKS_PYqgx5Wa3ZUsLkNGd6P6T6mCCS45iA9cMvOMdjEpoL8yzMTx1lyVvDyGaMqTEpS6NPnivZ2yeGBgQVjH6U22EKqtOuGxa-YGx4T3bgTbBvBWs/s779/Teorema%20di%20Beppo%20Levi.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="779" height="138" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDbbYXQdQl8GZTRMBonYFha_Czj9O1pSdYQhLONqtNAf80k2nWOV0TipUiXFdQkDytm96PItgpBCrKS_PYqgx5Wa3ZUsLkNGd6P6T6mCCS45iA9cMvOMdjEpoL8yzMTx1lyVvDyGaMqTEpS6NPnivZ2yeGBgQVjH6U22EKqtOuGxa-YGx4T3bgTbBvBWs/w640-h138/Teorema%20di%20Beppo%20Levi.png" width="640" /></a></div><br />Levi si interessò anche di storia della scienza e di fisica: in quest'ultimo ambito, è da ricordare, in particolare, la sua breve monografia </span><i style="font-family: inherit;">Nuove teorie della meccanica quantistica e le loro relazioni con l'analisi matematica </i><span style="font-family: inherit;">(1926). A questa già ampia gamma di lavori, aggiunse contributi ad argomenti come la teoria dei numeri, l'ingegneria elettrica, la teoria delle misurazioni fisiche e la fisica teorica. Nel 1928 lasciò Parma e passò alla cattedra di teoria delle funzioni dell'Università di Bologna, dove ebbe un oneroso carico didattico e amministrativo, ma continuò a intraprendere la ricerca con le stesse passioni che aveva coltivato per tutta la vita. Scrisse articoli sulla logica, sulle equazioni differenziali, sulle variabili complesse, nonché sul confine tra analisi e fisica. Ebbe anche un ruolo significativo nella Unione Matematica Italiana come redattore del </span><i style="font-family: inherit;">Bollettino dell'Unione Matematica Italiana</i><span style="font-family: inherit;"> e direttore dal 1931 al 1938. Per molti versi le cose andarono bene per Levi a Bologna: sua figlia Laura iniziò il dottorato in fisica, ebbe ottimi rapporti con Salvatore Pincherle, allora in pensione ma ancora attivo, e nel 1935 fu eletto alla Reale Accademia dei Lincei.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nonostante il suo odio per il fascismo, Levi aveva firmato il "giuramento al fascismo" nel 1931 insieme a circa 1200 altri matematici (solo undici si rifiutarono di firmare). Forse anche per questo, per diversi anni poté svolgere le sue funzioni a Bologna con poche interferenze politiche. La situazione cambiò radicalmente nel luglio 1938 quando, sotto la pressione di Hitler, Mussolini presentò il </span><i style="font-family: inherit;">Manifesto della Razza</i><span style="font-family: inherit;">. Questa legge era totalmente antisemita, togliendo la cittadinanza italiana agli ebrei e vietando loro di lavorare nel campo dell’istruzione, del governo e delle banche. Ciò provocò la destituzione di Levi dal suo incarico a Bologna nel 1938. Aveva preso contatti con diversi matematici argentini attraverso il suo lavoro di redattore del </span><i style="font-family: inherit;">Bollettino</i><span style="font-family: inherit;"> e, nonostante avesse sessantatré anni, iniziò subito a cercare di negoziare un trasferimento in Argentina. Cortés Plá invitò Levi a dirigere l'istituto di matematica recentemente fondato presso l'Università del Litoral di Rosario. Nell'ottobre del 1939 Levi, con la moglie e le due figlie, lasciò l'Italia ed emigrò in Argentina. In questo periodo emigrò in Palestina il figlio Giulio, che era biologo. Sorprendentemente, sebbene Levi avesse 64 anni quando assunse l'incarico di professore e direttore dell'Istituto di Rosario, poté continuare a insegnare, intraprendere ricerche e svolgere compiti amministrativi per altri 20 anni. Oltre a tenere corsi di analisi, geometria e meccanica razionale, fu molto attivo nella ricerca, pubblicando circa un terzo dei suoi lavori in spagnolo. Fondò la rivista </span><i style="font-family: inherit;">Mathematicae Notae</i><span style="font-family: inherit;">, la collana </span><i style="font-family: inherit;">Publicaciones del Instituto de matemáticas</i><span style="font-family: inherit;"> e la serie di libri </span><i style="font-family: inherit;">Monografias</i><span style="font-family: inherit;">. Pubblicò </span><i style="font-family: inherit;">“Sistemas de ecuaciones analiticas en terminos finitos, diferenciales y en derivadas parciales"</i><span style="font-family: inherit;"> (1944), un’esposizione scritta in modo chiaro dei teoremi fondamentali dell’esistenza dei sistemi di equazioni differenziali alle derivate parziali analitiche, insieme al necessario materiale preliminare sulle funzioni implicite e sulle equazioni differenziali ordinarie.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1947 Levi pubblicò </span><i style="font-family: inherit;">“Leyendo a Euclides” </i><span style="font-family: inherit;">(Leggere Euclide).LM Blumenthal scrive in una recensione:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">“Questo simpatico libricino registra in modo informale alcuni pensieri di un matematico scaturiti dalla lettura degli 'Elementi' di Euclide. Sebbene l’autore neghi qualsiasi intenzione di scrivere uno studio storico serio o una critica moderna di Euclide, nel libro c’è molto di entrambi”</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1956 Levi ricevette il Premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A Levi era stata offerta la possibilità di tornare alla sua cattedra a Bologna dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma scelse di restare in Argentina. Levi e sua moglie Albina fecero molte visite in Italia dopo essere emigrati in Argentina, e fu in Italia che Albina morì nel 1951. Morì a Rosario all'età di 86 anni e lì fu sepolto nel cimitero ebraico.</span></div></span></span><br />
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-83656225048799050982023-11-25T11:19:00.000+01:002023-11-25T11:44:19.541+01:00Il solitario Barricelli e la nascita degli organismi numerici<p> </p><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCOZd1rQylg9-ow7jJsM_XHhForBtWysKdcZ0t7XX2mR5tMQcoLNAKNvDu16KvRVFXA-y0b1wZ7nKjQQlxljm2NhUT4v-LU-CEXRXL2eeHrocA4nnmjo_VmQHMk-X4-TFKriXy72KyCtOMvauhVW34KGwGaX-F_hfwsuxFTfrEYhELhpPeeUJC_14eLWY/s240/IMG_5471.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="240" data-original-width="200" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCOZd1rQylg9-ow7jJsM_XHhForBtWysKdcZ0t7XX2mR5tMQcoLNAKNvDu16KvRVFXA-y0b1wZ7nKjQQlxljm2NhUT4v-LU-CEXRXL2eeHrocA4nnmjo_VmQHMk-X4-TFKriXy72KyCtOMvauhVW34KGwGaX-F_hfwsuxFTfrEYhELhpPeeUJC_14eLWY/w533-h640/IMG_5471.JPG" width="533" /></a></div><br />I<span style="font-family: inherit; font-size: medium;">l MANIAC (acronimo di <i>Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer</i>), la cui architettura fu progettata quasi esclusivamente da John von Neumann agli inizi degli anni Cinquanta, era il più potente “cervello elettronico” dell’epoca e fu installato presso l’IAS (<i>Institute for Advanced Study</i>) di Princeton, nel New Jersey. Finanziato quasi interamente con fondi delle forze armate, serviva principalmente per eseguire i complessi calcoli che portarono alla costruzione della bomba termonucleare all’idrogeno. Il suo nome, scherzoso e non ufficiale, faceva il verso a quello dell’ENIAC, che lo aveva preceduto dal 1946, sempre con scopi principalmente militari (e per le previsioni meteorologiche). C'erano cinque kilobyte di memoria totale archiviati nella macchina. Un’inezia per gli standard odierni, ma allora era un arsenale.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Maniac</i> è il nome anche della bella e documentata biografia romanzata di John von Neumann e storia dell’evoluzione del suo calcolatore elettronico, scritta dal cileno Benjamín Labatut (Adelphi, 2023). Di sicuro Labatut ha giocato con il significato della parola che, in inglese come in italiano, indica una persona con problemi mentali, un pazzo. E il libro abbonda di figure di persone geniali e un po’ folli, a cominciare dallo stesso matematico di origine ungherese. Ma von Neumann non è il solo. A metà circa di <i>Maniac</i> compare e scompare nel giro di due capitoli non consecutivi l’enigmatica e affascinante figura di Nils Aall Barricelli.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRh0GlKBZhksV_eiplyhOv0Ytu1JWCvTc7nsEyJsDoPCZ2HplnOHDbzBF_qYoJ4PVodD9v5kKhDxQRjs8kkcYDeTGQqdDEAkkLBsI7IpfHGAvT6MypX_RCvkv-03H5SXcOB_Ou5c-vT3uwMLQQbf3iEVam2ZiI-UILmCvJKTwXcpR1UXwlz2k7M6ypV1c/s665/9788845938320_0_424_0_75.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="665" data-original-width="424" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiRh0GlKBZhksV_eiplyhOv0Ytu1JWCvTc7nsEyJsDoPCZ2HplnOHDbzBF_qYoJ4PVodD9v5kKhDxQRjs8kkcYDeTGQqdDEAkkLBsI7IpfHGAvT6MypX_RCvkv-03H5SXcOB_Ou5c-vT3uwMLQQbf3iEVam2ZiI-UILmCvJKTwXcpR1UXwlz2k7M6ypV1c/w408-h640/9788845938320_0_424_0_75.jpg" width="408" /></a></div><br />Nella finzione letteraria ne parla la testimonianza di Julian Bigelow, l’ingegnere informatico che fu il braccio destro di Von Neumann nella progettazione e nella realizzazione della macchina. Il capitolo si intitola proprio “Un vero scienziato pazzo”.</span></div></span><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Appena il MANIAC cominciò a funzionare Johnny chiamò a lavorarci un vero scienziato pazzo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nils Aall Barricelli. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mezzo norvegese e mezzo italiano. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Totalmente folle.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A Johnny era venuta un'ossessione per la biologia, e quest'uomo lasciò nel suo ufficio un bigliettino scritto a mano. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Interessato a condurre una serie di esperimenti numerici allo scopo di verificare la possibilità che un'evoluzione simile a quella degli organismi viventi abbia luogo in un universo creato artificialmente”</i>. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Con accluse specifiche e alcune pubblicazioni accademiche. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Johnny mi chiese cosa ne pensavo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Non aspettò la mia risposta. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'indomani gli accordò libero accesso. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gli disse che poteva far girare qualunque simulazione volesse. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una volta terminati i calcoli per la bomba, ovviamente.</span></div></span></blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli era nato a Roma il 24 gennaio 1912 da padre italiano e madre norvegese. Secondo Richard Goodman, un microbiologo che fece amicizia con il matematico negli anni '60, Barricelli affermava di aver inventato il calcolo infinitesimale prima del suo decimo compleanno. Quando il ragazzo mostrò i calcoli a suo padre, apprese che Newton e Leibniz lo avevano preceduto di un paio di secoli. Mentre era studente all'Università di Roma, Barricelli studiò matematica e fisica con Enrico Fermi. Un paio d'anni dopo la laurea nel 1936, emigrò in Norvegia con la madre recentemente divorziata e la sorella minore.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre infuriava la Seconda guerra mondiale, Barricelli studiava. Nonostante avesse presentato una tesi di 500 pagine sull'analisi statistica delle variazioni climatiche nel 1946, Barricelli non completò mai il suo dottorato di ricerca. La commissione di tesi gli ordinò di ridurre l’articolo a un decimo delle dimensioni, altrimenti non avrebbe accettato il lavoro. Invece di capitolare, Barricelli rinunciò alla laurea.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli iniziò a modellare i fenomeni biologici su carta, ma i suoi calcoli erano lenti e limitati. Fece domanda per studiare negli Stati Uniti come borsista Fulbright, dove avrebbe potuto lavorare con la macchina IAS. Come scrisse nella sua richiesta di borsa di studio originale nel 1951, cercò di <i>“effettuare esperimenti numerici per mezzo di grandi macchine calcolatrici”</i>, al fine di chiarire, attraverso la matematica, <i>“i primi stadi dell’evoluzione di una specie”</i>. Desiderava anche socializzare con grandi menti: <i>“comunicare con statistici e teorici dell’evoluzione americani”</i>. Al momento della presentazione della domanda era un assistente di 39 anni presso l'Università di Oslo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene il programma inizialmente lo respinse a causa di un problema di visto, all'inizio del 1953 Barricelli arrivò all’<i>Institute for Advanced Study</i> come membro in visita. <i>"Spero che troverete il signor Baricelli </i>[sic]<i> una persona interessante con cui parlare"</i>, scrisse Ragnar Frisch, un collega di Barricelli che più tardi avrebbe vinto il primo Premio Nobel per l'economia, in una lettera a von Neumann. <i>“Non è sempre molto sistematico nella sua esposizione”, </i>continuava Frisch,<i> “ma ha idee interessanti”</i>. Comunque, non è vero che “fu chiamato”, ma fu presentato con ottime credenziali.</span></div></span><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le sue idee erano deliranti. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Voleva imitare all'interno del MANIAC l’evoluzione della vita.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Il primo linguaggio e la prima tecnologia sulla Terra non furono creati da esseri umani. Furono creati da molecole primordiali quasi quattro miliardi di anni fa. Sto pensando alla possibilità che un processo evolutivo potenzialmente in grado di condurre a risultati analoghi si possa avviare nella memoria di un calcolatore”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Credeva nella simbiogenesi. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una teoria estremamente controversa opposta al darwinismo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Spiega la complessità degli organismi viventi attraverso le associazioni simbiotiche anziché mediante la selezione naturale dell'ereditarietà. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una fusione tra forme più semplici.</span></div></span></blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'ipotesi simbiogenetica fu articolata per la prima volta dal naturalista russo <a href="https://keespopinga.blogspot.com/2023/11/il-sordido-merezhkovsky.html" target="_blank">Konstantin Merezhkovsky</a> nel 1905. Egli era già a conoscenza del lavoro svolto dal botanico tedesco Andreas Schimper, che, avendo osservato nel 1883 come la divisione dei cloroplasti nelle piante verdi ricordasse quella dei cianobatteri, aveva proposto che le piante verdi derivino dall'unione simbiotica di due organismi. Successivamente, nel 1920, Ivan Wallin estese l'idea di un'origine endosimbiontica anche ai mitocondri. Ma tutte queste ipotesi furono inizialmente tralasciate o confutate. Analisi più dettagliate di cianobatteri e cloroplasti, effettuate grazie al microscopio elettronico, e la scoperta che i plastidi e i mitocondri contengono un proprio DNA (che fu riconosciuto come il materiale ereditario degli organismi) portarono a una rivalutazione dei fatti negli anni Sessanta.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come avrebbe scritto lo stesso Barricelli in un lungo articolo riguardante il suo lavoro su <i><a href="https://www.internetculturale.it/jmms/objdownload?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ATO00181518_174328&teca=MagTeca%20-%20ICCU&resource=img&mode=all" target="_blank">Civiltà delle macchine</a></i> di Leonardo Sinisgalli (1955: a. 3, mag., fasc. 3, pp. 27-33), <i>“Un'ipotesi ardita fu avanzata nel 1924 da Kozo-Polyansky quando già si cominciava a sapere qualche cosa di queste analogie. L'ipotesi di Kozo-Poliansky è che tutti i geni ed anche diverse altre molecole della cellula che sono dotate di potere autocatalitico discendono da altrettanti virus od organismi di natura simile ai virus che per simbiosi un po’ per volta si sono associati al resto della cellula. Secondo questa teoria, che Kozo-Polyansky chiama teoria della “simbiogenesi“, il processo di evoluzione che ha permesso la formazione della cellula fu iniziato da una simbiosi tra alcuni organismi di natura simile ai virus. A questi poi col tempo si sarebbero associati nuovi simbionti della stessa natura ed in numero sempre crescente, ed il processo di evoluzione così iniziato avrebbe reso possibile la formazione dei vari organi della cellula”</i>. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-SSbDU48-9da2d0h1hdf1jpsKZ3XbqItnXDpIzfURcHz0pcuz9D4dTBOrfshk4W6VnwFBbziaOwN1AdtALlrHuBwiFUwkplsqFtQWKwQCjv6XF_Cy2o_iOliZcHRUHA43brL1nVFMRafMvgQ2sxGq-bkcugagarh1OGPiEtS9SltmOdhKN2Ln5OI1Izw/s1931/2-3.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1931" data-original-width="1534" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-SSbDU48-9da2d0h1hdf1jpsKZ3XbqItnXDpIzfURcHz0pcuz9D4dTBOrfshk4W6VnwFBbziaOwN1AdtALlrHuBwiFUwkplsqFtQWKwQCjv6XF_Cy2o_iOliZcHRUHA43brL1nVFMRafMvgQ2sxGq-bkcugagarh1OGPiEtS9SltmOdhKN2Ln5OI1Izw/w508-h640/2-3.PNG" width="508" /></a></div><br />Sul registro del computer di Barricelli presso l’<i>Institute for Advanced Study</i>, in caratteri scritti a mano a matita datati 3 marzo 1953, c’è il titolo <i>“Problema di simbiogenesi”</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La teoria della simbiogenesi nella sua moderna accezione fu esposta e diffusa per la prima volta nel 1975 da Lynn Margulis, che la ufficializzò nel 1981 nel libro <i>Symbiosis in Cell Evolution</i> (La simbiosi nell'evoluzione cellulare); nel libro viene spiegato come le cellule eucariotiche si siano originate come comunità di entità interagenti tra loro, tra cui ad esempio spirochete endosimbiontiche che svilupparono flagelli e ciglia eucariotici, ma la biologa andrebbe, con più ragione, ricordata per la sua opera di divulgatrice. Infatti, alle spalle dell’opera di Lynn Margulis c’è una lunga storia di idee, alle quali è molto debitrice (e stranamente non cita l’articolo di Kozo-Polyansky che Barricelli conosceva bene).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Attualmente la simbiogenesi è largamente accettata e supportata da prove scientifiche. Nei primi tempi venne accettata molto lentamente tra i biologi, ma grazie al largo numero di prove portate a sostegno nei 30 anni seguenti, è utilizzata su un numero sempre maggiore di sistemi biologici. Oggi è l'unica spiegazione plausibile esistente per l'evoluzione e la discontinuità esistente tra procarioti ed eucarioti.</span></div></span><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Disseminò di numeri casuali la memoria del MANIAC. </span><span style="font-family: inherit;"> </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Introdusse regole per governare il loro comportamento. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">È così che li faceva “evolvere”. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La sua ipotesi era che avrebbero cominciato a mostrare le stesse caratteristiche dei geni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ognuno degli organismi di Barricelli era una stringa di numeri. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Entravano in contatto si fondevano mutavano morivano o procreavano. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Potevano instaurare una simbiosi per diventare più complessi. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Potevano regredire a forme piü semplici. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Trasformarsi in predatori.
In parassiti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"></div></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli codificò i suoi organismi numerici sulla macchina IAS per dimostrare la sua tesi. Scrisse che <i>"È molto facile fabbricare o semplicemente definire entità con la capacità di riprodursi, ad esempio, nel regno dell'aritmetica"</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma qual era il metodo che utilizzava? Lo spiega nell’articolo su <i>Civiltà delle macchine</i>:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Per esempio, possiamo usare come elementi alcuni numeri scritti sulla prima linea di un foglio a quadretti - vedi fig. 1 dove i numeri negativi sono sottolineati - e scegliere ad arbitrio una regola di riproduzione di questi numeri.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>In fig. 1 si è usata la seguente: in una unità di tempo (generazione) un numero positivo m si riproduce m caselle a destra ed un numero negativo n si riproduce n caselle a sinistra. Il risultato che si ottiene dalla prima riga seguendo questa regola di riproduzione è scritto nella seconda riga. Applicando la stessa regola di riproduzione sulla seconda riga si ottiene la terza riga, e così via. Naturalmente per continuare bisognerà fissare delle regole per fissare ciò che dovrà avvenire quando due numeri capitano nella stessa casella. Ma di ciò si parlerà più avanti.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>L’altra facoltà essenziale per una evoluzione darwiniana, la capacità di subire cambiamenti ereditari, non è così diffusa come la capacità di riprodursi, ma si conoscono elementi in cui la detta capacità esiste </i>(...)<i> Artificialmente non vi è alcuna difficoltà a definire elementi che oltre alla facoltà di riprodursi hanno anche la facoltà di subire cambiamenti ereditari. Negli elementi numerici sopra definiti possiamo per esempio stabilire delle regole di mutazione approfittando dei casi in cui due numeri capitano nella stessa casella. Il numero da collocare nella detta casella potrà risultare diverso da entrambi e rappresenterà in tal caso una mutazione. </i>(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8bKiPUW4qLMKBF59hht7u19hy_hitmDUacWftvA8AKOR2lDndJkCm3yvFfGRCnJXRmwKp9H-4qtcx1vcjf-oTEqEwcruqUd8cooCQBrjS_8n21v0l11x04nzUPsktAF4QvDOZa5ZglrwPH2nNH1gp1buB64Oy0V2rqIGOuj3bfb8RlJHcfw9QPMlTiEA/s1205/28-29.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="262" data-original-width="1205" height="140" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8bKiPUW4qLMKBF59hht7u19hy_hitmDUacWftvA8AKOR2lDndJkCm3yvFfGRCnJXRmwKp9H-4qtcx1vcjf-oTEqEwcruqUd8cooCQBrjS_8n21v0l11x04nzUPsktAF4QvDOZa5ZglrwPH2nNH1gp1buB64Oy0V2rqIGOuj3bfb8RlJHcfw9QPMlTiEA/w640-h140/28-29.PNG" width="640" /></a></div><br />In questo modo si ha una classe di elementi numerici capaci di riprodursi è di subire mutazioni. Le condizioni per un processo di evoluzione in base ai principi di Darwin sarebbero presenti. I numeri, che hanno maggiore probabilità di sopravvivere nell’ambiente creato dalle regole che abbiamo scelto, sopravviveranno. Gli altri verranno man mano eliminati. Si avrà un processo di adattamento all’ambiente, un processo di evoluzione darwiniana”.</i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Poi, per indurre processi di evoluzione, cambiava le regole: <i>“Per mettere alla prova la teoria della simbiosi dei geni possiamo ricorrere ancora una volta all’impiego di elementi numerici. Basterà modificare le regole della riproduzione impiegate in maniera tale da favorire qualche forma di associazione utilitaria (simbiosi) tra elementi numerici diversi. Così si potrà vedere se è vero che associando elementi con le proprietà fondamentali precedentemente descritte si possa iniziare un processo di evoluzione che si svolga in base allo stesso meccanismo che regola l’evoluzione biologica. Per favorire l’associazione utilitaria (simbiosi) possiamo apportare alle regole di riproduzione adottate delle modifiche per </i>(...)<i> rendere possibile la riproduzione di un elemento numerico solo quando ne sono presenti degli altri da esso differenti. In tal modo si rende necessaria l'associazione utilitaria (simbiosi) di elementi numerici diversi onde rendere possibile la riproduzione. Alle suddette regole di riproduzione si possono poi associare delle regole di mutazione a piacere, per es. sfruttando i casi in cui due numeri cadono nella stessa casella”</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E così via, fino alla prova di compilare la prima riga (generazione) di soli 1 e -1 e caselle vuote (0) estraendoli a sorte in modo casuale con il lancio di due monete.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il bello è che, all’inizio, faceva tutto con penna e fogli quadrettati. Solo successivamente ebbe la possibilità di ricorrere alla schede perforate del computer.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">All'interno del dispositivo, Barricelli programmò mondi costantemente mutabili, ciascuno con file di 512 "geni", rappresentati da numeri interi relativi. Mentre il computer attraversava centinaia e migliaia di generazioni (il massimo fu 5.400) emergevano raggruppamenti persistenti di geni, che Barricelli considerava organismi. Il trucco consisteva nel modificare le leggi della natura create dall’uomo - “norme”, come le chiamava lui - che governavano l’universo e le sue entità. Doveva mantenere questi ecosistemi sull’orlo del disordine e della stasi. Troppo caos e le sue creature si sarebbero trasformate in un caos disorganizzato; troppo poco e si sarebbero omogeneizzate. Il punto nel mezzo, tuttavia, sosteneva processi realistici.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L’azione di equilibrio di Barricelli non era sempre facile. Le sue prime prove furono piene di parassiti: geni numerici primitivi, spesso singoli, invasero lo spazio e divorarono i loro vicini. In genere, era in grado di assistere solo a un paio di cambiamenti ereditari, o al massimo a una manciata, prima che il mondo si distruggesse. Per creare processi evolutivi duraturi, aveva bisogno di ostacolare la capacità di questi parassiti di riprodursi rapidamente. Quando tornò all'Istituto nel 1954 per iniziare una seconda serie di esperimenti, Barricelli apportò alcuni cambiamenti cruciali. Innanzitutto, limitò la proliferazione dei parassiti a una volta per generazione. Questo vincolo consentiva ai suoi organismi numerici un più ampio margine di manovra per superare il problema. In secondo luogo, iniziò a impiegare norme diverse per le diverse sezioni dei suoi universi. Ciò costringeva i suoi organismi numerici ad adattarsi sempre.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Anche negli universi precedenti, Barricelli si rese conto che la mutazione e la selezione naturale da sole non erano sufficienti a spiegare la genesi delle specie. In effetti, la maggior parte delle singole mutazioni erano dannose. Scrisse che <i>“La maggior parte delle nuove varietà che hanno mostrato la capacità di espandersi sono il risultato di fenomeni di incrocio e non di mutazioni, sebbene le mutazioni (soprattutto quelle dannose) siano state molto più frequenti dei cambiamenti ereditari mediante incrocio negli esperimenti condotti"</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando un organismo diventava perfettamente adatto ad un ambiente, la più piccola variazione non faceva altro che indebolirlo. In tali casi, furono necessarie altre modificazioni, effettuate mediante una fecondazione incrociata, per dare all'organismo numerico una qualche possibilità di miglioramento. Ciò indicava a Barricelli che le simbiosi, l’incrocio genetico e “una forma primitiva di riproduzione sessuale” erano essenziali per l’emergere della vita.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli programmò alcuni dei primi algoritmi informatici che assomigliano ai processi della vita reale: una suddivisione di ciò che oggi chiamiamo “vita artificiale”, che cerca di simulare i sistemi viventi nei computer. Barricelli lanciò una sfida coraggiosa al modello darwiniano standard di evoluzione per competizione, dimostrando che gli organismi si sono evoluti anche per simbiosi e cooperazione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVhrPqWwdnGVqa6jSDy6Z6XqkruSMopkCSwdY1P5ET8oMovLy-94kBowUw2XnE530jYkuLmAALpStkQG8ic7SPwz6YCiGS7ULgS8t60CH5iFV_uPgUSjJTAPdVHuBVe57UsmWcwr1z14n6Uj-Rm3LZitGtsP9lbOfZMehFse-KhpCfqOnm_OrKaJMvMFM/s1935/27-28.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1935" data-original-width="1525" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVhrPqWwdnGVqa6jSDy6Z6XqkruSMopkCSwdY1P5ET8oMovLy-94kBowUw2XnE530jYkuLmAALpStkQG8ic7SPwz6YCiGS7ULgS8t60CH5iFV_uPgUSjJTAPdVHuBVe57UsmWcwr1z14n6Uj-Rm3LZitGtsP9lbOfZMehFse-KhpCfqOnm_OrKaJMvMFM/w504-h640/27-28.PNG" width="504" /></a></div><br />In effetti, i progetti di Barricelli hanno anticipato molte attuali vie di ricerca, compresi gli <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Automa_cellulare" target="_blank">automi cellulari</a>, programmi per computer che coinvolgono griglie di numeri abbinate a regole locali che possono produrre comportamenti complicati e imprevedibili. I suoi modelli hanno una sorprendente somiglianza con gli automi cellulari unidimensionali (reticoli realistici di schemi numerici) proposti da Stanislaw Ulam e, manco a dirlo, da von Neumann, e studiati da Stephen Wolfram.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli vedeva i suoi organismi informatici come un modello di vita, su questo pianeta e su qualsiasi altro. <i>"La questione se un tipo di simbioorganismo si sviluppi nella memoria di un computer digitale mentre un altro tipo si sviluppi in un laboratorio chimico o mediante un processo naturale su qualche pianeta o satellite non aggiunge nulla di fondamentale a questa differenza"</i>, scrisse. Un mese dopo che Barricelli aveva iniziato i suoi esperimenti sulla macchina IAS, Crick e Watson annunciarono la forma del DNA come una doppia elica. Ma conoscere la forma della vita biologica non ha intaccato la convinzione di Barricelli di aver catturato i meccanismi della vita su un computer. Lasciamo che Watson e Crick definiscano il DNA una doppia elica. Barricelli li chiamava “numeri a forma di molecola”.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ogni due cicli prendeva un campione dalla memoria del MANIAC e lo stampava.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Rigogliosi paesaggi matematici simili a giganteschi quadri espressionisti astratti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'elettroencefalogramma di un folle. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fissava un punto e gridava Perfetto! quando gli organismi si erano scambiati dei "geni" per creare un simbionte. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Scandaloso! quando diventavano parassiti.</span></div></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gli esperimenti di Barricelli avevano anche un lato estetico. Insolitamente per l’epoca, convertì gli 1 e gli 0 digitali della memoria del computer in immagini pittoriche per evidenziare i suoi organismi numerici Quelle immagini, e le idee alla loro base, avrebbero influenzato gli animatori computerizzati nelle generazioni a venire.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli non si è limitato a creare un universo di organismi numerici, ha convertito i suoi organismi in immagini. I conteggi computerizzati di 1 e 0 si sarebbero poi auto-organizzati in griglie visive di squisita varietà e consistenza.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQtrCs0Zz46KPAm57kFF_v5s-ayjrjMknBPQPc1UJnCLIq-uugbhqtp62aJoioVYBEALECDzP6Gha3YgCZ5pK0JRihvZb7konVzG4fK8wz6PxtmgwkAAhacYQ_tf48FjOIu40ocx2HXp77ssFBCSdtQdgrRZONg-Vx07redvxHUKn_brwCF_cZOLeZCsI/s1769/31-32.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1769" data-original-width="893" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQtrCs0Zz46KPAm57kFF_v5s-ayjrjMknBPQPc1UJnCLIq-uugbhqtp62aJoioVYBEALECDzP6Gha3YgCZ5pK0JRihvZb7konVzG4fK8wz6PxtmgwkAAhacYQ_tf48FjOIu40ocx2HXp77ssFBCSdtQdgrRZONg-Vx07redvxHUKn_brwCF_cZOLeZCsI/w324-h640/31-32.PNG" width="324" /></a></div><br />Barricelli era convinto che i numeri potessero cominciare a sviluppare una vita propria.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sono l'inizio di una qualche forma di vita aliena o semplicemente modelli della vita? No, non sono modelli. Sono una particolare categoria di strutture autoreplicanti, già definite!</span></div></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Ma deve essere ben chiaro che il compito delle nostre ricerche non è stato quello di indagare come si siano svolte le prime fasi dell’evoluzione biologica. Il nostro compito è invece di indagare se processi di evoluzione in base agli stessi principi che, come si suppone, regolano l’evoluzione biologica sono possibili e come si svolgerebbero inizialmente partendo da elementi numerici o di qualsiasi natura anche se completamente diversi dai virus e dai geni, purché capaci di riprodursi, di mutare ereditariamente e di associarsi in organizzazioni (simbioorganismi) che offrono un vantaggio selettivo”.</i></span></div><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Processi di evoluzione secondo i principi dell’evoluzione biologica e i cui i fenomeni di incrocio (o riproduzione sessuale) hanno una parte preponderante, possono essere realizzati con molti tipi di elementi capaci di riprodursi, mutare ed associarsi in simbioorganismi. Non si tratta quindi di un fenomeno particolare caratteristico per un determinati tipo di elementi, come ad esempio le molecole degli acidi desossiribonucleici (virus e geni), ma di un fenomeno statistico generale che interessa molti tipi di elementi con le suddette proprietà”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“La possibilità di produrre processi di evoluzione insieme agli stessi principi che regolano l’evoluzione biologica, ma partendo da elementi autoriproduttivi di natura qualsiasi, solleva la questione se gli organismi numerici ed eventualmente altri organismi che possono essere sviluppati in simili processi di evoluzione siano da considerarsi come organismi viventi. Teoricamente siffatti organismi, se sviluppati in universi di dimensioni sufficienti e in condizioni adatte, potrebbero avere le stesse e forse anche maggiori possibilità di evoluzione e varietà di forme. Che si voglia o no riconoscerli come organismi viventi, ciò potrà in definitiva essere una questione di definizione. Volendo scegliere una definizione molto comprensiva si potrebbe considerare come vivente ogni organismo capace di riprodursi e di subire cambiamenti ereditari. Con questa definizione sarebbero viventi non solo i virus e i geni, ma anche gli organismi numerici e gli elementi numerici che li compongono”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Ma anche volendo considerare come viventi soltanto i simbioorganismi di natura, diciamo così, albuminica, non bisogna credere che tutti questi organismi debbano necessariamente rassomigliare alle forme di vita che conosciamo sulla Terra né che la Terra debba essere necessariamente l’ambiente migliore per lo sviluppo di siffatte forme di vita”.</i></span></div></span><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma alla fine i suoi esperimenti fallirono. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Sebbene io abbia creato una classe di numeri capaci di riprodursi e di subire mutamenti ereditari, l’evoluzione numerica non va molto lontano e non ha prodotto in nessun caso un livello di fitness sufficiente a mettere la specie al riparo dalla totale distruzione e ad assicurare un processo evolutivo illimitato come quello che ha avuto luogo sulla Terra e che ha portato a organismi sempre più avanzati. Manca qualcosa che permetta di spiegare la formazione di organi e di facoltà complesse come quelle degli organismi viventi. Per quante mutazioni facciamo, i numeri restano sempre numeri. Non diventeranno mai organismi viventi! </i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Appunti presi in preda alla disperazione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ciarlatano/visionario? </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Probabilmente entrambe le cose. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Molto in anticipo sul suo tempo. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Troppo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le sue entità numeriche evolvevano in un universo digitale vuoto nel corso dei pochi cicli di calcolo lasciati liberi dalla bomba all’idrogeno. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Chissà cosa sarebbe riuscito a ottenere con più cicli a disposizione. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma svanirono senza lasciare tracce. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Molte delle sue idee furono riscoperte in seguito da altri ricercatori che non erano a conoscenza del suo lavoro.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fu Johnny a seppellirlo? Forse. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fra loro accadde qualcosa. Litigarono di brutto. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nessuno dei due ha mai riconosciuto il lavoro dell'altro. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nemmeno una parola nei loro scritti. Ho controllato. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come se non si fossero mai conosciuti. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Johnny è ancora riverito come il padre della vita artificiale. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre l'altro pazzo non lo ricorda nessuno. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un giorno di punto in bianco gli fu negato l'accesso al MANIAC. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Non lo vedemmo mai più.</span></div></span><div style="text-align: justify;"></div></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ciò che ha sepolto Barricelli nell'oscurità è qualcosa di misterioso. Essere intransigente nelle sue opinioni e non un giocatore di squadra, senza dubbio ha portato all’isolamento di Barricelli dal mainstream accademico. Ma è probabile che Barricelli e l’indomabile von Neumann non andassero più d’accordo.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In un successivo capitolo che Labatut attribuisce alla testimonianza di Barricelli, forse è contenuta la verità sul suo allontanamento da Princeton e dal MANIAC:</span></div></span><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Non sono pazzo. Non sono mai stato pazzo. Non sono folle, anche se molte mi hanno definito così. In tutti questi anni travagliati, questi anni infernali passati a lavorare lontano da tutti, ignorato, vilipeso e invisibile, non ho perso la testa, non ho lasciato che lo sconforto mi conducesse alla follia e mi precipitasse nel delirio. </i>(...)<i> Sono un uomo di scienza. Un sostenitore del potere della verità, un avversario dell'ignoranza e un nemico naturale del nichilismo e dell’incommensurabile abisso della disperazione, perché mi sono votato al futuro. </i>(...)<i> Ma io ho visto qualcosa che mi ha fatto capire che esistono lande selvagge irriducibili alla sola logica, qualcosa che si fa beffe dei venerati principi che gli scienziati hanno tanto a cuore, quel loro cuore debole è pavido - ho visto la vita digitale. Non è in arrivo, è qui. Le creature che ho immaginato si stanno evolvendo più in fretta di quanto potrebbe fare un qualunque sistema biologico. Tanto belle quanto inevitabili. </i>(...)<i> Perciò ho sopportato l’umiliazione di divenire un oggetto di scherno. Uno zimbello. Un esempio negativo, deriso da uomini inferiori sospinti in alto dalle volgari gerarchie del mondo. </i>(...)<i> Ormai è la rabbia a sostenermi </i>(...)<i> Perché è stato a causa della rabbia, del puro rancore cieco che una volta - una volta sola - sono andato vicino a perdere la testa. Ira e sdegno, stizza e odio nei confronti della gazza ladra, di quel demonio sorridente, John von Neumann.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Ha rubato le mie idee! Ha sabotato e usurpato i miei esperimenti, quei numeri scrupolosamente ibridati tra loro che già traboccavano di promesse di vita, e quando non è riuscito a piegarli ai suoi obiettivi li ha distorti e travisati. (...) Usando la sua influenza, ha seppellito la mia ricerca e anche il mio nome, prima negandomi l’accesso al suo calcolatore (il MANIAC, nome quanto mai appropriato), poi evitando deliberatamente qualunque riferimento diretto al mio lavoro in uno dei suoi libri, proprio quello che - per motivi che mi sfuggono - viene considerato da tutti come il compendio definitivo sugli automi e gli organismi digitali. </i>(...)<i> Non ho nemmeno potuto far ricorso: quel bastardo è morto prima di completare il suo libro. </i>(...)<i> Da allora sono rimasto impotente a guardare mentre altri sfruttavano e mietevano un campo che ero stato io il primo a concimare, seminare e far germogliare. </i>(...)<i> Ed è stato allora, quando mi trovavo a un passo dalla scoperta, quando la mia terra promessa cominciava a profilarsi all’orizzonte, che von Neumann ha preso a interessarsi al mio progetto.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>All’inizio ne era affascinato quanto me. Arrivava all’istituto nel cuore della notte - l’unico momento in cui mi era concesso lavorare - e mi tempestava di domande molto insistenti. Da quel che sceglieva di chiedere si capiva la qualità del suo pensiero </i>(...)<i> ed ebbi l’opportunità di scrutare dentro la sua testa. Mi chiese se avessi sentito parlare delle macchine di Turing con oracolo. Col tempo sono giunto a considerare quella semplice domanda come un test </i>(...)<i> Turing anelava a qualcosa di diverso </i>[dai calcolatori moderni]<i>, una macchina capace di guardare oltre la logica e comportarsi in modo più simile agli esseri umani, che sono dotati non solo di intelligenza, ma anche di intuito. </i>(...)<i>”</i></span></div></span></blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nella sua accezione più ampia, un oracolo può essere considerato come una serie di procedure di decisione in grado di superare i limiti di una Macchina di Turing, In pratica, l’accesso all’oracolo renderebbe una macchina ibrida capace di affrontare classi di problemi che nessun sistema algoritmico può risolvere. Un altro campo in cui gli oracoli hanno mostrato una funzione teorica è nella classificazione dei problemi “trattabili” o “intrattabili”, risolvibili cioè in tempo polinomiale o esponenziale in relazione alla dimensione n del problema. Ovviamente, il potere di calcolo di una macchina di Turing con oracolo è conseguenza diretta delle caratteristiche di decidibilità del linguaggio oracolo. Una macchina di Turing con oracolo è tale se, di fronte a un problema computazionale incalcolabile, almeno in certo tempo, in cui è necessaria una scelta (sì o no), tira a indovinare, esattamente come facciamo noi.</span></div><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Non dimenticherò mai quel momento. </i>(...)<i> Ero arrivato all’istituto a mezzanotte e stavo scendendo le scale che conducevano al MANIAC, quando </i>(...)<i> mi accorsi subito, con mio estremo sconcerto, che il MANIAC stava lavorando a pieno regime, e che von Neumann stava facendo girare il mio codice. Il </i>mio<i> codice!” </i>(...)<i> Lui mi assecondò è non parve risentirsi per il mio tono, ma quando notai che aveva ottimizzato diverse subroutine e introdotto importanti cambiamenti nei miei successivi cicli computazionali, alterando le mie istruzioni in modi che non riuscivo a comprendere, persi il controllo. Mi sentii a tal punto tradito che lo spinsi via è balzai in avanti per interrompere il processo prima che fosse troppo tardi. </i>(...)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Non riesco a ricordare cosa dissi a quel mostro per allontanarlo dal mio esperimento, ma ricordo con assoluta chiarezza che lui reagì in modo sorprendentemente pacato. </i>(...)<i> Fece orecchie da mercante alle mie lamentele e si limitò ad andarsene senza proferire parola, e senza scusarsi per quel che aveva fatto. Né mai si sarebbe scusato in futuro. Quella fu l’ultima volta in cui ci parlammo, e capii subito che i miei giorni col MANIAC erano contati”.</i></span></div></span></blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Insomma, mentre Barricelli voleva ricreare la vita in un ambiente digitale, von Neumann voleva creare l’intelligenza artificiale. In più era molto più potente, e non certo uno stinco di santo.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Barricelli morì a Oslo nel 1993, solo e dimenticato.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-82069371307472143022023-11-15T18:20:00.000+01:002023-11-15T18:20:06.328+01:00Il sordido Merezhkovsky<p style="text-align: justify;"> </p><p><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVyU6ja2EQV9pHJAsVOFC11NsOIyo-9NWf4AX20y1FvqFgi0eEdGU3qSiGC-7ezNv6T7HAdXW2YRdkNW2zmQseD5uwyM8dNrFfANW2-zoeABX8vlAGCMnLVetgdk421dZPHKrs64ekEma0s23wZG5It8k_OklPeS8355bXfYepREUniz98nRNYvz8H_6g/s1754/IMG_5455.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1754" data-original-width="1299" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVyU6ja2EQV9pHJAsVOFC11NsOIyo-9NWf4AX20y1FvqFgi0eEdGU3qSiGC-7ezNv6T7HAdXW2YRdkNW2zmQseD5uwyM8dNrFfANW2-zoeABX8vlAGCMnLVetgdk421dZPHKrs64ekEma0s23wZG5It8k_OklPeS8355bXfYepREUniz98nRNYvz8H_6g/w474-h640/IMG_5455.jpg" width="474" /></a></span></div><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></span></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Le storie che si raccontano sugli scienziati sono spesso eroiche. La figura la cui idea rivoluzionaria viene rifiutata, dimenticata e poi confermata è un classico di tale narrazione. A mio parere, uno dei principali difetti della divulgazione in rete delle conquiste della scienza è quello di presentare molti scienziati e scienziate come individui eccezionali, spesso in lotta contro ambienti sociali e intellettuali ostili, talvolta illuminati da improvvisi lampi di genio e da considerare come nuovi maestri di saggezza, di cui si ricordano frasi celebri come meme o si citano aneddoti edificanti. Va bene, alcuni lo sono stati, ma in realtà gli uomini e le donne di scienza sono esseri umani come tutti gli altri, con i loro pregi e difetti, che talvolta possono essere addirittura dei crimini.</span></div><p></p><p style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Lasciamo perdere le frodi accademiche, oramai tanto diffuse da sembrare banali, in cui ambizione, sete di profitto e di carriera, hanno portato e portano tuttora alcuni a plagiare le scoperte di altri, a truccare o aggiustare i dati sperimentali, a pubblicare su riviste a pagamento di dubbia affidabilità, addirittura a minacciare fisicamente o a denunciare chi li sbugiarda (per fortuna la comunità scientifica ha sviluppato per sua natura un cospicuo apparato di anticorpi e di metodi per scoprire le truffe, che prima o poi vengono smascherate).</span></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lasciamo anche perdere i casi più clamorosi e citati in cui, in particolari momenti della storia, mossi dal nazionalismo e dall’ideologia, con scopi fatti addirittura passare per “umanitari”, alcuni singoli o gruppi di scienziati hanno progettato e propugnato armi di distruzione di massa per finire in fretta una guerra (i gas nelle trincee, la bomba atomica) o addirittura evitarne altre (alcuni tra gli “alieni ungheresi” emigrati negli USA furono tentati dall’idea di bombardare preventivamente l’Unione Sovietica con le bombe A prima che i russi potessero averle anch’essi, per evitare una Terza guerra mondiale).</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">No, in questo caso parlo di crimini più comuni e odiosi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Prendiamo il caso di Konstantin Merezhkovsky (1855-1921), considerato il “padre” della simbiogenesi (termine da lui coniato). Nei primi decenni del ventesimo secolo, suggerì che gli organelli cellulari come i mitocondri e i cloroplasti si fossero originati dalla simbiosi di organismi più semplici simili ai batteri. Presentò questa teoria nel 1910, nel suo lavoro </span><i style="font-family: inherit;">“La teoria dei due plasmi come base della simbiogenesi, un nuovo studio sulle origini degli organismi”</i><span style="font-family: inherit;">, sebbene i fondamenti dell'idea fossero già apparsi nel 1905 nel precedente articolo, </span><i style="font-family: inherit;">“La natura e le origini dei cromatofori nel regno vegetale”</i><span style="font-family: inherit;">. Le sue idee furono a lungo respinte e considerate eccentriche. Eppure, i suoi articoli a lungo dimenticati, ridicolizzati o emarginati, hanno in seguito ricevuto consensi in tutto il mondo. Eppure, eppure, questo geniale naturalista fu anche una spia zarista, un proto-nazista antisemita e un pedofilo seriale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nato nella famiglia di un alto funzionario imperiale, Konstantin Sergeevic Merezhkovsky (Константи́н Серге́евич Мережко́вский, poi traslitteratelo come più vi piace), ricevette una buona educazione. Il padre, Sergei Ivanovich, prestò servizio sotto gli imperatori Nicola I e Alessandro II nell'ufficio del dipartimento di corte. La madre era la figlia del direttore dell'ufficio del capo della polizia di San Pietroburgo. La famiglia contava cinque fratelli e tre sorelle, di cui uno, Dmitrij Sergeevic, diventò poeta simbolista e scrittore di romanzi impregnati di religiosità tipicamente russa.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1869 Konstantin entrò alla Facoltà di Giurisprudenza, poiché il padre voleva che suo figlio maggiore continuasse le tradizioni familiari e diventasse un funzionario, ma nel 1875 fece domanda all'Università Imperiale di San Pietroburgo per il dipartimento di scienze della natura della Facoltà di Fisica e Matematica. Mentre era ancora studente, sotto la guida dello zoologo degli invertebrati Nikolai Petrovich Wagner, iniziò a condurre studi scientifici (principalmente zoologici): si interessò alle diatomee e pubblicò i suoi primi lavori. Conseguì il diploma universitario il 20 novembre 1880.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dopo la laurea fu mandato all'estero per due anni, dove studiò antropologia, zoologia e in parte botanica a Berlino, Parigi e Lipsia, oltre che alla stazione di biologia marina di Napoli. Al ritorno dall'estero, nel 1883 discusse la sua tesi </span><i style="font-family: inherit;">"Materiali per la conoscenza dei pigmenti animali"</i><span style="font-family: inherit;"> e tenne lezioni di zoologia all'Università di San Pietroburgo (1884) e ai corsi superiori femminili. Nel 1880-1886 fu collaboratore di Wagner, e poi suo assistente. Le principali ricerche di questo periodo riguardavano i celenterati, gli idrozoi e le spugne.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1883 sposò Olga Petrovna Sultanova. Nel 1886 emigrò improvvisamente dalla Russia per motivi inspiegabili, forse collegati ad atti di violenza sessuale su minori per i quali fu alla fine perseguito penalmente. La famiglia si stabilì in Crimea, dove Konstantin trovò lavoro come botanico studiando le varietà di uva; creò anche una consistente collezione di diatomee del Mar Nero.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il periodo di Crimea (1886-1898) fu segnato da studi speciali sulle diatomee del Mar Nero e del Mar d'Azov, nel 1897 lavorò alla stazione di Sebastopoli, poi andò alla stazione russa di Villefranche-sur-Mer presso Nizza, dove studiò le alghe. In questo periodo furono redatte le sue principali opere sulle diatomee. Contemporaneamente pubblicò articoli sulla viticoltura; nel 1898 gli fu commissionato uno studio fondamentale con illustrazioni, </span><i style="font-family: inherit;">“Ampelografia </i><span style="font-family: inherit;">[studio dei vitigni</span><i style="font-family: inherit;">] della Crimea”</i><span style="font-family: inherit;">. Nel 1898 lasciò la moglie e il giovane figlio in Crimea ed emigrò improvvisamente in America, dove prese il nome di William Adler.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Merezhkovsky rimase in America per 4 anni (1898-1902); lavorò all'Università di Berkeley vicino a San Francisco e visse per qualche tempo a Los Angeles sotto pseudonimo. Studiò le alghe, scrisse </span><i style="font-family: inherit;">“Studi sull'endocromo delle diatomee”</i><span style="font-family: inherit;">, pubblicò una serie di lavori che descrivevano nuovi </span><i style="font-family: inherit;">taxa</i><span style="font-family: inherit;">. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti, scrisse </span><i style="font-family: inherit;">Il paradiso terrestre, o sogno di una notte d'inverno</i><span style="font-family: inherit;">, una favola ambientata nel ventisettesimo secolo: essenzialmente un’utopia fascista-eugenetica, con la riproduzione di una nuova razza umana secondo la sua forma ideale pedofila e l'utilizzo di schiavi asiatici e africani.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1902 tornò in Russia. Il 18 febbraio 1902 prese il posto di curatore del museo zoologico dell'Università di Kazan. Nel 1903 discusse la sua tesi sul tema </span><i style="font-family: inherit;">"Sulla morfologia delle diatomee"</i><span style="font-family: inherit;"> e conseguì un master in botanica, dove sviluppò il suo nuovo interesse per i licheni. Il 14 gennaio 1904 Merezhkovsky fu nominato assistente professore nel dipartimento di botanica. Il 14 ottobre 1906 fu nominato professore straordinario ad interim presso l'Università Imperiale di Kazan. Il 17 gennaio 1907 fu confermato dottore in botanica e dal 1° gennaio 1908 divenne professore ordinario.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La duplice natura dei licheni come funghi e alghe, segnalata per la prima volta dal botanico svizzero Simon Schwendener nel 1867, aveva portato diversi biologi a considerare il ruolo della simbiosi nell'evoluzione. I licheni mostrano come nuovi organismi possano essere sintetizzati da due diversi tipi di organismi che vivono in intima associazione. Herbert Spencer aveva utilizzato la simbiosi dei licheni come microcosmo della sua visione super-organismica della vita. Lo vedeva come un “accordo comunista” basato su una divisione del lavoro tra pianta e animale. Ma le interpretazioni del rapporto tra alghe e funghi variavano, poiché i botanici impiegavano una varietà di metafore antropomorfe: Schwendener vedeva il lichene in termini di schiavitù da parte di un padrone fungino sulle alghe catturate, Johannes Reinke interpretava il rapporto come un consorzio.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il famoso biologo tedesco Anton de Bary coniò il termine </span><i style="font-family: inherit;">simbiosi </i><span style="font-family: inherit;">nel 1879 come parola neutra semplicemente per indicare la convivenza di due o più organismi con nomi diversi, per abbracciare un continuum di relazioni dal parassitismo al mutualismo. Il termine </span><i style="font-family: inherit;">symbiotismus</i><span style="font-family: inherit;"> era stato utilizzato l’anno precedente da Albert Bernard Frank, ricordato oggi soprattutto per i suoi studi pionieristici sulla simbiosi tra funghi e radici di piante da lui denominata “micorriza”. A partire dal 1880, furono trovate prove di alghe che vivevano all'interno dei protozoi e nel tessuto delle spugne, dell'idra e di alcuni vermi. Anche la simbiosi di batteri che fissano l'azoto nei noduli radicali delle leguminose è un fenomeno diffuso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando tali esempi di simbiosi furono considerati alla luce di nuove prove citologiche della continuità fisica dei cloroplasti, portarono molti ricercatori a suggerire che varie parti della cellula (nucleo, citoplasma, cloroplasti, mitocondri e centrioli) si fossero evolute come simbionti. Che i cloroplasti potessero essere sorti come organismi simbiotici indipendenti era stato menzionato da molti biologi negli anni 1880 e 1890, tra cui l'ex studente di de Bary Andreas Schimper, che aveva notato che i cloroplasti delle cellule vegetali somigliavano ai cianobatteri. Merezhkovsky ricordava che l’idea gli era venuta “in modo del tutto spontaneo” dopo aver letto il classico articolo di Schimper del 1885. Schimper aveva anche suggerito che i cloroplasti potrebbero essersi formati per simbiosi nel suo famoso articolo del 1883 in cui coniò il termine “cloroplasto”.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Merezhkovsky sosteneva che gli organelli cellulari, il nucleo e i cloroplasti sono i discendenti di batteri che si sono evoluti in una simbiosi intracellulare con le amebe. Le idee di Merezhkovsky, a lungo rifiutate, diedero però il via una corrente sotterranea che percorse tutto il Novecento, finché sfociò nella moderna teoria della simbiogenesi sviluppata e resa popolare negli anni Settanta dall’americana Lynn Margulis, e ora ampiamente accettata nella visione darwinista come una forma di “evoluzione parallela”. La visione moderna è che si siano verificati due eventi endosimbiotici, uno con l’incorporazione di batteri che divennero i mitocondri di tutti gli eucarioti, e un altro subito dopo, nella linea che portò alle piante, per formare i cloroplasti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQqGPspIND1SU_n7COEFi5rvdW3dO05ibQL2Yj9oKAVLVLxaNG4f8jrRSbBik2vLIMrUdPwkq8HD_rLtm70QIWYUyb9E0ELDfM-WKbDbf9EIhaB9C0JpYVQZtxLm77bDDeUDk_uc3YcdfGrZP0pFLEfPKxw8Ogn7y6BUhJwTTWnKYJ9FfhyphenhyphenfvPy02mqps/s1407/IMG_5459.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="788" data-original-width="1407" height="358" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQqGPspIND1SU_n7COEFi5rvdW3dO05ibQL2Yj9oKAVLVLxaNG4f8jrRSbBik2vLIMrUdPwkq8HD_rLtm70QIWYUyb9E0ELDfM-WKbDbf9EIhaB9C0JpYVQZtxLm77bDDeUDk_uc3YcdfGrZP0pFLEfPKxw8Ogn7y6BUhJwTTWnKYJ9FfhyphenhyphenfvPy02mqps/w640-h358/IMG_5459.jpg" width="640" /></a></div><br />Verso la fine del secolo, Merezhkovsky costituì un considerevole erbario di licheni, contenente oltre 2000 esemplari raccolti dalla Russia, dall'Austria e dal Mediterraneo. La collezione è conservata all'Università di Kazan.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come molti studenti russi della fine del XIX secolo, Merezhkovsky iniziò ad essere a favore della rivoluzione. Ma finì per diventare un collaboratore della polizia segreta dello zar. Fu anche uno degli organizzatori di un'organizzazione nazionalista e antisemita di Kazan: il "Dipartimento di Kazan dell'Unione del popolo russo", un'organizzazione sostenuta dallo zar, ed era un mediatore segreto per il Ministero degli affari interni. In qualità di "professore di destra", come veniva chiamato, il suo compito era quello di cercare e riferire su tutte le circostanze pericolose e sospette e di sradicare gli ebrei e gli altri "traditori". Molti dei suoi colleghi furono allontanati dopo le sue denunce segrete e persino pubbliche al giornale di Kazan. Infatti, al famoso biologo, ittiologo e geografo fisico Lev Simonovic Berg (1876-1950), fondatore della limnologia in Russia, fu impedito di ottenere una cattedra all’Università di Kazan dopo le denunce pubbliche di Merezhkovsky. Berg era ebreo e Merezhkovsky lo odiava. Nel frattempo, continuò a fare scienza, fino a quando scoppiò lo scandalo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il 12 aprile 1914 presso il Dipartimento di Giustizia di San Pietroburgo fu aperto il procedimento penale numero 1303. (Fu chiuso il 22 febbraio 1917 e nel 1931 l'archivio fu distrutto per ordine della Direzione archivistica centrale). Un procedimento penale fu aperto anche a Kazan il 28 aprile da un investigatore del tribunale distrettuale della città. Il ministro della Pubblica Istruzione destituì Merezhkovsky dall'incarico di professore ordinario di botanica all'Università di Kazan e lo mise solo a disposizione. Merezhkovsky rimase ufficialmente in quella posizione fino al febbraio 1917.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Merezhkovsky fu accusato di pedofilia (di aver violentato almeno 26 ragazzine), e fuggì un’altra volta all'estero. Ne seguì uno scandalo di portata nazionale. Casi più vecchi rivelarono che era fuggito da San Pietroburgo nel 1886, poi dalla Crimea nel 1898, per paura di essere perseguito per stupro di giovani ragazze (non è escluso che fosse avvertito in precedenza dai suoi protettori politici). Sembra che anche in California fosse stato sospettato di almeno un episodio di violenza sessuale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Merezhkovsky era fuggito in Francia nel 1914 dove rimase per gran parte della guerra: Nizza, Mentone e Parigi. Nel febbraio 1918 si rifugiò in Svizzera dove rimase per il resto della sua vita. Viveva molto modestamente grazie al reddito risparmiato, in una stanza dell'Hôtel des Familles a Ginevra. Fu lì, due settimane prima della fine della guerra, il 25 ottobre 1918, che tenne la sua ultima relazione su quello che considerava “il lavoro della sua vita”. Questa presentazione fu la base del suo lungo articolo, </span><i style="font-family: inherit;">La plante considérée comme un complexe symbiotique</i><span style="font-family: inherit;">, pubblicato due anni dopo nel "Bulletin de la Société des Sciences Naturelles de l’Ouest de la France". Merezhkovsky era amareggiato, malato e stanco. Come lamentava, da quando aveva annunciato la sua teoria sulla natura simbiotica dei cloroplasti nel 1905, “aveva fatto pochi progressi”; spesso veniva “completamente ignorato”. Aveva intenzione di scrivere un libro sull'argomento, ma altri lavori lo ostacolarono e poi, durante la lotta politica in Russia prima della guerra, era diventato troppo debole per scriverlo; “alla fine la guerra, la rivoluzione..." Così, osservava, "è solo oggi, alla vigilia di lasciare questo triste mondo, che ho deciso di sviluppare un po' più in dettaglio le mie idee per consolidare e ampliare la base su cui poggiano” . Merezhkovsky riferiva di aver scritto a più di cinquanta scienziati, editori e istituzioni (tra cui la Carnegie Institution) chiedendo loro di pubblicare l'opera, e spiegando loro che essendo privo di ogni risorsa non gli restava molto da vivere.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il suo ultimo scritto, pubblicato a Ginevra, fu l'opera filosofica cosmogonica </span><i style="font-family: inherit;">“Il ritmo universale come base di un nuovo concetto dell'universo”</i><span style="font-family: inherit;"> (1920), dove combinava il suo antisemitismo, l'eugenetica e un afflato spiritualista con l'idea che fosse "un salvatore dell'umanità". In esso prefigurava con approvazione la campagna di sterminio nazista contro gli ebrei europei.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZzG9eGJzQLFHgHxrWCQidMPZam8cioqRyXF-qXmhyPoz_QFQYP23NL0pmvQP-fBjgvyDMXUzu1zrk2Jjky7Mo7NH3zZEOk_yF-5ACbPuyx8gmQSkDsoz-YZE8-QeOo6kyDtgLjY1TMPqeIWl9atDjAEKAMqEt8cMqxQwdmvpZWFkG1fPfxTcTAfOanEM/s1357/IMG_5456.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="838" data-original-width="1357" height="396" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZzG9eGJzQLFHgHxrWCQidMPZam8cioqRyXF-qXmhyPoz_QFQYP23NL0pmvQP-fBjgvyDMXUzu1zrk2Jjky7Mo7NH3zZEOk_yF-5ACbPuyx8gmQSkDsoz-YZE8-QeOo6kyDtgLjY1TMPqeIWl9atDjAEKAMqEt8cMqxQwdmvpZWFkG1fPfxTcTAfOanEM/w640-h396/IMG_5456.jpg" width="640" /></a></div><br />A Ginevra cadde gravemente depresso, rimase senza soldi e il 9 gennaio 1921 fu trovato morto nella sua camera d'albergo dell'Hotel des Families, legato al letto con una maschera alimentata con un gas asfissiante da un contenitore metallico. Sembra che il suo suicidio fosse direttamente collegato alle sue convinzioni utopiche pedofile così come alla sua opinione che stava diventando troppo vecchio e malato per continuare la sua carriera di abusi sulle minorenni. Lasciò un biglietto scritto in latino, che poi andò perduto: "Troppo vecchio per lavorare e troppo malato per vivere" furono le ultime parole.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-61562195647369690442023-08-17T18:58:00.000+02:002023-08-17T18:58:27.640+02:00La matematica (e la scienza) in Arcadia<p style="text-align: justify;"> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAmA8QPt7nf1NRI2pvR5SBLI67ZJ0XKnTN0IlAk0HpPvkLK4pl9LKR25MyC5rqSKQBPBJhPbqV-selwHku6T5PoACaiJdugJFwkymU6plCVAZjLiYGQSC8IS4yBz1PVw94WAKVIGqrXyno7lk1AFn3iN1jeMuL6u1Qce4RGggUYb-GpoErSTE7xhFxwXY/s2560/81dFwi-2HFL.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2560" data-original-width="1634" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAmA8QPt7nf1NRI2pvR5SBLI67ZJ0XKnTN0IlAk0HpPvkLK4pl9LKR25MyC5rqSKQBPBJhPbqV-selwHku6T5PoACaiJdugJFwkymU6plCVAZjLiYGQSC8IS4yBz1PVw94WAKVIGqrXyno7lk1AFn3iN1jeMuL6u1Qce4RGggUYb-GpoErSTE7xhFxwXY/w408-h640/81dFwi-2HFL.jpg" width="408" /></a></div><br />Sir Tom Stoppard (1937), è un drammaturgo, regista e scrittore britannico di origine cecoslovacca. Premio Oscar per la sceneggiatura di </span><i style="font-family: inherit;">Shakespeare in Love</i><span style="font-family: inherit;">, Stoppard è uno dei più apprezzati e prolifici autori britannici del secondo Novecento. Tra le sue opere è molto nota </span><i style="font-family: inherit;">Rosencrantz e Guildenstern sono morti</i><span style="font-family: inherit;">, uno spin-off scespiriano poi divenuta un film nel 1990 premiato con il Leone d'oro a Venezia. Nella sua commedia </span><i style="font-family: inherit;">Arcadia </i><span style="font-family: inherit;">(1993), le idee matematiche formano uno dei principali sottotemi dell'opera. In particolare, argomenti contemporanei come i frattali formano parte integrante della trama, e giocano un ruolo importante anche elementi come l’ultimo teorema di Fermat e la seconda Legge della Termodinamica. L'opera è ambientata in due periodi di tempo, l'inizio del XIX secolo e il presente, nella stessa stanza della tenuta di Sidley Park.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Una stanza davanti al giardino di una grande casa di campagna nel Derbyshire nell'aprile 1809. Oggi sarebbe chiamata una casa signorile. Il muro di fondo è costituito principalmente da finestre alte, ben fatte e senza tende, una o più delle quali fungono da porte. Non c'è molto da dire o da vedere dell'esterno. Veniamo a sapere che la casa sorge nel tipico parco inglese dell'epoca. Forse ne vediamo una indicazione, forse solo luce, aria e cielo.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><i><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">La stanza appare spoglia nonostante il grande tavolo che ne occupa il centro. Il tavolo, le sedie dallo schienale dritto e, l'unico altro elemento di arredo, il tavolo da disegno, sarebbero ora tutti pezzi da collezione, ma qui, su un pavimento di legno senza moquette, non hanno più pretese di un'aula scolastica, che è in effetti l'uso principale di questa stanza in questo momento. L'eleganza che c'è, è architettonica, e niente è impressionante se non la scala. C'è una porta in ciascuna delle pareti laterali. Queste sono chiuse, ma una delle portefinestre è aperta su un mattino luminoso ma senza sole.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">Ci sono due persone, ognuna occupata con libri, carta, penna e inchiostro, occupate separatamente. L'allieva è THOMASINA COVERLY, 13 anni. Il tutor è SEPTIMUS HODGE, 22 anni. Ciascuno ha un libro aperto.</span></i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">(...)</span></i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Septimus, cos'è l'abbraccio carnale?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: L'abbraccio carnale è la pratica di gettare le braccia attorno a un pezzo di carne.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Tutto qui?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: No… una spalla di montone, una coscia di cervo ben abbracciata, un abbraccio di gallo cedrone... caro, carnis-, femminile; carne.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: È peccato?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Non necessariamente, mia signora, ma quando l'abbraccio carnale è peccaminoso è un peccato della carne, QED. (...) Pensavo stessi trovando una dimostrazione per l'ultimo teorema di Fermat.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: È molto difficile, Septimus. Dovrai mostrarmi come.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Se sapessi come fare, non ci sarebbe bisogno di chiederlo. L'ultimo teorema di Fermat ha tenuto occupate le persone per centocinquanta anni, e speravo che ti avrebbe tenuto occupata abbastanza a lungo da permettermi di leggere la poesia di Mr. Chater in lode dell'amore con la sola distrazione delle sue stesse assurdità.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Il nostro signor Chater ha scritto una poesia?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Crede di aver scritto una poesia, sì. Vedo che potrebbe esserci più carnalità nella tua algebra che nel "Divano dell'eros" di Mr. Chater.
THOMASINA: Oh, non era la mia algebra. Ho sentito [il maggiordomo] Jellaby dire alla cuoca che la signora Chater è stata scoperta in un abbraccio carnale nel gazebo.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">(...)</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: L'abbraccio carnale è un bacio?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Sì.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: E abbracciare la signora Chater?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Sì. Ora, l'ultimo teorema di Fermat.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Lo pensavo. Spero che te ne vergogni.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Io, mia signora?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Se non mi insegni tu il vero significato delle cose, chi lo farà?</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Ah. Sì, mi vergogno. L'abbraccio carnale è il congresso sessuale, che è l'inserimento dell'organo genitale maschile nell’organo genitale femminile per scopi di procreazione e piacere. L'ultimo teorema di Fermat, invece, afferma che, quando x, y e z sono numeri interi elevati ciascuno alla potenza di n, la somma dei primi due non può mai essere uguale al terzo quando n è maggiore di 2.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">(Pausa.)</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: Puah!</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Tuttavia, questo è il teorema.</span></i></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">THOMASINA: È disgustoso e incomprensibile. Ora, quando sarò cresciuta per risolverlo da sola, non lo farò mai senza pensare a te.</span></i></div></span></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Thomasina è una giovane ragazza di tredici anni che studia algebra e geometria. Ma non è la tipica studentessa di matematica; come diventa chiaro man mano che la commedia si svolge, Thomasina è un genio che non solo mette in discussione le fondamenta stesse della matematica, ma si prepara anche a cambiare la direzione di innumerevoli secoli di pensiero matematico.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A Thomasina non piace la geometria euclidea. All'inizio della commedia rimprovera Septimus, "Ogni settimana traccio le tue equazioni punto per punto, x contro y in ogni sorta di relazione algebrica, e ogni settimana si disegnano come geometria ordinaria, come se il mondo delle forme non fosse niente che archi e angoli. Verità di Dio, Septimus, se c'è un'equazione per una campana, allora ci deve essere un'equazione per una campanula, e se una campanula, perché non una rosa?" Così decide di abbandonare la geometria euclidea classica per scoprire l'equazione di una foglia, ma potrebbe aver cercato, se l’avesse conosciuto, quella di un broccolo romanesco.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Galileo pensava che “il libro della natura è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche”. Ora, nella nostra esperienza quotidiana, il cerchio, il triangolo equilatero e le figure geometriche in generale sono un'eccezione e non la regola, anzi si può dire che esse non esistano in natura, ma solo come astrazione. Siamo portati dunque a chiederci quale sia la forma di un albero, di una montagna o di una nuvola. Per Galileo anche tali enti ricadevano sotto il campo della geometria, ma la matematica ha sempre preferito studiare la realtà ricercando di ogni fenomeno le sue caratteristiche più semplici, che potessero essere trattate evidenziandone la regolarità e l’armonia, ritenendo che non si potessero studiare oggetti reali dotati di un alto grado di complessità quali la forma di una montagna, o di un albero.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In questa ricerca di un modello sempre più aderente alla realtà, l’introduzione dei frattali ha consentito di compiere passi da gigante, in quanto tramite essi è possibile descrivere oggetti naturali (alberi, coste, il sistema sanguigno...) e fenomeni fisici che sembrano dominati dal caso (la disposizione delle galassie, la sequenza delle piene di un fiume, la frequenza degli errori nelle trasmissioni telefoniche, …), aspetti soltanto sfiorati dalla matematica e dalla geometria classica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lady Croom, la madre di Thomasina, capisce poco del potenziale intellettuale della figlia. Thomasina è mutevole, intensa, brillante e affascinante. Ha un rispetto senza compromessi per i fatti e la verità che si trova nei matematici e nei bambini.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L '"abbraccio carnale" a cui si riferisce Thomasina è solo uno dei tanti che si svolgono a Sidley Park, la tenuta dei Coverly. In effetti, il groviglio di amori incrociati di </span><i style="font-family: inherit;">Arcadia </i><span style="font-family: inherit;">ricorda le commedie </span><i style="font-family: inherit;">vaudeville</i><span style="font-family: inherit;">, anche perché Stoppard non fa mancare brillanti equivoci e doppi sensi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Septimus (compagno di studi e amico di Byron) ha davvero avuto un'avventura con la moglie di Ezra Chater, un poetastro e botanico che è in visita a Sidley Park. Il vero amore di Septimus è però Lady Croom. Abbastanza non tradizionale, tuttavia, è la mutevole virtù di Lady Croom: si diverte con un pianista polacco in visita, con il suo vicino Lord Byron (che mai compare in scena) e, verso la fine della commedia, con lo stesso Septimus.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando lo spettacolo avanza fino ai giorni nostri, Sidley Park è la casa dell'ultima generazione dei Coverly. L'azione odierna si svolge sulla stessa scena, e i costumi sono l'unica indicazione che il tempo è diverso. L’erede dei Coverly, Valentine, è un matematico a Oxford. Usando duecento anni di cronache sui passatempi di Sidley Park (elenchi delle prede uccise durante le battute di caccia), egli sta esaminando i cambiamenti nella popolazione dei galli cedroni. A causa della caccia, dei cambiamenti del regime alimentare e di altri fattori, la popolazione di galli cedroni non è facilmente descritta da una funzione logistica; quindi, Valentine sta cercando di formulare un modello più complesso. A poco a poco, Valentine viene a conoscenza di alcuni dei vecchi misteri che circondano Sidley Park, comprese le scoperte di Thomasina, e questo pone le basi per una serie unica di scene che saltano avanti e indietro tra l'inizio del XIX secolo e il presente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La matematica non è l'unico tema di questa commedia, ovviamente, ma le idee di geometria regolare contro irregolare o caos contro ordine sembrano pervadere tutti gli altri eventi che si verificano a Sidley Park. Siamo spinti ad esempio in un dibattito sugli stili paesaggistici britannici che caratterizzano lo stile classico ordinato contro lo stile irregolare, "pittoresco" che stava diventando di moda agli inizi dell’Ottocento e di cui era propugnatore il paesaggista Richard Noakes, nella residenza con l’incarico di rivoluzionare il giardino (tra i primi utilizzatori della macchina di Newcomen per drenare un lago).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La </span><i style="font-family: inherit;">fiancée </i><span style="font-family: inherit;">(forse) di Valentine, Hannah Jarvis, autrice di libri di successo sui giardini storici, procede metodicamente a scoprire i segreti di Sidley Park, in netto contrasto con la sua antitesi, l’affascinante e arrogante Bernard Nightingale, uno studioso di lettere della Sussex University che fa irruzione nella biblioteca di Sidley Park in cerca di prove che Byron aveva visitato la residenza, ma salta da una teoria all'altra con spericolata leggerezza. In effetti, l'intera commedia contrappone il razionalismo di Newton al romanticismo di Byron.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La teoria di Nightingale (Chater sarebbe stato ucciso in duello da Byron nella tenuta a causa di una perfida recensione), che annuncia in una conferenza stampa, viene diffusa su tutti i giornali ma viene rapidamente minata dalla scoperta di Hannah che Chater è morto in Martinica per il morso di una scimmia (dopo aver scoperto e descritto una nuova specie di dalia). All'estremo opposto, Valentine, essendo un matematico, è molto più circospetto e preciso nelle sue ricerche. Ma è Hannah che si rivela avere la vera anima di un'esploratrice. Ad un certo punto, Valentine vuole abbandonare il progetto sui galli cedroni, ma Hannah gli dice di non arrendersi. "È voler sapere che ci rende importanti", dice. "Altrimenti usciremo da dove siamo entrati."</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In una delle scene più brillanti della commedia, Bernard offre a Valentine un'appassionata tirata contro la scienza. </span><i style="font-family: inherit;">"Oh, mi fulminerai con penicillina e pesticidi. Risparmiami quello e ti risparmierò la bomba e gli aerosol. Ma non confondere il progresso con la perfettibilità. Un grande poeta è sempre puntuale. Un grande filosofo è un bisogno urgente. Non c'è fretta per Isaac Newton. Eravamo abbastanza contenti del cosmo di Aristotele. Personalmente l'ho preferito. Cinquantacinque sfere di cristallo agganciate all'albero motore di Dio sono la mia idea di un universo soddisfacente. Non riesco a pensare a niente di più banale della velocità della luce. Quark, quasar - big bang, buchi neri - a chi [importa]? Come ci avete fregato con tutta quella roba? Tutti quei soldi? E perché siete così soddisfatti di voi stessi?"</i><span style="font-family: inherit;">. E poi, alla fine della sua tirata, cita dolcemente Byron:</span></div></span><i style="font-family: inherit;"><blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">“She walks in beauty, like the night</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Of cloudless climes and starry skies;</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">And all that’s best of dark and bright</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Meet in her aspect and her eyes”</span></div></blockquote></i><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">(“Cammina nella bellezza, come la notte / di climi senza nuvole e cieli stellati, e tutto ciò che c'è di meglio dell’oscurità e della luce / incontra nel suo aspetto e nei suoi occhi”).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il passaggio dal comico al serio funziona: nonostante le visioni retrive della scienza, Bernard ha illuminato un regno in cui la scienza non può avventurarsi. Ciò conduce a una delle domande centrali dell'opera: fino a che punto la scienza e la matematica possono portarci nello spiegare cos'è la vita? Il destino di Septimus è che doveva essere reso pazzo da ciò che Thomasina aveva previsto: la seconda legge della termodinamica assicura che il mondo diventerà sempre più incoerente e disorganizzato.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">All’inizio dell’opera, Thomasina così si rivolge a Septimus:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">THOMASINA: Quando mescoli il tuo budino di riso, Septimus, il cucchiaio di marmellata si spande intorno formando scie rosse come l'immagine di una meteora nel mio atlante astronomico. Ma se mescoli all'indietro, la marmellata non si unirà più. Il budino, infatti, non se ne accorge e continua a tingersi di rosa proprio come prima. Non pensi che sia strano?"</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: No.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">THOMASINA: Beh, lo so. Non puoi separare le cose.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">SEPTIMUS: Non puoi più, il tempo dovrebbe necessariamente scorrere all'indietro, e poiché non lo farà, dobbiamo muoverci in avanti mescolando mentre procediamo, il disordine fuori dall'ordine nel disordine finché il rosa non è completo, immutato e immutabile, e abbiamo chiuso per sempre. Questo è noto come libero arbitrio o autodeterminazione.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Questa scena rivela la curiosità scientifica di Thomasina: anche mentre mescola il budino di riso, tenta di trovare spiegazioni scientifiche per il mondo che la circonda. Le scie di marmellata si muovono verso un disordine più ampio che non può essere rimescolato andando nella direzione opposta. Questo entropico movimento verso un disordine sempre maggiore è caratteristico della teoria del caos, come spiegato più avanti da Valentine. La teoría del caos, spiega Valentine ad Hannah, aiuta gli scienziati ad avvicinarsi agli avvenimenti quotidiani delle cose che li circondano da "ciò che accade in una tazza di caffè".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La sua comprensione che l'algebra era inadeguata a descrivere la natura tormenta Septimus fino alla fine dei suoi giorni. Hannah legge da una vecchia lettera che descrive la vita di Septimus, che finisce i suoi giorni come <a href="https://keespopinga.blogspot.com/2023/08/gli-eremiti-ornamentali-o-da-giardino.html" target="_blank">eremita per trent’anni in una capanna nel giardino della tenuta</a>: era la “matematica francesizzata” che lo ha portato alla malinconica certezza di un mondo senza luce o vita ... come una stufa a legna che deve consumarsi finché cenere e stufa non sono come uno, e il calore è scomparso dalla terra. Hannah legge che” morì a 47 anni, canuto come Giobbe e magro come un torsolo di cavolo”, perseguitato dall’idea della morte termica dell’universo preconizzata da Thomasina. Arcadia presenta un'immagine affascinante di ciò che può accadere quando le persone si preoccupano davvero di ciò che la scienza e la matematica hanno da dire.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Hannah scopre alcuni vecchi taccuini in cui sembra che Thomasina abbia iniziato a sperimentare iterazioni di funzioni. Sebbene lo stesso Valentine stia usando l'iterazione per modellare la popolazione di galli cedroni, resiste all'idea che ciò che ha fatto Thomasina assomigli al suo stesso lavoro, protestando che avrebbe studiato solo matematica classica e che i suoi sarebbero stati solo divertimenti numerici. Dopo il suo tempo, </span><i style="font-family: inherit;">"la matematica si è lasciata alle spalle il mondo reale, proprio come l'arte moderna, davvero", </i><span style="font-family: inherit;">dice</span><i style="font-family: inherit;">. “La natura era classica, la matematica era improvvisamente Picasso. Ma ora la natura sta avendo l'ultima risata. Le cose bizzarre si stanno rivelando essere la matematica del mondo naturale”</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Thomasina ha scoperto la procedura matematica che ora è chiamata </span><i style="font-family: inherit;">sistema di funzioni iterate</i><span style="font-family: inherit;">. Hannah chiede a Valentine come fa. Val spiega che un algoritmo è una ricetta, che se conoscessimo la ricetta per produrre una foglia, potremmo facilmente iterare l'algoritmo per disegnare un'immagine della foglia. </span><i style="font-family: inherit;">"La matematica non è difficile. È quello che hai fatto a scuola. Hai un'equazione in </i><span style="font-family: inherit;">x </span><i style="font-family: inherit;">e </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">. Qualsiasi valore per </i><span style="font-family: inherit;">x </span><i style="font-family: inherit;">ti dà un valore per </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">. Quindi metti un punto dove è giusto sia per </i><span style="font-family: inherit;">x </span><i style="font-family: inherit;">che per </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">. Poi prendi il prossimo valore per </i><span style="font-family: inherit;">x </span><i style="font-family: inherit;">che ti dà un altro valore per </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">... quello che sta facendo è, ogni volta che calcola un valore per </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">, lo usi come prossimo valore per </i><span style="font-family: inherit;">x</span><i style="font-family: inherit;">. E così via: </i><span style="font-family: inherit;">feedback</span><i style="font-family: inherit;">.... Se conoscessi l'algoritmo e lo inviassi in risposta, diciamo diecimila volte, ogni volta ci sarebbe un punto da qualche parte sul piano. Non sapresti mai dove aspettarti il punto successivo. Ma gradualmente inizi a vedere questa forma, perché ogni punto sarà all'interno della forma di questa foglia."</i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un sistema di funzioni iterate è un insieme di </span><i style="font-family: inherit;">n </i><span style="font-family: inherit;">trasformazioni affini (rotazioni, omotetie, traslazioni, rototraslazioni, riflessioni che non sono necessariamente isometrie, non preservano, cioè, angoli e distanze, mentre mantengono sempre il parallelismo tra le rette) che agisce sulla scala degli oggetti trattati.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Normalmente, vengono utilizzati due tipi di algoritmi, la versione deterministica o quella casuale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'algoritmo deterministico consiste nel prendere un insieme di punti, che può essere una qualsiasi figura geometrica, e applicarvi ciascuna delle </span><i style="font-family: inherit;">n</i><span style="font-family: inherit;"> trasformazioni affini del sistema, per cui otteniamo </span><i style="font-family: inherit;">n</i><span style="font-family: inherit;"> serie di punti trasformati. A ognuno di essi applichiamo di nuovo ognuna delle </span><i style="font-family: inherit;">n</i><span style="font-family: inherit;"> funzioni, ottenendo </span><i style="font-family: inherit;">n2</i><span style="font-family: inherit;"> nuove serie di punti. Continuiamo in questo modo iterando i risultati, fino a quando l'unione di tutti gli insiemi ottenuti nell'ultima iterazione si avvicina sufficientemente alla figura che costituisce l'attrattore del sistema. Arriveremo sempre a questo attrattore, indipendentemente dall’insieme iniziale di punti selezionato. Normalmente, non ci vogliono molte iterazioni per ottenere questo insieme frattale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Uno degli attrattori più comuni è il </span><i style="font-family: inherit;">Triangolo di Sierpinski</i><span style="font-family: inherit;">, un frattale così chiamato dal nome di Wacław Sierpiński, che lo descrisse nel 1915. È un esempio base di insieme auto-similare, cioè matematicamente generato da un </span><i style="font-family: inherit;">pattern </i><span style="font-family: inherit;">che si ripete allo stesso modo su scale diverse. Nell’immagine si può vedere come si ottiene da un triangolo equilatero, ma si potrebbe ottenere da qualsiasi altra figura.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPvUXiIJrG5l0VfYs9991ry516jp2QoM-U4pTDFdPxPoFdmXguKJXZDkEKreYUJMVFPyKNEHrSKVneKAwT63LcOudR7oVptuyYXRV7rxUpZaFFD7Iaxf2vQtmv_kqyK0ZkRyXweh02jV4L3zV_d1h_rJvoGZU_3CnCzxZKkjGZC_d2TMyubgcrb_LcIY4/s1536/IMG_5323.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="1536" height="140" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPvUXiIJrG5l0VfYs9991ry516jp2QoM-U4pTDFdPxPoFdmXguKJXZDkEKreYUJMVFPyKNEHrSKVneKAwT63LcOudR7oVptuyYXRV7rxUpZaFFD7Iaxf2vQtmv_kqyK0ZkRyXweh02jV4L3zV_d1h_rJvoGZU_3CnCzxZKkjGZC_d2TMyubgcrb_LcIY4/w640-h140/IMG_5323.jpg" width="640" /></a></div><br />Ancora più antica è la </span><i style="font-family: inherit;">Curva di Koch</i><span style="font-family: inherit;">, che fu descritta per la prima nel 1904 dal matematico svedese Helge von Koch. La generazione della curva di Koch avviene grazie all'esecuzione ripetuta di un programma di istruzioni o procedura ricorsiva: è una procedura perché precisamente definita da un numero finito di passi, è ricorsiva perché viene ripetuta meccanicamente. L'algoritmo della curva consiste nella ripetizione del ciclo sottostante:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Partendo da un segmento di determinata lunghezza:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">• dividere il segmento in tre segmenti uguali;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">• cancellare il segmento centrale, sostituendolo con due segmenti identici che costituiscono i due lati di un triangolo equilatero;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">• tornare al punto 1 per ognuno dei nuovi segmenti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Partendo da un segmento, se ne ottengono quindi quattro (costituenti una linea spezzata) nel primo ciclo, 4x4=16 nel secondo ciclo e così via, generando al limite un elegantissimo frattale. Ingrandendo un qualunque dettaglio del frattale si ottiene ancora lo stesso frattale: in questo consiste l'autosimilarità e la struttura fine dei frattali a qualunque livello di scala.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlLzScztAPGeO7aOYC6qemVinVr4_3_fw1s4DYPBEtp0GFiTXVcfxMC1c_1gBXKlQoqe7RjINBeiq9WBMAcozaS1USzMV4vIaVJXqx3NPMHEZf6PBg-KdRI1BSP6lNndopkxynSw5i63_8eoX2mRP-G9EKOLmWBRxZeOqozzolRTLrckOlorLBO4busbY/s1065/IMG_5321.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1065" data-original-width="1050" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlLzScztAPGeO7aOYC6qemVinVr4_3_fw1s4DYPBEtp0GFiTXVcfxMC1c_1gBXKlQoqe7RjINBeiq9WBMAcozaS1USzMV4vIaVJXqx3NPMHEZf6PBg-KdRI1BSP6lNndopkxynSw5i63_8eoX2mRP-G9EKOLmWBRxZeOqozzolRTLrckOlorLBO4busbY/w394-h400/IMG_5321.jpg" width="394" /></a></div><br />Il </span><i style="font-family: inherit;">fiocco di neve di Von Koch</i><span style="font-family: inherit;"> è una curva costruita operando nello stesso modo sui lati di un triangolo equilatero: si prende il lato, lo si taglia in 3 parti e si sostituisce quella centrale con due segmenti uguali a quello eliminato; si ripete l’operazione con ciascuno dei quattro segmenti così ottenuti e si continua per un numero infinito di volte. La figura che si ottiene, operando sui tre lati, dopo un numero infinito di iterazioni è il fiocco di neve di Koch. Mentre il merletto di Von Koch è chiaramente autosimilare, il fiocco di neve non lo è. Infatti, ingrandendo uno dei lati dopo la prima iterazione otteniamo una copia del merletto e non del fiocco.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>L'algoritmo casuale è simile, ma invece di applicare le funzioni a un insieme di punti, li applichiamo di seguito a un singolo punto, disegnando il risultato ogni volta. Assegniamo <i>un valore di probabilità</i> a ciascuna delle trasformazioni del sistema, tenendo conto che la somma totale dei valori di probabilità delle funzioni deve essere 1. In ogni iterazione dell'algoritmo, selezioniamo una delle trasformazioni con probabilità </span><i style="font-family: inherit;">p</i><span style="font-family: inherit;">. Per far questo è sufficiente ottenere un valore casuale compreso tra 0 e 1 e aggiungere le probabilità di ciascuna funzione una alla volta fino a ottenere un risultato maggiore del numero casuale ottenuto. Questa sarà la funzione selezionata. I primi punti della serie vengono scartati. Poiché di solito sono molto lontani dall'attrattore, il resto viene tracciato fino a ottenere il disegno frattale corrispondente, il che avviene solitamente dopo un numero di iterazioni compreso tra 1000 e 5000.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Assegnando dei valori di probabilità alle nostre trasformazioni possiamo “guidare” l’algoritmo verso forme autosimili che imitano oggetti naturali. Uno dei frattali biomorfi più riusciti è la foglia di felce, i cui dettagli riproducono sempre la stessa immagine di partenza. L’immagine in questione, chiamata </span><i style="font-family: inherit;">felce di Barnsley </i><span style="font-family: inherit;">dal nome del matematico che rese popolare questa procedura, pur essendo creata a computer, è molto simile ad una felce reale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfQfxIbKZ9IKmgY1xiZcCOiBabba49Dw_krE_13qNOz3FkgdjSq6m3hwnp3tnQ6akcod_gQS-aW7IvNczwb4tpVTuIhu8ABirpo5lop3xD2iI-eU-Dj7IiAloiXJU4h3ueBt4TGMmTe2Zs7KshdEc9CbXZ0bys6daWsJbW78tu6HmD0uwhrzdQOW2kZjs/s954/IMG_5317.PNG" imageanchor="1" style="font-family: inherit; margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="852" data-original-width="954" height="572" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfQfxIbKZ9IKmgY1xiZcCOiBabba49Dw_krE_13qNOz3FkgdjSq6m3hwnp3tnQ6akcod_gQS-aW7IvNczwb4tpVTuIhu8ABirpo5lop3xD2iI-eU-Dj7IiAloiXJU4h3ueBt4TGMmTe2Zs7KshdEc9CbXZ0bys6daWsJbW78tu6HmD0uwhrzdQOW2kZjs/w640-h572/IMG_5317.PNG" width="640" /></a></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Valentine si diverte chiaramente in questa nuova matematica. </span><i style="font-family: inherit;">"L'imprevedibile e il predeterminato si svolgono insieme per rendere tutto così com'è", </i><span style="font-family: inherit;">dichiara</span><i style="font-family: inherit;">. "È così che la natura si crea, su ogni scala, il fiocco di neve e la tempesta di neve."</i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre Thomasina lotta con la sua nuova geometria, c'è uno sviluppo matematico parallelo in atto nell'opera. Valentine sta cercando di utilizzare l’iterazione di funzioni per spiegare l’andamento della popolazione di galli cedroni nella tenuta di Sidley Park. Conosce i dati sulle uccisioni di galli cedroni nella tenuta negli ultimi duecento anni e vorrebbe estrapolarli per prevedere le popolazioni future. Curiosamente, sta usando esattamente la stessa tecnica che Thomasina aveva sperimentato anni prima. Beh, non proprio. Come spiega Valentine, </span><i style="font-family: inherit;">"In realtà lo sto facendo dall'altra parte. Lei ha iniziato con un'equazione e l'ha trasformata in un grafico. Ho un grafico - dati reali - e sto cercando di trovare l'equazione che darebbe il grafico se lo usassi nel modo in cui lei usava il suo. L'ho iterato. </i><span style="font-family: inherit;">(...)</span><i style="font-family: inherit;"> È il modo in cui guardi ai cambiamenti della popolazione in biologia. Pesci rossi in uno stagno, diciamo. Quest'anno ci sono </i><span style="font-family: inherit;">x</span><i style="font-family: inherit;"> pesci rossi. L'anno prossimo ci saranno </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;"> pesci rossi. Alcuni nascono, altri vengono mangiati dagli aironi, qualunque cosa. La natura manipola la </i><span style="font-family: inherit;">x</span><i style="font-family: inherit;"> e la trasforma in </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;">. Quindi </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;"> pesci rossi sono la tua popolazione iniziale per l'anno successivo. Proprio come Thomasina. Il tuo valore per </i><span style="font-family: inherit;">y</span><i style="font-family: inherit;"> diventa il tuo prossimo valore per </i><span style="font-family: inherit;">x</span><i style="font-family: inherit;">. La domanda è: cosa succede a </i><span style="font-family: inherit;">x</span><i style="font-family: inherit;">? Qual è la manipolazione? Qualunque cosa sia, può essere scritta in matematica. Si chiama algoritmo”</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Uno degli algoritmi di questo tipo più semplici utilizzati dai biologi delle popolazioni è l'</span><i style="font-family: inherit;">equazione logistica</i><span style="font-family: inherit;">, nota anche come modello di Verhulst, un modello di crescita della popolazione che descrive una crescita con “andamento ad S”: lenta crescita iniziale, seguita da un’accelerazione e poi da un successivo rallentamento in prossimità̀ del valore massimo permesso, che costituisce un limite asintotico della funzione dove non c’è più̀ crescita. Secondo questo modello, il tasso di riproduzione è proporzionale alla popolazione esistente e all’ammontare delle risorse disponibili. Esistono anche strumenti matematici più raffinati, come ad esempio l’</span><i style="font-family: inherit;">equazione di Lotka-Volterra</i><span style="font-family: inherit;">, ma non è qui il caso di complicare le cose.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr9KXatuYu6VuaUczjuhI9o95TOCyXPOrKQJ0-0yaR3y0876g1-Q6Yd8WiCPBxYZQT2QWnVLxYQgqsKlGhnxNM-egudswluVFEmChcFYOu_FYEHkkvBSqGaz6ByOs51OuTyx9m3JCx08HtbA-g94osm4RZXm_-SNZliPrAyGTRjtpxoVZqgoWzsaXks2o/s1536/IMG_5319.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="990" data-original-width="1536" height="412" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr9KXatuYu6VuaUczjuhI9o95TOCyXPOrKQJ0-0yaR3y0876g1-Q6Yd8WiCPBxYZQT2QWnVLxYQgqsKlGhnxNM-egudswluVFEmChcFYOu_FYEHkkvBSqGaz6ByOs51OuTyx9m3JCx08HtbA-g94osm4RZXm_-SNZliPrAyGTRjtpxoVZqgoWzsaXks2o/w640-h412/IMG_5319.jpg" width="640" /></a></div><br />Stoppard ha capito qualcosa del cuore poetico di quest'area della matematica. Descrivendo i suoi sforzi con i dati "pieni di rumore" che ha sulla popolazione dei galli cedroni, Valentine dice che è </span><i style="font-family: inherit;">"come un pianoforte nella stanza accanto: sta suonando la tua canzone, ma sfortunatamente è fuori controllo, mancano alcune corde e il pianista è stonato e ubriaco ... [quindi] inizi a indovinare quale potrebbe essere la melodia. Cerchi di distinguerlo dal rumore. Provi questo, provi quello, inizi a ottenere qualcosa: è cotto a metà, ma inizi a inserire note che mancano o non sono proprio le note giuste. E poco alla volta...”</i><span style="font-family: inherit;"> E comincia a canticchiare </span><i style="font-family: inherit;">“Happy Birthday to You”</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'andamento di una popolazione in natura viene condizionato da diversi fattori che costituiscono la cosiddetta resistenza ambientale e che pongono un limite a tale sviluppo. Per cui una data popolazione avrà sì un accrescimento esponenziale, ma solo inizialmente, per poi subire un flesso ad un certo punto a causa della resistenza ambientale, la quale pone un limite superiore alla curva sotto forma di un asintoto orizzontale </span><i style="font-family: inherit;">K</i><span style="font-family: inherit;">, per cui tale curva avrà̀ un andamento sigmoidale. L'asintoto rappresenta l'equilibrio raggiunto tra popolazione ed ecosistema. Tale parametro è di tipo sperimentale e dipende dalle condizioni iniziali. Come tale, dovrebbe rimanere costante. In realtà̀ l'ambiente è un sistema dinamico, soggetto quindi a continue variazioni, e, di conseguenza, sia l'asintoto sia la curva di accrescimento di una certa popolazione subiscono continue fluttuazioni in ragione di di diversi fattori limitanti (disponibilità di cibo, epidemie, predatori, tra cui l’uomo, ecc.). In ragione delle condizioni iniziali e dell’evoluzione del sistema, l’andamento della popolazione può convergere verso attrattori molto diversi, da un comportamento più o meno stabile a uno più o meno ciclico, che varia nel tempo entro certi limiti, a uno caotico (deterministico), assolutamente imprevedibile, e il pianista sembra pigiare sui tasti in modo casuale: la melodia ci è inaccessibile, o, diremmo, indecidibile.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX1wjdziB-cW_mRWEahZHzY_jjbxzgLiovkkblDA3wP_8zft6Iss0WACdpXf6wvTxW9YE7FDnAPj0QvA8FWDov8rNIKlNunb15WPDVQRYkjhywuweNaNItvGHyjRe-gAj6_3i0I7U9NKzQSrsxxe9WZFPHCUgPdKS3bl3fHDuPJ9EROwpPOO9XDp4KUzM/s1223/IMG_5320.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="931" data-original-width="1223" height="488" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgX1wjdziB-cW_mRWEahZHzY_jjbxzgLiovkkblDA3wP_8zft6Iss0WACdpXf6wvTxW9YE7FDnAPj0QvA8FWDov8rNIKlNunb15WPDVQRYkjhywuweNaNItvGHyjRe-gAj6_3i0I7U9NKzQSrsxxe9WZFPHCUgPdKS3bl3fHDuPJ9EROwpPOO9XDp4KUzM/w640-h488/IMG_5320.jpg" width="640" /></a></div><br />L'opera di Stoppard approfondisce l'inquietante esperienza di nuove idee, l'interazione tra ipotesi e prove e il ruolo del carattere umano nella scoperta. Si tratta di argomenti difficili, eppure la conversazione rimane vivace e divertente e i personaggi coinvolgenti e confusi in modi molto umani.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Arcadia </i><span style="font-family: inherit;">funge da utile antidoto all'impressione che molte persone hanno che la matematica non sia cambiata molto dai tempi di Euclide e generalmente proceda con incrementi imperscrutabili. La matematica si evolve e ha il potere di riorganizzare il modo in cui pensiamo al mondo che ci circonda.</span></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo commedia porta anche la matematica a </span><i style="font-family: inherit;">"... le cose di dimensioni ordinarie che sono le nostre vite, le cose su cui le persone scrivono poesie - nuvole - narcisi - cascate - e cosa succede in una tazza di caffè quando entra la panna"</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Alla fine dello spettacolo, i personaggi degli anni '90 si vestono in abiti antiquati in preparazione di un ballo che si terrà a Sidley Park. E poi a un certo punto, mentre Hannah e Valentine si siedono a leggere, Thomasina e suo fratello entrano improvvisamente nella stanza, due bambini che si prendono in giro a vicenda. Personaggi di entrambe le epoche, che erano stati separati nelle scene precedenti, appaiono improvvisamente sul palco insieme. L'effetto è magico, rafforzando la sensazione che, sebbene il mondo sia imprevedibile, gli schemi emergono e riappaiono con il passare del tempo. Un attimo dopo, Valentine e Septimus stanno, nei loro tempi separati, esaminando il rozzo disegno di Thomasina di un motore termico, prova concreta che aveva anticipato la seconda legge della termodinamica (mentre da Parigi giunge la notizia che il rendimento di una macchina termica non può mai essere del 100%). Come una palla che rompe una lastra di vetro, dice Valentine, </span><i style="font-family: inherit;">"Puoi rimettere a posto i pezzi di vetro, ma non puoi raccogliere il calore dello scontro". "Quindi l'Universo newtoniano migliorato deve cessare e raffreddarsi"</i><span style="font-family: inherit;">, fa eco Septimus.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La musica arriva da dietro le quinte e Thomasina implora Septimus di insegnarle a ballare il valzer. Ma è perso nei suoi pensieri e le dice: </span><i style="font-family: inherit;">"Quando avremo trovato tutti i misteri e perso tutto il significato, saremo soli, su una spiaggia deserta"</i><span style="font-family: inherit;">. La soluzione che propone risuona come una campana suonata nel cuore della notte: </span><i style="font-family: inherit;">"Allora balleremo!"</i><span style="font-family: inherit;"> A differenza di Septimus, Thomasina può scandagliare le profondità della matematica e riemergere con la sua esuberanza intatta per la vita. Stoppard, intanto, ci ha informato che sarebbe morta nell’incendio della sua camera appena compiuti i diciotto anni e che, sì, un bacio a Septimus l’aveva dato, nell’eremo appena costruito e ancora vuoto.</span></div></span></span><br />
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-72837963679659935442023-08-16T12:21:00.000+02:002023-08-16T12:21:32.159+02:00Gli eremiti ornamentali, o da giardino<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiGOPnwXYjcKJvYxojM0MO5IcKlaWkhGXP5SeBeuVcUjtH71sdbnrpvWp5VLdRbdzMkhp_5-2JlJMCd37CbUjIHBSrKAZuYUluJ7Y9huzX3jJnH4AaF-JZzLc3kCDrdNA3WrwsoNm6lSYf0E53S-cdJ4fMAnmDB5YDkdKzGJHVDjIKLZbBUEpvSPJ8rIo/s1170/Hermit.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1170" data-original-width="900" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiGOPnwXYjcKJvYxojM0MO5IcKlaWkhGXP5SeBeuVcUjtH71sdbnrpvWp5VLdRbdzMkhp_5-2JlJMCd37CbUjIHBSrKAZuYUluJ7Y9huzX3jJnH4AaF-JZzLc3kCDrdNA3WrwsoNm6lSYf0E53S-cdJ4fMAnmDB5YDkdKzGJHVDjIKLZbBUEpvSPJ8rIo/w492-h640/Hermit.jpg" width="492" /></a></div><br />Gli eremiti da giardino o eremiti ornamentali erano persone incoraggiate a vivere da sole in eremi, grotte o giardini rocciosi appositamente costruiti nelle tenute di ricchi proprietari terrieri, principalmente durante il XVIII secolo. Tali eremiti erano incoraggiati a rimanere permanentemente sul posto, dove erano nutriti, accuditi e consultati per consigli o visti per divertimento. In cambio dei loro servizi, gli eremiti generalmente ricevevano uno stipendio oltre a vitto e alloggio. Agli eremiti era spesso richiesto di vestirsi di stracci e di non tagliarsi unghie, barba e capelli. Meglio se puzzavano un po’.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gordon Campbell, dell'Università di Leicester, suggerisce che Francesco di Paola fu tra i primi esponenti della moda, vivendo come eremita all'inizio del XV secolo in una grotta nella tenuta di suo padre. In seguito fu confidente e consigliere del re Carlo VIII di Francia.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Successivamente, in tutta la Francia, le proprietà dei duchi e di altri signori spesso comprendevano piccole cappelle o altri edifici dove un eremita residente poteva rimanere in servizio. Secondo Campbell, la prima tenuta con un noto eremo (che comprendeva una piccola casa, una cappella e un giardino) fu il castello di Gaillon, ristrutturato dal cardinale Carlo di Borbone nel XVI secolo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1590 William e Robert Cecil accolsero due volte Elisabetta I a Theobalds House vicino a Londra con intrattenimenti tenuti da un eremita. Gli eremiti del giardino divennero popolari tra l'aristocrazia britannica durante il XVIII e l'inizio del XIX secolo e si diffusero man mano che la moda romantica del giardino selvaggio, all’inglese, sostituì l’ordinato giardino all’italiana o alla francese. I resoconti contemporanei suggeriscono che la famiglia Weld tenesse un eremita ornamentale in un eremo appositamente costruito nella tenuta di Lulworth nel Dorset. Si diceva che sia Painshill che Hawkstone Park avessero impiegato eremiti ornamentali. Quello di Painshill, assunto da Charles Hamilton per un mandato di sette anni in condizioni rigorose, durò tre settimane, fino a quando fu licenziato dopo essere stato scoperto in un pub locale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In alcuni primi casi, gli eremiti erano semplicemente rappresentati o accennati, piuttosto che personificati; fuori da un capriccio ornamentale o una grotta, un tavolino e una sedia, occhiali da lettura e un testo classico potevano essere collocati suggerendo che fosse il luogo in cui viveva un eremita. In seguito, le suggestioni di eremiti furono sostituite da veri eremiti, uomini assunti al solo scopo di abitare una piccola struttura e fungere come qualsiasi altro ornamento da giardino. A volte veniva chiesto agli eremiti di mettersi a disposizione degli ospiti, rispondendo alle domande e fornendo consigli. In alcuni casi, gli eremiti non comunicavano con i visitatori, essendo considerati invece come uno spettacolo teatrale perpetuo o un diorama dal vivo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La moda continuò per tutti gli anni Trenta dell’Ottocento, quando l'idea divenne meno popolare man mano che mutavano i costumi e le mode di abbellimento delle proprietà.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-72368306373455308222023-08-02T23:20:00.002+02:002023-08-02T23:41:29.915+02:00Elio Pagliarani, tra fisica e poesia<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifjhzJfAfkkhpodQKWQLZ64LauVICfrwQH6UdU5HgStXlm1EAOjHitOhTftMf3CDRX3mb6SACB0XiEayI46-V2-BzkfJ0Fj4ziUMBRuUelxJtv2D6WIqPbRqlaimAVuZ3NczPGDDtUSZQdESbpOkkOLOm9Cx4F8CRhyabsaTHr0BedlRqIS_sB2KVmDf4/s922/copertina.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="922" data-original-width="910" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEifjhzJfAfkkhpodQKWQLZ64LauVICfrwQH6UdU5HgStXlm1EAOjHitOhTftMf3CDRX3mb6SACB0XiEayI46-V2-BzkfJ0Fj4ziUMBRuUelxJtv2D6WIqPbRqlaimAVuZ3NczPGDDtUSZQdESbpOkkOLOm9Cx4F8CRhyabsaTHr0BedlRqIS_sB2KVmDf4/w632-h640/copertina.jpg" width="632" /></a></div><br /><p></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Quasi sessant’anni fa, nel 1964, il poeta Elio Pagliarani pubblicò l’opera </i>Lezione di fisica<i>, smentendo i profeti della separazione tra le “due culture”.</i></span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b>La guerra fredda e l’atomica</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La cronaca degli anni in cui il poeta riminese Elio Pagliarani (1927-2012) raggiunse la maturità artistica era dominata dalla guerra fredda e dalla minaccia di un conflitto nucleare. All’inizio degli anni ’60 del Novecento, si accavallavano infatti le notizie allarmanti di test nucleari sovietici, statunitensi e britannici, e la minaccia atomica era sentita come una realtà da entrambi i lati della cosiddetta “cortina di ferro”.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Poeta, critico teatrale, saggista, Pagliarani rappresenta un caso particolare dell’esperienza delle avanguardie italiane. La sua opera è libera dal lirismo o dall’ermetismo; la sua vocazione è piuttosto cronachistica (si è parlato di poesia-racconto), con particolare interesse al quotidiano del mondo proletario. Esponente del <i>Gruppo ‘63</i> con Eco, Sanguineti, Balestrini, Arbasino, Guglielmi e altri intellettuali, Pagliarani scrisse <i>Lezione di fisica</i> [1] come compimento della sua esperienza di giornalista maturata sulle pagine dell’<i>Avanti</i>, che sarebbe poi continuata su <i>Paese Sera</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Proprio sul quotidiano socialista pubblicò il 21 maggio 1957 i versi che per la prima volta legavano il tema “atomico” e quello amoroso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><i><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">È difficile amare in primavere </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">come questa che a Brera i contatori </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> Geiger denunciano carica di pioggia </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> radioattiva perché le hacca esplodono </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> nel Nevada in Siberia sul Pacifico </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e angoscia collettiva sulla terra </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">non esplode in giustizia. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Potrò amarti </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">dell’amore virile che mi tocca, e riempirti </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> se minaccia l’uomo </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">sé nel suo genere?
O trasferisco in pubblico stridore</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">che è solo nostro, anzi tuo e mio?</span></div></i></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo sperimentalismo del poeta romagnolo è la presa di coscienza di una nuova funzione dello scrivere versi. Pagliarani cerca una proiezione, appunto sperimentale, verso un futuro che rinnovi la fiducia nell’atto poetico. Il ruolo del poeta è difficile perché la pressione della realtà moderna è ampia e complessa, contraddittoria, e in definitiva violenta. Tutte le grandi “verità assodate” sono state negate e viviamo in un intrico di mitologie nuove e locali, politiche, economiche, sociali, che si affermano con un’incoerenza sempre più ampia.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il poeta è in questo contesto chiamato a dare un significato al nostro “rimanere umani”, anche attraverso l’esposizione, la negazione e la denuncia delle finzioni della dimensione culturale dell’epoca, senza contribuire a comporle.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-hYpTpJc9MhR1_Hl_cTNisR_yDl5HUNOiaHoN1nqwxn_cgVvv2NmqYhyZmthS1mJsZtB_5tMExtHrhb2jKmO6ZH2DkhH_sDuYSxW_FpOb9OEJPVcnWmBSr-WvKdpPf_4MwFmLp72aH4P5cZPo1RDbhPF6icMVKy3ZGz6WWVGOTnkY985F8SN-Nv7XYkA/s1600/pagliarani-e1560606087743-900x425.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1600" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-hYpTpJc9MhR1_Hl_cTNisR_yDl5HUNOiaHoN1nqwxn_cgVvv2NmqYhyZmthS1mJsZtB_5tMExtHrhb2jKmO6ZH2DkhH_sDuYSxW_FpOb9OEJPVcnWmBSr-WvKdpPf_4MwFmLp72aH4P5cZPo1RDbhPF6icMVKy3ZGz6WWVGOTnkY985F8SN-Nv7XYkA/w640-h360/pagliarani-e1560606087743-900x425.jpg" width="640" /></a></div><br />Il corpo nero</b></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Lezione di fisica</i>, uno dei capolavori di Pagliarani, unisce temi privati e pubblici utilizzando materiali estratti dal linguaggio scientifico, e rapidi scorci psicologici o sociopolitici, attraverso una tecnica in cui l’accavallarsi di linguaggi e inserti provenienti da vari ambiti è volutamente, come scrisse lui stesso, “stridente”. Il testo, nella forma di una lettera alla donna amata («a Elena»), inizia come se fosse l’incipit di una biografia. L’avvio è contrassegnato dallo straniamento del dialogo amoroso tramite continui riferimenti alla meccanica quantistica: <i>«Cominciò studiando il corpo nero / Max Planck all’inizio del secolo [...] / le radiazioni del corpo nero nella memoria del 14 dicembre 1900»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo studio del corpo nero è stato cruciale per lo sviluppo della meccanica quantistica. In fisica un corpo nero è un oggetto ideale che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente senza rifletterla. Assorbendo tutta l’energia incidente, per la legge di conservazione dell’energia, il corpo nero è comunque in grado di emettere radiazione elettromagnetica. Lo “spettro di corpo nero” (cioè la distribuzione dell’irradiamento, che è funzione della lunghezza d’onda o della frequenza) dipende unicamente dalla sua temperatura e non dalla materia che lo compone.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Negli esperimenti in laboratorio, un corpo nero è costituito da un oggetto cavo mantenuto a temperatura costante, le cui pareti assorbono ed emettono con tinuamente radiazioni su tutte le possibili lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico. Tuttavia, applicando le equazioni di Maxwell alle radiazioni emesse e assorbite dalle pareti, risulta che, al diminuire della lunghezza d’onda, si ottengono valori di intensità di irraggiamento che tendono all’infinito, in contraddizione con i dati sperimentali, secondo cui per lunghezze d’onda inferiori a un valore massimo, la potenza irradiata dal corpo nero scende rapidamente a zero.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo spettro di un corpo nero venne correttamente interpretato per la prima volta da Max Planck, il quale ipotizzò che gli atomi delle pareti interne del corpo nero assorbissero ed emettessero energia in maniera discreta, cioè che gli scambi di energia con il campo elettromagnetico avvenissero attraverso il passaggio di “pacchetti di energia”, da lui chiamati “quanti”. La data citata da Pagliarani si riferisce al giorno in cui Planck presentò la dimostrazione della formula <i>E = hν</i> della radiazione elettromagnetica (dove <i>E</i> è l’energia scambiata, <i>h</i> è la costante di Planck e <i>ν</i> è la frequenza della radiazione). Introducendo l’ipotesi dei quanti, Planck verificò che i calcoli teorici combaciavano con i dati sperimentali.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Durante gli anni immediatamente successivi, non si ottennero risultati significativi in ambito quantistico. Quanto alla proprietà cruciale che l’energia non varia con continuità, ma secondo valori discreti, Planck stesso credette per lungo tempo che fosse un artificio matematico che non si riferiva ai reali scambi di energia tra materia e radiazione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fu poi Albert Einstein nel 1905 a riprendere la teoria dei quanti nell’ambito dei suoi studi sull'effetto fotoelettrico, per spiegare l’emissione di elettroni dalla superficie di un metallo colpito da radiazione elettromagnetica (un altro effetto non spiegabile con la teoria ondulatoria di Maxwell). Secondo Einstein, non solo gli atomi emettono e assorbono energia per “pacchetti finiti” (come aveva proposto Planck), ma è la stessa radiazione elettromagnetica a essere costituita da quanti di luce, poi denominati fotoni nel 1926: <i>«la luce / è una gragnuola di quanti»</i> scrive Pagliarani. In altri termini, poiché la radiazione elettromagnetica è quantizzata, l’energia non è distribuita in modo continuo sull’intero fronte dell’onda elettromagnetica, ma concentrata in pacchetti di energia, i fotoni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b>Fisica dei quanti e particelle elementari</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Pagliarani prosegue con altri riferimenti alla meccanica quantistica, quello alla “scuola di Copenaghen”, a de Broglie e al principio di indeterminazione di Heisenberg: <i>«Se si vuol sapere se A è causa dell’effetto di B / se il microggetto in sé è in conoscibile / se l’onda di Broglie per i fisici di Copenaghen / non è altro che l’espressione fisica della probabilità posseduta»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1924, il fisico francese Louis de Broglie pensò che, se la luce può comportarsi sia come onda sia come corpuscolo, allora una particella, ad esempio l’elettrone, potrebbe comportarsi anche come un’onda. Egli propose dunque la relazione: <i>λ = h/p</i>, dove <i>p </i>è la quantità di moto della particella considerata e <i>λ </i>prende il nome di lunghezza d’onda di de Broglie.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sulla scia di tali risultati, Erwin Schrödinger andò alla ricerca di un’equazione che descrivesse il propagarsi dell’onda di materia, e nel 1925 propose un’equazione differenziale le cui soluzioni, le funzioni d’onda, restituivano quei numeri quantici cruciali per la risoluzione della struttura atomica di un elemento. L’equazione di Schrödinger era inoltre in grado di descrivere l’evoluzione di una particella libera.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1925, infine, Max Born, con Werner Heisenberg e Pascual Jordan, elaborò la prima formulazione completa della meccanica quantistica. L’evoluzione di un sistema quantistico, descritta da Schrödinger con la funzione d’onda, non è deterministica, bensì probabilistica, cioè dice qual è la probabilità di trovare l’elettrone in una certa posizione intorno al nucleo di un atomo, ma non offre alcuna certezza assoluta su dove trovarlo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1927, Werner Heisenberg dimostrò che non è possibile conoscere con precisione assoluta due parametri accoppiati, come la quantità di moto e la posizione di una particella: è il <i>principio di indeterminazione</i>. In sostanza, non possiamo conoscere i dettagli di un sistema senza perturbarlo, e l’atto stesso di misura influenza il risultato, o nelle parole di Pagliarani, <i>«non si può aver studio di un oggetto / senza modificarlo / la luce che piomba sull’elettrone per illuminarlo»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Su queste basi nacque e si affermò una corrente predominante tra i fisici quantistici, la cosiddetta "interpretazione di Copenaghen”, che ebbe in Niels Bohr il suo principale esponente. Albert Einstein, lo stesso Schrödinger e de Broglie erano scettici sulla validità di questa interpretazione. Essi pensavano che la meccanica quantistica, per quanto di straordinaria precisione, fosse incompleta, e che ci fossero delle “variabili nascoste” in grado di portare a una visione meno problematica, più vicina alla fisica classica. Einstein decise, allora, di scrivere una lettera a Bohr nella quale compare la famosa frase su Dio che «non gioca a dadi» con l’Universo: <i>«Poi la teoria dell’onda pilota e quella, così cara al nostro tempo / della doppia soluzione, e se esiste il microggetto in sé, se la materia può risponderci con un comportamento statistico / Dio gioca ai dadi / con l’universo? E se la terra / ne dimostrasse il terrore?» </i>scrive ancora Pagliarani nella <i>Lezione di fisica</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b>La lettera di Einstein</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Pagliarani abbandona temporaneamente il lungo riferimento alla storia della teoria dei quanti (cronologicamente si ferma all’inizio degli anni ’30) per introdurre il problema di stretta attualità all’epoca in cui scriveva: la questione delle armi atomiche (<i>«Perciò l’atomica / per la legge dei grandi numeri la probabilità tende alla / certezza / Perciò l’atomica»</i>).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La lezione di fisica diventa lezione di storia. Lo scenario è la lettera che Albert Einstein inviò al Presidente americano Franklin Delano Roosevelt per sottolineare il pericolo della ricerca nucleare nazista: <i>«te lo immagini quando dovette prendere la penna / scrivendo a Roosevelt “Caro presidente facciamola / l’atomica, sennò i nazi”»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La notizia, all’inizio del 1939, che gli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann avevano scoperto la fissione nucleare fece temere che la Germania potesse sviluppare una bomba atomica. Il fisico Leó Szilárd presto si mise in contatto con i colleghi Edward Teller ed Eugene Wigner per pianificare una risposta appropriata. Come ricordò Szilárd, la loro principale preoccupazione era «cosa sarebbe successo se i tedeschi si fossero impossessati di grandi quantità di uranio che i belgi stavano estraendo in Congo».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">I tre fisici decisero che, poiché Albert Einstein conosceva la regina del Belgio, sarebbe stato la persona ideale per avvertire della minaccia tedesca. Szilárd e Wigner incontrarono Einstein all’inizio di luglio a Long Island, dove era in vacanza. Sebbene lui non fosse disposto a contattare direttamente la regina, accettò di scrivere una lettera all’ambasciatore del Belgio e stese una prima bozza.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Poco dopo, Szilárd parlò anche con l’economista Alexander Sachs, il quale si raccomandò che scrivessero pure al Presidente Roosevelt, suo intimo amico.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Finalmente, l’11 ottobre 1939 (nel frattempo era iniziata la guerra in Europa), Sachs incontrò il Presidente Roosevelt per consegnargli la lettera che Einstein, noto pacifista, preoccupato però dai possibili sviluppi della ricerca nazista, aveva scritto. Eccone il passaggio saliente:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“Nel corso degli ultimi quattro mesi è stata dimostrata, attraverso i lavori di Joliot in Francia e di Fermi e Szilárd in America, la possibilità e la probabilità di innestare in una ingente massa di uranio reazioni nucleari a catena attraverso le quali sarebbero generate notevoli disponibilità di energia e vaste quantità di elementi radioattivi nuovi. Ora, appare quasi certo che ciò potrebbe essere ottenuto nel futuro immediato. Questo nuovo fenomeno condurrebbe anche alla costruzione di bombe ed è concepibile – benché assai meno certo – che in questo modo si possano costruire bombe di tipo nuovo estremamente potenti [...].”</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La lettera a Roosevelt cambiò il corso della storia, stimolando il coinvolgimento del governo americano nella ricerca nucleare. Essa portò alla creazione del Progetto Manhattan. Nell’estate del 1945, gli Stati Uniti avrebbero costruito la prima bomba atomica del mondo e l’avrebbero utilizzata per distruggere due città giapponesi, con centinaia di migliaia di vittime.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Einstein non lavorò mai al Progetto Manhattan a causa delle sue convinzioni pacifiste. In seguito, ebbe dei dubbi sul suo ruolo, affermando: «Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a sviluppare una bomba atomica, non avrei fatto nulla».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-6CbehVolDLF824lTDx-Z-6HVDApkrVRmPPX2sPbalNkzj5mV2R0Q8EAxVLXR5l9fczRymUBK-JTDj-iEvT5CHA0vb-VyW-D02UmT3P-hviTiLUY1wysyOmxzjTXV99PqGUPTgyqirw0XzcYsZQ18O6AsZvogUzkhrPzSXLJfWN4pC9EexIiV3TMQ2g/s1200/1200px-Einstein-Roosevelt-letter.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="705" data-original-width="1200" height="376" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhU-6CbehVolDLF824lTDx-Z-6HVDApkrVRmPPX2sPbalNkzj5mV2R0Q8EAxVLXR5l9fczRymUBK-JTDj-iEvT5CHA0vb-VyW-D02UmT3P-hviTiLUY1wysyOmxzjTXV99PqGUPTgyqirw0XzcYsZQ18O6AsZvogUzkhrPzSXLJfWN4pC9EexIiV3TMQ2g/w640-h376/1200px-Einstein-Roosevelt-letter.png" width="640" /></a></div><br />L’equilibrio del terrore</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sconfitti i nazisti, inizia la guerra fredda tra le potenze vincitrici sulla Germania, e l’energia atomica diventa la minaccia universale. La bomba atomica crea una nuova realtà politica, nella quale due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, avevano la capacità di annichilire tutta la vita sulla Terra.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Vi fu chi, tuttavia, studiò l’ipotesi di un attacco preventivo, per valutarne i pro e i contro. Edward Teller, nel frattempo diventato il “padre della bomba all’idrogeno” (il primo test fu effettuato nell’atollo di Bikini nel luglio 1954), sosteneva, durante la presidenza di Eisenhower, che sarebbe stato impossibile mantenere e monitorare un divieto di test nucleari con un nemico subdolo come i sovietici.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Meno “politico” e più tecnico fu il ruolo del fisico Herman Kahn, che durante la guerra fredda sviluppò diverse strategie per contemplare l’ipotesi della guerra nucleare, utilizzando applicazioni della teoria dei giochi e di quella dei sistemi all’economia e alla strategia militare. Queste considerazioni erano contenute nell’articolo del 1960 <i>La natura e la fattibilità della guerra e della deterrenza</i> [2]</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo studio conteneva, asetticamente, anche stime del numero di vittime sul suolo americano, dirette e indirette, di un’eventuale guerra nucleare. Continua Pagliarani: <i>«Herman Kahn ha già fatto la tabella / delle possibili condizioni postbelliche, sicché 160 milioni di decessi in casa sua / non sarebbero la fine della civiltà [...], egli scrive un ulteriore problema, / quello cioè se i sopravvissuti avranno buone ragioni / per invidiare i morti»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjui7xNP3uAxw5619HhQSthXIOB7WCBXNIyJJwuo5s6Eg-BMKMwb1TR7aOSFotnttyYNoKml-CtOCJ1symS9tZjxQYBGh45WA2wgnpgM4iXG6_tuHBlb9okKHjlmG4Vu7D0chELIOiZ1azXDaR1vmp8OFD8OXOTOdXmmcEiIt4_ak6574JT9lqQROFfgW8/s1200/1504427350-bombah-ok.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1200" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjui7xNP3uAxw5619HhQSthXIOB7WCBXNIyJJwuo5s6Eg-BMKMwb1TR7aOSFotnttyYNoKml-CtOCJ1symS9tZjxQYBGh45WA2wgnpgM4iXG6_tuHBlb9okKHjlmG4Vu7D0chELIOiZ1azXDaR1vmp8OFD8OXOTOdXmmcEiIt4_ak6574JT9lqQROFfgW8/w640-h480/1504427350-bombah-ok.jpg" width="640" /></a></div><br />La possibilità della gioia</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In questo scenario, Pagliarani analizza la possibilità della gioia. Il cortocircuito è dato dall’accostamento al panorama, terrificante e immobile, di un soprassalto vitalistico, ludico ed erotico: <i>«Quanta gioia mi dai quando ti stufi / di me, quando mi dici se scriverai di me dirai di gioia / e che sia gioia attiva, trionfante [...] L’odore delle erbe di campagna [...] / vino rosso / capriole con lancio di cuscini / nella mia stanza»</i>. È una reazione istintiva, quella rappresentata da questa gioia; le capriole sono segni della <i>«voglia / di riassuefarci alla gioia, affermare la vita col canto»</i> che però l’autore considera vana. L’io narrante della lettera non lo può fare.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Pagliarani sa che con l’innovazione costante della conoscenza e dei suoi paradigmi anche il nulla è rimosso: <i>«e invece non ci basta nemmeno dire no che salva solo l’anima»</i>. Bisogna, con difficoltà, convivere con la propria faccia e testimoniare la propria differenza etica irriducibile attraverso la poesia: <i>«ci tocca vivere il no misurarlo coinvolgerlo in azione e tentazione / perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni»</i>, conclude.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1965, anno successivo alla pubblicazione di <i>Lezione di fisica</i>, Elsa Morante, in <i>Pro e contro la bomba atomica</i>, si chiederà allora: «<i>Ma infine, che razza di romanzo o di poesia dovrà scrivere il Nostro per fare, come dicono i giornali, la sua lotta? La risposta è semplice: scriverà, onestamente, “resta da fare la poesia onesta”»</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><b>Riferimenti bibliografici</b></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">[1] E. Pagliarani, <i>Lezione di fisica</i>, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1964. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">[2] H. Kahn, <i>The Nature and Feasibility of War and Deterrence</i>, The Rand Corporation, Santa Monica (CA) 1960.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div>-----</div><div><br /></div><div><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKCZ25k16YRtJUi37WzaryK9w0xNztuvmgKUGqMDcCE2k_K0GSQ-MfufZeqORiC6nXb5B_bFOqekmqZofIbmMbKNkdiZk0_2wzgVDZ1ML53u3pUjafP2H9rRBLRe7jvTu1Js-pqf9JQLoUAJr9-B397syzl8ZDh5_99BEomP3ir_B2iO7rCZtIwljnaKI/s2048/Sapere.PNG" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKCZ25k16YRtJUi37WzaryK9w0xNztuvmgKUGqMDcCE2k_K0GSQ-MfufZeqORiC6nXb5B_bFOqekmqZofIbmMbKNkdiZk0_2wzgVDZ1ML53u3pUjafP2H9rRBLRe7jvTu1Js-pqf9JQLoUAJr9-B397syzl8ZDh5_99BEomP3ir_B2iO7rCZtIwljnaKI/w480-h640/Sapere.PNG" width="480" /></a></div><br />Questo articolo è stato pubblicato sul numero 2/2023 di <i><a href="https://www.edizionidedalo.it/riviste/riviste-attive/sapere/" target="_blank">Sapere</a></i>, la più antica rivista di divulgazione scientifica in Italia, da anni edita dalle Edizioni Dedalo di Bari. </span></div></div></span></span><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-75181535785873347632023-07-22T23:59:00.002+02:002023-07-22T23:59:32.251+02:00Clara Haber, nata Immerwahr: una donna infelice<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOpLbrgPUoZI2NDNBDU1FurBGj2IErzAxhEdRI_vN3_TVItAv6pXQH55PIBdn1i-5od_PtDjOOK9y0EzDztz8O7V7t7HuQIreMBj4DGNMd5L6PNoy9Ex4HUTfuLheS5cmZJ4-Ox8KFgK5gRr0GWHVfN4SzpzToCTcurgUhWXcHdhd-fXLqEi_yhlvvONI/s1024/Clara_Immerwahr.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="740" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOpLbrgPUoZI2NDNBDU1FurBGj2IErzAxhEdRI_vN3_TVItAv6pXQH55PIBdn1i-5od_PtDjOOK9y0EzDztz8O7V7t7HuQIreMBj4DGNMd5L6PNoy9Ex4HUTfuLheS5cmZJ4-Ox8KFgK5gRr0GWHVfN4SzpzToCTcurgUhWXcHdhd-fXLqEi_yhlvvONI/w462-h640/Clara_Immerwahr.jpg" width="462" /></a></div><br /><p></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il 23 aprile 1909, Clara Haber scrisse al suo relatore di dottorato e confidente, Richard Abegg, le seguenti righe:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>"Ciò che Fritz </i>[Haber]<i> ha guadagnato in questi ultimi otto anni, io l'ho perso, e ciò che resta di me mi riempie della più profonda insoddisfazione".</i></blockquote><i></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Questo giudizio sul matrimonio con Fritz Haber può servire come emblema della vita e del destino di Clara, non ultimo per quanto riguarda il suo suicidio sei anni dopo. Negli ultimi trent’anni, il suicidio di Clara è stato ampiamente considerato non solo come una tragedia personale e il risultato di un dramma coniugale, ma, soprattutto dopo la pubblicazione della sua biografia da parte di Gerit von Leitner (1993), come conseguenza generale del coinvolgimento di Fritz Haber nella guerra chimica e in particolare nel primo attacco con una nube di cloro a Ypres il 22 aprile 1915. Inoltre, è stato visto come un segnale di una "scienza femminile che preserva la vita" che si oppone a una scienza patriarcale, desiderosa di assicurarsi il potere e di sfruttare le risorse naturali. In realtà, sulla base dei materiali biografici disponibili su Clara Haber, questa interpretazione del suo suicidio è parziale, mancando di un'adeguata considerazione della complessità della personalità di Clara e delle circostanze della sua vita e del suo tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Clara Immerwahr nacque il 21 giugno 1870 nella tenuta di Polkendorf vicino a Breslavia, dove suo padre, un chimico laureato, si ritirò dopo il fallimento della sua impresa chimica. Oltre a diventare un agronomo di grande successo a Polkendorf e dintorni, era comproprietario di un fiorente negozio a Breslavia che vendeva tessuti e tappeti di lusso. La famiglia aveva un appartamento a Breslavia dove gli Immerwahr soggiornavano durante le loro frequenti visite in città. Clara avrebbe vissuto lì durante i suoi studi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Breslavia era nella seconda metà dell'Ottocento una prospera metropoli brulicante di affari e imprese industriali. La sua popolazione era raddoppiata durante i 30 anni dal 1875, raggiungendo i 471.000 nel 1905. Allo stesso tempo, si era sviluppata come importante centro della scienza e della cultura con una grande classe media istruita. C'era la <i>Schlesisch Friedrich-Wilhelm Universität</i>, fondata nel 1811, una serie di collegi, oltre a un teatro dell'opera, diverse orchestre e un teatro cittadino, tutti di livello nazionale significativo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'epoca di prosperità economica e culturale di cui godette la città coincise con l'infanzia e la giovinezza di Clara Immerwahr, la cui famiglia apparteneva alla benestante borghesia ebraica. Dopo Berlino e Francoforte, la comunità ebraica di Breslavia era la terza più grande, con oltre ventimila residenti ebrei, e la sua sinagoga, consacrata nel 1872, era la seconda più grande della Germania. La comunità ebraica di Breslavia rappresentava un’aristocrazia intellettuale della città, alla quale appartenevano anche gli Immerwahr. Tuttavia, i genitori di Clara erano ebrei assimilati, che partecipavano alla vita culturale comunitaria e solo raramente, se non mai, andavano in sinagoga. La religione, i costumi e le pratiche ebraiche non avevano sostanzialmente alcun ruolo nella vita familiare. Gli atteggiamenti politici della famiglia Immerwahr erano liberali, il che comportava tuttavia anche un certo grado di coscienza nazionale e patriottismo prussiano-tedesco, soprattutto dopo l'unificazione del 1871. Prussiano era anche il semplice stile di vita della famiglia, che fu frugale non per necessità ma per principio. Quindi, nonostante la ricchezza della famiglia, Clara e i suoi tre fratelli erano stati educati alla modestia.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Oltre alla virtù della semplicità, si attribuiva un grande valore all'educazione, non solo per il figlio maschio ed erede, ma anche per le tre figlie. Questo era tipico della classe media ebraica tedesca, poiché il 40% delle studentesse delle scuole superiori di Breslavia erano ebree. A differenza della Svizzera o dei paesi anglosassoni, i licei tedeschi (<i>Gymnasium</i>) erano vietati alle donne fino all'inizio del Novecento. Prima di allora le donne potevano frequentare l'università solo con un permesso speciale e come uditrici ospiti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il percorso formativo di Clara fu condizionato da questi vincoli. Iniziò gli studi presso una scuola femminile a Breslavia, che era integrata durante i mesi estivi trascorsi nella tenuta di Polkendorf con le lezioni di un tutor privato. Clara si diplomò nel 1892 all'età di 22 anni. La scuola avrebbe dovuto fornire alle giovani donne un'istruzione di base compatibile con il loro status sociale e prepararle al loro "scopo naturale", cioè come compagne dei loro mariti, casalinghe e madri. Tuttavia, Clara voleva di più, e dopo essersi diplomata, entrò in un seminario per insegnanti, che era l'unico tipo di istituzione che offriva un'istruzione superiore alle donne. Tuttavia, le laureate del seminario erano qualificate solo per insegnare nelle scuole femminili e non erano ritenute idonee per entrare all'università e studiare, ad esempio, scienze, che era ciò che Clara voleva fare. Quindi, per potersi iscrivere all'università, Clara doveva seguire lezioni private intensive e superare un esame equivalente alla Maturità. Questo esame era amministrato da un comitato speciale istituito presso il <i>Realgymnasium </i>di Breslavia e Clara lo superò con successo nella Pasqua del 1896, quando aveva 26 anni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Successivamente, Clara iniziò i suoi studi all'Università di Breslavia, ma solo come uditore, poiché in Prussia le donne sarebbero diventate legalmente ammissibili come studentesse universitarie solo nel 1908. Prima di questo, a partire dal 1895, le donne potevano solo frequentare le lezioni come uditrici, e anche questo era subordinato al sostegno del professore e della facoltà e al permesso del Ministero, che richiedeva un certificato di buona condotta, referenze caratteriali e così via. È difficile oggi immaginare cosa significasse per le donne entrare nel dominio maschile dell'istruzione superiore e quale tipo di discriminazione e umiliazione fosse collegata a ciò.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dopo aver superato con successo l'esame d’ammissione, Clara chiese all'ufficio del curatore dell'università il permesso di frequentare le lezioni di fisica. E doveva procedere in modo altrettanto umiliante con tutti gli altri corsi che desiderava seguire.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fin dall'inizio, Clara sviluppò un vivo interesse per l'allora nuovo campo della chimica fisica. Richard Abegg, uno dei pionieri di questo nuovo campo, svolse un ruolo chiave nel promuovere l'interesse di Clara per la chimica fisica, prestando poca attenzione allo status di uditore di Clara. Fu anche Abegg a supervisionare la tesi di dottorato di Clara e che scrisse un articolo congiunto con lei nel 1899. L'articolo, pubblicato nel 1900, deve essere stato percepito dalla giovane chimica come riconoscimento del suo successo. L'anno successivo presentò la sua tesi e fece domanda per essere ammessa alla fase finale degli orali, che prevedevano domande di chimica, fisica, mineralogia e filosofia. Superò gli esami durante l'autunno e discusse la sua tesi il 22 dicembre 1900. Clara si laureò <i>magna cum laude </i>e la sua laurea fu menzionata dalla stampa quotidiana, in quanto era la prima donna a cui l'Università di Breslavia aveva conferito un dottorato.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Richard Abegg assunse nel 1899 una posizione accademica presso l'Istituto di Chimica dell'Università di Breslavia, che era tra i più prestigiosi in Germania. Nel 1909 Abegg divenne <i>Ordinarius </i>presso la neonata Università Tecnica di Breslavia. Tuttavia‚ non sarebbe vissuto abbastanza a lungo per portare a termine la costruzione del nuovo laboratorio di chimica fisica presso l'Università tecnica, che doveva essere il suo. Abegg era appassionato del volo aerostatico e aveva fondato e presieduto il club della mongolfiera di Breslavia. Morì in un incidente di volo nel 1910 all'età di 41 anni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Otto Sackur era un compagno di studi di Clara, che aveva studiato chimica all'Università di Breslavia, dove, come Clara, aveva trovato un mentore illuminato in Richard Abegg. Sackur faceva parte del comitato di dottorato di Clara come referee.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come <i>Privatdozent </i>presso l'Università di Breslavia, dopo la morte di Abegg rimase senza un mecenate accademico o un laboratorio. Fu durante questo periodo che Sackur iniziò la sua ricerca all'intersezione tra termodinamica e teoria quantistica. Una ricompensa sotto forma di un incarico più prestigioso arrivò alla fine del 1913 quando, grazie anche alla mediazione di Clara Haber, Sackur ricevette una chiamata al Kaiser-Wilhelm-Institut di Haber a Berlino. Nel 1914 fu promosso al grado di capo dipartimento. Dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, fu arruolato nella ricerca militare presso l'istituto Haber, ma continuò parallelamente i suoi esperimenti sul comportamento dei gas a basse temperature. Nel dicembre del 1914 rimase ucciso in un incidente di laboratorio, mentre cercava di controllare il cloruro di cacodile per usarlo come irritante e propellente. Aveva appena 34 anni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre Abegg rappresentava il legame di Clara con la scienza che, inoltre, fungeva da supporto e confidente in questioni private, Otto Sackur era suo amico e compagno. Dopo l'incidente di Sackur, Clara fu tra le prime ad accorrere. Si dimostrò capace di agire razionalmente in una situazione drammatica e di coordinare i tentativi di aiutare i feriti. Tuttavia, Sackur morì davanti ai suoi occhi; Clara fu schiacciata dalla morte di Sackur. Sul luogo dell'incidente‚ Fritz Haber stava ansimando tra le braccia di un collega. Era distrutto al punto che fermò la ricerca sugli esplosivi nel suo istituto.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La produzione scientifica di Clara è composta da tre documenti di ricerca, un supplemento e un erratum a uno dei documenti. Il suo primo documento di ricerca è scritto con Abegg, gli altri due sono scritti solo da lei. Il secondo articolo personale è un estratto dalla sua tesi di dottorato. Il lavoro riguardava la chimica delle soluzioni, una delle principali preoccupazioni della chimica fisica dell'epoca, e ruotava attorno alle connessioni tra conduttività, solubilità, grado di dissociazione, potenziale elettrochimico e quella che veniva chiamata elettro-affinità.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'articolo con Abegg determinò praticamente l'argomento e la metodologia dell'articolo di tesi di Clara. La tesi affrontava in modo sistematico l'interazione tra la solubilità di sali di metalli pesanti scelti e le elettro-affinità dei gruppi costituenti e degli atomi. Oltre a fornire tabelle di valori determinati sperimentalmente di quantità come concentrazioni di equilibrio e relativi potenziali di elettrodo, il documento mirava a valutare la questione se le elettro-affinità fossero quantità additive.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il secondo articolo di Clara mirava ad espandere la base di dati sulla solubilità per includere i sali di rame, utilizzando le idee e i metodi sviluppati da Walther Nernst, Wilhelm Ostwald e Friedrich Wilhelm Küster. Quest'ultimo era professore di Clara all'Università di Breslavia, a cui va anche il merito di aver suscitato il suo interesse per la chimica fisica. Si trasferì alla <i>Bergakademie </i>di Clausthal nel 1899 e fu nel laboratorio Clausthal di Küster che Clara effettuò le misurazioni riportate nel suo secondo articolo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il consulente di dottorato di Clara, Richard Abegg, era diventato famoso per il suo lavoro sulla valenza che ha portato alla regola dell'ottetto. Il lavoro di Clara sull'elettro-affinità era in qualche modo correlato a questa linea di ricerca, ma il suo contributo non fu ritenuto abbastanza significativo da giustificare l'inclusione di Clara nell'elenco del 1910 redatto da Svante Arrhenius di una mezza dozzina di ex affiliati di Abegg che avevano contribuito alla sua ricerca. A dire il vero, nemmeno Sackur era in quella lista. Tuttavia, Sackur si era fatto un nome in un'area che si trovava al di fuori della gamma di interessi di Abegg e aveva pubblicato il suo lavoro chiave solo dopo la morte di Abegg. Va anche notato che il lavoro di Clara, a differenza di quello di Abegg o di Sackur, non arricchiva il quadro concettuale della chimica fisica e non avviava una nuova direzione di ricerca.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Oltre al suo lavoro di ricercatrice, Clara tenne anche conferenze pubbliche, sia a Breslavia che successivamente a Karlsruhe, sul vasto tema della scienza in casa. Ispirate dal popolare libro di Lassar Cohn <i>La chimica nella vita quotidiana</i>, le lezioni di Clara attiravano un pubblico di un centinaio di donne.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Oltre ad Abegg e Sackur, nella vita di Clara Immerwahr entrò un altro pioniere della chimica fisica, ovvero Fritz Haber (1868-1934). Più vecchio di soli due anni, anche lui originario di Breslavia, Fritz probabilmente incontrò Clara a una lezione di ballo. Poco si sa di questo legame, ma Haber avrebbe poi ammesso, in occasione del suo fidanzamento con Clara nell'aprile 1901, di essere <i>"innamorato di lei come uno studente </i>[di liceo]<i>"</i> e che durante gli anni successivi aveva <i>"onestamente ma senza successo"</i> cercato di dimenticarla. Quando la dottoressa Immerwahr appena laureata apparve nell'aprile 1901 alla conferenza annuale della Società elettrochimica tedesca a Friburgo - come unica scienziata donna - la relazione tra lei e Haber si riaccese rapidamente. Come dirà poi Haber in una delle sue lettere, <i>«ci siamo visti, ci siamo parlati e alla fine Clara si è lasciata convincere a fare un tentativo con me»</i>. Clara descriverà i suoi motivi per aver accettato le avances di Fritz nella già citata lettera del 1909 al suo confidente Abegg:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“È stato il mio approccio alla vita secondo cui vale la pena vivere solo se si sviluppano al massimo tutte le proprie capacità e si vive tutto ciò che una vita umana può offrire. E così alla fine ho optato per l'idea del matrimonio </i>[...]<i> sotto l'impulso che, se non mi fossi sposata, una pagina decisiva nel libro della mia vita e un filo della mia anima sarebbero rimasti inattivi. Ma la spinta che ne ho tratto è stata molto breve”.</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come ha sottolineato Margit Szöllösi-Janze, biografa sia di Fritz che di Clara Haber, il loro matrimonio, avvenuto già il 3 agosto 1901, segnò la fine del “capitolo 'scienza chimica' nel libro della vita di Clara”.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Guardando l'ultimo decennio della vita di Clara, bisogna essere d'accordo. Sebbene all'inizio potesse aver nutrito la speranza di poter riprendere il suo lavoro scientifico, a un certo punto deve aver abbandonato sempre più tali speranze. Durante i primi anni del suo matrimonio, Clara appariva alle lezioni e nei laboratori della <i>Technische Hochschule</i> di Karlsruhe, dove suo marito sarebbe presto diventato il fondatore dell’istituto di chimica fisica ed elettrochimica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Inoltre, sembra che all'epoca Fritz Haber coinvolgesse la moglie nelle sue ricerche e condividesse con lei le sue idee scientifiche, come suggerito dalla dedica del suo libro di testo del 1905 <i>Termodinamica delle reazioni tecniche dei gas</i>: <i>“Alla mia cara moglie Clara Haber, Ph.D., in segno di gratitudine per la sua silenziosa collaborazione”</i> (1908).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tuttavia, che il coinvolgimento di Clara nella ricerca di Haber comportava più di una silenziosa collaborazione traspare nella sua corrispondenza con Abegg, in cui riferisce sui progressi di Haber nella stesura del libro di testo, discute appuntamenti accademici e sollecita consigli sui suoi discorsi pubblici. Tuttavia, il sogno di un matrimonio scientifico equo e reciproco - come quello di Pierre e Marie Curie a Parigi - non si è avverato.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La svolta probabilmente avvenne quando il loro figlio Hermann nacque nel 1902 e/o quando Haber divenne professore ordinario a Karlsruhe nel 1906. Hermann era un bambino malaticcio, che richiedeva molte attenzioni dalla madre. Clara si prendeva cura del figlio amorevolmente e allo stesso tempo gestiva una famiglia esigente. All'inizio la giovane famiglia non poteva permettersi il personale di servizio e così Clara doveva fare molto da sola. In una lettera ad Abegg scritta nel 1901 da Karlsruhe, Clara dichiarò che sarebbe tornata al laboratorio:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“... una volta che diventeremo milionari e potremo permetterci la servitù. Perché non posso nemmeno pensare di rinunciare al mio </i>[lavoro scientifico]<i>”.</i></blockquote><i></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come sappiamo, gli Haber si arricchirono, tuttavia Clara non sarebbe mai tornata al laboratorio, nonostante le posizioni di Haber a Karlsruhe e in seguito direttore di un Kaiser Wilhelm Institute. Con il passare degli anni, ricadrà sempre più nel ruolo tradizionale di moglie rappresentativa di un professore, casalinga preoccupata per il benessere della famiglia e madre premurosa. Ciò era aggravato dalla mentalità ristretta di Haber e dalla sua ossessione per il lavoro e la carriera, che lasciarono poco spazio allo sviluppo professionale di Clara e la ridussero sempre di più al ruolo di madre/casalinga. Di conseguenza Clara si stancò e, come scrisse Szöllösi-Janze:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote>“il periodo di massimo splendore che Haber aveva vissuto a Karlsruhe fu per sua moglie Clara il suo crepuscolo intellettuale”.</blockquote></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mancavano ancora sei anni all'uscita volontaria di Clara dalla vita il 2 maggio 1915. Durante questo periodo Fritz Haber godrà di un'ulteriore ascesa scientifica e sociale: nel 1909 pose le basi scientifiche per la sintesi catalitica dell'ammoniaca dai suoi elementi e nel 1911 divenne direttore fondatore del Kaiser Wilhelm Institute per la Fisica Chimica ed Elettrochimica di Berlino.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3_zE5ziXkBtV_rBCCns7fkE7BL7j8K5rbaJBIXSD_w3ho9FJCDMjps2MZ6Ozqna9KVROJpgeWoaaahjQmICxdZr9yPWKXFie5DK3Qx4U9ld8CC1b2L_WFBjUaJGtQhdZ9HyaD4sIH2VYEUmhMcfxH-ClqYm_DRxjoWLqhOttbMTKpazVOp2g5PM_oS9g/s1024/Haber.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="576" data-original-width="1024" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3_zE5ziXkBtV_rBCCns7fkE7BL7j8K5rbaJBIXSD_w3ho9FJCDMjps2MZ6Ozqna9KVROJpgeWoaaahjQmICxdZr9yPWKXFie5DK3Qx4U9ld8CC1b2L_WFBjUaJGtQhdZ9HyaD4sIH2VYEUmhMcfxH-ClqYm_DRxjoWLqhOttbMTKpazVOp2g5PM_oS9g/w640-h360/Haber.jpg" width="640" /></a></div><br />In tal modo Haber raggiunse l'Olimpo della scienza in Germania e in tutto il mondo. Clara poteva partecipare alla gloria di tutto ciò, ma non come scienziata, piuttosto come moglie di uno scienziato, una differenza su cui la sensibile e sincera Clara deve aver sicuramente riflettuto. La crescente alienazione della coppia era evidente ai loro conoscenti, per i quali il logoramento e le difficoltà tra i coniugi erano piuttosto evidenti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le tensioni e i conflitti tra Clara e Fritz si aggravarono ulteriormente dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale. In linea con la massima "In pace per l'umanità, in guerra per la patria", Fritz Haber si impegnò in modo straordinario per aiutare lo sforzo bellico tedesco.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Già nel settembre del 1914 i militari avevano suggerito che i sottoprodotti della fabbricazione di esplosivi potessero essere usati come armi chimiche. Questa soluzione serviva anche a interessi industriali. Il Capo di Stato Maggiore prussiano, il generale Erich von Falkenhayn, raccolse questi suggerimenti e installò una commissione che in seguito includeva Haber, che non solo era spinto dall'ambizione di risolvere i problemi della guerra in modo tecnocratico, cioè attraverso la scienza e la tecnologia, ma cercava anche di creare una rete che collegasse l'industria, il mondo accademico, i militari e i politici, promuovendo così il ruolo sociale degli scienziati. Alla fine della guerra, circa mille scienziati erano stati coinvolti nello sviluppo della guerra del gas in Germania, 150 solo dal Kaiser Wilhelm Institute di Haber in rapida espansione. Ciò rappresentò un successo sorprendente che avrebbe avuto conseguenze durature per il rapporto tra scienza e militari.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In parte incoraggiato dall'uso francese dei gas lacrimogeni, comprese le loro varianti letali, Haber prese l'iniziativa di impiegare la chimica per risolvere la più grande sfida strategica della guerra, vale a dire lo stallo della guerra di trincea. Portato alla ribalta dalla necessità della Germania di produrre "polvere da sparo dall'aria", Haber, sostenuto dall'industria chimica, fu in grado di persuadere la leadership militare del suo paese a organizzare un test sul campo di battaglia di un'arma chimica - di "veleno invece di aria". Questo gli avrebbe fatto guadagnare l'epiteto di "padre della guerra chimica".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGeDVwipTgf5rFSC-3i3--AqrNmRc_lt2I8Xi1-DraNNUn-RvwD7HMB3BgqmujKqPbCotf-eTg0xCFqZ9XaJxGQ8FIRq_TkoU77ZNOw-OqEYEJCJhqwhFYTtyFviL-8vg3_qZo4zR5Bg5dhNPihtqi9yHx7J6sQxo9pp8uXWTjFEowb977st3hfROgND8/s1811/fritz-haber-on-the-western-front-instructing-german-soldiers-on-the-use-of-chlorine-gas.-Archiv-der-Max-Planck-Gesellschaft-Berlin.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1811" height="424" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGeDVwipTgf5rFSC-3i3--AqrNmRc_lt2I8Xi1-DraNNUn-RvwD7HMB3BgqmujKqPbCotf-eTg0xCFqZ9XaJxGQ8FIRq_TkoU77ZNOw-OqEYEJCJhqwhFYTtyFviL-8vg3_qZo4zR5Bg5dhNPihtqi9yHx7J6sQxo9pp8uXWTjFEowb977st3hfROgND8/w640-h424/fritz-haber-on-the-western-front-instructing-german-soldiers-on-the-use-of-chlorine-gas.-Archiv-der-Max-Planck-Gesellschaft-Berlin.jpg" width="640" /></a></div><br />La letalità dell'attacco della nube di cloro del 22 aprile 1915 a Ypres indusse l'esercito tedesco ad adottare la guerra chimica. Haber fu promosso, con decreto imperiale, al grado di capitano.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Haber celebrò il "successo" a Ypres e la sua promozione durante un ricevimento nella sua residenza da direttore a Berlino. La festa avvenne la sera del 1° maggio 1915. Successivamente, nella notte tra il 1 e il 2 maggio, Clara Haber si suicidò. Si sparò con la pistola dell'esercito di Haber, nel giardino della loro villa. Apparentemente, Haber, sedato dalla sua dose serale di sonniferi, non sentì gli spari (ce ne furono due). Clara fu trovata morente dal figlio tredicenne Hermann.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La maggior parte dei documenti relativi al suicidio di Clara sono stati prodotti quasi quattro decenni dopo, tramite interviste per la cosiddetta<i> Collezione Jaenicke</i>, dal nome di Johannes Jaenicke, un collaboratore di Haber che progettò di scrivere la biografia di Haber e che fu a capo del precursore dell'Archivio del Max Planck Institute. Le menzioni fatte nelle memorie e nella corrispondenza personale di persone che conoscevano gli Haber forniscono ulteriori curiosità, anche se a volte solo tra le righe. La coincidenza del suicidio con l'attacco della nube di cloro a Ypres e il ruolo chiave di Fritz Haber in esso hanno dato luogo a speculazioni e c'erano - come notato da Jaenicke - <i>"numerose versioni contraddittorie in circolazione"</i>. La famiglia Haber trattò il tragico evento con la massima discrezione, per cui non sono disponibili fonti primarie‚ come lettere di addio‚ che ne chiariscano il movente. Allo stesso modo, sostanzialmente non sono disponibili testimonianze contemporanee autentiche che facciano luce sul tragico evento. Quasi tutte le testimonianze esistenti sono degli anni Cinquanta e Sessanta, sollecitate e raccolte da Johannes Jaenicke per la sua collezione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Vent'anni prima, all'inizio degli anni '40 in America, Morris Goran, di cui si sa poco, tranne che a un certo punto ricoprì una posizione al Roosevelt College di Chicago, tentò di intervistare scienziati tedeschi emigrati </span>dell'establishment<span style="font-family: inherit;"> scientifico tedesco in generale e su Fritz Haber in particolare. Nel 1947 Goran pubblicò un articolo piuttosto agiografico su Haber e nel 1967 il libro The Story of Fritz Haber, che contiene un breve passaggio sul suicidio di Clara. Nel passaggio, Goran afferma che Clara era stata "vitalmente colpita" dal coinvolgimento di suo marito nella guerra chimica della Prima guerra mondiale e si era suicidata dopo un'accesa discussione con Fritz su ciò che considerava <i>"una perversione della scienza"</i> e <i>"un segno di barbarie"</i>. Goran non fornisce prove o fonti né per questo scenario né per queste affermazioni. Apparentemente, la tanto citata frase sulla perversione della scienza e della barbarie, attribuita a Clara, è proprio di Goran. A parte la sua categorizzazione politica e morale del suicidio di Clara, Goran sottolineava anche per la prima volta che Clara era depressa e che la guerra chimica era una via o una scusa per la grave preoccupazione che sembrava favorire.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tuttavia, Goran non fornisce alcun riferimento neanche qui, il che ha portato Margit Szöllösi-Janze a definire il suo libro come un testo in cui <i>"il confine tra uno studio storicamente corretto e la finzione è sfumato"</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nella sua biografia di Haber, Szöllösi-Janze ha valutato criticamente le fonti su Clara e il suo suicidio che si possono trovare nella Collezione Jaenicke, con la conclusione che i motivi del suicidio di Clara sono tanto poco chiari quanto le fonti disponibili sono ambigue e rare.
Ad esempio, Adelheid Noack, la nipote del cognato di Clara disse che:
<i>“Ci sono vari resoconti più o meno patetici del suo suicidio [di Clara], ad esempio che lo aveva implorato </i>[Fritz Haber]<i> di abbandonare la guerra chimica. Questi racconti sono una sciocchezza.“</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ciò è contrastato dall'opinione di James Franck, che ha affermato nella sua conversazione con Jaenicke che Clara era:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote><blockquote>“una brava persona di talento con opinioni distinte, che spesso contraddicevano quelle di suo marito... voleva riformare il mondo. Il fatto che suo marito fosse coinvolto in una guerra chimica ha sicuramente avuto un effetto sul suo suicidio"</blockquote></blockquote></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tuttavia, Franck ha aggiunto che Fritz Haber</span></div></span><blockquote style="border: none; margin: 0 0 0 40px; padding: 0px;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote>"ha fatto uno sforzo immenso per conciliare le sue opinioni politiche e umane con quelle di Clara".</blockquote></i></span></div></span></span></blockquote><p> <span style="font-family: inherit; font-size: large; text-align: justify;">Un altro sostenitore del punto di vista espresso da James Franck era il chimico fisico Kurt Mendelssohn, che aveva lavorato prima della sua emigrazione nel 1933 sia a Berlino che a Breslavia. Nel suo libro <i>Il mondo di Walther Nernst</i> ha dichiarato:</span></p><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><blockquote><i>“... c'è stato un macabro seguito alla sua decisione </i>[di Fritz Haber]<i> di sviluppare gas velenosi. Sua moglie, la dottoressa Clara Immerwahr, che era anche una chimica, lo aveva supplicato ripetutamente di non lavorare sulla guerra del gas. La sua risposta fu che il suo primo dovere era verso il suo paese e che nessuna discussione, nemmeno le suppliche di sua moglie, avrebbe potuto scuotere la sua determinazione. La sera della partenza di Haber per il fronte, Clara si è suicidata “.</i></blockquote></blockquote></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un'ulteriore testimonianza su un possibile ruolo della guerra chimica nel suicidio di Clara è stata fornita da suo cugino Hans Krassa, secondo il quale Clara aveva visitato la moglie di Krassa poco prima del suicidio per confidarle sui "raccapriccianti effetti" della guerra chimica a cui aveva assistito, in particolare la “sperimentazione sugli animali”. Krassa, tuttavia, ha aggiunto che potrebbero essere stati in gioco anche altri fattori. Per quanto riguarda l'indole di Clara, Krassa ha affermato che "la parola tristezza va troppo oltre" e che "non si può certo parlare di una depressione ereditaria".</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Che Clara fosse "estremamente nervosa", specialmente negli ultimi anni della sua vita, si può trovare nella testimonianza di Otto Lummitzsch, che fu testimone di una visita di Fritz e Clara Haber al campo di prova dei gas a Wahn vicino a Colonia. Egli descrisse Clara come una donna nervosa, che già allora era in netta opposizione alle avventure del Sovrintendente Haber al fronte con le truppe del gas.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un altro aspetto della personalità di Clara traspare nel modo in cui si comportava e si vestiva. Secondo James Franck,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“</i>[Haber]<i> amava apparire, mentre </i>[Clara]<i> esagerava la semplicità dei suoi modi e si vestiva male – </i>[forse]<i> per protesta? (Quando ho visitato </i>[gli Haber]<i> per la prima volta, la porta è stata aperta da una persona che ritenevo una donna delle pulizie. E ho pensato che sarebbe stato appropriato se in una famiglia così bella la donna si fosse vestita un po' meglio – ma era la stessa signora Sovrintendente </i>[Clara]<i>)”.</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nella sua conversazione con Jaenicke, Adelheid Noack ha anche affermato che Clara era "inorridita da qualsiasi cosa di sensuale", in linea con il fatto che aveva lasciato la camera da letto coniugale nel 1902, per non tornarci mai più. Questo fatto, così come la testimonianza di Noack, è stato confermato dalla seconda moglie di Haber, Charlotte Nathan, che ha avuto accesso a tali informazioni intime più di chiunque altro. Una vera bomba fu lanciata da Hermann Lütge, che testimoniò che nella fatidica notte tra l'1 e il 2 maggio 1915, Clara colse il marito in flagranza con Charlotte Nathan. Charlotte lavorò come manager dell'allora nascente club <i>"Deutsche Gesellschaft 1914"</i>, dove lei e Haber si erano conosciuti ed era stata invitata alla grande celebrazione del "successo" a Ypres nella villa di Haber (anche se Charlotte in seguito lo ha negato). La sociologa Angelika Ebbinghaus e la storica Margit Szöllösi-Janze tendono a ritenere che la scoperta da parte di Clara della relazione di suo marito possa essere stata la vera causa del suo suicidio.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene fornite da contemporanei, le suddette testimonianze sono state rese note con un ritardo di circa 50 anni, il che le rende storiograficamente problematiche. Tuttavia, ci sono due documenti emersi di recente che sono stati scritti a pochi giorni dal suicidio di Clara e che rispondono ad alcune delle domande poste in relazione ad esso: sono le lettere (datate 5 maggio 1915) di Edith Hahn, la moglie del chimico Otto Hahn, al marito, e le lettere (datate 6 e 9 maggio 1915) di Lise Meitner, collaboratrice e collega di Otto Hahn al Kaiser Wilhelm Institute, a Edith Hahn. Queste lettere, recentemente pubblicate da Eckart Henning (2016), l'ex direttore del Max Planck Archive, confermano che Clara era mentalmente instabile. Così Edith Hahn ha scritto:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>"Certo che la donna </i>[Clara]<i> era malata, era sempre stata strana - tutti la prendevano in giro".</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E Lise Meitner riferisce che:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“negli ultimi tempi </i>[Clara]<i> aveva sempre dato l'impressione di essere agitata”.</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le lettere concordano anche sul fatto che le ragioni dell'atto disperato di Clara fossero da ricercare nella sua vita privata. Edith Hahn lo ha scritto a suo marito:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“Lui </i>[Fritz Haber] [era] <i>colpevole. Ho la sensazione che lei fosse </i>[fortemente]<i> attaccata a lui e che lui la trattasse male – o almeno in modo del tutto indifferente, e che soffrisse più di quanto possiamo immaginare. Di recente, si è lamentata </i>[con me]<i> che non le aveva mai scritto </i>[dal fronte]<i>; questo è venuto fuori inavvertitamente ed è stato così triste che le ho mentito dicendo che mi scrivi solo di rado e lei </i>[ha fatto notare]<i> che suo marito ha avuto ancora meno tempo. Povera, povera donna. Ho sempre avuto la sensazione che fosse stufo di lei, cosa che io potevo capire fino a un certo punto”.</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In linea con questo, Lise Meitner scrisse:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“lei </i>[Clara]<i> ha recentemente fatto osservazioni sul fatto che era infelice del suo matrimonio. E che lui </i>[Haber] <i>non è esattamente una persona affettuosa. Comunque, è una storia molto triste “.</i></blockquote><i></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Che le probabili ragioni del suicidio di Clara fossero personali è supportato da un altro documento contemporaneo. A cavallo del 1914/15 avviene uno scambio epistolare tra Setsuro Tamaru, ex collaboratore giapponese di Haber, che dovette lasciare la Germania dopo lo scoppio della guerra, e Clara Haber. Nella sua lunga lettera, scritta la Vigilia di Natale del 1914, Tamaru lamenta la sua situazione personale di ospite nel laboratorio di Theodore Richard ad Harvard, caratterizzato da un isolamento personale e scientifico; di essere stato costretto a lasciare la Germania; e di aver ricevuto <i>"nessuna riga, nessuna risposta da Herrn Geheimrat </i>[Fritz Haber]<i>"</i>. Inoltre, la lettera di sei pagine di Tamaru riguarda la situazione politica e militare durante il primo anno della Prima guerra mondiale e contiene la posizione di Tamaru riguardo alla guerra e alla pace:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote>“Sono una sorta di pacifista e sono sempre contro la guerra. Una guerra non decide nulla, genera solo la prossima guerra”.</blockquote></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nella sua altrettanto lunga risposta, Clara non reagisce in alcun modo alla posizione di Tamaru e descrive invece la "malinconia della nostra separazione" e "il tuo [posto] è mancato alla tavola di Natale". Clara spiega il silenzio di Fritz Haber e di altri all'istituto facendo notare questo:</span></div><blockquote><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“... mio marito lavora 18 ore al giorno, quasi sempre a Berlino, mi occupo di 57 bambini poveri e Hermann </i>[il figlio] <i>è malato da novembre... A parte questo, siamo tutti colpiti negativamente dallo sdegno e la sorda pressione </i>[della guerra] <i>che tolgono ogni impulso a fare altro che aiutare il Paese nelle poche ore rimaste [</i>della giornata]<i>”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"></div></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Clara fornisce anche una breve relazione sul "terribile incidente" di Otto Sackur e sullo shock che ne ha subito e conclude affermando:</span></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote>“Alle tue affermazioni politiche, che erano molto interessanti per noi, non risponderò. Sono troppo ignorante in materia di affari esteri per poter rispondere correttamente. Voi avete certamente ragione su molti aspetti, ma opinioni un po' unilaterali su alcuni punti”.</blockquote></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Anche se si tiene conto che all'epoca la corrispondenza internazionale era soggetta a censura, ciò che traspare nella lettera di Clara è una donna rattristata dalle sofferenze umane e dal peso della guerra piuttosto che un'attivista politica o addirittura una pacifista. Ciò rende piuttosto discutibile l'immagine di Clara, creata negli anni '90 secondo la quale era una schietta pacifista. Allo stesso modo discutibile è l'opposizione di Clara al coinvolgimento del marito nella guerra chimica e quindi il motivo implicito del suo suicidio come collegato ad esso.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un'altra controversia legata al suicidio di Clara riguarda il comportamento di Fritz Haber all'indomani dello straziante evento. La partenza di Haber per il fronte lo stesso giorno (2 maggio) è stata spesso descritta come uno sconsiderato abbandono del figlio tredicenne Hermann e un segno di insensibilità ed egoismo. Anche Szöllösi-Janze sostiene che Haber, visibilmente scosso, potrebbe aver considerato il fronte come un luogo in cui fuggire dalla tragica realtà domestica. Tuttavia, la citata lettera di Lise Meitner getta nuova luce anche su questo aspetto:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“Come sai, Haber doveva partire la mattina, ma è rimasto fino alla sera, quando è stato </i>[alla fine]<i> costretto a partire. Mi risulta che abbia chiesto al comando </i>[militare]<i> se, in considerazione del malaugurato evento, potesse rinviare la partenza, ma la sua richiesta è stata respinta”.</i></blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene Lise Meitner abbia qualificato la sua affermazione aggiungendo <i>"Se sia vero, ovviamente non lo so"</i>, il passaggio suggerisce comunque che Haber non fosse un marito così insensibile da lasciare suo figlio nei guai senza una ragione come era stato ipotizzato in precedenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nonostante la scarsità e l'ambiguità della documentazione storica, durante gli anni '90 si è radicata una narrazione secondo la quale Clara Haber era presumibilmente una pacifista e decisa oppositrice della guerra chimica, in contrasto con suo marito Fritz Haber, che era il principale sostenitore della guerra chimica. Sembra che questa narrazione sia stata catapultata nella sfera pubblica in Germania e altrove dal libro di Gerit von Leitner <i>Der Fall Clara Immerwahr. Leben für eine humane Wissenschaft</i>, pubblicato nel 1993 e varie drammatizzazioni da esso derivate. In esso, Clara è presentata come una schietta pacifista e una scienziata di punta che è stata distrutta - sia come persona che come scienziata - dal marito opprimente e opportunista. Le fonti nel libro di von Leitner non vengono fornite o sono sfruttate in modo selettivo, in modo da fornire un'immagine immacolata di Clara mentre ritrae Fritz Haber come una specie di genio del male. Il racconto di Von Leitner ignora altre fonti che suggeriscono che le ragioni del suicidio di Clara potrebbero aver avuto a che fare con la sua vita privata.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'enfasi sulla lettera di Clara del 1909 a Richard Abegg è un esempio calzante. Scritto su carta da lettere listata di nero, si apre con una tirata sulla sua incapacità di trovare una penna stilografica (descritta - a matita - su due pagine su dodici), Clara denuncia il marito e descrive in dettaglio la sua vita insoddisfacente con lui. La lettera potrebbe essere stata innescata dalla gelosia, dopo che Abegg, durante la sua visita a Karlsruhe, si congratulò con Fritz Haber per la sua scoperta della sintesi catalitica dell'ammoniaca senza menzionare Clara. Lei, tuttavia, non era stata coinvolta nella ricerca - sua o di Haber - dal 1901 circa, come aveva riconosciuto nella stessa lettera. La lettera è speciale in quanto è l'unica scritta da Clara ad Abegg (o a chiunque altro) in cui aveva perso i nervi e si era lamentata di Haber e del loro matrimonio.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il libro di Von Leitner apparentemente ha toccato una corda sensibile dello <i>Zeitgeist</i>, poiché era stato ben accolto - in alcuni casi anche euforicamente - non solo nei circoli femministi e pacifisti, ma anche dalla maggior parte dei critici letterari tedeschi che scrivevano per i principali giornali e riviste. Così, ad esempio, Volker Ullrich ha pubblicato su <i>Die Zeit</i> una recensione in cui ha reso omaggio al libro di von Leitner come:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><blockquote>“uno dei migliori esempi di una nuova forma di scrittura della storia ispirata alle donne, ... un affascinante ritratto storico ... che rivela ciò che è stato coperto e nascosto per decenni”</blockquote></i></span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La recensione di Ullrich divenne emblematica per l'accoglienza del libro da parte di altri critici e il suo tenore può essere trovato in molte altre recensioni pubblicate su importanti quotidiani nazionali e in periodici regionali. Un'altra questione discussa nelle recensioni, che tocca il cuore del libro di von Leitner, è quella dell'uguaglianza nei matrimoni scientifico/accademici come quello degli Haber e la promozione delle carriere accademiche delle scienziate. Tutto ciò ha dato rilevanza al libro di von Leitner rispetto alle tendenze e ai dibattiti politici degli anni '90 e ne ha fatto un veicolo per promuovere le opinioni e gli ideali del movimento per la pace, del femminismo e dell'antimilitarismo. Il tentativo di Clara di avere una vita autodeterminata come donna, madre e scienziata, così come il suo tragico suicidio, sono interpretati come un "[faro di una] scienza femminile che preserva la vita" e giustapposti alla scienza maschile e patriarcale orientata al potere interessato allo sfruttamento delle risorse.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-O6jKxJrstVhTWojQve7704YOlEp5JUgar4MmDL4fhmVcL95zPm6Mkb985No7FbBRYcUDbBJqaaUHhuM8HJXzregmZ9hXsZeFNfOj3lQaclo9COsgSkP_g7h2v8pzb24vwDcAGSnx-3CdvZBqDzVrwfflXPyqDNnTWk1g_H7rznoIE_a4Op2pZttFXZ8/s1200/british-gas-casualties-in-1918.-wikimedia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="743" data-original-width="1200" height="396" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj-O6jKxJrstVhTWojQve7704YOlEp5JUgar4MmDL4fhmVcL95zPm6Mkb985No7FbBRYcUDbBJqaaUHhuM8HJXzregmZ9hXsZeFNfOj3lQaclo9COsgSkP_g7h2v8pzb24vwDcAGSnx-3CdvZBqDzVrwfflXPyqDNnTWk1g_H7rznoIE_a4Op2pZttFXZ8/w640-h396/british-gas-casualties-in-1918.-wikimedia.jpg" width="640" /></a></div><br />La recensione di Volker Ullrich è un ottimo esempio di una tale interpretazione del libro di von Leitner che aveva nel tempo acquisito un carattere quasi paradigmatico. Appaiono apodittiche le affermazioni di Ullrich secondo le quali von Leitner ha abbattuto «il velo di falsa leggenda costruito [intorno a Fritz Haber]». Tuttavia, ciò che era stato trascurato è che, attraverso la porta sul retro, veniva introdotta un'altra leggenda: <i>il mito di Clara Immerwahr</i>. Secondo questo mito, Clara si suicidò in opposizione alla guerra chimica e come protesta disperata contro lo sviluppo di armi di distruzione di massa da parte del marito, il cui lavoro era sprezzante della vita umana. Questa interpretazione non solo è troppo semplicistica, ma è difficilmente supportata dalle fonti storiche disponibili, come già delineato sopra; nel migliore dei casi, può essere vista come un'ipotesi accattivante priva di prove a sostegno. Per inciso, una critica di questo tipo era già stata rivolta al libro di von Leitner da diversi critici durante gli anni '90. Ad esempio, lo storico della scienza Ernst Peter Fischer scrivendo su <i>Die Tageszeitung</i> (e anche su <i>Weltwoche</i>) ha denunciato non solo le carenze stilistiche e sostanziali del libro, definendolo come un "fallimento totale <i>[total misslungen]</i>", ma ha anche sottolineato che a causa dei riferimenti mancanti non è chiaro se il libro sia una "resa attendibile [di fatti storici]" e quanto siano unilaterali le sue interpretazioni. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene von Leitner abbia scelto il genere accademico della biografia piuttosto che del romanzo, ha abbandonato gli standard nel processo di scrittura del suo racconto, come documentare le sue dichiarazioni con riferimenti valutati criticamente. Nel suo racconto spesso mette in bocca all'eroina affermazioni/opinioni o descrive situazioni che coinvolgono i personaggi del suo libro per le quali non esistono registrazioni o prove. Ad esempio, afferma che "Clara ammirava la coraggiosa Bertha von Suttner" [Premio Nobel per la Pace nel 1905] e descrive persino una scena in cui Clara discute dei diritti delle donne con suo marito e si schiera dalla parte di von Suttner.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Poiché né Clara né Fritz Haber hanno lasciato diari o corrispondenza da cui è stato possibile ricostruire tali opinioni, conversazioni o situazioni, questi e altri passaggi nel libro di von Leitner possono essere considerati solo come una miscela non accademica di finzione e fatti storici. Di particolare significato è la contestualizzazione di von Leitner del suicidio di Clara, in quanto questo viene presentato come una protesta decisiva contro lo sviluppo e l'uso di armi chimiche, come un segnale "contro la distruzione chimica di massa".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le prove fornite dalle fonti storiche sono troppo scarse per un'ipotesi così forte, per non parlare della gestione della documentazione storica da parte di von Leitner. Pertanto, non possiamo che essere d'accordo con una precedente valutazione di Szöllösi-Janze che:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><blockquote><i>“Per quanto riguarda la fattibilità e la validità delle fonti, la documentazione relativa agli ultimi mesi di vita di Clara Immerwahr durante la prima guerra mondiale è costituita principalmente da lacune piuttosto che da conoscenze comprovate”</i> (Szöllösi-Janze 1998).</blockquote></span></div></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nonostante tutti questi difetti e la loro critica esplicita sulla stampa così come nell'autorevole biografia di Haber di Szöllösi-Janze, l'immagine di Clara Haber, nata Immerwahr come pacifista schietta e oppositrice della guerra chimica prevale ancora oggi nella coscienza pubblica.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">È invece necessaria una visione più differenziata, basata sulla documentazione storica disponibile, secondo la quale il suicidio di Clara Haber sembra essere stato probabilmente il risultato di un "fallimento catastrofico" causato da un sfortunata confluenza di una serie di circostanze che includevano, a parte la sua vita insoddisfacente, i tradimenti di Haber, la tragica morte dei suoi amici intimi, Richard Abegg e Otto Sackur, così come la morte e la distruzione della guerra stessa, amplificata dalle perversioni della guerra chimica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i><b>Fonti:</b></i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Bretislav Friedrich, Dieter Hoffmann, Jürgen Renn, Florian Schmaltz, Martin Wolf (Editors), <i><a href="https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/978-3-319-51664-6_4?pdf=chapter%20toc" target="_blank">One Hundred Years of Chemical Warfare: Research, Deployment, Consequences</a></i>, 2017, Springer Open</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Leitner, von Gerit. 1993. Der Fall Clara Immerwahr. Leben für eine humane Wissenschaft, München: C.H. Beck.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Szöllösi-Janze, Margit. 1998. Fritz Haber 1868–1934. Eine Biographie. München: C.H. Beck.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-59614493409860698142023-06-27T22:35:00.000+02:002023-06-27T22:35:08.032+02:00Antonio Garbasso, contro la separazione tra scienza e umanesimo<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja2E3Y2hRXmzgy_-4uglU0U3EMUVIDo3DTDu42lrkqVyp_5NXulc6_ZiKB5e25TuZloe6c33oMl_-0VP2Sxx8vSNmX4RCAnVENMN930QZKuXQGVoLtkktTpgtOaNn4zKVsZdj6pSmUN3S1rxPPbPUmp1H_i4Mz-F04iR3mSEm5kOA3WQQOiaD1ceobiRs/s800/Antonio_Garbasso_01.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="603" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEja2E3Y2hRXmzgy_-4uglU0U3EMUVIDo3DTDu42lrkqVyp_5NXulc6_ZiKB5e25TuZloe6c33oMl_-0VP2Sxx8vSNmX4RCAnVENMN930QZKuXQGVoLtkktTpgtOaNn4zKVsZdj6pSmUN3S1rxPPbPUmp1H_i4Mz-F04iR3mSEm5kOA3WQQOiaD1ceobiRs/w482-h640/Antonio_Garbasso_01.jpg" width="482" /></a></div><br />Non è vero che nel nostro paese il pregiudizio crociano e gentiliano contro le scienze fosse incontrastato e che la separazione tra le ”due culture”, con il primato assegnato a quella umanistica, non ebbe oppositori. Poche figure, abbastanza isolate, si spesero per difendere l’idea che il sapere è unico. Del matematico e filosofo Federigo Enriques ho già parlato in <a href="https://keespopinga.blogspot.com/2017/03/enriques-e-la-filosofia-come-sintesi.htm" target="_blank">un’altra occasione</a>, ma ci fu anche il fisico e politico (fascista) Antonio Garbasso, del quale penso sia utile conoscere le idee. Certo, è poco consolatorio constatare che entrambi provenivano dall’ambito scientifico (come del resto, più tardi, a suo modo, l’ingegner Carlo Emilio Gadda), e che nessuna voce si levò tra i letterati, ma almeno qualcuno ci fu.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il vercellese Antonio Garbasso (1871-1933) aveva studiato all’Università di Torino, laureandosi in Fisica nel 1892. Formatosi in Germania con Hertz ed Helmholtz, dopo aver insegnato fisica a Pisa, a Torino e a Genova, nel 1913 ottenne la cattedra di fisica sperimentale dell’Università̀ di Firenze, dove contribuì̀ a far potenziare l’Istituto di Fisica di Arcetri. Fra gli allievi di Garbasso vi furono Lo Surdo, Occhialini, Rasetti e Ronchi. Il ‘Laboratorio di ottica pratica e meccanica di precisione’ fu inaugurato ad Arcetri nel 1918 e diverrà poi Istituto Nazionale di Ottica del CNR.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per i suoi interessi sulla natura e propagazione della luce accolse con entusiasmo i lavori di Bohr sull’emissione degli spettri a righe e dal 1913 si fece promotore della concezione quantistica che ancora restava ostica per scienziati formati con una mentalità classica della meccanica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1914 si dedicò all’effetto scoperto nel suo laboratorio da Antonino Lo Surdo e contemporaneamente da Johannes Stark in Germania (effetto Stark-Lo Surdo). Fu il suo ultimo lavoro scientifico, rimasto l’unico sull’argomento fino al 1931.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Garbasso fu protagonista di uno dei pochissimi tentativi italiani di teorizzazione critica e storica rispetto al dialogo fra le «due culture». Con una serie di saggi e di conferenze scritte negli anni ’10, e che sarebbero stati raccolti postumi nel volume <i>Scienza e poesia</i> (1934), egli offriva una prospettiva critica ed estetica che, anche se di carattere divulgativo, si conciliava con un certo razionalismo e con un paradigma di integrazione fra epistemologia e arti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9xVo3FAMd3-mWtSSPJCTo312ChmlSV9nHzkzRkCrhonOZJbFso9rpQ3XBab3eTjGzLUu2Uc7gga_kphw5rAg2vQKzgSZlc194hK8khHt83sgVI7vJUIoDVyQB8jbU9eOmvRjae8xSukGij6Xcdsc5z62q5BW6KwPIQUIsthqJC-CU4AFXFTzBPB9Szts/s243/Scienza%20e%20Poesia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="207" data-original-width="243" height="545" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9xVo3FAMd3-mWtSSPJCTo312ChmlSV9nHzkzRkCrhonOZJbFso9rpQ3XBab3eTjGzLUu2Uc7gga_kphw5rAg2vQKzgSZlc194hK8khHt83sgVI7vJUIoDVyQB8jbU9eOmvRjae8xSukGij6Xcdsc5z62q5BW6KwPIQUIsthqJC-CU4AFXFTzBPB9Szts/w640-h545/Scienza%20e%20Poesia.jpg" width="640" /></a></div><br />Garbasso fu convinto sostenitore della necessità di una seria divulgazione scientifica, per la quale era necessario costruire un ponte di dialogo e di comunicazione fra letteratura, filosofia e scienza, in un esercizio critico e storico capace di rendere conto della «totalità» della cultura, richiamando ognuna di queste discipline alla vocazione più propria della tradizione italiana. A questo proposito il suo nazionalismo conservatore lo portò a nutrire un interesse particolare per la tradizione italiana come, ad esempio, quella degli storici fiorentini, «naturali e positivi», quali «il Guicciardini e il Machiavelli», che è una vocazione di scambio pluridisciplinare e di interazione culturale. Uno dei problemi che affliggeva la cultura italiana di inizio secolo era, secondo Garbasso, il rifarsi della speculazione nazionale all’idealismo tedesco, filosofia del tutto estranea alla nostra tradizione culturale più profonda. Per l’idealismo tutta la realtà̀ è misura e proiezione, morale e epistemica del singolo, ma mentre <i>«un idealista può̀ concedersi, senza peccare contro la logica, di scegliere la sua filosofia; un realista non può̀. A noi spetta, logicamente, un compito solo, di continuare la tradizione dei padri»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Secondo il fisico piemontese, <i>“l’arte e la storia è la scienza e la filosofia sono una cosa sola e una cosa armonica e una cosa nostra”</i>, perché <i>“davanti al problema dell’Universo le attitudini che il pensiero umano può assumere si riducono in sostanza a due: o si ammette insieme a quella del soggetto la realtà del mondo esterno, o si afferma che lo spirito costruisce la natura. Si è realisti nel primo caso, e nel secondo idealisti”</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Il fisico matematico, quali si siano le sue tendenze filosofiche particolari, o magari la convinzione o il proposito di non essere filosofo, appartiene però, a ragion veduta, ad una delle grandi famiglie nelle quali si suddivide il popolo degli uomini che non furon nati a vivere come bruti, ma a cercare virtude e conoscenza.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Chi assume di chiudere la legge di un fenomeno naturale in una formula matematica, cioè quantitativa, assume infatti, implicitamente, se anche non se ne renda conto, che la formulazione abbia valore per tutti e per tutti abbia il medesimo valore. Implicitamente il fisico matematico nega la costruzione individuale, o, in altri termini, è realista”</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Garbasso, dedicò a proposito alcune lezioni pubbliche alla <i>Commedia </i>di Dante discutendo di quelle conoscenze astronomiche, di cromatica e di meccanica presenti nel testo dantesco, e sottolineando, contro Croce, che Dante aveva «lo spirito scientifico; uno spirito non dissimile, in fondo, da quello di Galileo». Analogamente, mise in risalto una regola generale che caratterizza <i>«tutti i nostri grandi Italiani, nel Medioevo e nel Rinascimento, Dante e Francesco d’Assisi, Galileo e Niccolò̀ Machiavelli, </i>[che]<i> ebbero tutti un tratto spirituale in comune che è il senso profondo della realtà̀»</i>.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFocRrkfNAK29FGj17e2L2ook3yyvNjeB8H8k8bpprmFQIvpv7HRf96TVlq_E0aDMomKDnd4aKqHDGnJ3s0uOzfo60JUPIAoVE1yQG0HiXT8knGki5Ie30-T8SdXPwZBSNRIfVBK6C954iP5aW4da6DCN5gr-SPnnPja2td7dcbZiTsibU8owda5bKimM/s2943/SenzaTitolo-261.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2306" data-original-width="2943" height="502" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjFocRrkfNAK29FGj17e2L2ook3yyvNjeB8H8k8bpprmFQIvpv7HRf96TVlq_E0aDMomKDnd4aKqHDGnJ3s0uOzfo60JUPIAoVE1yQG0HiXT8knGki5Ie30-T8SdXPwZBSNRIfVBK6C954iP5aW4da6DCN5gr-SPnnPja2td7dcbZiTsibU8owda5bKimM/w640-h502/SenzaTitolo-261.jpg" width="640" /></a></div><br />La scienza poi possiede un proprio valore estetico:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Il contrasto tra ciò che è bello e ciò che è vero, è di origine dottrinale, è non deriva dalla realtà delle cose. Che l’attività scientifica e l’estetica sieno essenzialmente distinte è appena un pregiudizio di pochi pensatori unilaterali, il quale non ha radici, da quella in fuori, profondissima senza dubbio, della loro personale ignoranza specifica.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>Gli scopi invece delle arti figurative e della scienza sono identici come sono identici i mezzi. Perché artisti e scienziati cercano di intendere l’universo esteriore e per intenderlo e per farlo intendere procurano di darne una rappresentazione. Che questa poi si concreti in un quadro o in un modello meccanico, o in un’equazione differenziale, tocca la forma e non altera la natura logica del procedimento”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Garbasso anticipò poi alcune questioni sociologiche molto generali che sarebbero state riprese da vari commentatori durante il Novecento. Cinquanta anni prima di C.P. Snow, propose una delle sue più note argomentazioni polemiche, sottolineando come:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Una persona mezzamente colta, che si terrebbe disonorata quando non fosse capace di distinguere la maniera di Sandro Botticelli da quella di Paolo Veronese, o quando dovesse confessare di non conoscere l’</i>Evolution créatrice<i> o l’altra merce simile di fabbrica nazionale, trova invece naturalissimo di non sapere come si muovano in cielo i pianeti, o come si determini la figura della terra.”</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Con un argomento che ritornerà̀ anche nelle memorie del fisico Carlo Bernardini, Garbasso deplorerà̀ il fatto che «i nostri grandi giornali danno notizia ai loro lettori di ogni giovinetto scrittore di novelle e di ogni pittore futuristeggiante; ma nessuno pubblicò regolarmente una rivista delle novità̀ scientifiche o tecniche».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A questo proposito, lamentandosi sia della cronica carenza di fondi destinati alla ricerca scientifica in Italia, che della sua marginalizzazione nei programmi scolastici del Regno, Garbasso esprimette a più̀ riprese la preoccupazione per il mutamento sostanziale dell’impianto pedagogico operante nella scuola italiana. Confrontando l’organizzazione didattica tedesca, austriaca e francese, dove esisteva «una letteratura matematica, fisica e meccanica, dedicata espressamente ai filosofi, ai medici e ai naturalisti», in Italia di inizio secolo venne invece ridotto «ad un terzo il programma d’algebra e di geometria nel Liceo, e gli sviluppi matematici furono sostituiti con una serie di lezioni su la cultura ellenica. Se il corso è fatto con coscienza, i giovinetti retori della terza Italia vi impareranno almeno, che certi ministri della pubblica istruzione non avrebbero potuto entrare nella scuola di Platone ateniese».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Al riguardo, Garbasso critica quei filosofi contemporanei che pretendono di essere «i moderatori supremi del movimento scientifico contemporaneo», ma, zavorrati da una preparazione inadeguata ricevuta nelle facoltà̀ filologiche, sanno poco o nulla di matematica, fisica o scienze. Soprattutto <i>«hanno posto in oblio, i filosofi, </i>[...]<i> che i magni spiriti della Grecia erano sapienti prima di essere savi; che Talete Milesio trovò la teoria delle proporzioni e costruisse un telemetro </i>[...]<i> che il divino Platone risolse il problema della duplicazione del cubo </i>[...]<i>. I filosofi filologizzati non lo rammentano più, ma presso i Greci, per un mirabile simbolo, anche gli Dei si occupavano di Geometria»</i>. Per Garbasso bisognava inoltre andare contro la leggenda sulla incapacità̀ dei giovani italiani di capire la matematica e la fisica, e a qualsiasi presunta distinzione programmatica fra intuizione e ragione:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Che le attitudini dello scienziato da una parte e quelle dell’artista dall’altra siano essenzialmente distinte è così essenzialmente falso che nel nostro Rinascimento i precursori della scienza moderna furono tutti quanti artisti e grandi artisti. Se poi un filosofo ci viene a raccontare che il meccanico e il fisico non ha quasi bisogno di intuizione mentre ne ha bisogno l’artista, tanto peggio per il filosofo e per la sua filosofia”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">All’entrata in guerra dell’Italia si arruolò come volontario. Da sottotenente del Genio ritornò col grado di Maggiore per avere creato il servizio ‘fonotelemetrico’ che permetteva di individuare la postazione di batterie lontane.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fu Presidente della Società Italiana di Fisica dal 1912 al ’14 e dal 1921 al ’25, membro della settima Conferenza generale Pesi e Misure nel 1927, presidente del Comitato di Fisica del CNR. In questa carica incoraggiò e sostenne l’invio dei giovani più promettenti verso i più notevoli centri di ricerca e studio europei e ristabilì il contatto tra la fisica italiana del primo dopoguerra e le grandi correnti della ricerca sperimentale e teorica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Cattolico, ma non scolastico», Garbasso era informato del dibattito epistemologico in corso a livello internazionale, compendiato in Fisica d’oggi, filosofia di domani (1910) che sottolineava come la conoscenza scientifica, dopo il periodo del «materialismo infantile» dei positivisti di fine Ottocento, riacquistava un interesse particolare per il discorso filosofico grazie soprattutto ai nuovi problemi della fisica, con particolarmente riferimento agli studi di Helmholtz, Mach, Poincaré́, Boltzmann, Duhem, Enriques.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dopo la guerra si dedicò alla vita pubblica, secondo una concezione del mondo che definiva naturale e positiva, romana, italiana e toscana. Aderì al fascismo, pur opponendosi alla riforma Gentile dell’istruzione perché trascurava le discipline scientifiche:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>“Un ministro della Pubblica Istruzione rese facoltativo, or sono alcuni anni, l’insegnamento delle matematiche nel liceo, e alle matematiche sostituì un corso di lezioni sulla cultura ellenica; gli era sfuggito senza dubbio che Euclide e Tolomeo sono classici greci quanto Tucidide ed Aristofane (per citare due nomi a caso), e che anzi essi hanno avuto sulla civiltà contemporanea una più grande influenza che non abbiano avuto Tucidide ed Aristofane.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><i>D’altra parte, nella civiltà contemporanea sono fusi con gli elementi greci e latini anche quelli che furono aggiunti dal Rinascimento, principalissimo il metodo delle scienze sperimentali. E le scienze sperimentali, come scuola di una logica più complessa della aristotelica, sono dunque indispensabili alla formazione spirituale dell’uomo moderno”.</i></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1katJBdqtb2w3vPm6ePEtJntbQOdSCnD49PdTgsBn8ll0OrgvaWBHBox1iExEVi_N2dmNjVrZgJFl9I4-hhwcuJ9XwxFddVo94h6qwzUqFVio2DQG9xwb_oHV0VPPE0G5sTy18-QbMc7fJLmOUdhArN_ZYLv6awtKc52lFoNTuJJ6fJqOqF4QWXb73dg/s850/Antonio-Garbasso-mayor-of-Florence-in-his-study-1920-Fondo-Garbasso-University-of.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="679" data-original-width="850" height="512" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1katJBdqtb2w3vPm6ePEtJntbQOdSCnD49PdTgsBn8ll0OrgvaWBHBox1iExEVi_N2dmNjVrZgJFl9I4-hhwcuJ9XwxFddVo94h6qwzUqFVio2DQG9xwb_oHV0VPPE0G5sTy18-QbMc7fJLmOUdhArN_ZYLv6awtKc52lFoNTuJJ6fJqOqF4QWXb73dg/w640-h512/Antonio-Garbasso-mayor-of-Florence-in-his-study-1920-Fondo-Garbasso-University-of.png" width="640" /></a></div><br />Fu <a href="https://fisica.unipv.it/percorsi/pdf/Garbasso%20CPDF.pdf" target="_blank">sindaco e poi primo podestà di Firenze</a> dal 1920 al 1928. In queste vesti contribuì alla nascita delle società calcistica Fiorentina: lui, un piemontese.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-26778886944999065192023-06-04T22:17:00.000+02:002023-06-04T22:17:11.855+02:00La Madonna del Manganello<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOcKXtq2jYYWEyHDOVofuJ0JXbfUWvY756Xsx-QPPdN1Ye9Sl5ULZcs0oOl9yq-9OdSyVec65NDC3TDAGoLMQU4emGTGjKCS67ZsexDLB2H0Qx_uMvAoPKx9p3jzEmax7yuv4W3CHSrknBSKc18C6nAW0AjGN6tufMlzk2xtlaSh3AUGedofCEEMOG/s540/IMG_5276.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="540" data-original-width="270" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOcKXtq2jYYWEyHDOVofuJ0JXbfUWvY756Xsx-QPPdN1Ye9Sl5ULZcs0oOl9yq-9OdSyVec65NDC3TDAGoLMQU4emGTGjKCS67ZsexDLB2H0Qx_uMvAoPKx9p3jzEmax7yuv4W3CHSrknBSKc18C6nAW0AjGN6tufMlzk2xtlaSh3AUGedofCEEMOG/w200-h400/IMG_5276.JPG" width="200" /></a></div><br />Una delle rappresentazioni più diffuse in epoca tardo medievale e moderna della <i>Madonna del Soccorso</i> è stata quella in cui la Vergine, armata di un bastone, allontana il Diavolo per proteggere un bambino.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una delle prime opere dedicate a questa raffigurazione della Vergine è quella del folignate Nicolò di Liberatore detto l’Alunno (1430-1502), conservata presso la Galleria di Palazzo Colonna a Roma. Al centro del dipinto, la Vergine compare in cielo con un lungo bastone, che minaccia un diavolo sulla destra che sta portando via un pargoletto dalle mani della madre disperata sulla sinistra.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQpjI3GL6-a2l4_BPggoRkX8Ns9gAFaV-HU7M6IjAsxeOQ_BaqOZjF_6G_t9ky0Ptvb9n8rmGMQctztGp1rwFY0ZmhGDBv9UGIEK_s228utf3c8fBWbRNhSJNGhQyN6E46efQftKbShSkIwSt-s9G1S3692YBZTwxBc9Gsy4pWWvKCgaRKs0q3KGCO/s1656/IMG_5275.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1656" data-original-width="1159" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQpjI3GL6-a2l4_BPggoRkX8Ns9gAFaV-HU7M6IjAsxeOQ_BaqOZjF_6G_t9ky0Ptvb9n8rmGMQctztGp1rwFY0ZmhGDBv9UGIEK_s228utf3c8fBWbRNhSJNGhQyN6E46efQftKbShSkIwSt-s9G1S3692YBZTwxBc9Gsy4pWWvKCgaRKs0q3KGCO/w448-h640/IMG_5275.jpg" width="448" /></a></div><br />Al museo di San Francesco a Montefalco, in Umbria, si può vedere un esempio ancor più famoso, il quadro del 1509 di Tiberio d’Assisi in cui la Vergine con il bastone nel braccio destro alzato, con la mano sinistra tiene per mano un bambino che cerca spaventato di sfuggire alle grinfie del diavolo e di salire sull’abito della Madonna. </span><span style="font-family: inherit;">Da un lato del dipinto si vede una donna in ginocchio che prega Maria. È la madre del bambino, che chiede disperatamente aiuto.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La tradizione narra che la madre, stanca per la mancanza di obbedienza del figlio, in un momento di esasperazione chiese al diavolo di portarselo via, e il diavolo si presentò immediatamente per esaudire la richiesta.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Disperata, vedendo il grande errore che aveva commesso e il figlio distrutto dalla paura, la madre, sapendo che l’anima del bambino era in grave pericolo perché non era ancora stato battezzato, pregò la Vergine. La Madonna venne subito a soccorrerla, e prese a bastonate l’orribile creatura infernale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpZ6QM1VWr3IFARQqXLyVTkUxeLL622MYsLyxvYWBChkfajmImWCe5DPvGqhcSkGXKIaXzLdAQ82BUcefERaPsifNuRg5hvs41qYik7O4QzBQFMhXp3uSR3Ov3jK7M5KF-vptwRYUt_ek1RAR5eQTVwFch7WnALZiXiKGI2nutespiCUwwu3zmUsVM/s1919/IMG_5274.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1919" data-original-width="1413" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhpZ6QM1VWr3IFARQqXLyVTkUxeLL622MYsLyxvYWBChkfajmImWCe5DPvGqhcSkGXKIaXzLdAQ82BUcefERaPsifNuRg5hvs41qYik7O4QzBQFMhXp3uSR3Ov3jK7M5KF-vptwRYUt_ek1RAR5eQTVwFch7WnALZiXiKGI2nutespiCUwwu3zmUsVM/w472-h640/IMG_5274.JPG" width="472" /></a></div><br />Questa storia e il tipo di iconografia dell’opera erano molto diffusi nel centro e nel sud Italia. Essa serviva a scoraggiare la pratica del Battesimo tardivo, un tema che preoccupava molto l’Ordine degli Agostiniani. Molti dipinti, come quello della Madonna del Soccorso di Montefalco, provengono infatti da chiese agostiniane.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ancor più nota divenne l’immagine della grande pala d’altare risalente al 1642 attribuita al pittore toscano Andrea Piccinelli, detto il Brescianino, realizzata per la chiesa di San Biagio di Avigliano (PZ). Durante il ventennio fascista questa rappresentazione iconografica venne ripresa dagli organi del PNF che, per evidenti motivi, la elessero patrona degli squadristi e poi protettrice dei fascisti, con il nome di <i>Madonna del Manganello</i>. L’opera originale, in cui la vergine è circondata dai santi Biagio e Cataldo, è andata perduta dopo la guerra ed è nota solo grazie a una riproduzione fotografica in un testo del 1929.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE8jfG-Mrpom_XrOrGZTkiECsrFL1HrENGCZ-N0Rr-gNOvUF0fE1alD8ZQCAgRQ-6096Xkx9vtclnztwE5icAXZAMFIaABGDIn1SjvjWloScXKaVBMdm699gaCtgg5kXTCHrW3aMffQ7j9TqsQPp6WnEKUDxuYBqzaXkqybZn58yTMllLtyKFxVBzs/s1493/IMG_5277.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1493" data-original-width="1017" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiE8jfG-Mrpom_XrOrGZTkiECsrFL1HrENGCZ-N0Rr-gNOvUF0fE1alD8ZQCAgRQ-6096Xkx9vtclnztwE5icAXZAMFIaABGDIn1SjvjWloScXKaVBMdm699gaCtgg5kXTCHrW3aMffQ7j9TqsQPp6WnEKUDxuYBqzaXkqybZn58yTMllLtyKFxVBzs/w436-h640/IMG_5277.jpg" width="436" /></a></div><br />In molti santuari dell’Italia meridionale la <i>Madonna del Soccorso</i> è rappresentata nelle statue, alcune molto ingenue, altre di buona fattura. La più famosa fu la <i>Madonna del Manganello</i> realizzata da Giuseppe Malecore (1876-1967), uno scultore di Lecce specializzato nella lavorazione della cartapesta, come arredo sacro per una chiesa non parrocchiale di Monteleone, dal 1928 diventata Vibo Valentia. La statua, del 1936, rappresentava una Madonna con bambino, nella tipica iconografia della <i>Madonna del Soccorso</i> che, mentre nella mano sinistra sorregge il figlio Gesù, con la destra solleva un bastone che è diventato un manganello nodoso. Ai piedi della donna si trova un secondo bambino in piedi. La statua è realizzata in cartapesta colorata, e anche dalla fotografia di questa rappresentazione furono tratte in seguito alcune serie di santini.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sul retro di tali santini era spesso riprodotto lo stornello <i>Il Santo Manganello</i>, ideato dal bresciano Asvero Gravelli (1902-1956), sansepolcrista, squadrista, volontario della guerra d’Etiopia e fondatore di diverse riviste del regime e, amnistiato dopo la guerra, militante del MSI fino alla morte. Ecco l’infame testo:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«O tu santo Manganello</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">tu patrono saggio e austero,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">più che bomba e che coltello</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">coi nemici sei severo.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">O tu santo Manganello</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Di nodosa quercia figlio</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">ver miracolo opri ognor,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">se nell'ora del periglio</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">batti i vili e gli impostor.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Manganello, Manganello,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">che rischiari ogni cervello,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">sempre tu sarai sol quello</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">che il fascista adorerà.»</span></div></span></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La Chiesa Cattolica non riconobbe mai ufficialmente tali immagini, ma, nel clima di concordia successivo ai Patti Lateranensi, tollerò questo uso improprio di un’immagine sacra, in fondo apprezzato dall’<i>Uomo della Provvidenza</i>.</span></div></span></span>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-40671628918554354872023-05-12T22:24:00.000+02:002023-05-12T22:24:58.608+02:00La grande marea di Chaucer<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"> </span></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib_mTl2mJl_1QmkFuvBKy7fXTXqjLFx8_TiVcAJwBfc7t_d6niU82V1lEnUSibDwVXnI32_GMFHoQVDLqZqzJfZzKWxyE2RUQ93eK3ElYIJKt-kpjnCrBSVvwlp4FOqlskfFY83xL52RlxvauPBlywtAwXzaaKaISwpwKsOl1Za1ZsTHghJhDSaG0T/s5743/Geoffrey_Chaucer_(17th_century).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="5743" data-original-width="4511" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib_mTl2mJl_1QmkFuvBKy7fXTXqjLFx8_TiVcAJwBfc7t_d6niU82V1lEnUSibDwVXnI32_GMFHoQVDLqZqzJfZzKWxyE2RUQ93eK3ElYIJKt-kpjnCrBSVvwlp4FOqlskfFY83xL52RlxvauPBlywtAwXzaaKaISwpwKsOl1Za1ZsTHghJhDSaG0T/w502-h640/Geoffrey_Chaucer_(17th_century).jpg" width="502" /></a></div><br />I </span><i style="font-family: inherit;">Canterbury Tales</i><span style="font-family: inherit;"> sono una raccolta incompiuta di novelle scritta dal grande poeta inglese Geoffrey Chaucer (1340/43 - 1400) nel decennio finale del Trecento. Il pretesto per la raccolta è il pellegrinaggio al santuario di Thomas Becket a Canterbury, nel Kent. I 30 pellegrini che intraprendono il viaggio si radunano al </span><i style="font-family: inherit;">Tabard Inn</i><span style="font-family: inherit;"> di Southwark, borgo meridionale della città appena oltre il Tamigi. Accettano di partecipare a una gara di storie mentre viaggiano, e Harry Bailly, oste del </span><i style="font-family: inherit;">Tabard</i><span style="font-family: inherit;">, funge da maestro di cerimonie per la tenzone. La maggior parte dei pellegrini viene introdotta da vivaci brevi schizzi nel "Prologo generale". Intervallate tra i 24 racconti ci sono brevi scene che presentano scambi vivaci, che di solito coinvolgono l'ospite e uno o più pellegrini, tra i quali lo stesso autore. Chaucer non completò il piano completo del suo libro: il viaggio di ritorno da Canterbury non è incluso e alcuni pellegrini non raccontano storie. La lingua utilizzata da Chaucer è il </span><i style="font-family: inherit;">Middle English</i><span style="font-family: inherit;">, l’inglese che si era evoluto sotto l’influsso delle lingue scandinave e del franco-normanno, soprattutto nella sempre più importante zona di Londra.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il dispositivo letterario ha permesso a Chaucer di riunire persone di ceti sociali diversi: cavaliere, priora, monaco; commerciante, uomo di legge, proprietario terriero, chierico erudito; mugnaio, e molti altri. La molteplicità dei tipi sociali, così come l'espediente stesso del concorso narrativo, ha permesso di presentare una collezione molto varia di generi letterari: leggenda religiosa, romanzo cortese, </span><i style="font-family: inherit;">fabliau </i><span style="font-family: inherit;">vivace, agiografia, racconto allegorico, sermone medievale, racconto alchemico e, a volte, miscele di questi generi. Le fonti utilizzate da Chaucer sono molteplici: dai lai bretoni, alle leggende arabo-moresche, dalla </span><i style="font-family: inherit;">Historia Regum Britanniae </i><span style="font-family: inherit;">di Goffredo di Monmouth al </span><i style="font-family: inherit;">Decameron </i><span style="font-family: inherit;">del nostro Giovanni Boccaccio. Il pellegrinaggio, che nella pratica medievale univa uno scopo religioso con il beneficio secolare di una vacanza primaverile, rendeva possibile un'ampia trattazione del rapporto tra i piaceri e i vizi di questo mondo e le aspirazioni spirituali per l'altro.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhpaGil9ueYVyyZxqcPDiJeSqwZ_vagsG9FEJLKPjmwPkM4nzjiHfz5FtPpUjD5C3J5JJGbwxffZxbF8Qclaxb9Bufh3Msv7Ye5Zv-eYyjuYy2olm_UCjajEJ6tSbHws4LWx4n-tJEvBTNPuy7WTeWVqVlIOLCxOAuxJkmuSlH2mfhTr71iKaX_daC/s331/Canterbury_Tales.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="283" data-original-width="331" height="548" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhpaGil9ueYVyyZxqcPDiJeSqwZ_vagsG9FEJLKPjmwPkM4nzjiHfz5FtPpUjD5C3J5JJGbwxffZxbF8Qclaxb9Bufh3Msv7Ye5Zv-eYyjuYy2olm_UCjajEJ6tSbHws4LWx4n-tJEvBTNPuy7WTeWVqVlIOLCxOAuxJkmuSlH2mfhTr71iKaX_daC/w640-h548/Canterbury_Tales.png" width="640" /></a></div><br />Ognuno dei racconti è narrato da un membro del gruppo di pellegrini (dovevano essere 4 per ciascuno dei trenta, per un totale di centoventi) e molti di essi contengono riferimenti all'astronomia. Questi sono insolitamente sofisticati, il che non sorprende se ricordiamo che Chaucer era abbastanza esperto di scienza da scrivere un trattato sull'astrolabio per il figlio. Alcune delle allusioni astronomiche più interessanti sono quelle che si trovano nella storia raccontata dal proprietario terriero (o allodoliere, Franklin), che ammira la cavalleria e i nobili ideali.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><i>"Il racconto dell’Allodoliere"</i></b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene Chaucer abbia suggerito che la storia sia stata presa in prestito da un </span><i style="font-family: inherit;">lai </i><span style="font-family: inherit;">bretone, la sua fonte più probabile è il </span><i style="font-family: inherit;">Decameron </i><span style="font-family: inherit;">di Giovanni Boccaccio (quinta novella della decima giornata: </span><i style="font-family: inherit;">Madonna Dianora domanda a messere Ansaldo un giardino di gennaio bello come di maggio; messere Ansaldo con l’obligarsi ad uno nigromante gliele dá; il marito le concede che ella faccia il piacere di messere Ansaldo, il quale, udita la liberalità del marito, l’assolve della promessa, ed il nigromante, senza volere alcuna cosa del suo, assolve messere Ansaldo</i><span style="font-family: inherit;">). Si tratta di un </span><i style="font-family: inherit;">topos </i><span style="font-family: inherit;">abbastanza diffuso, in cui una donna ambita chiede a un corteggiatore non gradito di realizzare un’impresa ritenuta impossibile per concedergli le sue grazie. L’allodoliere inizia descrivendo il matrimonio di un cavaliere di nome Arveragus e della sua bellissima moglie, Dorigen, che vivono sulla costa rocciosa della Bretagna. Mentre il cavaliere è in guerra in Inghilterra, Dorigen è inconsolabile. Ogni volta che cammina lungo le scogliere vicino al suo castello, vede al largo le minacciose rocce nere che hanno causato la morte di tanti marinai e potrebbero mettere in pericolo il marito al suo ritorno.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6mrqpcJN-At4eRnmrEA4Wy2BpC160JgHSKGkRGxsnBDeuar2CBeoX3TE_n8-FBJguZgOoamAvaVlhTTyjuIjq74DCNvHJZHSusHj9gjc6zLiNid8T9KwNgWIwbfzV3d7Tngr2bUNQ5IboJYBfIM2rF_DoI01IW4tBj2Q2zq_Hbn-U_0O1S-MYJ0At/s1024/Mary_Eliza_Haweis_-_Dorigen_and_Aurelius_Chaucers_Franklins_Tale_-_(MeisterDrucke-650721).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="812" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6mrqpcJN-At4eRnmrEA4Wy2BpC160JgHSKGkRGxsnBDeuar2CBeoX3TE_n8-FBJguZgOoamAvaVlhTTyjuIjq74DCNvHJZHSusHj9gjc6zLiNid8T9KwNgWIwbfzV3d7Tngr2bUNQ5IboJYBfIM2rF_DoI01IW4tBj2Q2zq_Hbn-U_0O1S-MYJ0At/w508-h640/Mary_Eliza_Haweis_-_Dorigen_and_Aurelius_Chaucers_Franklins_Tale_-_(MeisterDrucke-650721).jpg" width="508" /></a></div><br />Nel frattempo, un giovane scudiero di nome Aurelius si è segretamente innamorato di Dorigen. A una festa in giardino in primavera, osa rivelare il suo amore e chiederle i suoi favori. Lei risponde che accetterà i suoi abbracci se rimuoverà tutte le rocce dalla costa della Bretagna. Aurelius in un primo momento si dispera, ma poi torna a casa e prega il Sole di cooperare con la Luna nel provocare una marea eccezionalmente alta da coprire le rocce, in modo che possa poi mantenere a Dorigen la sua promessa. Aurelius chiede una marea "così grande che di almeno cinque braccia [30 piedi] sovrasti la roccia più alta della Bretagna". Ma l'alta marea non arriva durante quella primavera o estate, e nemmeno durante i successivi due anni, e Aurelio langue mentre attende invano.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Alla fine, Aurelius e suo fratello si recano nella città di Orleans per consultare uno studioso, un dotto chierico che possiede una conoscenza speciale del funzionamento dei cieli. Dopo aver chiesto un ingente compenso, lo studioso accetta di dare una mano, e i tre si dirigono verso la costa bretone dove "attraverso la sua magia" sembra far scomparire le rocce sotto le acque di un'alta marea. Il narratore conclude la storia raccontando come ciascuno dei personaggi mostri nobiltà: Dorigen racconta al marito della sua promessa avventata e si tormenta per essere stata infedele, Arveragus dice a sua moglie che deve mantenere la sua parola, Aurelius la libera dalla sua promessa e lo scienziato-mago di Orleans rinuncia al suo compenso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un aspetto di questa storia è sempre sembrato piuttosto strano agli specialisti di Chaucer. Dopo tutto, il ciclo ordinario di alta e bassa marea non è nulla che il pubblico del poeta avrebbe dovuto trovare sorprendente, soprattutto se avvezzo alle grandi maree della costa bretone e normanna. Chaucer è noto per aver visitato la Francia (e l’Italia) diverse volte negli anni 1360 e 1370 e doveva avere familiarità con le alte maree della Bretagna. La spiegazione di questo “magico” evento sta nel fatto che Chaucer potrebbe aver descritto una rara configurazione astronomica e una marea eccezionalmente alta verificatesi effettivamente nel XIV secolo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La formulazione del racconto è abbastanza precisa per quanto riguarda il tempo e il periodo dell'anno, nominando anche il mese in cui i tre viaggiatori arrivano sulla costa bretone:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And this was, as thise bookes me remembre,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">The colde, frosty seson of Decembre.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Phebus wax old, and hewed lyk laton,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">That in his hoote declynacion</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Shoon as the burned gold with stremes brighte;</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">But now in Capricorn adoun he lighte,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Where as he shoon ful pale, I dar wel seyn.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">The bittre frostes, with the sleet and reyn,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Destroyed hath the grene in every yerd.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Janus sit by the fyr, with double berd,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And drynketh of his bugle horn the wyn;</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Biforn hym stant brawen of the tusked swyn,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And "Nowel" crieth every lusty man.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E questa era, come questi libri mi fanno ricordare,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La stagione fredda e gelida di dicembre.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Febo [il Sole] invecchiò, con una tonalità come il rame,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Che nella sua calda declinazione,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Brillava come l'oro brunito con ruscelli luminosi;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma ora in Capricorno si illuminava,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre brillava completamente pallido, oserei dire.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le gelate amare, con il nevischio e la pioggia,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Hanno distrutto il verde in ogni cortile.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Giano siede accanto al fuoco, con doppia barba,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E beve il vino dal suo corno;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Davanti a lui sta la muscolatura del porco dalle zanne,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E "Natale" grida ogni uomo vigoroso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il grido "Natale" suggerisce un periodo nell'ultima parte di dicembre, poco prima o dopo Natale. La stessa parte di dicembre è indicata dalla menzione del dio romano bifronte Giano, allusione all'approssimarsi di gennaio. Il riferimento di Chaucer al Sole in Capricorno ci aiuta anche a definire il periodo dell'anno. Il Sole ha raggiunto la sua declinazione più meridionale quando è entrato nel Capricorno il giorno del solstizio d'inverno, che, a causa della precessione degli equinozi, durante la vita di Chaucer cadeva circa il 13 dicembre (ecco perché è sopravvissuto il proverbio </span><i style="font-family: inherit;">“Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia”</i><span style="font-family: inherit;">). Anche il maiale macellato è un indicatore stagionale. Gli abbondanti indizi mostrano che questo passaggio descrive una giornata "fredda, gelida" che deve cadere tra il 13 dicembre e il 31 dicembre.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><i>I calcoli astronomici</i></b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sulla costa bretone il chierico d'Orléans lavora notte e giorno finché "finalmente ha trovato il tempo" per l'alta marea. Egli calcola le posizioni lunari e solari da una serie di </span><i style="font-family: inherit;">"tavole di Toledo"</i><span style="font-family: inherit;">, un riferimento a quelle preparate nell'XI secolo dall'astronomo al-Zarqali (Arzachel) a Toledo, in Spagna, o alle </span><i style="font-family: inherit;">Tavole Alfonsine</i><span style="font-family: inherit;"> compilate da astronomi arabi ed ebrei nella stessa città nel XIII secolo sotto la direzione del re Alfonso X di Castiglia. Chaucer ci fornisce uno dei passaggi astronomici più complessi di tutta la letteratura inglese mentre descrive i calcoli e la conseguente alta marea che nasconde le rocce:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">His tables Tolletanes forth he brought,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Ful wel corrected, ne ther lakked nought,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Neither his collect ne his expans yeeris,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Ne his rootes, ne his othere geeris,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">As been his centris and his argumentz</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And his proporcioneles convenientz</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">For his equacions in every thyng.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVuuSAgbMgwO1tbExBbjTGup_I4_NfHwe9Tx6vBLwMfuMPrbNmz7LJ55Y0B-H16-Zgv-_c67TU3WmYsFXGskjCH-hh63KsutXFMK7xyrd-78AwmtfoasCPvK74xRuXKr8MtZ-RdJ-eS6HgOCIA-05jFOrHC9JSraqkQneTGxq4KXgGxk_R4Fo5tR92/s1971/Alfonsine%20Tables.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1244" data-original-width="1971" height="404" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVuuSAgbMgwO1tbExBbjTGup_I4_NfHwe9Tx6vBLwMfuMPrbNmz7LJ55Y0B-H16-Zgv-_c67TU3WmYsFXGskjCH-hh63KsutXFMK7xyrd-78AwmtfoasCPvK74xRuXKr8MtZ-RdJ-eS6HgOCIA-05jFOrHC9JSraqkQneTGxq4KXgGxk_R4Fo5tR92/w640-h404/Alfonsine%20Tables.jpeg" width="640" /></a></div><br />Le sue tavole toledane tirò fuori</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Molto ben corrette, non vi mancava nulla</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nè le sue osservazioni nè gli anni calcolati</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nè le sue radici, nè ogni altro meccanismo</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come sono i suoi centri e gli argomenti</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E le sue proporzionali convenienze</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per le sue equazioni in ogni cosa.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And by his eighte speere in his wirkyng</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">He knew ful wel how fer Alnath was shove</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Fro the heed of thilke fixe Aries above,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">That in the ninthe speere considered is.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Ful subtilly he kalkuled al this.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Whan he hadde founde his firste mansioun,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">He knew the remenaunt by proporcioun,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And knew the arisyng of his moone weel,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And in whos face, and terme, and everydeel;</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And knew ful weel the moones mansioun</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Accordaunt to his operacioun,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">And knew also his othere observaunces</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">For swiche illusiouns and swiche meschaunces</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">As hethen folk useden in thilke dayes.</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">For which no lenger maked he delayes,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">But thurgh his magik, for a wyke or tweye,</i></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">It semed that alle the rokkes were aweye.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E dall'ottava sfera nel suo funzionamento</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sapeva benissimo fino a che punto Alnath era spinto</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dalla testa di quell'Ariete fisso in alto,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Che nella nona sfera considerato è;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sottilmente calcolò tutto questo.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando ebbe trovato la sua prima dimora,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Conosceva il resto in proporzione,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E conosceva bene il sorgere della sua luna,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E in quale fase, e termine, e tutto;</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E conosceva benissimo la dimora della luna</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Secondo la sua operazione,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E conosceva anche le altre sue osservazioni</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per tali illusioni e tali errori</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come usavano i pagani a quei tempi.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per cui non più ebbe indugi,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma attraverso la sua magia, per una settimana o due,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sembrava che tutte le rocce fossero sparite.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUQTpPmZ2i-EuDzWvOhiKuXVkzSKHKk6uI1ibFOgomx2Y_xNKOluM7kk2YYOdKHKT_DiyNQarmnmPqSs-JIRHLtaUW6Cgcny8DCweBBjVkxxz_0yUzuI23gAIr6Ig4H3h2-C4yU4OQF4xziowaizyt3tONnAeyCCbFYC_1SJsvuyYHwOp4KQoAEi13/s7818/Gerardus_Cremonensis_(1114-1187)_Wellcome_L0070081.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="5375" data-original-width="7818" height="440" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUQTpPmZ2i-EuDzWvOhiKuXVkzSKHKk6uI1ibFOgomx2Y_xNKOluM7kk2YYOdKHKT_DiyNQarmnmPqSs-JIRHLtaUW6Cgcny8DCweBBjVkxxz_0yUzuI23gAIr6Ig4H3h2-C4yU4OQF4xziowaizyt3tONnAeyCCbFYC_1SJsvuyYHwOp4KQoAEi13/w640-h440/Gerardus_Cremonensis_(1114-1187)_Wellcome_L0070081.jpg" width="640" /></a></div><br />Per trovare la longitudine eclittica della Luna, un astronomo medioevale iniziava segnando la posizione media della Luna in un'epoca iniziale, chiamata </span><i style="font-family: inherit;">radix</i><span style="font-family: inherit;">, "radice", e quindi sommava i moti medi tabulati durante l'intervallo di tempo trascorso per raggiungere la data cercata, espresso come somma di </span><i style="font-family: inherit;">"collect years"</i><span style="font-family: inherit;"> (secoli e periodi di 20 anni), </span><i style="font-family: inherit;">"expans years"</i><span style="font-family: inherit;"> (singoli anni contati da 1 a 19), mesi, giorni, ore e minuti. Calcolare l'angolo dalla posizione media alla posizione reale della Luna comportava la consultazione delle tavole per trovare quantità come "equazione del centro", "minuti proporzionali" ed "equazione dell'argomento": esattamente i termini usati da Chaucer in questo passaggio.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Trovare la posizione del Sole richiedeva un uso simile di ragionamenti ed equazioni, con un'ulteriore complicazione a cui alludeva la menzione di Chaucer di </span><i style="font-family: inherit;">"Alnath"</i><span style="font-family: inherit;">, un nome medievale impiegato per </span><i style="font-family: inherit;">Beta Tauri</i><span style="font-family: inherit;"> (che è ben visibile proprio in dicembre). Le 28 dimore erano gruppi di stelle vicine all'eclittica utilizzate come stazioni di riferimento per il moto quotidiano della Luna durante il mese siderale. Chaucer usa la distanza variabile tra </span><i style="font-family: inherit;">Alnath </i><span style="font-family: inherit;">e la "testa di quell'Ariete fisso" (il punto dell'equinozio di primavera, dove l'eclittica interseca l'equatore celeste) come metodo per misurare la precessione. Questo era importante per qualsiasi calcolo solare, perché la teoria medievale collocava il Sole in un'orbita geocentrica con le direzioni dell'apogeo e del perigeo in posizioni fisse tra le stelle nell'"ottava sfera", che eseguiva sia un costante precessione e un movimento oscillatorio (apparente), chiamato dagli astronomi tolemaici </span><i style="font-family: inherit;">trepidazione</i><span style="font-family: inherit;">, rispetto al punto dell'equinozio di primavera nella "nona sfera". Il calcolo della precessione era necessario per individuare l'asse maggiore dell'orbita del Sole, trovare la vera posizione del Sole e quindi dedurre la fase della Luna. L’accenno alle illusioni e agli errori dei pagani è dovuto al fatto che, per gli uomini incolti dell’epoca di Chaucer, i calcoli degli astrologi (maghi naturali) erano associati a operazioni demoniache.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gli studiosi di Chaucer hanno a lungo definito questa sezione un passaggio problematico, noto per la sua difficoltà, e alcuni non sono andati molto oltre il notare che una luna nuova o piena produrrà un'alta marea. La complessità di questo passaggio, tuttavia, suggerisce che il chierico (o mago) di Orleans stia facendo un calcolo molto difficile, forse per trovare l'ora di una configurazione astronomica che produca l'escursione di marea più grande possibile.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXPyC6hvDFRX1SKJdJWbuFdqjTC6E9MdRlbdOdDaqGrB7fDWAFdbDooWA95V3tN379DExgdmMAqBTD2SRxj_LId1roI-uzTO1qDjNbzfGpWsc2sUIkqaO2vj-W6CWOi7JFvB3sQKFNC_mBgZB5xgHhQnOL6ErCvBABesf46K_DyLuwchXfmK045hvf/s2108/tides6.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1108" data-original-width="2108" height="336" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXPyC6hvDFRX1SKJdJWbuFdqjTC6E9MdRlbdOdDaqGrB7fDWAFdbDooWA95V3tN379DExgdmMAqBTD2SRxj_LId1roI-uzTO1qDjNbzfGpWsc2sUIkqaO2vj-W6CWOi7JFvB3sQKFNC_mBgZB5xgHhQnOL6ErCvBABesf46K_DyLuwchXfmK045hvf/w640-h336/tides6.png" width="640" /></a></div><br />La sparizione delle rocce</i></b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Diversi fattori indipendenti contribuiscono a produrre maree eccezionalmente alte. Le maree primaverili di portata maggiore si verificano due volte al mese, quando il Sole e la Luna sono in sizigia (cioè quando la Luna è nuova o piena) e le loro forze individuali di innalzamento della marea si combinano per un effetto netto maggiore. Due volte all'anno, nei periodi noti come "stagioni delle eclissi", si verificano lune nuove e piene con il Sole e la Luna vicino ai nodi dell'orbita lunare. Si verifica quindi un'eclissi solare o lunare, così come un ulteriore potenziamento delle forze di innalzamento della marea. Le maree di perigeo di portata maggiore si verificano una volta al mese, quando la Luna è più vicina alla Terra. La forza di innalzamento della marea del Sole è massima una volta all'anno, al momento del perielio terrestre.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In alcuni anni è possibile che tutte e quattro queste condizioni siano soddisfatte quasi contemporaneamente. Scrivendo nel 1913, gli oceanografi svedesi Otto e Hans Pettersson descrissero eventi così straordinari e osservarono che questa situazione </span><i style="font-family: inherit;">"produce un massimo assoluto della forza che genera la marea"</i><span style="font-family: inherit;">. Nel suo lavoro del 1986, </span><i style="font-family: inherit;">Tidal Dynamics</i><span style="font-family: inherit;">, Fergus Wood concorda. Fa anche un accenno di passaggio a un evento che chiama </span><i style="font-family: inherit;">"l'alta marea assoluta vissuta nel 1340 d.C."</i><span style="font-family: inherit;">, descrivendolo con la frase "massime maree sigiziali, una circostanza molto rara".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbuBXaiz1iBMQXryURGx8EZBQk84-P5Tpfi8xr38yxrFDcqemP623YNRFRHdmIvwptFKp3OhqQga3HWFzQ5AF6Prn2-QmfrvEVBIPfdoHbL3QrRuNbQmLMw3e3zFO7YS947JheemQVzxWQxhA9-4HymlxwvieKnvfIDc5Mmz0JE-mExhnmM5cJJe0J/s484/full-moon-high-tide-dpi-96545891.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="322" data-original-width="484" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgbuBXaiz1iBMQXryURGx8EZBQk84-P5Tpfi8xr38yxrFDcqemP623YNRFRHdmIvwptFKp3OhqQga3HWFzQ5AF6Prn2-QmfrvEVBIPfdoHbL3QrRuNbQmLMw3e3zFO7YS947JheemQVzxWQxhA9-4HymlxwvieKnvfIDc5Mmz0JE-mExhnmM5cJJe0J/w640-h426/full-moon-high-tide-dpi-96545891.jpg" width="640" /></a></div><br />Incuriositi da questo riferimento a un evento di marea estremo nel XIV secolo, Donald Olson e il suo gruppo di ricerca hanno usato i metodi di Astronomical Algorithms di Jean Meeus (Willmann-Bell, 1991) per cercare le date delle eclissi con la Luna vicino al perigeo e la Terra vicino al perielio. Il programma per computer ha cercato gli allineamenti seguendo i movimenti di cinque linee immaginarie: la linea che unisce Terra e Sole, la linea che unisce Terra e Luna, l'asse maggiore dell'orbita della Luna, la linea dei nodi dell'orbita della Luna e l'asse maggiore dell'orbita terrestre. Un perfetto allineamento di tutte e cinque le linee non si verifica mai effettivamente; quindi, si sono cercate eclissi senza che nessuna coppia di esse fosse disallineata di più di 10 gradi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un modello sorprendente è evidente da questo elenco. Le date cadono in gruppi e questi sono separati da intervalli di oltre 1.000 anni in cui non si verificano. I calcoli precisano la rarità di questi allineamenti e confermano anche la data del 1340 citata da Wood. Questo tipo di allineamento si è verificato solo una manciata di volte nella storia documentata. Non succederà più fino al 3089. Inoltre, le conseguenti alte maree sono cadute nella seconda metà di dicembre, subito dopo il solstizio d'inverno e con il Sole in Capricorno, coincidendo esattamente con le circostanze descritte da Chaucer in The Franklin's Tale!</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene ai primi studiosi mancasse il nostro concetto moderno di forze di marea, essi associarono sicuramente le escursioni di marea ai fenomeni astronomici. Un trattato del XIII secolo descriveva le maree primaverili dicendo che </span><i style="font-family: inherit;">"quando il Sole e la Luna sono in congiunzione, il potere della Luna diventa più forte e la marea aumenta e diventa forte"</i><span style="font-family: inherit;">. La stessa opera si riferiva alle maree di perigeo osservando che quando la Luna </span><i style="font-family: inherit;">"si avvicina al punto più vicino alla Terra, la sua potenza aumenta, e quindi l'innalzamento del mare è forte"</i><span style="font-family: inherit;">. Diversi trattati associavano un periodo di alta marea al solstizio d'inverno e quindi, indirettamente, al momento di massimo avvicinamento tra la Terra e il Sole. Chaucer avrebbe capito, almeno in modo qualitativo, che gli allineamenti celesti nel dicembre 1340 avrebbero influenzato in modo significativo le maree.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Anche se i porti precisi visitati da Chaucer nei suoi viaggi in Francia non sono noti, la costa della Bretagna è famosa per le sue notevoli maree. A St. Malo l'escursione media della marea è di 8 metri, la marea primaverile varia in media di 11 metri e sono possibili maree di perigeo con escursioni superiori a 13,5 metri. Maree ancora più grandi si verificano a Mont-St. Michel, a breve distanza a est di St. Malo. Per secoli turisti e pellegrini hanno camminato verso l'abbazia di Mont-St. Michel con la bassa marea, poi osservato la marea in rapido aumento fare del sito un'isola.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><i>Chaucer e il 1340</i></b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma se Chaucer visitò la Francia negli anni 1360 e 1370 e scrisse </span><i style="font-family: inherit;">The Canterbury Tales</i><span style="font-family: inherit;"> durante gli anni dopo il 1390, perché dovrebbe essere a conoscenza di un'alta marea avvenuta nel 1340? Possiamo suggerire due possibili ragioni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In primo luogo, Chaucer deve aver acquisito familiarità con le maree nel Tamigi quando prestava servizio come controllore dell'ufficio doganale e era responsabile della costruzione dei moli del porto di Londra. Fu anche nominato membro di una commissione reale per sovrintendere alle riparazioni di muri e fossati sul Tamigi inferiore. Chaucer potrebbe aver dovuto chiedere ai marinai più anziani ed esperti informazioni sulle maree più alte che avessero mai visto.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La seconda possibilità è più intrigante. Nella biografia di Chaucer del 1977, John Gardner colloca la sua nascita "intorno al 1340, forse all'inizio del 1341". Quando Chaucer stava imparando l'astronomia, gli astrolabi e le tavole astronomiche durante gli anni 1380 e 1390, è plausibile immaginare che avrebbe potuto indagare sul proprio oroscopo. Chaucer potrebbe aver scoperto la notevole configurazione di innalzamento della marea nel 1340 mentre utilizzava le </span><i style="font-family: inherit;">Tavole Alfonsine</i><span style="font-family: inherit;"> per calcolare le posizioni solari e lunari vicino al momento della sua nascita.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando scrisse i </span><i style="font-family: inherit;">Canterbury Tales</i><span style="font-family: inherit;">, Chaucer era esperto nella scienza celeste del suo tempo. È probabile che abbia fatto appello a questa conoscenza speciale e abbia usato i cieli e le alte maree del dicembre 1340 come ispirazione per il dispositivo centrale della trama in </span><i style="font-family: inherit;">The Franklin's Tale</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisbPenswgKpvqyeHlthiAkgZX2VMtX3qEZ1snVnqNvQvH96ifWxUZrLztsIY8L3Zc4SIGdVYV_RkkT1yKFAp8NpoNfneSFQsZS_uS926hPKHRGJIbmp2Fmk0MYdHWf1ktblJHk3lDvBZmhyRcifqPchgfuY4fVXwRwGOHHKbvRM1wst7plgs2VK0T-/s1500/saint-malo-grande-maree-01-1500x893.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="893" data-original-width="1500" height="382" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisbPenswgKpvqyeHlthiAkgZX2VMtX3qEZ1snVnqNvQvH96ifWxUZrLztsIY8L3Zc4SIGdVYV_RkkT1yKFAp8NpoNfneSFQsZS_uS926hPKHRGJIbmp2Fmk0MYdHWf1ktblJHk3lDvBZmhyRcifqPchgfuY4fVXwRwGOHHKbvRM1wst7plgs2VK0T-/w640-h382/saint-malo-grande-maree-01-1500x893.jpg" width="640" /></a></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;"><br /></i></div>Riferimento principale</i><span style="font-family: inherit; font-style: italic;">:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Olson, Donald W.; Laird, Edgar S.; Lytle, Thomas E., </span><i style="font-family: inherit;"><a href="https://www.thefreelibrary.com/High+Tides+and+The+Canterbury+Tales+%3a+In+one+of+his+famous+poems%2c...-a061478926">High Tides and The Canterbury Tales</a></i><span style="font-family: inherit;">, Sky & Telescope, April 2000</span></div></span></span><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-31625123455221528842023-04-26T21:48:00.002+02:002023-04-26T21:48:24.135+02:00La fotosintesi come fenomeno emergente nella poesia di Alla Mikhalevic<span style="font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; font-family: inherit; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6rdktFomnSq1l1Vbg0KIoonUg9yASWBJwjnZrzyfLfwhdKbSBBYvA5-j8fpA9AQf1aBkZ-Uoxe8XWNnzn_Z-jhrhuJMaTX2gsEH8PFgVDj-Ezg_sQJPTnTW-vDoqs57-cK97FRlOHviWbM6A0Iw4CYJXuz7-rq-thOMZ6HJV34PYQ-COudTErnVKf/s2038/Alla.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2038" data-original-width="1400" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6rdktFomnSq1l1Vbg0KIoonUg9yASWBJwjnZrzyfLfwhdKbSBBYvA5-j8fpA9AQf1aBkZ-Uoxe8XWNnzn_Z-jhrhuJMaTX2gsEH8PFgVDj-Ezg_sQJPTnTW-vDoqs57-cK97FRlOHviWbM6A0Iw4CYJXuz7-rq-thOMZ6HJV34PYQ-COudTErnVKf/w440-h640/Alla.jpg" width="440" /></a></div><br /><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Alla (Valeria) Mikhalevic (n. 1936), biologa, protozoologa e micropalentologa russa, è autrice di importanti monografie scientifiche sui Foraminiferi. Nella monografia </span><i style="font-family: inherit;">Post-Cambrian Testate Foraminifera as a System in its Evolution</i><span style="font-family: inherit;">, 2013, sono contenute informazioni fondamentali sul sistema e sull'evoluzione dei Foraminiferi e su una nuova concezione del loro macrosistema, inclusa una profonda revisione dei precedenti </span><i style="font-family: inherit;">taxa </i><span style="font-family: inherit;">eterogenei e la descrizione di 140 nuovi </span><i style="font-family: inherit;">taxa </i><span style="font-family: inherit;">di diverso livello tassonomico, di cui 11 di rango di classe. Questo nuovo approccio, definito come radicale, basato sull'analisi morfologica di circa 5000 generi registrati, ha permesso di scoprire l'origine indipendente e parallela della parete calcarea del guscio in diverse linee filetiche (opposte alle idee precedenti) ed è stata supportata dai dati molecolari.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mikhalevich è inoltre nota sia come poetessa sia come traduttrice di poesia, con al suo attivo cinque raccolte proprie e tre libri di traduzioni. Ha vinto anche importanti premi letterari ed è membro dell’Unione degli Scrittori russa. In questa poesia, che non dispiacerebbe ai teorici della complessità, sono presenti echi del </span><i style="font-family: inherit;">clinamen </i><span style="font-family: inherit;">lucreziano, l’impercettibile spostamento nel movimento di caduta degli atomi che provocherebbe la loro differenza e diversa evoluzione. Ho tradotto questi versi dalla versione inglese di Marcus Wheeler.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;"><b>Fotosintesi</b></i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il semplice reticolo del cristallo,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">il semplice reticolo del verso –</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e tutto luccica come un brillante,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">come penne nella coda del gallo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E quante delle parole e degli atomi</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">si sistemano nello spazio di un reticolo!</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tutti i piani sono trasparenti e distinti</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">tra i loro angoli retti e precisi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tutte le regole non sono nuove nell’insieme,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e forse non ne esistono di nuove.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Come le parole sono sistemate in un verso –</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">così la loro luce è liberata.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ma in ciascuna di tali elaborazioni</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">un istante è il più importante:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">anche nel reticolo netto e preciso</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">ci può essere uno spostamento irregolare.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Così nei cristalli di carbonato</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">c’è un qualche frammento irregolare,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e proprio sulla superficie più ampia di questo frammento</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">iniziò la prima fotosintesi.</span></div></span></span><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><br /></span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mentre nei campioni di silice</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">il cristallo ha una forma ideale,</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e il processo della vita non si sviluppò –</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">e la vita scelse un altro cammino.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
</div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-63680624233366284512023-04-11T23:02:00.001+02:002023-04-11T23:06:02.202+02:00"Le particelle elementari", una storia consistente <p> </p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjo6ua1Ub_ang3QiziyclwOKoRcZ__W0QubQYmvFlmqYexANJBF1Y9WNi5xMME19t2Io0swtqHrB1cMJXkoaiuQir6JnZj7hAS3GpFFwmw-kuZyUrVGqn3UQzjL2D7_dlPkYPR0azoc834VnVlzKxckx0pQWZ3AgHH9mCRrC7Z07TVYZvSctut4ygi_/s778/9788834607534_0_0_536_0_75.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="778" data-original-width="536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjo6ua1Ub_ang3QiziyclwOKoRcZ__W0QubQYmvFlmqYexANJBF1Y9WNi5xMME19t2Io0swtqHrB1cMJXkoaiuQir6JnZj7hAS3GpFFwmw-kuZyUrVGqn3UQzjL2D7_dlPkYPR0azoc834VnVlzKxckx0pQWZ3AgHH9mCRrC7Z07TVYZvSctut4ygi_/w440-h640/9788834607534_0_0_536_0_75.jpg" width="440" /></a></div><br />Distanti ma uniti</i></b><i style="font-weight: bold;"> -</i> Con <i>Le particelle elementari</i> (1998) Michel Houellebecq ha conosciuto la consacrazione. La dimensione polemica del libro ha indubbiamente giocato un ruolo nel suo successo. In effetti, il romanzo non esita ad affrontare alcuni argomenti tabù con una lucidità e un cinismo a volte gelidi (e anche accuse di pornografia). Una caratteristica che avrebbe potuto provocare anche un perfetto rifiuto dei lettori (come personaggio pubblico Houellebecq ci mette molto del suo per apparire antipatico e indisponente). Ma la forza dell'autore è quella di aver saputo sviluppare nuovi angoli di approccio ai diversi problemi della società, tessendo nuovi parallelismi tra il sistema economico, sessuale, scientifico o addirittura religioso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Attraverso il destino di due fratellastri a prima vista agli antipodi (ma piuttosto due facce della stessa medaglia, o due particelle con spin opposto), Michel Djerzinski, ricercatore asessuato di biologia molecolare, interamente dedito alla sua scienza (<i>"Nel caso di Djerzinski, il suo uccello gli serviva a pisciare, e basta."</i>), e Bruno Clément, insegnante ossessionato e frustrato, vittima della sua disperata ricerca di sesso, Houellebecq ripercorre la storia dei costumi sessuali e sociali di quarant’anni di storia sociale dell’Occidente.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Si tratta di trasformazioni politiche e sociali in cui il narratore scorge l’origine di una catastrofe mondiale senza via d’uscita, la cui responsabilità principale viene attribuita al movimento del Sessantotto; movimento complesso e oggetto di una enorme quantità di interpretazioni estremamente contrastanti e divergenti. Quella proposta da Houellebecq, condivisibile o meno, ha senz’altro il merito di essere chiara. A suo vedere, se il Sessantotto si è proposto come movimento di liberazione, in particolare nell’ambito sessuale, il problema fondamentale risiede proprio nel senso profondo di questa pretesa emancipazione. Perché attribuendo un valore capitale all’individuo, la liberazione cancella ogni possibilità di «legame» all’interno della società in modo così efficace che i suoi effetti sono tuttora evidenti:</span></div><i><blockquote style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">“Fa un certo effetto osservare come spesso tale liberazione sessuale venisse presentata sotto forma di ideale collettivo mentre in realtà si trattava di un nuovo stadio nell’ascesa storica dell’individualismo. Coppia e famiglia rappresentavano l’ultima isola di comunismo primitivo in seno alla società liberale. La liberazione sessuale ebbe come effetto la distruzione di queste comunità intermedie, ultime a separare l’individuo dal mercato. Un processo di distruzione che continua oggigiorno”.</span></blockquote></i><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Ma la novità dell’epoca aperta dal Sessantotto è costituita da un trattamento particolare del desiderio. Come afferma Michel, <i>“la società erotico-pubblicitaria in cui viviamo si accanisce ad organizzare il desiderio, a svilupparlo fino a dimensioni inaudite, al tempo stesso controllandone la soddisfazione nel campo della sfera privata. Affinché la suddetta società funzioni, affinché la competizione continui, occorre che il desiderio cresca, si allarghi e divori la vita degli uomini”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Abbandonati dai rispettivi padri, poco amati in gioventù da una madre hippy e che li considera d’intralcio, né Bruno né il fratellastro Michel, i due protagonisti, riescono a inserirsi nella catena che lega i padri ai figli. Mentre Michel incarna lo scapolo senza figli, Bruno è il tipo del cattivo padre, incapace di recitare il suo ruolo in un mondo in cui la funzione paterna ha perso ogni significato:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">“I bambini, invece, erano la trasmissione di uno stato, di regole e di un patrimonio. Questo era naturalmente il caso negli strati feudali; ma anche tra commercianti, contadini, artigiani, in tutte le classi sociali appunto. Oggi tutto ciò non c'è più: sono un dipendente, sono un inquilino, non ho niente da trasmettere a mio figlio. Non ho nessun mestiere da insegnargli, non so nemmeno cosa saprà fare dopo; le regole che ho conosciuto non si applicheranno più a lui, comunque vivrà in un altro universo”. </span></i></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">I passaggi sulla loro infanzia (il “regno perduto” come lo chiama Houellebecq) sono particolarmente commoventi. Evocano questa felicità spensierata, piena e totale, che può abitarci in tenera età:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">"Molti anni dopo, quando sarebbe diventato un quarantenne disilluso e amareggiato, avrebbe rivisto questa immagine: lui stesso, quattro anni, che pedalava con tutte le sue forze sul suo triciclo per il corridoio buio, fino alla luminosa apertura del balcone. Probabilmente era in quei momenti che aveva sperimentato la sua più grande felicità terrena.”</span></i></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Bruno scoprirà la crudeltà dei suoi coetanei durante il suo percorso scolastico e infine i suoi fallimenti sentimentali, mentre Michel si chiuderà nella sua solitudine di scienziato sognante e incapace di emozioni. Morte e follia li attendono in ogni momento, anche se qualche (breve) parentesi di felicità amorosa li placherà durante il loro tragico viaggio. I due sono mossi verso destini ineluttabili, e in molti hanno fatto notare che sembrano mere macchine narrative costruite apposta in funzione delle tesi di fondo sostenute dall’autore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La prima parte del romanzo, dove vengono raccontate l'infanzia e l'adolescenza dei due fratellastri, è dominata da resoconti di simmetria che rivelano le esperienze vissute dall'uno come un'eco di quelle vissute dall'altro. Entrambi vengono abbandonati dai genitori e accolti dalle rispettive nonne che, attraverso l'amore e il sacrificio di sé, permettono loro di condurre una vita apparentemente normale. La morte della nonna determina l'uscita dal "regno perduto" (titolo della prima parte) e l'inizio di questi "momenti strani" (titolo della seconda parte) che porteranno il disincanto al culmine, mostrando l'inevitabile fallimento di i due fratelli in una società che ha spazzato via le condizioni di possibilità dell'amore come principio di coesione e condivisione. La tardiva relazione di Michel con Annabelle è un'eco ritardata della relazione di Bruno con Christiane. La morte prematura delle due giovani è una conseguenza simbolica dell'atrofia affettiva dei due fratelli: ognuno di loro incarna, in forma diversa, l'incapacità di amare.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">L'incontro di Bruno con Christiane è iniziato con un rapporto orale in una vasca idromassaggio in un campo new age. Un momento che trova meraviglioso perché <i>"non c'era alcun elemento di seduzione, era qualcosa di molto puro"</i>. La coppia frequenta assiduamente campi naturisti e circoli scambisti. Tuttavia, è presente anche la complicità (anche se non sembra essere il suo criterio primario) e tra loro nasce un vero e proprio attaccamento. Sviluppa qui il suo sogno di un “comunismo sessuale” che ancora chiama “sessualità socialdemocratica”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Parallelamente, il rapporto con l'ex moglie mostra una visione senza pietà per i corpi "sessualmente imperfetti" (cellulite, smagliature, ecc.) mentre descrive, senza compiacimento, il suo ruolo di padre indegno (facendo scivolare psicofarmaci nella bottiglia di suo figlio per poter andare a masturbarsi davanti al minitel…). Passaggi durissimi e molto lucidi: <i>"In realtà i padri non si sono mai interessati ai figli, non hanno mai provato amore per loro, e più in generale gli uomini sono incapaci di provare amore che è un sentimento a loro totalmente estraneo. Quello che sanno è il desiderio, il puro desiderio sessuale e la competizione tra maschi”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Houellebecq descrive tutta la crudeltà della "legge del sesso", in particolare nella colonia comunitaria dove alloggia Bruno, il vampirismo di questa frenetica ricerca e il suo aspetto faustiano. <i>“Asciugamano in mano, iniziò un percorso irregolare attraverso il prato; barcollò, per così dire, tra le vagine. "</i>. Ma anche le fitte dell'onanismo nella sua solitudine più sordida: <i>“Si versò un secondo whisky, eiaculò sulla rivista e si addormentò quasi tranquillo”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">A un certo momento Bruno comprende che <i>“l’obiettivo principale della sua vita era stato esclusivamente sessuale; non era più possibile cambiare” </i>e in ciò - sottolinea il narratore - <i>“era un personaggio emblematico della sua epoca”</i>. Ma stando così le cose è possibile considerare Bruno un individuo? È la domanda che si pone il suo fratellastro Michel (la coscienza critica all’interno del romanzo). Da un punto di vista fisico certamente, pensa Michel: <i>“la putrefazione del suo organismo, sì, gli apparteneva individualmente; avrebbe conosciuto a titolo personale il declino fisico e la morte”, ma “d’altra parte </i>[…]<i> la sua visione edonista della vita, i campi di forze che strutturavano la sua coscienza e i suoi desideri, quelli appartenevano al complesso della sua generazione”</i>. Dunque, se sul piano fisico poteva apparire come un individuo, <i>“da un altro punto di vista non era altro che l’elemento passivo dello spiegamento di un movimento storico. Le sue motivazioni, i suoi valori, i suoi desideri: nulla di tutto ciò lo distingueva neppure in misura minima dai suoi contemporanei”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHnnxqBSCKR24WpzfLkPjuSUFS2pE0Nm2bmbSfmrmWYlYJz3L27MFOps0nLRLLnI0_TKD02dUAOTAIjXE5ux_xKvn2is6ltZUzBMx8ydqYofRiJkVN3otwTHIYG1lClPKiEtTjFKFLkO9jlWsfwDNl-Q9AY0LNDrAhS6ZemgRVSWUYJTRSGtasAM7m/s1200/michel-houellebecq-ansa.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHnnxqBSCKR24WpzfLkPjuSUFS2pE0Nm2bmbSfmrmWYlYJz3L27MFOps0nLRLLnI0_TKD02dUAOTAIjXE5ux_xKvn2is6ltZUzBMx8ydqYofRiJkVN3otwTHIYG1lClPKiEtTjFKFLkO9jlWsfwDNl-Q9AY0LNDrAhS6ZemgRVSWUYJTRSGtasAM7m/w640-h360/michel-houellebecq-ansa.jpg" width="640" /></a></div><br />Individualismo e crisi dell'Occidente</i></b><b> - </b>Man mano che si girano le pagine, emerge la visione paradossale e conflittuale della donna, che Michel ammira e odia (senza dubbio anche per l'abbandono </span><span style="font-family: inherit; font-size: large;">materno). Non esita a condannare in ogni momento il femminismo (considerato castrante): </span><i style="font-family: inherit; font-size: large;">“In pochi anni sono riusciti a trasformare i ragazzi intorno a loro in nevrotici impotenti e scontrosi”</i><span style="font-family: inherit; font-size: large;">, per chiamare le donne “vecchia puttana” o per prendere in giro la “stupida rassegnazione delle femmine”, mentre poi scrive </span><i style="font-family: inherit; font-size: large;">“A cosa servivano gli uomini? È possibile che in passato, quando gli orsi abbondavano, la virilità potesse aver svolto un ruolo specifico e insostituibile, ma per diversi secoli gli uomini non erano visibilmente serviti quasi a nulla. A volte ingannavano la noia giocando a tennis, che era un male minore, ma talvolta lo ritenevano anche utile per far avanzare la storia, cioè essenzialmente per provocare rivoluzioni e guerre. </i><span style="font-family: inherit; font-size: large;">(…)</span><i style="font-family: inherit; font-size: large;"> Un mondo fatto di donne sarebbe infinitamente superiore sotto tutti i punti di vista; evolverebbe più lentamente, ma con regolarità, senza tornare indietro e senza interrogativi dannosi, verso uno stato di felicità comune”. O, anche “Decisamente, le donne erano migliori degli uomini. Erano più carezzevoli, più amorevoli, più compassionevoli e più gentili”</i><span style="font-family: inherit; font-size: large;">. Respinge quindi con queste ultime dichiarazioni ogni sospetto di misoginia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Al centro di questa riflessione, denuncia l'individualismo e la grande depressione sociale e spirituale di fine Novecento: <i>"Avendo esaurito i godimenti sessuali, era normale che gli individui liberati dalle ordinarie restrizioni morali si rivolgessero ai più ampi godimenti della crudeltà; due secoli prima, Sade aveva seguito un percorso simile. In questo senso, i serial killer degli anni '90 erano i figli naturali degli hippy degli anni '60”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Deliberatamente posto sotto il segno di Aldous Huxley e del suo romanzo <i>The Brave New World</i> al quale peraltro dedica un capitolo nel suo romanzo, Michel cerca di trovare una via d'uscita alla "malinconia dell'uomo occidentale” secondo la sua espressione. Un esito che, secondo lui, passa attraverso l'eugenetica da lui apertamente propugnata. Si propone così di riflettere sulla possibilità di una mutazione genetica che metta fine alla sofferenza e alla solitudine umana. Inventare una nuova specie che sia finalmente libera dal desiderio sessuale (ma non dal piacere) e dalla morte.</span></div><i><blockquote style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">“La mutazione metafisica che ha creato materialismo e scienza moderna ha avuto due grandi conseguenze: il razionalismo e l’individualismo. L’errore di Huxley è stato quello di non aver valutato adeguatamente il rapporto di forza tra queste due conseguenze. In dettaglio, il suo errore sta nell’aver sottovalutato l’aumento di individualismo prodotto da una incrementata coscienza della morte. Dall’individualismo nascono la libertà, il senso dell’io, il bisogno di distinguersi e di essere superiori al prossimo”.</span></blockquote></i><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Perciò in ragione di questa libertà individuale, contrariamente a quanto pensava Huxley, sorgono la competizione economica e quella sessuale. Si giunge così ad una esacerbazione del desiderio:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">“Perché la mutazione metafisica operata dalla scienza moderna si porta dietro l’individuazione, la vanità, l’odio e il desiderio. Di per sé il desiderio - contrariamente al piacere - è fonte di sofferenza, di odio e di infelicità. E, questo, tutti i filosofi - non solo i buddisti, non solo i cristiani, ma tutti i filosofi degni di questo nome - l’hanno capito e insegnato. La soluzione degli utopisti - da Platone a Huxley passando per Fourier - consiste nell’annientare il desiderio, e le sofferenze connesse, organizzandone l'immediata soddisfazione”.</span></i></blockquote><i><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhI_1Or3wAP7xpoBlPFglqeWLl0XYNYer6Wh9WLyngCjEgDREs5L1ErrVQfcFqFPHY6mzOJzUJM3JaipQzEzVXh1EjCyoK3VMs88Av98B8VnHO6bkM_pMtprQ7VgMHgmKwaOsECyMYKia-YKon1tMWH7QkBFwZA_CHDJP_Cp5ui6TWaj52rY6ODGMDj/s1195/Picture1-1200x677.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="631" data-original-width="1195" height="338" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhI_1Or3wAP7xpoBlPFglqeWLl0XYNYer6Wh9WLyngCjEgDREs5L1ErrVQfcFqFPHY6mzOJzUJM3JaipQzEzVXh1EjCyoK3VMs88Av98B8VnHO6bkM_pMtprQ7VgMHgmKwaOsECyMYKia-YKon1tMWH7QkBFwZA_CHDJP_Cp5ui6TWaj52rY6ODGMDj/w640-h338/Picture1-1200x677.png" width="640" /></a></div><br />Verso la post-umanità</b></i> - Houellebecq (attraverso Michel) immagina una nuova umanità, liberata dall'individualismo grazie a una mutazione biologica che sappia sfruttare i paradossi della fisica quantistica: la tesi della non separabilità quantistica in particolare è mobilitata per promuovere una nuova ontologia e l'immagine di nuove relazioni tra le persone. Le conoscenze derivate dalla biologia molecolare e dalla fisica quantistica vengono analizzate come strumenti di una revisione ontologica che ha come corollario una nuova concezione dell'evoluzione: lo spostamento verso la post-umanità, che segna l'ingresso nella post-storia, pone fine anche alla “storia naturale” che viene sostituita da una storia “meta-naturale”.</span></div></i><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Lo scrittore francese osserva che l'uomo, antropologicamente, è in procinto di essere travolto dal mondo che ha creato: le scienze, infatti, hanno prodotto le condizioni per una mutazione fondamentale facendo dell'umanità <i>"la prima specie animale dell'universo conosciuto" ad essere capace “di organizzare da sé le condizioni della propria sostituzione”</i>. Eppure, questa mutazione è diventata essenziale, se l'uomo vuole sopravvivere al “suicidio occidentale”, diretta conseguenza della metafisica del materialismo che ha dominato il XX secolo. Incompatibile con l'umanesimo, il materialismo ha dato vita a una “cultura del godimento”, basata sull'apologia del desiderio e della liberazione sessuale, che ha come corollari l'individualismo, il consumismo e il mercantilismo. Ma lungi dal fermarsi all'evidenza del disastro storico che fotografa, Houellebecq delinea la possibilità della rigenerazione: poiché il male, la solitudine, viene dalla libertà individuale concessa dalle società moderne, il rimedio va cercato nel modello opposto, in un tipo olistico di società che concede all'individuo solo un valore secondario rispetto al collettivo:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La soluzione di Houellebecq non è né politica né umanista: una volta esaurita la metafisica del materialismo, un'altra metafisica deve sostituirla determinando l'apparizione di una nuova umanità, liberata dall'individualismo e dalla riproduzione sessuata grazie a una rivoluzionaria tecnica di clonazione. Questa mutazione antropologica si basa su due idee chiave: in primo luogo, la dissociazione della procreazione dal sesso, che dovrebbe garantire <i>"la riproduzione della specie umana in laboratorio in condizioni di sicurezza genetica e affidabilità totale. Scomparsa conseguentemente dei rapporti familiari, della nozione di paternità e di filiazione”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La fine della riproduzione sessuata appare come la logica conclusione di un processo che è già iniziato nell'ordine sociale e che deve trovare il suo prolungamento nell'ordine biologico. La scienza responsabile della creazione delle condizioni materiali per questa mutazione è la biologia molecolare; ma questa non fornisce strumenti abbastanza potenti da distoglierci dall'evidenza del nostro essere-nel-mondo ed è quindi la fisica quantistica che è responsabile della realizzazione del "grande cambiamento". Sta qui la vera originalità del romanzo: non nell'idea di sostituire la genesi con la genetica, ma in un progetto di revisione ontologica basato sui paradossi della fisica quantistica. La difficoltà è che la biologia e la fisica quantistica hanno due linguaggi lontani, tra i quali è difficile stabilire una continuità. È questo campo di ricerca, lasciato incolto dalla scienza, che Houellebecq ha voluto sondare attraverso l'immaginazione: <i>“Mi aspetto molto dai ricercatori che cercano di collegare il mondo quantistico (la vera natura dell'infinitamente piccolo) al mondo macroscopico (il nostro mondo “normale” composto di oggetti). Queste persone stanno cercando di stabilire una continuità. È difficile. Ma è certo che una rivoluzione considerevole scoppierà quando questa continuità sarà stabilita”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;"><i>Particelle elementari </i></b><b>- </b>Questa sfida è quella che Michel cerca di raccogliere nel romanzo: si chiede come conciliare l'ontologia quantistica con l'esistenza di corpi biologici dotati di identità autonoma e qualità intrinseche. La fisica quantistica, in effetti, ha sconfitto la nozione realistica di una sostanza materiale dotata di permanenza e che sostiene i fenomeni nel più profondo dell'Essere. Le particelle elementari non sono substrati portatori di qualità concrete, ma strutture matematiche prive di sostanza sottostante. Prive di una precisa localizzazione, non corrispondono ad un classico punto materiale ma ad un pacchetto d'onda, cioè ad una sovrapposizione di movimenti potenziali, la cui posizione può essere valutata solo in termini probabilistici. A rigor di termini, si può solo parlare della realtà di una particella al momento dell'osservazione: tra due osservazioni, la funzione d'onda descrive la particella come se fosse sparsa su un'intera porzione di spazio, così che la sua esistenza è del tutto virtuale. Ma durante l'osservazione, la funzione d'onda si riduce ad una delle possibilità che descrive prima di evolvere, una volta fatta l'osservazione, in un nuovo spazio di possibilità. Essendo l'osservazione un evento discreto, senza continuità e senza durata, i costituenti ultimi della materia non possono essere considerati come entità permanenti che possiedono una propria “identità”. Schrödinger proponeva di immaginarli piuttosto come “eventi istantanei”, capaci di passare senza transizione da un'esistenza potenziale non localizzata a un'esistenza concreta localizzata, e viceversa.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Vediamo quanto sia difficile conciliare questa ontologia senza qualità con un'ontologia di corpi viventi che possiedono qualità proprie e un'identità non intercambiabile. La biologia e la fisica quantistica parlano linguaggi lontani, tra i quali possono esistere solo al massimo relazioni complementari. Principio essenziale della fisica quantistica, il principio di complementarità fu enunciato da Niels Bohr nel 1927 per risolvere la contraddizione onda/particella: le particelle elementari ci possono apparire a volte sotto forma di corpuscoli, a volte sotto forma di onde, questi aspetti costituiscono due rappresentazioni "complementari" di una stessa realtà. La fisica quantistica, come sappiamo, ha scoperto il disturbo causato da ogni osservazione: la cosa osservata reagisce a ogni misura che usiamo per osservarla. Dall'osservatore, quindi, dipende la scelta della proprietà corpuscolare o ondulatoria che privilegerà e si può descrivere l'oggetto solo dall'angolazione prescelta in termini di interazioni, correlazioni. Nella mente di Bohr, la contraddizione onda/particella dimostrava l'inadeguatezza del linguaggio naturale a descrivere i fenomeni e la necessità di ricorrere a diversi sistemi interpretativi per formulare punti di vista parzialmente contraddittori in un linguaggio semplice.</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i>“Ma queste due modalità interpretative si completano anche a vicenda, perché in realtà sappiamo da tempo che hanno entrambe ragione, proprio perché la vita esiste. Il problema che la biologia deve affrontare non è quindi chiedersi quale di questi due modi di vedere sia il più corretto, ma semplicemente come la natura li abbia fatti combaciare.” </i>(Bohr citato da Heisenberg).</span></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Questa complementarità dei discorsi è il principio del romanzo, il cui carattere composito si spiega con la volontà di moltiplicare gli angoli di approccio. Essa è il principio della narrazione: Michel e Bruno, i quali incarnano rispettivamente il cammino della scienza e il cammino delle lettere, occupano infatti posizioni speculari nel dispositivo narrativo. Il discorso di Michel tende al distacco e l'impersonalità della scienza, mentre quello di Bruno si nutre dell'esperienza personale, che fornisce la sua materia viva alla letteratura. Michel, lo scienziato, del resto non è mai il narratore della propria vita, è solo colui che enuncia riflessioni teoriche il cui substrato empirico sono le esperienze del fratello. Quanto a Bruno, il letterato, è il narratore delegato della propria storia che racconta successivamente al suo psicanalista, al fratello e a Christiane. È come se le esperienze vissute e raccontate da Bruno alimentassero la maturazione intellettuale di Michel, che vi riflette in termini scientifici e propone la fine della riproduzione sessuata come soluzione ai problemi affettivi ed esistenziali in cui inciampa il fratello. Questa disposizione fa parte di un dispositivo sperimentale che consente di stabilire relazioni complementari tra scienza e letteratura, trasformando così il romanzo in una sorta di laboratorio in cui i fatti dell'esperienza e della teoria si completano a vicenda per lavorare su questo, che è forse il suo vero ambizione: la trasformazione dell'uomo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Infine, la complementarità permette di inscrivere le traiettorie individuali dei due fratelli nel quadro del futuro collettivo, perché <i>“così come l'installazione di un allestimento sperimentale e la scelta di una o più osservabili consentono di assegnare a un sistema atomico un dato comportamento - a volte corpuscolare, a volte ondulatorio - così Bruno potrebbe apparire come un individuo, ma da un altro punto di vista, era solo l'elemento passivo del dispiegarsi di un movimento storico. Le sue motivazioni, i suoi valori, i suoi desideri: niente di tutto questo lo distingueva, seppur minimamente, dai suoi contemporanei”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La commistione di fatalità e cecità che governa il destino dei due fratellastri è in linea con la logica di un rigoroso determinismo storico: <i>“Date le condizioni iniziali </i>[…]<i>, parametrizzata la rete delle interazioni iniziali, gli eventi si sviluppano in un disincantato spazio vuoto; il loro determinismo è inevitabile. Quello che era successo doveva succedere, non poteva essere diversamente; nessuno poteva essere ritenuto responsabile”</i>. Questa visione ha qualcosa di disumano nel suo modo di negare la libertà e la responsabilità individuale, sottoponendo l'uomo alle leggi dell'eredità biologica e sociale. <i>Le Particelle elementari</i> è un romanzo con una tesi: il gusto dell'autore per il presente della verità generale, la durezza dimostrativa e la brutalità assertiva della sua scrittura, il carattere volutamente esemplare della maggior parte dei personaggi a volte tende a racchiuderlo nella retorica di un manifesto filosofico. Ma dietro queste apparenze si nasconde un oggetto strano, complesso, che sperimenta le grandi costruzioni teoriche e scientifiche del suo secolo per delineare i contorni di un mondo tornato finalmente abitabile.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikE8N1UbrbBrdrXEmehJdkx_lglqGO1AsZMiS1WKvaA6oyQaWw-c5wTxAIiCTPPveSWv3mFqq72-2h_ixAcUvSsU0d-J-yNYPURJmNjqRxQwuW1MzXsnH-YFkTzB85NDKdhTBXlrVoS5ai4--ufanO1p6KX9F8oaWCjUSHGwYE4mWvcS9aKHKhRq2G/s1536/Alain_Aspect.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1024" data-original-width="1536" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikE8N1UbrbBrdrXEmehJdkx_lglqGO1AsZMiS1WKvaA6oyQaWw-c5wTxAIiCTPPveSWv3mFqq72-2h_ixAcUvSsU0d-J-yNYPURJmNjqRxQwuW1MzXsnH-YFkTzB85NDKdhTBXlrVoS5ai4--ufanO1p6KX9F8oaWCjUSHGwYE4mWvcS9aKHKhRq2G/w640-h426/Alain_Aspect.jpg" width="640" /></a></div><br />Non località </i></b><b>- </b>Questa disposizione ha l'effetto di collegare le traiettorie dei due fratelli in un modo che evoca la non separabilità quantistica, evidenziata nei primi anni '80 dagli esperimenti di Alain Aspect (premio Nobel per la fisica nel 2022), ai quali peraltro nella finzione del romanzo Michel avrebbe preso parte, che hanno fornito una completa confutazione delle obiezioni sollevate nel 1935 da Einstein, Podolsky e Rosen contro il formalismo quantistico (se non è preveggenza, Houellebecq ha senza dubbio dato prova di grande conoscenza delle ultime novità scientifiche). Conosciute come il paradosso EPR, queste obiezioni furono formalizzate dalle disuguaglianze di Bell, che considerano il sistema formato da due elettroni con spin opposto. Il teorema di Bell afferma che, se separiamo questi due elettroni di spin inverso e li collochiamo in luoghi molto lontani l'uno dall'altro, i loro spin, nonostante la distanza che li separa, continueranno a essere dipendenti: se uno vale +½, l’altro varrà -½. Il teorema di Bell risulta quindi in un paradosso: sebbene apparentemente separate nello spazio e incapaci di comunicare con qualsiasi mezzo fisico noto, le due particelle non sono separate, formano un sistema inseparabile, dotato di proprietà fisiche che non possono essere attribuite a nessuna particella, ma solo all'intero sistema. In seguito alla pubblicazione del lavoro di John Bell, diversi gruppi hanno tentato di verificare le previsioni della fisica quantistica effettuando esperimenti su popolazioni di particelle prodotte in coppia e allontanate l'una dall'altra in due direzioni opposte.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Per il loro test di Bell aggiornato, Aspect e i suoi colleghi hanno installato, per ciascuno di due fotoni <i>entangled</i>, un sistema di commutazione che cambiava in modo casuale il percorso del fotone tra due rami. Ogni ramo aveva un polarizzatore con un orientamento diverso. Il sistema funzionava come uno scambio ferroviario, deviando rapidamente i fotoni tra due "binari" separati, ciascuno con un diverso polarizzatore. Le modifiche erano apportate mentre i fotoni viaggiavano dalla sorgente ai rivelatori; quindi, non c'era abbastanza tempo per il coordinamento tra le presunte variabili nascoste.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Alain Aspect è riuscito a dimostrare che due sistemi quantistici interagenti possono essere rappresentati solo da un sistema con funzione d'onda globale: solo il grande sistema che comprende i due sistemi può avere uno “stato”. Questo fenomeno ha dato luogo a diverse interpretazioni filosofiche evocate nel romanzo:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i>“Djerzinski stava finendo la sua tesi di dottorato all'Università di Orsay. Come tale, avrebbe partecipato ai magnifici esperimenti di Alain Aspect sulla non separabilità del comportamento di due fotoni emessi successivamente dallo stesso atomo di calcio”. </i>Continua Houellebecq: <i>"Precisi, rigorosi, perfettamente documentati, gli esperimenti di Aspect avrebbero avuto un notevole impatto nella comunità scientifica" </i></span></blockquote><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">"Restano quindi solo due ipotesi. O le proprietà nascoste che determinano il comportamento delle particelle erano non locali, cioè le particelle potevano avere un'influenza istantanea l'una sull'altra a una distanza arbitraria. O si doveva rinunciare al concetto di particella elementare dotata, in assenza di ogni osservazione, di proprietà intrinseche: ci si trovava allora di fronte a un profondo vuoto ontologico - a meno che non si adottasse un positivismo radicale, e ci si accontentasse di sviluppare il formalismo matematico predittivo di osservabili rinunciando definitivamente all'idea di realtà soggiacente. È naturalmente quest'ultima opzione che ha mobilitato la maggior parte dei ricercatori”. </span></i></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Riletto alla luce di questi principi, il titolo del romanzo può essere interpretato in un senso diverso da quello che gli è stato generalmente attribuito. Come sottolinea Houellebecq, “particelle elementari” sono state spesso intese come “una società composta da individui che si sentono isolati, separati gli uni dagli altri, che si incrociano in uno spazio neutro". Ma c'è un altro significato: siamo noi stessi composti da particelle elementari, aggregati instabili, in continuo movimento. Passando dal livello individuale al livello infra-individuale, Houellebecq libera le particelle di una materia anonima di cui conserva solo le interrelazioni. Infatti, tra le opzioni ontologiche autorizzate dalla non separabilità, una consiste nel liberarsi radicalmente dall'archetipo del corpo materiale e nel considerare il campo fenomenico come un tessuto costituito dall'interrelazione quantistica dell'intero universo. Ciò presuppone l'esistenza di un mondo dotato di unità organica, privo di parti indipendenti l'una dall'altra: ogni evento è strettamente determinato da tutti gli altri, dipende da una combinazione di circostanze che coinvolge l'intero universo in un dato momento. In particolare, gli eventi che contribuiscono alla preparazione di una data esperienza determinano quale degli eventi dovrebbe essere l'esperienza - determinati da tutti gli eventi che si svolgono nel loro ambiente vicino o lontano.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Negando la concezione classica di un mondo che può essere analizzato in parti dotate di un'esistenza separata e indipendente, la fisica delle particelle la sostituisce con l'immagine di una totalità indivisibile che inscrive l'esistenza individuale all'interno di correlazioni più fondamentali. Di questa unità organica, Michel ha il presentimento in più occasioni. Innanzitutto, durante il matrimonio di Bruno dove si stabilisce nella sua mente un'associazione tra la formula consacrata, <i>"i due diventeranno una sola carne"</i> e le esperienze di Aspect: <i>"quando due particelle sono state unite, formano appena allora un indivisibile intero, che mi sembra del tutto conforme a questa storia di una sola carne”</i>. Non un mondo di oggetti, ma di relazioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">L'idea della non separabilità fa quindi parte del romanzo su due livelli: determina il rapporto tra i due fratelli, ma fornisce anche il suo principio per il legame che unisce la nuova umanità. Sottoponendo la tesi dell'interdipendenza universale a un diversivo opportunista, Houellebecq immagina un'altra umanità, liberata dall'individualismo e fondata sulla connessione come nuova figura della collettività e della felicità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La nuova umanità nasce da una regressione all'età precedente la separazione. Spinto dal desiderio di un paradiso unito, un "regno perduto" come ogni paradiso, libera l'uomo dalla responsabilità oltre che dall'individualità. Questa è tutta l'ambiguità del romanzo: la regressione sul piano psichico fa parte di un progetto di rifusione ontologica che, secondo il suo autore, testimonia un “progressismo sconvolgente”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGdp7iBW1KrnGYBMBVE7hgMKlHV_jf_OE0NYlApjHb6O3Y4GNT5mS_HM2Na70XHPCkuI8KQAnbYuZ-pSoXwNiQs3wGRqWhRbF3A_9EF-YVT30a8j4QlUqPbmmz6CIbnAzAkuUO5xxvHCL47yWNFsafns7Kq115bGIzF7aXbqt6gBIfxah8-6MUrWX5/s1680/transhuman_ai.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="730" data-original-width="1680" height="278" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGdp7iBW1KrnGYBMBVE7hgMKlHV_jf_OE0NYlApjHb6O3Y4GNT5mS_HM2Na70XHPCkuI8KQAnbYuZ-pSoXwNiQs3wGRqWhRbF3A_9EF-YVT30a8j4QlUqPbmmz6CIbnAzAkuUO5xxvHCL47yWNFsafns7Kq115bGIzF7aXbqt6gBIfxah8-6MUrWX5/w640-h278/transhuman_ai.jpg" width="640" /></a></div><br />Ontologia degli stati e storie consistenti -</i></b> Secondo il fisico e filosofo della scienza Michel Bitbol, una delle ontologie più naturalmente adattabili alla teoria quantistica è un'ontologia degli stati, così come una delle ontologie più adatte alla teoria relativistica è un'ontologia degli eventi. Uno dei grandi vantaggi di una tale ontologia è che non solo permette di risolvere questioni di individualità, ma le priva di ogni possibilità di essere poste. Le entità costitutive della nuova ontologia, infatti, non sono più particelle, ma vettori di stato. Tuttavia, a differenza delle particelle che possono essere ritenute la causa di eventi discreti e specifici osservati nei dispositivi di misurazione, queste nuove entità sono profondamente inadatte al modello dualistico dell'azione causale. Ciò rende pericoloso qualsiasi tentativo di esprimere l'ontologia quantistica per mezzo del linguaggio naturale. Gli scienziati sono stati così portati a cercare possibilità di connessione tra il mondo così come si manifesta a noi (come una serie di eventi uniti da relazioni causali) e gli elementi della nuova ontologia. Questo è il ruolo assegnato alle teorie della decoerenza, che permette di stabilire una giunzione tra il mondo quantistico e il mondo dell'atteggiamento naturale. Hardcastle, uno dei suoi teorici, propone, ad esempio, di considerare gli oggetti di medie dimensioni che popolano il nostro mondo (tavoli, sedie, strumenti di misura), non come entità dotate di una propria dimensione ontologica, ma come l'ombra percettiva dell'effetto che le vere entità della nuova ontologia producono nel nostro cervello.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Houellebecq si dichiara a favore del <i>“recente progetto di riprogettazione ontologica che aveva preso corpo dai lavori di Zurek, Zeh e Hardcastle: la sostituzione di un'ontologia di oggetti con un'ontologia di stati". Solo un'ontologia di stati, infatti, è stata in grado di restituire la possibilità pratica delle relazioni umane. In un'ontologia di stati, le particelle erano indistinguibili e ci si doveva limitare a qualificarle attraverso un numero osservabile. Le uniche entità suscettibili di essere identificate e denominate in una tale ontologia erano le funzioni d'onda e, attraverso di esse, i vettori di stato: da qui la possibilità analogica di restituire senso e amore”</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">I riferimenti di Houellebecq alle teorie della decoerenza di H. Dieter Zeh, alle "storie consistenti" di Griffiths, all'"ontologia degli stati" di Wojciech Zurek non hanno nel romanzo una semplice funzione documentaria, sono attuati per costringere il lettore a partecipare all'elaborazione di una costruzione mentale che destabilizza tutti i suoi schemi cognitivi. La nuova ontologia rompe infatti con i consueti sistemi di rappresentazione, vale a dire anche con il consueto a priori romanzesco. Richiede l'invenzione di un nuovo linguaggio, non più “un linguaggio di oggetti e proprietà” ma “un linguaggio di stati”.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">L'ontologia priva di qualità della fisica quantistica è incompatibile con il sostanzialismo del linguaggio naturale, il cui uso principale è quello di applicarsi alle cose oggettivate. Ora, il fatto di qualificare gli oggetti, quindi di usare nomi - propri o comuni - e dotarli di proprietà attraverso aggettivi, deriva da una rappresentazione materialistica del mondo: gli oggetti dovrebbero essere lì, con le loro proprietà, esistere indipendentemente dall'osservazione. Se volessimo fondare un linguaggio corrispondente ad un'ontologia di stati, dovremmo ridurre tutto, non più ad oggetti, ma a movimenti. Una sfida senza dubbio impossibile da vincere, perché richiederebbe la rinuncia alle strutture fondamentali del nostro linguaggio, ma che tuttavia spiega alcune caratteristiche della scrittura di Houellebecq: una scrittura piatta, diretta, senza enfasi, con piccoli aggettivi, una costruzione fluida dove le scene scivolano per giustapposizione, dove si passa senza transizione dal destino personale alla storia collettiva e dove i singoli accadimenti contano meno per se stessi delle dinamiche del tutto. Moltiplicando gli effetti speculari tra i personaggi, scivolando costantemente da una storia all'altra, da un livello all'altro, Houellebecq decostruisce la classica rappresentazione di un mondo analizzabile in parti autonome per sostituirla con una concezione olistica del dispiegamento narrativo. Da questo punto di vista, la storia dei due fratellastri è meno quella di due individui separati, quanto la ricostituzione di un movimento storico globale a partire da due luoghi ontologici interdipendenti. In un'ontologia di stati, infatti, il postulato dell'esistenza di individui autonomi non è altro che un'ipotesi di lavoro, adottata ai fini economici dell'adattamento. Come spiega Michel a suo fratello:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">“Hai una consapevolezza di te stesso; questa consapevolezza permette di avanzare un'ipotesi. La storia che riuscite a ricostruire dai vostri stessi ricordi è una storia consistente, giustificabile nel principio di una narrazione univoca. Come individuo isolato, che persevera nell'esistenza per un certo periodo di tempo, soggetto a un'ontologia di oggetti e proprietà, non hai dubbi su questo punto; dobbiamo necessariamente essere in grado di associarti a una storia consistente di Griffiths. Questa ipotesi a priori, la fai per il dominio della vita reale, non la fai per il dominio dei sogni”.</span></i></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">È a questo sogno che il romanzo dà forma, iscrivendo la nuova ontologia nel non-luogo dell'utopia planetaria. Ma nel mondo reale, che è anche quello del lettore, non c'è alternativa al linguaggio naturale, che presuppone l'esistenza di individui autonomi, dotati di qualità proprie e di una storia suscettibile di mutare, da configurare all'interno di una narrazione. La realtà ultima della materia è in ultima analisi pensabile e dicibile solo a partire da un linguaggio che presuppone il suo contrario, cioè un mondo di cose dato in anticipo. Tra realtà dicibile e realtà quantistica ci sono però possibili mediazioni, come le “storie consistenti di Griffiths” che Michel evoca all'inizio del romanzo:</span></div><blockquote style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i>“Le storie consistenti di Griffiths furono introdotte nel 1984 per collegare le misurazioni quantistiche a narrazioni plausibili. Una storia di Griffiths è costruita da una serie di misure più o meno arbitrarie che si svolgono in momenti diversi.</i> […] <i>Da un sottoinsieme di misurazioni si può definire una storia, logicamente coerente, che però non può dirsi vera; può semplicemente essere sostenuta senza contraddizione. Delle possibili storie del mondo in un dato contesto sperimentale, alcune possono essere riscritte nella forma normalizzata di Griffiths; si chiamano allora storie consistenti di Griffiths, e tutto accade come se il mondo fosse composto da oggetti separati, dotati di proprietà intrinseche e stabili. Tuttavia, il numero di storie di Griffiths che possono essere riscritte da una serie di battute è solitamente significativamente maggiore di una”. </i></span></blockquote><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Nelle storie consistenti, l'approccio all'interpretazione quantistica è ampiamente compatibile con la meccanica quantistica standard come si trova nei libri di testo. Tuttavia, il concetto di misurazione con cui le probabilità vengono introdotte nella teoria quantistica standard non gioca più un ruolo fondamentale. Invece, tutta la dipendenza quantistica dal tempo è probabilistica (stocastica), con probabilità date dalla regola di Born o dalle sue estensioni. Richiedendo che la descrizione di un sistema quantistico venga eseguita utilizzando uno spazio campionario probabilistico ben definito (chiamato <i>"framework"</i>), questo approccio risolve tutti i ben noti paradossi dei fondamenti quantistici. In particolare, la meccanica quantistica è locale e coerente con la relatività ristretta. La meccanica classica emerge come un'utile approssimazione alla meccanica quantistica più fondamentale in condizioni adeguate. Il prezzo da pagare per questo è un insieme di regole di ragionamento simili, ma anche significativamente diverse da quelle che compongono la logica quantistica. Un'importante implicazione filosofica è la mancanza di un unico stato di cose universalmente vero in ogni istante di tempo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Le storie consistenti di Griffiths sono sequenze di eventi ricostruiti dal pensiero, in modo tale che il loro verificarsi attestato non avrebbe alterato l'esito della previsione. Questo metodo di ricostruire a posteriori ciò che è accaduto prima della misura ha il pregio di giustificare il discorso spontaneo dei fisici delle particelle che, dall'osservazione di un impatto su un rivelatore, cercano nelle proprietà il filo di una sorta di catena di cause. Permette, in altre parole, di configurare in una narrazione gli eventi istantanei e virtuali che sono costitutivi della fisica quantistica. Tuttavia, la fisica quantistica generalmente consente più di una storia consistente tra due misurazioni.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">A essere rigorosi, queste storie devono quindi essere considerate come finzioni che hanno un certo grado di attendibilità (probabilistica) ma non soddisfano il criterio della verità, che richiederebbe l'esistenza di un'unica storia tra due misurazioni reali. È in termini molto simili che la narrazione si riflette nell'epilogo del romanzo: come “ricostruzione credibile basata su ricordi parziali” piuttosto che “riflesso di una verità inequivocabile e attestabile”. La finzione non racconta fatti reali ma li ricostruisce secondo le modalità più generali del possibile e del probabile. Posizionandosi fin dall'inizio nell'inverificabile, la finzione è libera di moltiplicare all'infinito le possibilità di trattamento. Così facendo, non volta le spalle a un'ipotetica realtà oggettiva ma la affronta come un problema irrisolto, avviandosi alla ricerca di una verità meno rudimentale, più congetturale e meno univoca. La finzione può quindi essere un operatore di conoscenza e la fisica quantistica se ne serve, non solo come ultima risorsa, ma come strategia che contribuisce pienamente al suo successo cognitivo. La finzione, infatti, non è l'esposizione romanzata di questa o quella verità, ma una trattazione specifica del mondo che consiste non nell'eludere le regole che la trattazione della verità richiede, ma nell'evidenziare la natura complessa della situazione, che vieta di limitare la questione della verità a quella del verificabile. Di conseguenza, tra scienza e letteratura, si tratta meno di una contrapposizione che di una complementarità: accettando di lavorare nell'inverificabile per rispondere meglio alle esigenze della verità, giocano il gioco della finzione per proporre possibili scenari del nostro futuro.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">L'ultima parola è lasciata al successore dell'uomo, in un ultimo omaggio a questa specie che, “per la prima volta nella storia del mondo, ha potuto intravedere la possibilità del proprio superamento; e che, qualche anno dopo, seppe mettere in pratica questo superamento”. Un tributo ambiguo perché reso da questo luogo impensabile che è la storia della post-umanità. Vale a dire dalla post-storia di un'umanità che ha rinunciato ai suoi attributi più specifici: desiderio, soggettività, individualità. Come se l'uomo possa raggiungere l'umanità solo a costo della propria negazione.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-39294804478367751622023-03-23T22:17:00.000+01:002023-03-23T22:17:03.990+01:00Pirandello combinatorio<p style="text-align: justify;"></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivE24iV_u9iHBm6xBQrPGDKbsO8YbUX9FodxKbqd7C0jmFHJdPuK9usYGdujr9HqTj_xm1TOWdw6lWFXJOb7IZAsLhp32z-FAFTy6UFK1N1QRvAiYix-h10xxDiQv81QpvLdBcYzhlfkAw_a-K4W8u9KfagNIlsCAalE3EVj1sMB7ctnks3oa2jtEp/s1600/maschereuici.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1071" data-original-width="1600" height="428" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivE24iV_u9iHBm6xBQrPGDKbsO8YbUX9FodxKbqd7C0jmFHJdPuK9usYGdujr9HqTj_xm1TOWdw6lWFXJOb7IZAsLhp32z-FAFTy6UFK1N1QRvAiYix-h10xxDiQv81QpvLdBcYzhlfkAw_a-K4W8u9KfagNIlsCAalE3EVj1sMB7ctnks3oa2jtEp/w640-h428/maschereuici.jpg" width="640" /></a></div><i style="font-family: inherit;"><p style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i style="font-family: inherit;">"Rientrando in casa, vi trovai Quantorzo in seria confabulazione con mia moglie Dida. </i><span style="font-family: inherit;">[…] </span><i style="font-family: inherit;"> E poiché erano due a vedermi entrare, mi venne la tentazione di voltarmi a cercare l'altro che entrava con me, pur sapendo bene che il "caro Vitangelo" del mio paterno Quantorzo non solo era anch’esso in me come il Gengè di mia moglie Dida </i><span style="font-family: inherit;">[...] </span><i style="font-family: inherit;"> Mia moglie, nel vedermi voltare, domandò. «Chi cerchi?» M'affrettai a risponderle, sorridendo: «Ah, nessuno, cara, nessuno. Eccoci qua!» Non compresero, naturalmente, che cosa intendessi dire con quel "nessuno" </i><span style="font-family: inherit;">[…]</span><i style="font-family: inherit;">; e credettero che con quell'"eccoci" mi riferissi anche a loro due, sicurissimi che lí dentro quel salotto fossimo ora in tre e non in nove; o piuttosto, in otto, visto che io - per me stesso - ormai non contavo piú. Voglio dire: 1. Dida, com'era per sé; 2. Dida, com'era per me; 3. Dida, com'era per Quantorzo; 4. Quantorzo, com'era per sé; 5. Quantorzo, com'era per Dida; 6. Quantorzo, com'era per me; 7. il caro Gengè di Dida; 8. il caro Vitangelo di Quantorzo. S’apparecchiava in quel salotto, fra quegli otto che si credevano tre, una bella conversazione". </i></span></p></i><p></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: inherit;">Bruno de Finetti (1906-1985) scrisse sul settimanale letterario </span><i style="font-family: inherit;">Quadrivio </i><span style="font-family: inherit;">un articolo dall’insolito titolo </span><i style="font-family: inherit;">Pirandello maestro di logica</i><span style="font-family: inherit;">, dicendo: </span><i style="font-family: inherit;">“Considero Pirandello come uno dei più grandi spiriti matematici; così dicevo a un collega nel giorno della sua morte, e tale affermazione mi parve accolta con meraviglia. Ed essa non può infatti non sembrare paradossale se, cullandosi nelle inveterate illusioni razionalistiche, si considera la matematica come un complesso di verità assolute che col relativismo pirandelliano sarebbe addirittura agli antipodi.” </i></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Qui, in un famoso brano nel libro sesto di <i>Uno, nessuno, centomila </i>(1926), il protagonista Vitangelo Moscarda, Gengé per la moglie Dida, dà un piccolo saggio di calcolo combinatorio: come io vedo me stesso, come tu vedi me, come io vedo te, come l'altro vede me, come l'altro vede se stesso, ecc. Tre persone prese due a due danno 3<sup>2 </sup>= 9 disposizioni con ripetizione.
</span></div></div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-22288323208276328392023-03-08T19:46:00.000+01:002023-03-08T19:46:35.883+01:00In Europa cova il fuoco<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ5W1GmxonNiXKfDELrJ83k-Omlo63HIBCaN3OT5XujnvRdh4SmFLOHbDEzYXN3HD8dgmcJ8OWhsEMXY50vRI-hdUfLZiv_i_9xwRmtSs4cuRrX4HNwQ4GgbTk4bkMgUc8xBWMJKNlubyZNh45TtdnTjVCJmsYDXErXRWuwZLkMY63zgpy47_O7cgT/s1180/schlossblick-mitschnee-klein.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="664" data-original-width="1180" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ5W1GmxonNiXKfDELrJ83k-Omlo63HIBCaN3OT5XujnvRdh4SmFLOHbDEzYXN3HD8dgmcJ8OWhsEMXY50vRI-hdUfLZiv_i_9xwRmtSs4cuRrX4HNwQ4GgbTk4bkMgUc8xBWMJKNlubyZNh45TtdnTjVCJmsYDXErXRWuwZLkMY63zgpy47_O7cgT/w640-h360/schlossblick-mitschnee-klein.jpg" width="640" /></a></div><br /><p></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Sento odore di guerra». «E io di primavera,</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">la terra che formicola, Signore, sotto la neve. Sgela».</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Appena via la neve si scatena l’inferno».</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Monsieur, mentre lo dite, non sembrate toccato».</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Atarassia? O Crisippo, sarebbe bello. Ma ti fidi tu</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">di questa natalizia pace e quiete? Quando fu l’Europa</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">mai il grembo di Abramo? Nei miei lunghi viaggi</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">sui muri dei granai ho visto i segni. Già l’inverno puzzava</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">di polvere da sparo. La bestia s’avvicina.</span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Solo io sono qui a morir di freddo». «Non vi state ammalando?»</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«In Austria, in Boemia ed in Polonia pareva l’orizzonte </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> sigillato da un solo cielo grigio.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fremeva soltanto dove in lontananza era punto dal campanile.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sapeva il vino dell’incoronazione d’amara medicina,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">puzza la selvaggina, ed ammuffito il pane.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A Danzica, agli scacchi, mi presero la dama non so come.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A Praga mi gridò un nano malvagio: brutto cattolico!</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sulle strade fango, movimento - passano truppe e truppe.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">C’era una donna a Vienna che mi fece il malocchio.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Era ovunque, metalliche le sue scaglie di drago,</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">il dio delle battaglie. Affusti, asce, cuoio di corazze.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E un rimestio, un rumore per le campagne e i boschi.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E barconi e argini di tronchi, ogni fiume e torrente</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">largo abbastanza chiama fanteria, con lance dritte in piedi.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ovunque salmerie e staffette a cavallo. Al vederle era chiaro:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">qualcosa sta accadendo nelle terre romane».</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Mi spaventate. Che ci faccio io qui?» «Questo buco è protetto.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E l’inverno è nemico della guerra.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">non busserà alla porta prima che il merlo canti».</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Voi pensate sul serio di raggiunger l’esercito?»</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Era contrito. Ancora così tronfio a San Martino -</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">ora, appena sfornato, l’io si affloscia.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Odia la luna piena e, con la febbre, va a coricarsi presto,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">È come sempre quasi mezzodì quando Descartes si alza.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Si rade e dallo specchio la sua faccia gli dà del perdigiorno.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lui rimbecca: che il diavolo ti porti... Vuoto davanti</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">ma già con le righe, già predisposti gli <i>x</i>, <i>y</i>, <i>z</i> -</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">incognite alle variabili di ogni nuova equazione.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il futuro è un alfiere che galoppa.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Che gli importa la guerra ? Non varca la sua soglia!</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«E cos’altro sapete?» «Scusami, ero distratto -</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">su che, Gillot ?» «La vostra guerra: ma verrà in Germania?»</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Sarà tremenda - e soprattutto qui».</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Sembra che sotto sotto vi rallegri».</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«S’inganna chi si culla in sicurezze, la guerra ti trascina.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E non rimane mai pietra su pietra.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il raccolto che brucia, città e campi sommersi.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Coi pifferi e le trombe si desta nell’infante l’istinto primordiale,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">l’ha nel sangue la guerra: e un passatempo. Aspetta, non c’è dubbio:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">o contro o pro si prende poi partito».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Cova il fuoco in Europa. Vien buio. Il fumo sale</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">dal lacerato panno sull’altare. <i>Introitus</i>... Finito il medioevo.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Miserabile ciò che dall’infanzia, non appena ragiona</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">porta con sé un cristiano, in quella sua coscienza</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">di sedotto, provato, sovvertito: una pappa il cervello</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">in cui su questa terra va guadando. E che profano è il cuore,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">questo lacchè della sua carne debole.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gerusalemme e Wittenberg, San Pietro e Notre Dame -</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">la rosa gira. Cigola la guerra, macchina per far soldi.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">E all’empio sopravvive la vergogna.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">«Guarda là. Ruggine. E mozziconi orridi, come fossero ossa.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La fiamma lecca e strappa quell’umida corteccia.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Cova e fuma dapprima, poi avvampa e crepita,</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">proprio come gli spari, a tradimento. Da ogni lato all’assalto:</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">questo regno di Cristo vien spartito, gli si scava la tomba.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Violenza al calor bianco: di ben dura moneta si ripaga</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">ciò ch’era focolare e amor del prossimo.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il fuoco abbaglia, mangia l’intelletto.</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La guerra paga, salario e onori attendono</span></div></span><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">chi salta in piedi e appicca il fuoco in grande».</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">da <i>Della neve, ovvero Cartesio in Germania</i>, di Durs Grünbein, traduzione di Anna Maria Cappi, Einaudi, Torino, 2005</span></div></span></span><div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpZGNU59dD6x3fveZ1r0zc0VWEsLohBNB0NNmD176we215itiGlfYzrkPs-1Ojk9DjsXgvQLpimVxngL3lZL8F4dCflwrJgwO4Rq6p65FqSPqZWrkfDpq1eFXNXY7brKFrI7qZLAj8BhSMc7syP3dF0Jv0PHUYIeTU_f7Z4aJ4t8vW2Mdl4XUi4lo4/s913/Copertina%20(2).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="913" data-original-width="536" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpZGNU59dD6x3fveZ1r0zc0VWEsLohBNB0NNmD176we215itiGlfYzrkPs-1Ojk9DjsXgvQLpimVxngL3lZL8F4dCflwrJgwO4Rq6p65FqSPqZWrkfDpq1eFXNXY7brKFrI7qZLAj8BhSMc7syP3dF0Jv0PHUYIeTU_f7Z4aJ4t8vW2Mdl4XUi4lo4/w376-h640/Copertina%20(2).jpg" width="376" /></a></div><br />René Descartes trascorse l’inverno tra il 1619 e il 1620 in Germania come soldato a proprie spese (“gentiluomo volontario”) al servizio del Duca di Baviera. Era in corso dal 1618 la Guerra dei Trent’anni. Rimase per mesi bloccato dai rigori stagionali in una confortevole casa ben riscaldata, probabilmente a Neuburg an der Donau, nel nord della Baviera, assieme al suo maggiordomo Gillot. Fu in questa località che iniziò a fissare i principi del suo "sistema", osservando come il sapere delle scuole risultasse meno vicino alla verità' di quanto non lo fossero <i>"i semplici ragionamenti che può fare spontaneamente un uomo di buon senso riguardo alle cose che si offrono alla sua attenzione"</i>. Fu allora che decise di sbarazzarsi di tutte le nozioni acquisite, con l'intenzione di recuperarle eventualmente solo dopo <i>"averle controllate e ordinate secondo le esigenze della ragione"</i>. Spirito dei tempi, questo sistema “razionale” gli sarebbe stato ispirato da un sogno. In primavera la Guerra riprese con tutto il suo portato di violenza, morte e distruzione.</span></div></span></div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-61604933056809475032023-03-07T19:55:00.002+01:002023-03-07T19:57:40.020+01:00Quale mare? - Steccato di Cutro 26 febbraio 2023<br /><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyij0lq35fZD8yVNoZFvhvlBBdI5mADNYkJ4NVQoLwVvPy95mWpDkti4-Ggv8uZ6VCKJsqMjulrnKzpJrfQgQ6bIR9RejUMEMKKgv4Em8lzhpKghJZ7HVw3TVM3Sidt7k5gBWWY38IPnKpehGRIszJmgbNQ2G8Z3gtgtdG0eyeNpbm4BjxH-G6wXN7/s1700/naufragio-cutro-e1677863809682.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="944" data-original-width="1700" height="356" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyij0lq35fZD8yVNoZFvhvlBBdI5mADNYkJ4NVQoLwVvPy95mWpDkti4-Ggv8uZ6VCKJsqMjulrnKzpJrfQgQ6bIR9RejUMEMKKgv4Em8lzhpKghJZ7HVw3TVM3Sidt7k5gBWWY38IPnKpehGRIszJmgbNQ2G8Z3gtgtdG0eyeNpbm4BjxH-G6wXN7/w640-h356/naufragio-cutro-e1677863809682.jpeg" width="640" /></a></div><br /><i><span style="font-family: inherit; font-size: large;">Quale mare?</span></i><p></p><span style="font-family: inherit; font-size: large;">Da molto tempo da molto ma non so più da quanto tempo <br />la morte s’è complicata sfruttando la mia confusione<br />s’è fatta chiamare mare forse soltanto per vantarsi <br />allontanando i momenti deviandoli incessantemente<br />in altri momenti spersi sulla grande contraffazione<br />se le onde seguitano a mentire ma sempre dormendo <br />sopra un mare tempestato di schiuma di colpo avariata <br />la morte si fa chiamare mare ma per approfittarne.<br /><br />
Toti Scialoja, da <i>Poesie 1979-1998</i>, Prefazione di G. Raboni, Milano, Garzanti, 2002.<br /><br />
In memoria delle vittime del Mediterraneo e dell’egoismo europeo.<br /></span><br /><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-69634368488048271042023-02-07T19:39:00.002+01:002023-02-07T19:39:54.105+01:00Nat Tate: una creatura di carta da Sotheby’s<p style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"> </span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi34_254yZxNY0CaxkOqxwzAe50Tb3xr7r7jwzyiEr08HVvU9QoBQnZy4xabES_QbKj8xUaSnCbfBQHIRnyijHksGBgc4o4Qs86CpJET_ywmoWTvyr2h5ttsGfSUe9KIDuekL5BBKXoF52mqyPK-IM1cGM5_wzTq2cS0Lq3vVYIj-tQ00CrfkX0MRhV/s696/08.22-william-boyd-nat-tate-large.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="435" data-original-width="696" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi34_254yZxNY0CaxkOqxwzAe50Tb3xr7r7jwzyiEr08HVvU9QoBQnZy4xabES_QbKj8xUaSnCbfBQHIRnyijHksGBgc4o4Qs86CpJET_ywmoWTvyr2h5ttsGfSUe9KIDuekL5BBKXoF52mqyPK-IM1cGM5_wzTq2cS0Lq3vVYIj-tQ00CrfkX0MRhV/w640-h400/08.22-william-boyd-nat-tate-large.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><p></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 1998 la </span><i style="font-family: inherit;">21 Publishing</i><span style="font-family: inherit;">, la casa editrice fondata da David Bowie, pubblicò una raffinata monografia scritta dallo scrittore e sceneggiatore britannico William Boyd dedicata a un pittore sconosciuto alla comunità artistica internazionale: Nat Tate. Corredata da foto del pittore e da immagini di suoi disegni, la monografia ricostruiva la breve e tragica esistenza di un artista di cui, in apparenza, non rimanevano che esili tracce. Al momento del lancio del romanzo, Boyd in qualche modo incoraggiò la convinzione che Tate fosse davvero esistito."Nat Tate" è una combinazione dei nomi di due gallerie d'arte londinesi, la National Gallery e la Tate Gallery. Boyd e i suoi “complici” (tra i quali Gore Vidal, lo stesso Bowie e John Richardson, biografo di Picasso) tentarono di convincere le élite artistiche e sociali di New York che la reputazione di questo influente espressionista astratto doveva essere rivalutata.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Tate sarebbe nato nel New Jersey nel 1928, rimase orfano all’età di otto anni e fu adottato da una ricca coppia di Long Island presso i quali la madre, morta in un incidente, lavorava come domestica. Mostrò presto un grande talento per la pittura e i genitori adottivi gli pagarono gli studi presso una scuola d’arte. Frequentò poi l’ambiente del Greenwich Village, dove riscosse un certo successo come giovane esponente dell’Espressionismo astratto. Tate divenne una figura rispettata, anche se minore, della scena artistica di New York, apprezzata dai suoi coetanei, anche se alquanto oscura al grande pubblico. Un motivo ricorrente nelle sue opere era la rappresentazione dei ponti. L’abuso di alcol, tuttavia, e il fatale incontro con due geni della pittura, Pablo Picasso e George Braque, conosciuti entrambi in Francia nel 1959 nel suo unico viaggio all’estero, durante il quale ebbe anche una fugace relazione con Peggy Guggenheim, lo gettarono in una profonda prostrazione. Tate cominciò a dubitare del suo talento, cercò di ricomprare i suoi quadri per “correggerli” e, durante un fine settimana in cui cadde preda della più cupa disperazione, diede fuoco alla quasi totalità delle sue opere. Il 12 gennaio 1960 si suicidò gettandosi da un traghetto nelle acque del fiume Hudson. Il suo corpo non fu mai trovato.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La monografia ebbe subito una vasta risonanza sulle pagine culturali dei giornali e sulle riviste d’arte anglosassoni. Il primo di aprile del 1998 David Bowie organizzò un party per la presentazione del libro a Manhattan, nello studio dell’artista pop Jeff Koons, dove accorsero gli esponenti più in vista del mondo dell’arte newyorchese. Durante l’avvenimento, Vidal e Richardson raccontarono falsi aneddoti per dare credibilità alla burla. Fin qui non c’è nulla di strano e siamo in un campo prettamente letterario e artistico. Esistono centinaia di false biografie di personaggi di ogni tipo, magari in parte basate su dati reali.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Circa una settimana dopo, il giornalista David Lister riferì su </span><i style="font-family: inherit;">The Independent</i><span style="font-family: inherit;"> che "alcuni dei più grandi nomi del mondo dell'arte sono stati vittime di una bufala letteraria", e la storia fu ripresa da altri giornali, incluso il </span><i style="font-family: inherit;">New York Times</i><span style="font-family: inherit;">. Lister scrisse che nessuno con cui aveva parlato sosteneva di conoscere bene Tate, ma nessuno disse di non aver sentito parlare di lui. Affermò di aver annusato qualcosa di sospetto dal momento che sembrava essere l'unica persona nella stanza che non aveva mai sentito parlare di Tate. I suoi sospetti furono confermati quando scoprì che nessuna delle gallerie menzionate nel libro esisteva realmente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In realtà, sembra che pochi si siano fatti ingannare e la maggior parte dei grandi nomi del mondo dell'arte (tra cui artisti, collezionisti, storici dell'arte, mercanti d'arte, scrittori e editori di riviste letterarie) presto si resero conto che Nat Tate era un’invenzione e che erano stati vittime di una elaborata burla. Sembra che alcuni dei quadri presenti nel libro fossero stati dipinti da Boyd stesso e la burla era resa più credibile dalla presentazione di Gore Vidal scritta sulla quarta di copertina. Inoltre, le fotografie di Nat Tate che compaiono nella "biografia" sono di persone sconosciute della collezione fotografica di Boyd. Il libro è stato pubblicato anche in Italia da Neri Pozza nel 2020 con la traduzione di Laura Prandino.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgc1brffj39ATASwmME9MRBxwLW9G04mqYFS8d-QZ53bfRdj1xeYQYz53-mfKVo8fnhfIkIsreLJlvXfInCkhOPwZlvtLY67b5OtRu98Z3Cl9je28Ka5zFK-VHbeT3OaSf7s6SE7_MLp7BOiUrrwPQ4-YfqK_0LNa1vnEWG2WQQo94rT0Q7U-0GyQhL/s1300/Nat-Tate-Bridge-No-11-dettaglio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="730" data-original-width="1300" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgc1brffj39ATASwmME9MRBxwLW9G04mqYFS8d-QZ53bfRdj1xeYQYz53-mfKVo8fnhfIkIsreLJlvXfInCkhOPwZlvtLY67b5OtRu98Z3Cl9je28Ka5zFK-VHbeT3OaSf7s6SE7_MLp7BOiUrrwPQ4-YfqK_0LNa1vnEWG2WQQo94rT0Q7U-0GyQhL/w640-h360/Nat-Tate-Bridge-No-11-dettaglio.jpg" width="640" /></a></div><br />La falsa biografia, una burla, diventò una vera bufala il 10 novembre 2011, quando venne battuto all’asta da </span><i style="font-family: inherit;">Sotheby’s</i><span style="font-family: inherit;">, con grande eco, un disegno dell’artista: </span><i style="font-family: inherit;">Bridge no. 114</i><span style="font-family: inherit;">. L'offerta vincente per il dipinto era di 7.250 sterline, ben al di sopra del prezzo previsto. L'acquirente in seguito si rivelò essere il personaggio televisivo inglese Anthony McPartlin. Il denaro fu donato all'Istituto di beneficenza generale degli artisti.</span></div></span></span><br />
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-45511564492842343712023-01-14T09:37:00.001+01:002023-01-14T17:48:49.906+01:00Carnevale della Matematica n. 165<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKTSCOJ_mHvoud_W7MsSBZhtYGov9q0zdGnlgwIGeWFHivouzYWXfFqsZraFw5MmJcLYsYb6zW4I_GFg_MtMeWvPfMNJKUi1X6QF5rUxNxgtk7L-YcsthnfOqM5xQAvV7N2VLQerIr5oRledUD-vellczrusj8v0a3weB2B4PfKU-YIp3kN1dnfA0G/s420/carnevale-della-matematica-36-L-srVXn7.jpeg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="420" height="488" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKTSCOJ_mHvoud_W7MsSBZhtYGov9q0zdGnlgwIGeWFHivouzYWXfFqsZraFw5MmJcLYsYb6zW4I_GFg_MtMeWvPfMNJKUi1X6QF5rUxNxgtk7L-YcsthnfOqM5xQAvV7N2VLQerIr5oRledUD-vellczrusj8v0a3weB2B4PfKU-YIp3kN1dnfA0G/w640-h488/carnevale-della-matematica-36-L-srVXn7.jpeg" width="640" /></a></div><br /><br /><div><span style="font-size: medium;">Benvenuti al Carnevale della Matematica numero 165, il primo del 2023, che ritorna dopo una piccola pausa dicembrina dovuta a motivi che posso così riassumere:</span><div><br /><div style="text-align: center;">
<iframe allow="accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture; web-share" allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/pYfY7VOqiIY" title="YouTube video player" width="560"></iframe> <br /><br /><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: #990000; font-size: medium;">Dioniso</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il 165 si fattorizza come 3 x 5 x 11, che dà, nella poesia gaussiana, il verso <i>“il merlo tra i cespugli all’alba”</i>. <b>Flavio Ubaldini</b>, in arte Dioniso, ha provveduto, com’è ormai tradizione, a inviare la <a href="https://www.noteflight.com/embed/31d2b8387f3eac9406246ccbfc10f388464bfefe?scale=1&displayMode=paginated" target="_blank"><b>cellula melodica</b></a>, che mi sembra ancor più bella del solito.</span></div></div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Di Flavio, matematico, musicista e scrittore con interessi filosofici, ricordo che è uscito per <i>Scienza Express</i> un romanzo-saggio su Zenone di Elea assolutamente da leggere, con un finale a sorpresa: <b><i>Il mistero della discesa infinita</i></b>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">I divisori di 165 sono 1, 3, 5, 11, 15, 33, 55, 165. Si tratta di un numero <i>difettivo</i>, perché la somma dei divisori propri (123) è più piccola del numero stesso. Si tratta anche di un numero <i>tetraedrico</i>. In base 2 è 10100101, perciò è palindromo. Siccome esiste un triangolo rettangolo con lati razionali di area 165, è un numero <i>congruente</i>. Fa anche parte di molte terne pitagoriche, in una delle quali rappresenta l’ipotenusa (99, 132, 165).</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Fuori dalla matematica, 165 è la massa atomica (arrotondata) dell’unico isotopo dell’elemento lantanide Olmio (</span><sup><span style="font-size: x-small;">165</span></sup><span style="font-size: medium;">Ho), una terra rara molto magnetica, e il numero degli scudetti finora vinti dalla Juventus secondo la sua (ex) dirigenza.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il tema scelto per questo Carnevale, <i>discontinuità</i>, è un riferimento scherzoso al fatto che esso riprende dopo la pausa di dicembre, ma non sfugge al vostro curatore che non è la prima volta che capita e, soprattutto, che, in una serie di numeri naturali, la discontinuità è la regola, non un’eccezione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: #990000; font-size: medium;">Annalisa Santi</span></b></div></b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">L’indefettibile <b>Annalisa Santi</b> mi risparmia l’introduzione sull’argomento, con il suo articolo su <i>Matetango </i><a href="http://annalisasanti.blogspot.com/2022/12/discontinuita-un-mondo-da-scoprire.html" target="_blank"><b>Discontinuità, un mondo da scoprire</b></a>, che inizia con una carrellata di discontinuità legate a vari aspetti o problematiche sia di vita che scientifiche e si conclude con le discontinuità delle funzioni in analisi matematica, viste attraverso il percorso storico che ha portato alla loro determinazione. Aggiungo solo, per gli appassionati di filosofia, che la discontinuità «intesa come cambiamento continuo, come continuità in movimento» è uno dei capisaldi dell’analisi storica e culturale di Michel Foucault.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: #990000; font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWxcC4jqFiiZ9HqPxKWl79cEL9VAtyctF3nZ-aYPKQizR9nEebLJ8z3V_-ikbmLvrGDRlo9bZfz22X8IXEsnHHRg4rn8Ly62qv9_hA8pkeKFsUQnnMxMPYoUkZhNcnvz_NPdrMf1CelZwUdV0lH2zHPQ4lQH6WAipR-WCl6GhJBH0aIMlUwp8Rlxve/s903/georges_seurat_004.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="715" data-original-width="903" height="506" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiWxcC4jqFiiZ9HqPxKWl79cEL9VAtyctF3nZ-aYPKQizR9nEebLJ8z3V_-ikbmLvrGDRlo9bZfz22X8IXEsnHHRg4rn8Ly62qv9_hA8pkeKFsUQnnMxMPYoUkZhNcnvz_NPdrMf1CelZwUdV0lH2zHPQ4lQH6WAipR-WCl6GhJBH0aIMlUwp8Rlxve/w640-h506/georges_seurat_004.jpg" width="640" /></a></div><br />Leonardo Petrillo</span></b></div></b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Su <i>Scienza e Musica</i>, Leonardo si occupa della figura di uno straordinario matematico, fisico e linguista tedesco, <a href="https://scienzaemusica.blogspot.com/2023/01/grassmann-e-le-sue-variabili.html" target="_blank"><b>Hermann Günther Grassmann</b></a>, dalla biografia molto interessante e sorprendente, dato che egli non ricevette mai un'educazione universitaria in ambito matematico, ma ideò nozioni a dir poco essenziali per la matematica moderna. La seconda parte del post è focalizzata sul fondamentale concetto di variabile (o numero) di Grassmann, utilissimo in teoria quantistica dei campi per la definizione degli integrali funzionali per i fermioni, ma pure strettamente legato all'affascinante concetto di supersimmetria.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b><span style="color: #990000;">Rudi Matematici</span></b><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Piotr R. Silverbrahms</b> invia i contributi dei <i>Rudi Matematici</i>, partendo da quelli che avrebbero dovuto comparire in dicembre. I post del mese perduto sono solo tre: <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/11/22/quick-dirty-re-e-cavallo/ " target="_blank"><b>Re e Cavallo</b></a> che è un indovinellino, <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/11/30/il-problema-di-novembre-651-vibrisse-per-borges/" target="_blank"><b>Vibrisse per Borges</b></a>, che è la solita soluzione al quiz di <i>“Le Scienze”</i>, e infine il <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/12/08/8-dicembre-1865-buon-compleanno-jacques/" target="_blank"><b>compleanno di Jacques Hadamard</b></a>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br />
Relativamente ai post ufficiali del periodo canonico, troviamo:<br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/12/15/il-capitolo-inesistente/"><b>Il capitolo inesistente</b></a>, che è un <i>Paraphernalia Mathematica</i>, insomma uno degli articoli di divulgazione matematica che scrive il nume tutelare di RM. Il titolo misterioso fa riferimento a un capitolo mancante dal loro primo libro, <i>“Rudi Simmetrie”</i>, capitolo che avrebbe potuto parlare di quanto si narra nel post stesso. Invece, <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/12/22/le-rane-galanti/" target="_blank"><b>Le Rane Galanti</b></a> è un post che rientra nella tipologia dei “vecchi classici della matematica ricreativa”. Insomma, si tratta di problema “rubato” a Dudeney. <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/12/30/il-problema-di-dicembre-652-cinque-passi-avanti/" target="_blank"><b>Cinque passi avanti</b></a> è il post ufficiale di soluzione all’omonimo quiz pubblicato su “Le Scienze” nel mese di dicembre. A dirla tutta, anche questo problema – vergognosamente difficile – è stato “rubato”: a Conway, in questo caso.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2023/01/07/quasi-tutto-quello-che-avreste-voluto-sapere-sugli-esaflexagoni-ma-non-avete-mai-osato-chiedere-a-martin/" target="_blank"><b>Esaflexagoni </b></a>è il titolo breve di un post dal titolo lunghissimo (rubato anche il titolo: forse a Woody Allen, ma probabilmente ancor prima a qualche editore lungimirante) che torna parlare di quei misteriosi oggetti di carta - gli esaflexagoni appunto - che hanno l’immortale merito di essere stati i protagonisti del primissimo articolo di matematica di Martin Gardner. Il post relativo al <a href="http://rudimatematici-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2023/01/10/calendario-rudi-mathematici-2023/" target="_blank"><b><i>Calendario 2023</i> di RM</b></a> è fresco fresco, visto che il Calendario 2023 di Rudi Mathematici è stato rilasciato solo il 10 gennaio. La sola idea che qualcuno non sappia cosa sia il “Calendario di Rudi Mathematici” li offenderebbe a morte, quindi non parleremo oltre.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><span style="font-size: medium;"><b><span style="color: #990000;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0Z0eGs4EY87sYkDQIhenV416lqU5Ay9B3pxbwuk-mzFLCVi72PpSjgXaSMoJcHZB3jbVBDUE7UViFxZBJ03cFQcFBpU6lr0ow4XZJLUvAXSfxZRJGJhP3Z3hUdUU2fyiTykcSDguyZjxr1KFE8_B8FHw0TXITmE4PHeTWm3rAOIUoGx2KQeS7eaBg/s895/georges_seurat_014.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="699" data-original-width="895" height="500" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0Z0eGs4EY87sYkDQIhenV416lqU5Ay9B3pxbwuk-mzFLCVi72PpSjgXaSMoJcHZB3jbVBDUE7UViFxZBJ03cFQcFBpU6lr0ow4XZJLUvAXSfxZRJGJhP3Z3hUdUU2fyiTykcSDguyZjxr1KFE8_B8FHw0TXITmE4PHeTWm3rAOIUoGx2KQeS7eaBg/w640-h500/georges_seurat_014.jpg" width="640" /></a></div><br />Roberto Zanasi</span></b><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il contributo di <b>Roberto Zanasi</b> è dantesco, e parte dall’episodio di Pier delle Vigne (<a href="https://proooof.blogspot.com/2023/01/inferno-canto-xiii.html" target="_blank"><b>Inferno, canto XIII</b></a>) per parlare di figure retoriche, crittografia asimmetrica (protocollo Diffie-Hellman) e funzioni quasi periodiche. Un solo articolo, ma pieno di cose interessanti.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b><span style="color: #990000;">Maurizio Codogno (.mau.)</span></b><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Maurizio Codogno</b>, ideatore del Carnevale, è come al solito prolifico. Sui suoi “<i>archivi</i>,” c'è <a href="https://xmau.com/wp/archivi/2022/12/12/matematica-enjoy-e-i-029-cent-minuto/" target="_blank"><b>Enjoy e i 0,29 cent/minuto</b></a>, dove si vede come Enjoy, che affitta autovetture, ha dei problemi con i numeri decimali, probabilmente per una accurata scelta di marketing (e conoscenza dei suoi polli).</span></div><span style="font-size: medium;"><br />
</span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Per <i>Notiziole</i>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/02/unaltra-mnemonica-per-pi-greco/" target="_blank"><b>Un'altra mnemonica per pi greco</b></a>, contiene una frase che non conoscevo per ricordare le prime cifre decimali di pi greco; <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/12/studiare-wordle-matematicamente/" target="_blank"><b>Studiare Wordle matematicamente</b></a>, si occupa di alcune statistiche su Wordle e su come si può migliorare la casualità delle parole; Invece, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/23/primel/" target="_blank"><b>Primel</b></a> è una variante di Wordle dove si cerca di trovare un numero primo.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Per la rubrica “Povera matematica”, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/11/29/lo-scontrino-medio-non-ci-dice-nulla/" target="_blank"><b>Lo "scontrino medio" non ci dice nulla</b></a> spiega per l'ennesima volta che media e mediana sono due numeri diversi che misurano cose diverse e si usano per cose diverse. In <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2023/01/11/riduzioni-in-negativo/" target="_blank"><b>Riduzioni in negativo</b></a>, scoprirete che andando più piano ci si mette meno tempo.</span></div><div><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Infine, i quizzini (di due mesi, quindi tanti...). <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/11/20/quizzino-della-domenica-passeggiata/" target="_blank"><b>Passeggiata</b></a>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/11/27/quizzino-della-domenica-piastrellatura/" target="_blank"><b>Piastrellatura</b></a>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/04/quizzino-della-domenica-simmetrie/ " target="_blank"><b>Simmetrie</b></a>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/11/quizzino-della-domenica-quadrati-nascosti/"><b>Quadrati nascosti</b></a>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/18/quizzino-della-domenica-che-numerone/ " target="_blank"><b>Che numerone!</b></a>, <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2022/12/25/quizzino-della-domenica-tutte-le-cifre/" target="_blank"><b>Tutte le cifre</b></a>,<a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2023/01/01/quizzino-della-domenica-una-lettrice-disattenta/" target="_blank"><b> Una lettrice disattenta</b></a>, e <a href="https://xmau.com/wp/notiziole/2023/01/08/quizzino-della-domenica-quadrato-a-pezzi/ ." target="_blank"><b>Quadrato a pezzi</b></a>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><b><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: #990000; font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyUMGBsOYnmFX0uEn4fpIlfp5Lbr-L-3b_KkkfwcnSxeEapn4Nq4VVt9-7jQXv4AUZ3D0jPCc4LvVeZ_aH1xrop8zQWK3QFlLq5_lGpY0myMQxKLr7OfyQX8vNIZMrwOnOi3DLI898Mt4nI1iQma6pD9IXVdcvAKVIlFxS3d068cyMM9zPxer6X0sz/s943/georges_seurat_018_senna_a_la_grande_jatte_1884.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="715" data-original-width="943" height="486" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyUMGBsOYnmFX0uEn4fpIlfp5Lbr-L-3b_KkkfwcnSxeEapn4Nq4VVt9-7jQXv4AUZ3D0jPCc4LvVeZ_aH1xrop8zQWK3QFlLq5_lGpY0myMQxKLr7OfyQX8vNIZMrwOnOi3DLI898Mt4nI1iQma6pD9IXVdcvAKVIlFxS3d068cyMM9zPxer6X0sz/w640-h486/georges_seurat_018_senna_a_la_grande_jatte_1884.jpg" width="640" /></a></div><br />MaddMaths!</span></b></div></b><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b>Roberto Natalini</b> invia i contributi di <b>MaddMaths!</b>. Il primo è <a href="https://maddmaths.simai.eu/didattica/insegnamento-della-matematica/" target="_blank"><b>Cambiare l’insegnamento della matematica? L’importanza di rifletterci, ascoltando il mondo della scuola e della ricerca</b></a>. Ispirato dalle recenti, improvvide uscite ministeriali, ma frutto di una riflessione in corso da tempo, <b>Pietro Di Martino</b> e Roberto Natalini propongono alcune riflessioni su temi che stanno avendo un meritato riscontro mediatico. È necessario cambiare l’insegnamento della matematica a scuola? E in caso, come è possibile farlo in modo efficace per gli studenti e la società?</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><i>Spirali e tartarughe</i> è una nuova mini-serie, fatta di video e articoli, di <b>Alessandro Zaccagnini</b>, matematico, esperto di teoria dei numeri, autore del <b>Dialogo sui numeri primi</b>. Questa volta si fa accompagnare da una tartaruga per raccontarci cosa sono le somme esponenziali e perché sono tanto utili nella sua disciplina. Per ora sono disponibili <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/spirali-e-tartarughe-presentazione/" target="_blank"><b>la puntata di presentazione </b></a>e la <b><a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/spirali-e-tartarughe-1/" target="_blank">prima puntata</a></b>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Dopo un anno che globalmente non si farà rimpiangere, gli amici di <i>MaddMaths! </i>hanno voluto fare un bilancio della loro attività, anche per rincuorarsi un po’: <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/top-10-2022/" target="_blank"><b>Come è andato MaddMaths! nel 2022?</b></a> Scrive Roberto: <i>“Abbiamo seguito eventi importanti e parlato molto di didattica, un argomento che sicuramente ci vedrà impegnati anche nel 2023. Questo articolo serve proprio come riepilogo di un anno di divulgazione.
C'è anche un perfetto momento "meta", dove osserviamo i numeri generati dal nostro sito dedicato alla matematica”.</i></span></div><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-size: medium;"><br /></span></i></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Perfettamente in tema con la discontinuità è l’articolo I<a href="https://maddmaths.simai.eu/ricerca/buchi-neri-giorgi/" target="_blank"><b> buchi neri rotanti sono stabili? Intervista con Elena Giorgi</b></a>. <b>Elena Giorgi</b> è da un anno <i>Assistant Professor</i> alla <i>Columbia University</i>. Negli ultimi mesi ha pubblicato un preprint, insieme a Sergiu Klainerman e Jérémie Szeftel, in cui viene presentata la prima dimostrazione completa della stabilità non lineare dei buchi neri di Kerr che ruotano lentamente. Roberto Natalini l’ha intervistata per saperne di più.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il 2022 è stato un anno speciale per <b>Barbara Fantechi</b>, docente di prima fascia di geometria presso la SISSA di Trieste e facente parte da anni del comitato editoriale di <i>MaddMaths!</i>: a luglio è stata conferenziera invitata al convegno IMU 2022, a novembre la nomina ufficiale a socia corrispondente dell’Accademia dei Lincei. Roberto Natalini le ha fatto qualche domanda: <a href="https://maddmaths.simai.eu/persone/fantechi-2022/" target="_blank"><b>Per Barbara Fantechi un 2022 pieno di soddisfazioni</b></a>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Per “<i>La lente matematica”</i>,<b> Marco Menale</b> ha scritto due articoli. Il primo è <b><a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/rubriche/la-lente-matematica/legge-di-zipf/" target="_blank">Il caso della legge di Zipf</a></b>: i modelli della matematica coinvolgono diverse discipline, dalla fisica alla medicina, dall'economia alla sociologia. La loro efficacia sorprende. In questo caso uno studio sulla frequenza delle parole nelle varie lingue ha trovato applicazioni in altri campi. Un’altra prova dell’irragionevole efficacia della matematica.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">
Il secondo articolo è <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/rubriche/la-lente-matematica/topi-delle-svalbard-yoccoz-birkeland/" target="_blank"><b>Topi delle Svalbard e il modello di Yoccoz-Birkeland</b></a>: La dinamica di evoluzione di una popolazione può essere talvolta complessa. Così come la matematica da utilizzare. È il caso dei topi delle Svalbard, che vivono in un ambiente freddo e ostile e possono riprodursi solo d’estate, rendendo fondamentale il calcolo (integrale) della variazione del numero delle femmine.</span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"> </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Sempre Marco Menale, per le <i>“Letture matematiche”</i> recensisce e consiglia <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/letture-matematiche/letture-matematiche-caos-malvaldi-e-marmi/" target="_blank"><b>Caos, Marco Malvaldi e Stefano Marmi</b></a>. Si tratta di un libro rivolto a un pubblico eterogeneo. Da un lato è un’interessante lettura per i più esperti. Non mancano formule, equazioni e spunti di calcolo. Dall’altro è un’introduzione al caos per semplici curiosi, che possono anche procedere nella lettura evitando i dettagli matematici più tecnici.</span></div></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Ancora per le <i>“Letture matematiche”</i>, <b>Alberto Saracco</b> ci parla (con uno scritto e un video) di <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/letture-matematiche/la-matematica-della-democrazia-george-szpiro-recensione/" target="_blank"><b>La matematica della democrazia di George Szpiro</b></a>, dall’esplicativo sottotitolo “voti, seggi e Parlamenti da Platone ai giorni nostri”. Si tratta di un racconto storico dell’evoluzione della matematica della democrazia, dalla scoperta dei primi problemi e paradossi ai giorni nostri.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">L’ultimo contributo di MaddMaths è il resoconto, curato da <b>Alice Raffaele</b>, del nuovo incontro del ciclo di seminari “ROAR IN AZIONE!”, su come la ricerca operativa possa essere applicata in contesti più svariati, da un punto di vista aziendale: <a href="https://maddmaths.simai.eu/divulgazione/roar-in-azione-applicazioni-multisettoriali-ricerca-operativa/" target="_blank"><b>7) Applicazioni multisettoriali della ricerca operativa. </b></a>ROAR è un progetto di divulgazione e insegnamento della ricerca operativa rivolto alle scuole secondarie superiori. Consiste in tre unità didattiche per le rispettive classi del triennio, che approfondiscono la modellizzazione matematica, la programmazione lineare e lineare intera, la teoria dei grafi. Ma anche tanto altro inerente all’informatica e allo sviluppo di algoritmi, tra cui l’implementazione e risoluzione in Python di problemi di ottimizzazione attraverso librerie opensource.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><b><span style="color: #990000; font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC62O8Ps5D11wyLv48N_pvu1N0U15nTgkb8X1JjkhjQ7ta98Ao1DuaTVmHCJjaq_P8XADUoi7hNo4_2aMvoG245cFtx0_AtM1J0oalD4Z8SWPO5A2o0Pu8FbRp7AipmGAW5Wx2VYuFwSc-epUij5s-Ldk3qkmu-i6VHVtzoQbbqtli9T5PSXK5yAaU/s943/paul_signac_001_sala_da_pranzo_1887.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="701" data-original-width="943" height="476" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC62O8Ps5D11wyLv48N_pvu1N0U15nTgkb8X1JjkhjQ7ta98Ao1DuaTVmHCJjaq_P8XADUoi7hNo4_2aMvoG245cFtx0_AtM1J0oalD4Z8SWPO5A2o0Pu8FbRp7AipmGAW5Wx2VYuFwSc-epUij5s-Ldk3qkmu-i6VHVtzoQbbqtli9T5PSXK5yAaU/w640-h476/paul_signac_001_sala_da_pranzo_1887.jpg" width="640" /></a></div><br />Gianluigi Filippelli</span></b></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;">Gianluigi Filippelli</b> invia quattro contributi (due più due). Nella serie dei "Rompicapi di Alice" su <i>Dropsea </i>ecco <a href="https://dropseaofulaula.blogspot.com/2022/11/rompicapi-di-alice-cubo-di-rubik.html " target="_blank"><b>Il cubo di Rubik</b></a>, articolo su uno dei rompicapi più famosi, cui si abbina un video della serie <i>Disney Comics&Science</i> che può essere visto sul <i>Caffé del Cappellaio Matto</i> con titolo analogo: <a href="https://www.lospaziobianco.it/alcaffedelcappellaiomatto/topolino-1800-il-cubo-di-rubik/" target="_blank"><b>Topolino #1800: Il Cubo di Rubik</b></a>.
Sempre dal <i>Caffé del Cappellaio Matto</i> e sempre nella serie <i>Disney Comics&Science</i> altri due post con video questa volta entrambi dedicati agli scacchi: <a href="https://www.lospaziobianco.it/alcaffedelcappellaiomatto/topolino-3490-scacco-matto-a-topolinia/" target="_blank"><b>Scacco matto a Topolinia</b></a> e <a href="https://www.lospaziobianco.it/alcaffedelcappellaiomatto/il-manuale-degli-scacchi-di-topolino/" target="_blank"><b>Il manuale degli scacchi di Topolino</b></a>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b><span style="color: #990000;">Math is in the Air</span></b><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Anche per <b>Math is in the Air</b> è tempo di bilanci. <b>Davide Passaro</b> invia un articolo in cui se ne annidano molti: <a href="https://www.mathisintheair.org/wp/2022/12/un-anno-di-divulgazione-matematica-a-cura-di-math-is-in-the-air-2/" target="_blank"><b>Un anno di divulgazione matematica a cura di “Math is in the Air”</b></a>. In forma di classifica, il post ripercorre e ripropone gli articoli più letti e apprezzati sul web e sui social in un anno di divulgazione della matematica, classifica composta da quattro categorie: <i>Contributi esterni</i>, <i>Contributi degli autori del blog</i>, <i>Articoli con più interazioni sui social</i> e <i>Top recensioni di “Math is in the Air”</i>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /><b><span style="color: #990000;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidfGrDYLGD1oULPQLy_oz7ZLMjK_oSOToRY9qAt59rbFqUa-rVBx_O3NCTyHfVYPR76m6vYdctOT2ftnQ1xNliqpBDIsuty-XjWgfOdkgqwgLS56vO6ABWNHbcgDwiYwDTmC0jgErz4lr-hEAy7c7cM8jfer4qOlv5PqI8rLruFDXTmnF7dQU7XS_H/s887/paul_signac_015_The_Town_Beach_Collioure_1887.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="711" data-original-width="887" height="514" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidfGrDYLGD1oULPQLy_oz7ZLMjK_oSOToRY9qAt59rbFqUa-rVBx_O3NCTyHfVYPR76m6vYdctOT2ftnQ1xNliqpBDIsuty-XjWgfOdkgqwgLS56vO6ABWNHbcgDwiYwDTmC0jgErz4lr-hEAy7c7cM8jfer4qOlv5PqI8rLruFDXTmnF7dQU7XS_H/w640-h514/paul_signac_015_The_Town_Beach_Collioure_1887.jpg" width="640" /></a></div><br />Marco Fulvio Barozzi</span></b><br /><br />Dopo tutto ciò che mi precede, verrebbe da dire che “non sono degno di partecipare a questa mensa”, ma mi affido ai numi tutelari della matematica perché mi aiutino. <br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Il racconto breve Perel’man’s Song (<a href="https://keespopinga.blogspot.com/2022/12/la-canzone-di-perelman.html?spref=fb&fbclid=IwAR2DK-olKlubB0zmzAO5gsU5zcx7Ke2BPDpmjQ7K5xXHsAl6jxtfYC-Robw" target="_blank"><b>La canzone di Perel’man</b></a>) della poetessa, scrittrice, accademica e editrice sino-americana Tina S. Chang (1969) è apparso nel numero di febbraio 2008 della rivista <i>Math Horizons</i>. Utilizza una conversazione tra divinità che manipolano universi per informare poeticamente il lettore sulla Congettura di Poincaré. Questo è un esempio dell'uso della finzione matematica per dire, attraverso la metafora, ciò che altrimenti potrebbe essere troppo astratto per essere facilmente trasmesso ai non esperti. Un bell’esperimento, anche se, come è ovvio, la qualità letteraria non è un gran che.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Forse la conseguenza più eclatante della descrizione della gravità da parte di Einstein in termini di geometria curva dello spaziotempo, nel quadro della sua teoria generale della relatività, è la possibilità che lo spazio e il tempo possano presentare "buchi" o "bordi", cioè delle singolarità. Una singolarità dello spaziotempo è una sua rottura, nella geometria o in qualche altra struttura fisica di base. Purtroppo, non è così facile dare un significato preciso a ciò che questo significa. Nella relatività generale, infatti, è lo spaziotempo stesso che può comportarsi in modo patologico, e può farlo in molti modi. Perciò abbiamo bisogno di comprendere la natura delle singolarità se vogliamo cogliere quella dello spazio e del tempo nell'universo reale. Di questo mi occupo in <a href="https://keespopinga.blogspot.com/2022/12/singolarita-e-cammini-nello-spaziotempo.html?spref=fb&fbclid=IwAR3BnOskUMVDTQTo6eL_USAsGRQjz8DNZieRUEioWty-9dZIoUlLieclTJ0" target="_blank"><b>Singolarità e cammini nello spaziotempo</b></a>.</span></div><span style="font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Le immagini che corredano questa edizione sono in tema con la <i>Discontinuità</i>: si tratta di quadri di Georges-Pierre Seurat e Paul Signac, i maggiori esponenti del <i>pointillisme</i>, o puntinismo, che accostavano un’infinità di punti di colori puri o complementari al fine di dare maggiore luminosità e far compiere all’occhio il processo di fusione e mescolanza dei colori. Questa corrente, nata dalle ricerche più avanzate all’epoca sulla scienza della visione, si sviluppò in Francia attorno agli anni Ottanta dell’Ottocento, Il puntinismo rifiuta la mescolanza dei toni e la sostituisce con l’accostamento di punti di colori primari e i loro complementari, in grado di dare un contrasto simultaneo. Il processo di fusione e miscelazione è compiuto dall’occhio dello spettatore che, in questo modo, è chiamato a interagire con l’opera: dalla giustapposizione dei colori, la retina desume automaticamente le tinte intermedie e i colori secondari.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZH1erD-_ThVMubzp3cN7ZSnLf-lP-Z6IlCegTwg-GtWL2fboEXgH6veLLqErc8gB5tAsuuc17CvJhqPpS7dt_XCcdDgwrqbpOi5s9mU4LquGbirJf3O_A5Ar1VAIe3hS-jf4NjppN6W4bznT7ZTJEhEMhzH-vUFDJoYUlx37vnJ0u2g0z1pPj8hGQ/s919/paul_signac_017_Notre_Dame_de_la_Garde_Marseilles_1905.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="709" data-original-width="919" height="494" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZH1erD-_ThVMubzp3cN7ZSnLf-lP-Z6IlCegTwg-GtWL2fboEXgH6veLLqErc8gB5tAsuuc17CvJhqPpS7dt_XCcdDgwrqbpOi5s9mU4LquGbirJf3O_A5Ar1VAIe3hS-jf4NjppN6W4bznT7ZTJEhEMhzH-vUFDJoYUlx37vnJ0u2g0z1pPj8hGQ/w640-h494/paul_signac_017_Notre_Dame_de_la_Garde_Marseilles_1905.jpg" width="640" /></a></div><br />Il Carnevale 165 si conclude qui. <i>"Ci falt la geste que Popinga declinet."</i> Vi segnalo che <i>saranno i Rudi Matematici a ospitare sul blog di Le Scienze il Carnevale 166 </i>di febbraio.</span></div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-66581891500620002482022-12-30T22:04:00.003+01:002022-12-30T22:08:07.523+01:00Singolarità e cammini nello spaziotempo<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHOJ2t481d8-1MVU25b1Ml3x4Q8OeJ3sK5_KzP2gvAQtUnRMzBtdzl-0GTp09-rbhUljzUZup9j_bx3FXwstTn6a11yw709-HHqyfr88JF0zjAuU0CVyFwzn1IBsuZkkzZ0yiYupNY_HjzuoG-R85eGCdEwl1d6juZuQZrdU9fFv1RHLdErYoCfnwa/s1600/loop_quantum_gravity_by_eresaw_ddb908b-fullview.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1482" data-original-width="1600" height="592" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHOJ2t481d8-1MVU25b1Ml3x4Q8OeJ3sK5_KzP2gvAQtUnRMzBtdzl-0GTp09-rbhUljzUZup9j_bx3FXwstTn6a11yw709-HHqyfr88JF0zjAuU0CVyFwzn1IBsuZkkzZ0yiYupNY_HjzuoG-R85eGCdEwl1d6juZuQZrdU9fFv1RHLdErYoCfnwa/w640-h592/loop_quantum_gravity_by_eresaw_ddb908b-fullview.jpg" width="640" /></a></div><br />Forse la conseguenza più eclatante della descrizione della gravità da parte di Einstein in termini di geometria curva dello spaziotempo, nel quadro della sua teoria generale della relatività, è la possibilità che lo spazio e il tempo possano presentare "buchi" o "bordi", cioè delle </span><i style="font-family: inherit;">singolarità</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Una singolarità dello spaziotempo è una sua rottura, nella geometria o in qualche altra struttura fisica di base. Purtroppo, non è così facile dare un significato preciso a ciò che questo significa. In altre teorie fisiche, le singolarità sono definite come una sorta di "comportamento patologico" che si verifica in un quadro ordinato fornito dallo spazio e dal tempo. Ad esempio, un modello che descrive un fluido potrebbe prevedere che, in determinate condizioni, la pressione diventa infinitamente grande da qualche parte in un determinato momento, chiaramente in contrasto con la realtà. Ma nella relatività generale, lo spaziotempo stesso può comportarsi in modo patologico, e può farlo in molti modi.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando è la geometria fondamentale a rompersi, le singolarità dello spaziotempo sono spesso viste come una fine, o un "bordo", dello spaziotempo stesso. Tuttavia, sorgono numerose difficoltà quando si cerca di precisare questo concetto. La relatività generale non solo ammette le singolarità (<i>big-bang, buchi neri</i>, ecc.), ma ci dice che sono inevitabili in alcune circostanze. Perciò abbiamo bisogno di comprendere la natura delle singolarità se vogliamo cogliere quella dello spazio e del tempo nell'universo reale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">I </span><i style="font-family: inherit;">buchi neri</i><span style="font-family: inherit;">, ad esempio, sono regioni dello spaziotempo da cui nulla, nemmeno la luce, può sfuggire e la gravità tende a infinito. Questa previsione della relatività generale ci dice che essa, mentre prevede l'esistenza dei buchi neri, non è sufficiente per descriverli. È necessaria una nuova fisica dei buchi neri. Naturalmente, la relatività generale è molto efficace nel descrivere molti altri aspetti dell'universo fisico. Ma, per il centro di un buco nero, che sperimenta un estremo di gravità, le equazioni della relatività generale non funzionano più. Che cosa accada oltre l’orizzonte degli eventi (se c’è), è una domanda senza senso, perché, dove non c’è spazio tempo, anche il verbo accadere è un paradosso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieV-EhxAStZYMPqiYbqHhqRMKIgeyefaxkfgfTDfe0byK3E13HChwvSlNED4D5vJiTMg7ZQoB0UQTUgnTjkO-La-K18mFleiPFmYQQ5m1gHACzJErNpE2qe8B4nKGrl-JTj--QVUXUaqn76uU6IIZKB7h7F0NdeYn72jTNPORG1hF7ylg9ItrTOfKT/s650/661b70d40b5db406016d185128ef1ebb.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="473" data-original-width="650" height="466" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieV-EhxAStZYMPqiYbqHhqRMKIgeyefaxkfgfTDfe0byK3E13HChwvSlNED4D5vJiTMg7ZQoB0UQTUgnTjkO-La-K18mFleiPFmYQQ5m1gHACzJErNpE2qe8B4nKGrl-JTj--QVUXUaqn76uU6IIZKB7h7F0NdeYn72jTNPORG1hF7ylg9ItrTOfKT/w640-h466/661b70d40b5db406016d185128ef1ebb.jpg" width="640" /></a></div><br />Un altro modo per descrivere la singolarità di un buco nero è che è il punto in cui materia, energia, spazio e tempo scompaiono dal nostro universo. Notiamo che lo spazio e il tempo, essi stessi, scompaiono nella singolarità. Naturalmente, i fisici non sanno esattamente cosa significhi la scomparsa del tempo e dello spazio. Dove vanno? I buchi neri contengono genericamente una singolarità spaziotemporale al loro centro; quindi, non possiamo comprendere appieno un buco nero senza comprendere anche la natura delle singolarità, che può essere ancora più complicata se essi ruotano o emettono radiazioni (di Hawking) in obbedienza alle leggi della termodinamica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il secondo punto descritto come "singolarità" è il </span><i style="font-family: inherit;">Big Bang</i><span style="font-family: inherit;">. Questa singolarità, un punto più piccolo di un atomo, è considerata da molti scienziati come dotata di densità e massa infinite. Al momento del Big Bang, si espanse rapidamente, creando tutto lo spazio, il tempo, la materia e l'energia del nostro universo fisico. Come è successo? Gli scienziati non hanno equazioni che descrivono un punto più piccolo di un atomo che ha massa e densità infinite. Questo, come il centro di un buco nero, è una singolarità per la quale sono necessarie nuove leggi fisiche.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le singolarità segnalano in qualche modo una rottura della geometria dello spaziotempo stesso, ma ciò presenta un'ovvia difficoltà nel riferirsi a una singolarità come a una "cosa" che risiede in qualche posizione nello spaziotempo: senza una geometria, non può esserci posizione.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">I tentativi più comuni di definire le singolarità si concentrano su una delle due idee fondamentali. La prima è che uno spaziotempo ha una singolarità se contiene un </span><i style="font-family: inherit;">percorso incompleto</i><span style="font-family: inherit;">, che non può essere continuato all'infinito, senza possibilità di estensione. Il secondo è che uno spaziotempo è singolare solo nel caso in cui ci siano dei </span><i style="font-family: inherit;">punti "mancanti"</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un’altra idea comune, a cui si fa spesso riferimento nella discussione delle due nozioni primarie, è che la struttura singolare, sotto forma di punti mancanti o di percorsi incompleti, debba essere correlata a un comportamento patologico di qualche tipo nella curvatura dello spaziotempo, cioè una deformazione fondamentale dello spaziotempo che si manifesta come “campo gravitazionale”. Ad esempio, una certa misura dell'intensità della curvatura ("la forza del campo gravitazionale") può aumentare senza limiti mentre si attraversa il percorso incompleto.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sebbene esistano definizioni contrastanti delle singolarità dello spaziotempo, il criterio più ampiamente accettato si basa sulla possibilità che alcuni spaziotempi contengano percorsi incompleti e inestensibili. In effetti, le definizioni concorrenti (in termini di punti mancanti o patologia della curvatura) si basano sulla nozione di incompletezza del percorso.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un percorso nello spaziotempo è una catena continua di eventi attraverso lo spazio e il tempo. I percorsi utilizzati nei più importanti teoremi di singolarità rappresentano possibili traiettorie di particelle e osservatori. Tali percorsi sono noti come </span><i style="font-family: inherit;">linee di universo</i><span style="font-family: inherit;">; consistono nella sequenza continua di eventi istanziati dall'esistenza di un oggetto in ogni istante della sua vita. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTYSPN6IcjUUrccacdIp-49wE46iMcQwr-BlTWxm33gjlnVrNR47oQFF0SsLwEuwWs7FV77xiRPEiIc1AlqunBzFUBi-ni5Zyhpn9ZguE4rqOJUQa_6q599yex05S3V09CtK-ykTgqzHlgE05W790OLGzdC1WOuIoHRTMGr1QA9pQc-dX-oYI0vfUr/s787/The-Lightcone-in-a-2-1-dimensional-space-time-with-the-time-axis-x-0-and-space-axes-x.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="683" data-original-width="787" height="556" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTYSPN6IcjUUrccacdIp-49wE46iMcQwr-BlTWxm33gjlnVrNR47oQFF0SsLwEuwWs7FV77xiRPEiIc1AlqunBzFUBi-ni5Zyhpn9ZguE4rqOJUQa_6q599yex05S3V09CtK-ykTgqzHlgE05W790OLGzdC1WOuIoHRTMGr1QA9pQc-dX-oYI0vfUr/w640-h556/The-Lightcone-in-a-2-1-dimensional-space-time-with-the-time-axis-x-0-and-space-axes-x.png" width="640" /></a></div><br />Il fatto che i percorsi siano incompleti e inestensibili significa, in parole povere, che, dopo un periodo di tempo finito, una particella o un osservatore che segue quel percorso "scapperebbe dal mondo", per così dire, e precipiterebbe nello squarcio nel tessuto dello spaziotempo per poi svanire. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeQXbZziLWDLrwgHe19CkUKGF87OFefTIU_5kJoLNffWuDwhQ88cBB5tW2HL9mwDU4t1EpDylFDu1bcMN5tpTTcjNRkrleWoT2SfBQJJUTDJtbgciAM1-DTYFjv3Z_9OZ84drgK6cokEdg4pT4RaZGvXXs30CffVOWenR7ebEiPpRND3WU4ssmwcz5/s1187/IMG_5199.JPG.gif" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1187" data-original-width="1181" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjeQXbZziLWDLrwgHe19CkUKGF87OFefTIU_5kJoLNffWuDwhQ88cBB5tW2HL9mwDU4t1EpDylFDu1bcMN5tpTTcjNRkrleWoT2SfBQJJUTDJtbgciAM1-DTYFjv3Z_9OZ84drgK6cokEdg4pT4RaZGvXXs30CffVOWenR7ebEiPpRND3WU4ssmwcz5/w637-h640/IMG_5199.JPG.gif" width="637" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div>In alternativa, una particella o un osservatore potrebbe saltare fuori dallo strappo per seguire tale percorso. Anche se non c'è alcuna contraddizione logica o fisica in tutto ciò, sembra fisicamente sospetto che a un osservatore o a una particella venga permesso di entrare o uscire dall'esistenza proprio nel mezzo dello spaziotempo: se ciò non basta per concludere che lo spaziotempo è singolare, è difficile immaginare cos'altro sarebbe. Nello stesso momento in cui fu proposto per la prima volta questo criterio per le singolarità, il lavoro pionieristico che prevedeva l'esistenza di tali percorsi patologici (Penrose, Hawking, Geroch alla fine degli anni Sessanta) non ha prodotto consenso su ciò che dovrebbe essere considerato una condizione necessaria per la struttura singolare secondo questo criterio, e quindi nessun consenso su una definizione fissa.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In questo contesto, un percorso incompleto nello spaziotempo è sia inestensibile che di lunghezza propria finita, il che significa che qualsiasi particella o osservatore che attraversi il percorso </span>sperimentano<span style="font-family: inherit;"> solo un intervallo finito di esistenza che in linea di principio non può più continuare. Affinché questo criterio funzioni, tuttavia, dovremo limitare la classe di spaziotempo in discussione.</span></div></span><div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In particolare, bisogna considerare spazi-tempi che sono massimamente estesi (o semplicemente "massimali"). In effetti, questa condizione dice che la propria rappresentazione dello spaziotempo è “quanto più grande può essere”. Non c'è, dal punto di vista matematico, alcun modo per trattare lo spaziotempo come un vero e proprio sottoinsieme di uno spaziotempo più grande ed esteso. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6rLH30jvcmbTLqYUnISBS67x_LRDWEm86gIhwB0dFdKdK0Tt4m7Dp8MX2mNF9QXKdNC2QiZ9j94p4OwDGMDTFBZ0t3yejXaDHy02-o1QO--sHMwC0TdBr83xlyn4mYpiJgVT4kMH3ogQOR2EdvcjPfzh4y-HAaupN4vhwyh3srzRF3oSCYhv6gvdO/s1101/IMG_5200.JPG.gif" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1065" data-original-width="1101" height="620" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6rLH30jvcmbTLqYUnISBS67x_LRDWEm86gIhwB0dFdKdK0Tt4m7Dp8MX2mNF9QXKdNC2QiZ9j94p4OwDGMDTFBZ0t3yejXaDHy02-o1QO--sHMwC0TdBr83xlyn4mYpiJgVT4kMH3ogQOR2EdvcjPfzh4y-HAaupN4vhwyh3srzRF3oSCYhv6gvdO/w640-h620/IMG_5200.JPG.gif" width="640" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><br /></span></div></span></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Se c'è un percorso incompleto in uno spaziotempo, sostiene il pensiero alla base del requisito, allora forse il percorso è incompleto solo perché non si è reso il proprio modello di spaziotempo abbastanza grande. Se si dovesse estendere al massimo la molteplicità dello spaziotempo, allora forse il percorso precedentemente incompleto potrebbe essere esteso nelle nuove porzioni dello spaziotempo più ampio, indicando che nessuna patologia fisica è alla base dell'incompletezza del percorso. L'inadeguatezza risiederebbe semplicemente nel modello fisico incompleto che avevamo usato per rappresentare lo spaziotempo.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Si può facilmente avere un esempio di uno spaziotempo non esteso al massimo, insieme a un'idea del motivo per cui intuitivamente sembrano in un modo o nell'altro carenti. Per il momento, immaginiamo che lo spaziotempo sia solo bidimensionale e piatto, come un foglio di carta senza fine. Ora asportiamo da qualche parte su questo piano un insieme chiuso della forma che si desidera. Qualsiasi percorso che passa attraverso uno dei punti nell'insieme rimosso ora è incompleto.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In questo caso, l'estensione massima dello spaziotempo risultante è ovvia, e in effetti risolve il problema di tutti questi percorsi incompleti: incorporare l'insieme precedentemente asportato. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div></span><div><span style="font-size: medium;"><div class="separator" style="clear: both; font-family: inherit; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDqphELDrprx_tL8stS_eTB3psnA1ulSuxQlEbZFIXaMo7o55UqVfb9qWFnq3Tev7w6E3JMq3Sd29bSMwG9EqotxQ174L_zQ5NtnPtjmdWUGYPiFYKvVAnLnY_2MUKSvIwk3XmB2PbmAt_jaXOvIhLaNlf9jeQXKj3urcDPVF0T3BVk70unspltydO/s1169/IMG_5201.JPG.gif" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1169" data-original-width="993" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDqphELDrprx_tL8stS_eTB3psnA1ulSuxQlEbZFIXaMo7o55UqVfb9qWFnq3Tev7w6E3JMq3Sd29bSMwG9EqotxQ174L_zQ5NtnPtjmdWUGYPiFYKvVAnLnY_2MUKSvIwk3XmB2PbmAt_jaXOvIhLaNlf9jeQXKj3urcDPVF0T3BVk70unspltydO/w544-h640/IMG_5201.JPG.gif" width="544" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La natura apparentemente artificiale e artificiosa di tali esempi, insieme alla facilità di correggerli, sembra militare a favore della necessità che lo spaziotempo sia massimale. Inoltre, l'inestensibilità è talvolta discussa sulla base del fatto che non esiste alcun processo fisico noto che potrebbe far sì che lo spaziotempo si avvicini, per così dire, e non continui come avrebbe potuto, se avesse avuto un'estensione.</span></div></span></div></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Una volta stabilito che siamo interessati a spazio-tempo massimi, la questione successiva è quale tipo di incompletezza di percorso sia rilevante per le singolarità. Qui troviamo una buona dose di pareri discordi. I criteri di incompletezza in genere guardano a come cresce un parametro naturalmente associato al percorso (come la sua lunghezza corretta). Generalmente si pongono anche ulteriori restrizioni sui percorsi che si considerano: ad esempio, si possono escludere cammini che potrebbero essere percorsi solo da particelle che subiscono un'accelerazione illimitata in un periodo di tempo finito. Uno spaziotempo, quindi, si dice singolare se possiede un percorso tale che il parametro specificato associato a quel percorso non può aumentare senza limiti mentre si attraversa l'intero percorso massimamente esteso.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per un percorso che è ovunque simile al tempo, cioè che non comporta velocità pari o superiori a quella della luce, è naturale prendere come parametro il tempo proprio che una particella o un osservatore sperimenterebbe lungo il percorso, cioè il tempo misurato lungo il percorso da un orologio naturale, come quello basato sulla frequenza vibrazionale di un atomo. L'interpretazione fisica di questa sorta di incompletezza per i percorsi simili al tempo è più o meno semplice: un percorso simile al tempo, incompleto rispetto al tempo proprio nella direzione futura, rappresenterebbe la possibile traiettoria di un corpo massiccio che non invecchia mai oltre un certo punto della sua esistenza. (Un'affermazione analoga può essere fatta, <i>mutatis mutandis</i>, se il percorso fosse incompleto nella direzione passata.)</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Non possiamo, tuttavia, stabilire semplicemente che uno spaziotempo massimale è singolare solo nel caso in cui contenga percorsi di tempo proprio finito che non possono essere estesi. Un tale criterio implicherebbe che anche lo spaziotempo piatto descritto dalla relatività ristretta è singolare, il che è sicuramente inaccettabile. Ciò seguirebbe perché, anche nello spaziotempo piatto, ci sono percorsi simili al tempo con accelerazione illimitata che hanno solo un tempo proprio finito e sono anche inestensibili.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'opzione più ovvia è quella di definire uno spaziotempo come singolare se e solo se contiene </span><i style="font-family: inherit;">geodetiche </i><span style="font-family: inherit;">simili al tempo incomplete, inestensibili, cioè percorsi che rappresentano le possibili traiettorie di osservatori inerziali, quelli in caduta libera. Questo criterio, però, sembra troppo permissivo, in quanto conterebbe come non singolari alcuni spazi-tempi la cui geometria sembra altrimenti patologica. Ad esempio, Geroch (1968) descrive uno spaziotempo che è geodeticamente completo e tuttavia possiede un percorso temporale incompleto di accelerazione totale limitata, vale a dire un percorso inestensibile nello spaziotempo attraversabile da un razzo con una quantità finita di carburante, lungo il quale un l'osservatore potrebbe sperimentare solo una quantità finita di tempo proprio. Sicuramente l'intrepido astronauta in un tale razzo, che non sarebbe mai invecchiato oltre un certo punto, ma che non sarebbe mai necessariamente morto o avrebbe cessato di esistere, avrebbe avuto motivo di lamentarsi del fatto che c'era qualcosa di singolare in questo spaziotempo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Quando si decide se uno spaziotempo è singolare, quindi, vogliamo una definizione che non sia ristretta alle geodetiche. La soluzione più ampiamente accettata a questo problema utilizza una nozione di lunghezza leggermente diversa e tecnicamente complessa, nota come "</span><i style="font-family: inherit;">lunghezza affine generalizzata</i><span style="font-family: inherit;">" (che omette la nozione di misura della distanza e utilizza strumenti di calcolo quali il trasporto parallelo). A differenza del tempo proprio, questa lunghezza affine generalizzata dipende da alcune scelte arbitrarie. Se la lunghezza è infinita per una di queste scelte, tuttavia, sarà infinita per tutte le altre. Quindi la domanda se un percorso abbia una lunghezza affine generalizzata finita o infinita è una domanda ben definita, e questo è tutto ciò di cui avremo bisogno.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWytTAePzufO3odNYTv4TkbXA6wZGCinN1a96ptlpZEPDHoK9AOZr4Zg2t59BbQO_KJvtFNCUdEBsKU6Qiv1aib3R2wmNORArAR3Xo0RMN_TEobUaRyRP40Q4np757dW4dt1VKGwgn0B96OiwNytMKjCeCQJ1JDdtFOfc8rhQLFRxwdH9eEIxfUBzK/s1222/1200px-Parallel_transport_sphere.svg.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1222" data-original-width="1200" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWytTAePzufO3odNYTv4TkbXA6wZGCinN1a96ptlpZEPDHoK9AOZr4Zg2t59BbQO_KJvtFNCUdEBsKU6Qiv1aib3R2wmNORArAR3Xo0RMN_TEobUaRyRP40Q4np757dW4dt1VKGwgn0B96OiwNytMKjCeCQJ1JDdtFOfc8rhQLFRxwdH9eEIxfUBzK/w628-h640/1200px-Parallel_transport_sphere.svg.png" width="628" /></a></div><br />La definizione che ha ottenuto l'accettazione più diffusa, portando Earman (1995) a definirla la definizione semi ufficiale di singolarità, è la seguente:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">Uno spaziotempo è singolare se e solo se è massimale e contiene un cammino inestensibile di lunghezza affine generalizzata finita.</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dire che uno spaziotempo è singolare significa quindi dire che esiste almeno un percorso che ha una lunghezza limitata (affine generalizzata). Per dirla in altro modo, uno spaziotempo è non singolare quando è completo, nel senso che l'unica ragione per cui un dato percorso potrebbe non essere estendibile è che è già infinitamente lungo (in questo senso tecnico).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il problema principale che deve affrontare questa definizione di singolarità è che il significato fisico della lunghezza affine generalizzata è opaco, e quindi non è chiaro quale potrebbe essere la rilevanza fisica delle singolarità, definite in questo modo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Recentemente, il filosofo e logico della scienza americano J. B. Manchak (2021) ha proposto una condizione che lo spaziotempo può soddisfare, rilevante per la questione di ciò che caratterizza il comportamento singolare, che chiama "completezza effettiva":</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><i style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;">“Si consideri la raccolta U di varietà lorentziane lisce quadridimensionali (M, g). Di solito si identifica questa collezione di oggetti geometrici con i modelli della relatività generale. Ma, all'interno di U, si nascondono modelli di spaziotempo "fisicamente irragionevoli". Ad esempio, prendiamo qualsiasi (M, g) ∈ U e rimuoviamo un punto p ∈ M. La struttura risultante (M−{p}, g) ∈ U sembra essere “fisicamente irragionevole” nel senso che non è “grande come potrebbe essere”. Come si possono escludere tali esempi? Diciamo che un modello (M, g) ∈ U è inestensibile se non può essere propriamente e isometricamente incorporato in qualche altro modello (M’, g’) ∈ U. È stato suggerito di limitare il numero di modelli "fisicamente irragionevoli" nella relatività generale richiedendo che l'inestensibilità sia soddisfatta. (...) Facendo un passo indietro, il suggerimento generale sembra essere che, per una varietà P⊂U, si potrebbe modificare la relatività generale come segue: la nuova teoria deve essere la relatività generale, ma con la condizione aggiuntiva che solo [P] spazio-tempi sono consentiti”. Prendiamo seriamente questa idea in questo modo. Per ogni collezione "fisicamente ragionevole" di modelli P⊂U, abbiamo una variante della teoria della relatività generale – chiamiamola GR(P). Poiché dobbiamo ancora identificare una collezione privilegiata P⊂U di modelli "fisicamente ragionevoli", è utile pensare alla "relatività generale" in modo pluralistico; possiamo studiare una raccolta di tali raccolte di modelli "fisicamente ragionevoli".”</i></div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Sinceramente sembra che ci si voglia arrampicare sugli specchi della singolarità: </span><i style="font-family: inherit;">“non è che se gli allarghi la stalla le mucche diventano Miss Universo”</i><span style="font-family: inherit;"> (<i>pseudo-cit.</i>) Il consenso sembra essere solamente che, mentre è facile concludere che percorsi incompleti di vario tipo nello spaziotempo rappresentano una struttura singolare, non è stata ancora formulata una sua definizione rigorosa e del tutto soddisfacente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Molti ricercatori ritengono che una teoria unificata della gravitazione e della meccanica quantistica (la </span><i style="font-family: inherit;">gravità quantistica a loop</i><span style="font-family: inherit;">) permetterà in futuro di descrivere in modo più appropriato i fenomeni connessi con la nascita di una singolarità nel collasso gravitazionale delle stelle massicce e l'origine stessa dell'universo. Intanto aspettiamo.</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
</div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-82536363786479015492022-12-27T23:09:00.002+01:002022-12-27T23:36:32.797+01:00Lo scandalo Schön<div class="separator"><div style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><br /></div></div><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: center;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoHjvnP-4BDgZcwWnNf3aqKFnWntNFO_IeL00Xvt1ZVUxpyAO9E9ut4JIjX2JUXHN2IyXbUxf6zn1jrttVEvw8c_P-T3xXEhUPFcVu54ReAmBUqsxqkif8jEnepSjSiDyB4j-_zSAX8psLpYhES5xD-Axb_mL-cCfTKUYYTFX4HHCqoO5aVED0_1es/s1024/35995111.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjoHjvnP-4BDgZcwWnNf3aqKFnWntNFO_IeL00Xvt1ZVUxpyAO9E9ut4JIjX2JUXHN2IyXbUxf6zn1jrttVEvw8c_P-T3xXEhUPFcVu54ReAmBUqsxqkif8jEnepSjSiDyB4j-_zSAX8psLpYhES5xD-Axb_mL-cCfTKUYYTFX4HHCqoO5aVED0_1es/w640-h480/35995111.jpg" width="640" /></a></div><br />Il campo di ricerca del fisico tedesco Jan Hendrik Schön (1970) era la fisica della materia condensata e le nanotecnologie. Aveva conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università di Costanza nel 1997. Alla fine dello stesso anno fu assunto dai </span><i style="font-family: inherit;">Bell Labs</i><span style="font-family: inherit;"> negli Stati Uniti, dove lavorò nell'elettronica dei semiconduttori costituiti da materiali organici cristallini. Schön rivendicava una capacità spettacolare nel modificare la conduttività dei materiali organici, ben al di là di quanto ottenuto fino ad allora. Le sue misurazioni nella maggior parte dei casi confermavano varie previsioni teoriche, in particolare che i materiali organici potrebbero essere realizzati per manifestare superconduttività o essere utilizzati nei laser. I risultati furono pubblicati in importanti pubblicazioni scientifiche, comprese </span><i style="font-family: inherit;">Science </i><span style="font-family: inherit;">e </span><i style="font-family: inherit;">Nature</i><span style="font-family: inherit;">, e </span><span style="font-family: inherit;">attirarono l'attenzione di tutto il mondo. Tuttavia, nessun gruppo di ricerca in nessuna parte del mondo riusciva a riprodurre i risultati rivendicati da Schön.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 2001, compariva come autore di una media di un documento di ricerca ogni otto giorni. Nello stesso anno, annunciò su </span><i style="font-family: inherit;">Nature </i><span style="font-family: inherit;">di aver prodotto un transistor su scala molecolare. Schön sostenne di aver utilizzato un sottile strato di molecole di colorante organico per assemblare un sistema che, quando attraversato da una corrente elettrica, si comportava come un transistor. Le implicazioni del suo lavoro erano significative. Sarebbe stato l'inizio di un allontanamento dall'elettronica dal silicio verso l'elettronica organica. Avrebbe consentito ai transistor di continuare a ridursi oltre il punto in cui il silicio si rompe, e quindi confermare la legge empirica di Moore sulla progressiva riduzione delle dimensioni dei componenti per molto più tempo di quanto previsto. Avrebbe anche ridotto drasticamente i costi dell'elettronica.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Un elemento chiave nel lavoro di Schön era l’affermazione che l'osservazione di vari fenomeni fisici nei materiali organici dipendeva dalla configurazione del transistor. In particolare, Schön affermava di utilizzare un sottile strato di ossido di alluminio che incorporava nei suoi transistor utilizzando strutture di laboratorio presso l'Università di Costanza. Tuttavia, mentre le apparecchiature e i materiali utilizzati erano comuni nei laboratori di tutto il mondo, nessuno riuscì a preparare strati di ossido di alluminio di qualità simile a quelli rivendicati da Schön.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Subito dopo che Schön ebbe pubblicato il suo lavoro sui semiconduttori a molecola singola, alcuni membri della comunità dei fisici si convinsero che i suoi dati contenevano anomalie. Julia Hsu e Lynn Loo inizialmente notarono problemi nell'articolo di Schön che descrive l'assemblaggio di transistor molecolari, rendendosi conto che aveva figure duplicate. Hsu e Loo avevano tentato esperimenti iniziali per raccogliere prove per un loro brevetto, ma si basavano sui risultati scientifici del lavoro di Schön. Il 19 aprile 2002, Loo e Hsu si incontrarono con il loro avvocato specializzato in brevetti John McCabe, segnalando i dati duplicati. Lydia Sohn, allora dell'Università di Princeton, notò che due esperimenti condotti a temperature molto diverse avevano un rumore identico. Quando i redattori di </span><i style="font-family: inherit;">Nature </i><span style="font-family: inherit;">lo fecero notare a Schön, egli rispose di aver accidentalmente presentato lo stesso grafico due volte. Paul McEuen della Cornell University trovò poi lo stesso rumore in un articolo che descriveva un terzo esperimento. Ulteriori ricerche di McEuen, Sohn, Lynn Loo e altri fisici scoprirono una serie di esempi di dati duplicati nel lavoro di Schön. Ciò innescò una serie di reazioni che indussero rapidamente la </span><i style="font-family: inherit;">Lucent Technologies </i><span style="font-family: inherit;">(che gestiva i <i>Bell Labs</i> per conto di AT&T) ad avviare un'indagine formale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel maggio 2002, <i>Bell Labs</i> istituì un comitato di indagine, con Malcolm Beasley della Stanford University come presidente. Il comitato ottenne informazioni da tutti i coautori di Schön e intervistò i tre principali (Zhenan Bao, Bertram Batlogg e Christian Kloc). Esaminò le bozze elettroniche degli articoli contestati, che comprendevano dati numerici elaborati. Il comitato chiese copie dei dati grezzi, ma scoprì che Schön non aveva tenuto quaderni di laboratorio. I suoi file di dati grezzi erano stati cancellati dal suo computer. Secondo Schön, i file erano stati cancellati perché il suo computer aveva uno spazio limitato sul disco rigido. Inoltre, tutti i suoi campioni sperimentali erano stati gettati o danneggiati irreparabilmente.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il 25 settembre 2002, il comitato pubblicò il suo rapporto, che conteneva i dettagli di 24 accuse di cattiva condotta da parte di Schön. Il comitato aveva trovato prove di cattiva condotta scientifica in almeno 16 esperimenti, mentre i restanti 8 non erano correlati a pubblicazioni e mancavano di prove convincenti di cattiva condotta. Si scoprì che interi gruppi di dati erano stati riutilizzati in una serie di esperimenti diversi. Inoltre, alcuni dei suoi grafici, che dovevano essere tracciati da dati sperimentali, erano stati invece prodotti utilizzando funzioni matematiche (un’ingenuità imperdonabile, a mio modesto parere).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5bArOi58B6s-X1sYBIk_ScvJabrbf5vLLZXhIbfBI8vm5ORfOeuZM2ZEqPImUOXomFN1PhJzSAD2MmM8BwvO2FNk2SI366DdTK5irR53TmqCmTiPwlWmVsBQ6_JHaIsI7yEwTQ2jxj5-mi5NQNZxGH9siFvBs7bqQjUt3OXVBRS2ozIE1FU0ImipF/s580/Dibujo20161206-Jan-Hendrik-Schon-publications-Physics-World-May-2009-580x361.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="361" data-original-width="580" height="398" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5bArOi58B6s-X1sYBIk_ScvJabrbf5vLLZXhIbfBI8vm5ORfOeuZM2ZEqPImUOXomFN1PhJzSAD2MmM8BwvO2FNk2SI366DdTK5irR53TmqCmTiPwlWmVsBQ6_JHaIsI7yEwTQ2jxj5-mi5NQNZxGH9siFvBs7bqQjUt3OXVBRS2ozIE1FU0ImipF/w640-h398/Dibujo20161206-Jan-Hendrik-Schon-publications-Physics-World-May-2009-580x361.png" width="640" /></a></div><br />Il rapporto rilevò che tutti i misfatti erano stati compiuti da Schön da solo. Tutti i coautori (incluso Bertram Batlogg, che era il capo della squadra) furono prosciolti dall’accusa di cattiva condotta scientifica. Lo scandalo provocò tuttavia discussioni nella comunità scientifica sul grado di responsabilità di coautori e revisori di articoli scientifici. Il dibattito si è incentrato sul fatto che la peer-review, tradizionalmente concepita per trovare errori e determinare la pertinenza e l'originalità degli articoli, debba essere richiesta anche per rilevare le frodi deliberate.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Schön riconobbe che i dati non erano corretti in molti articoli. Affermò che le sostituzioni potevano essere avvenute per errore inconsapevole. Aveva omesso alcuni dati e disse di averlo fatto per mostrare prove più convincenti dei fenomeni che aveva osservato.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dopo questi fatti, i ricercatori della </span><i style="font-family: inherit;">Delft University of Technology</i><span style="font-family: inherit;"> e del </span><i style="font-family: inherit;">Thomas J. Watson Research Center </i><span style="font-family: inherit;">eseguirono esperimenti simili a quelli di Schön, senza ottenere risultati simili. Anche prima che le accuse diventassero pubbliche, diversi gruppi di ricerca avevano cercato di riprodurre la maggior parte dei suoi spettacolari risultati nel campo della fisica dei materiali molecolari organici senza successo.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel giugno 2004 l'Università di Costanza emise un comunicato stampa in cui affermava che il dottorato di Schön era stato revocato per </span><i style="font-family: inherit;">"condotta disonorevole"</i><span style="font-family: inherit;">. Il portavoce del Dipartimento di Fisica Wolfgang Dieterich definì la vicenda la </span><i style="font-family: inherit;">"più grande frode in fisica degli ultimi 50 anni"</i><span style="font-family: inherit;">. Schön impugnò la sentenza. Dopo un lungo iter giudiziario, il tribunale statale stabilì nel settembre 2011 che l'università aveva ragione a revocare il dottorato. Il tribunale amministrativo federale ha confermato la decisione del tribunale statale nel luglio 2013 e la Corte costituzionale federale l'ha confermata nel settembre 2014. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Prima di essere smascherato, Schön aveva ricevuto diverse onorificenze e premi, che furono tutti successivamente revocati. Nell'ottobre 2004, il comitato misto della </span><i style="font-family: inherit;">Deutsche Forschungsgemeinschaft</i><span style="font-family: inherit;"> (DFG, la Fondazione tedesca per la ricerca) annunciò sanzioni contro di lui. L'ex borsista post-dottorato del DFG fu privato del suo diritto attivo di votare alle elezioni del DFG o di prestare servizio nei comitati del DFG per un periodo di otto anni, durante il quale, Schön non poté svolgere nemmeno il ruolo di revisore tra pari o di richiedere fondi DFG.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Schön poi andò a lavorare presso uno studio di ingegneria.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel 2010 è stato pubblicato un romanzo ispirato a questa vicenda, dal titolo </span><i style="font-family: inherit;">“Il falsario”</i><span style="font-family: inherit;">, edito da Mursia, scritto da Gianfranco D’Anna, che ha alle spalle un dottorato in fisica al Politecnico Federale di Losanna, il quale frequentò i Bell Labs nello stesso periodo di Schön.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_UHW93W8Q5igl7cecKbsO9W7qlL54Izd7LBmEzHNob7_-lyf5H2POmMDPwC3zgJ6XiO5J4sxdtsB6XZQnqz-qqFz8O8TcBeXB0lFtDpcngySzFaG_inzQAlVqOzZcS4GiiOp84pMtN2ng_Yx2KaYohOi8Y_ES7uibhApNPxvtuOAWhY_cg9K5aAEx/s500/Falsario.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="347" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_UHW93W8Q5igl7cecKbsO9W7qlL54Izd7LBmEzHNob7_-lyf5H2POmMDPwC3zgJ6XiO5J4sxdtsB6XZQnqz-qqFz8O8TcBeXB0lFtDpcngySzFaG_inzQAlVqOzZcS4GiiOp84pMtN2ng_Yx2KaYohOi8Y_ES7uibhApNPxvtuOAWhY_cg9K5aAEx/w444-h640/Falsario.png" width="444" /></a></div><br /><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div></span></span><br /><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-10108047230533013322022-12-12T22:21:00.000+01:002022-12-12T22:21:05.623+01:00La canzone di Perel’man<p style="text-align: justify;"> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwdXrXj0XeUgYLAiY17aiCQ4jvaFe0wlCfh-6d8jW3HBbL1idaqWMOx3n-N0yewgnSj1TzoHS_VXyEkImfD033y75XwHuziVr7lK91EwWJpRSNeXJ_s-bUNXPTQkFji65KubiyaLlKilqNgi2N9aEN3seWVryquSpTRhGbjsBBBFR2CUHfzboi4XCu/s1280/grigori.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiwdXrXj0XeUgYLAiY17aiCQ4jvaFe0wlCfh-6d8jW3HBbL1idaqWMOx3n-N0yewgnSj1TzoHS_VXyEkImfD033y75XwHuziVr7lK91EwWJpRSNeXJ_s-bUNXPTQkFji65KubiyaLlKilqNgi2N9aEN3seWVryquSpTRhGbjsBBBFR2CUHfzboi4XCu/w640-h360/grigori.jpg" width="640" /></a></div><br /><p></p><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Il racconto breve <i>Perel’man’s Song</i> della poetessa, scrittrice, accademica e editrice sino-americana Tina S. Chang (1969) è apparso nel numero di febbraio 2008 della rivista <i>Math Horizons</i>. Utilizza una conversazione tra divinità che manipolano universi per informare poeticamente il lettore sulla Congettura di Poincaré. Questo è un esempio dell'uso della finzione matematica per dire, attraverso la metafora, ciò che altrimenti potrebbe essere troppo astratto per essere facilmente trasmesso ai non esperti.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La topologia delle varietà o superfici bidimensionali era ben nota già nel XIX secolo. Esiste infatti un semplice elenco di tutte le possibili superfici lisce compatte orientabili. Qualsiasi superficie di questo tipo ha un <i>genere </i>ben definito <i>g ≥ 0</i>, che può essere descritto intuitivamente come il numero di fori; e due di tali superfici possono essere poste in una regolare corrispondenza biunivoca l'una con l'altra se, e solo se, hanno lo stesso genere.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Ad esempio, una sfera ha genere 0: non ha "buchi". Più rigorosamente, ogni curva chiusa tracciata su di essa la separa in due calotte sferiche; un toro ha invece genere 1: è possibile tagliare il toro lungo una curva chiusa che segue una delle due circonferenze generatrici, ottenendo in ogni caso un cilindro connesso; ogni altro taglio supplementare otterrebbe due superfici non connesse.</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br />
</span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvILQLjTUW5Az1dXprSkgUxowc2jncKOIP3ov_YKUCNsPbEBm661CQ8_eClUGFE-ijpBRCrfZtXQwl2dLkunpO9LZzd3H-sA8QDbgJtN_e7UcFJjOHp1g1Ty_7iUGL6E87yZCxIxgZr52csG97MdZzmuoLIm_J1yzT5LzPJDLI2Sih1zhMBaJv5Gvx/s806/Genus.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="202" data-original-width="806" height="160" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvILQLjTUW5Az1dXprSkgUxowc2jncKOIP3ov_YKUCNsPbEBm661CQ8_eClUGFE-ijpBRCrfZtXQwl2dLkunpO9LZzd3H-sA8QDbgJtN_e7UcFJjOHp1g1Ty_7iUGL6E87yZCxIxgZr52csG97MdZzmuoLIm_J1yzT5LzPJDLI2Sih1zhMBaJv5Gvx/w640-h160/Genus.png" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La domanda corrispondente nelle dimensioni superiori è molto di più difficile. Henri Poincaré fu forse il primo a tentare di fare uno studio simile sulle varietà tridimensionali. L'esempio più basilare di tale varietà è la sfera unitaria tridimensionale, cioè il luogo di tutti i punti <i>(x,y,z,w)</i> nello spazio euclideo quadridimensionale che hanno distanza esattamente 1 dall'origine:</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbwyTUXdIItVHeHaHweqNHwW28s1922q6nkp7WmENFI0XKXrheNHdht0ozxuN4iXtcnhUWqEej496OyD-Dg0Txo35RDNDuiD2dgHmy_f1arCLzQ4ay1qO2xi1_TNSiUC_rxAMArzz_1aYejOKFkqqphl5OzIVerIi88tS55w-vSrOq_xW1JbAG4lQg/s286/Formula.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="51" data-original-width="286" height="36" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbwyTUXdIItVHeHaHweqNHwW28s1922q6nkp7WmENFI0XKXrheNHdht0ozxuN4iXtcnhUWqEej496OyD-Dg0Txo35RDNDuiD2dgHmy_f1arCLzQ4ay1qO2xi1_TNSiUC_rxAMArzz_1aYejOKFkqqphl5OzIVerIi88tS55w-vSrOq_xW1JbAG4lQg/w200-h36/Formula.png" width="200" /></span></a></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Poincaré notò che una caratteristica distintiva della sfera bidimensionale è che ogni semplice curva chiusa nella sfera può essere deformata continuamente in un punto senza lasciare la sfera. Nel 1904, fece una domanda corrispondente nella dimensione 3. In un linguaggio più moderno, può essere formulata come segue:</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i><div style="text-align: justify;"><i><b>Domanda</b>. Se una varietà tridimensionale compatta M<sup>3</sup> ha la proprietà che ogni semplice curva chiusa all'interno della varietà può essere deformata continuamente in un punto, ne consegue che M<sup>3</sup> è omeomorfa alla sfera S<sup>3</sup>?</i></div></i><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Egli commentò, con notevole lungimiranza, <i>“Mais cette question nous entraînerait trop loin”</i>. Da allora, l'ipotesi che ogni 3-varietà chiusa semplicemente connessa sia omeomorfa alla 3-sfera è nota come Congettura di Poincaré. Da allora ha ispirato i topologi, e i tentativi di dimostrarla hanno portato a molti progressi nella comprensione della topologia delle superfici.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Detto in parole più semplici (ovviamente tralasciando particolari tecnici e essendo meno rigorosi), esiste un modo per dire con certezza se ci si trova su una sfera o meno, anche senza volare nello spazio per guardarla da lontano. Prendiamo una lunga corda e fissiamone un'estremità nel punto in cui ci troviamo. Quindi camminiamo sulla superficie per una grande distanza, allungando la corda mentre procediamo. Quando alla fine si torna al punto di partenza, prendiamo le due estremità della corda (quella che è rimasta in un punto e quella che abbiamo portato con noi) e le leghiamo in un cappio. Con un nodo del genere, stringendo si può rendere il cappio sempre più piccolo, e su una sfera si può sempre farlo, mantenendo la corda in superficie, ma se stessimo camminando su una ciambella (un toro) allora potrebbe non essere possibile. Immaginiamo di essere su una ciambella e di camminare attraverso il buco e tornare al punto di partenza. In questo caso non saremmo in grado di rimpicciolire il cappio senza tagliare la ciambella. (Possiamo anche camminare intorno al buco, nel qual caso il cappio non può diventare più piccolo del buco senza lasciare la superficie).</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il punto è questo: se abbiamo una superficie e sappiamo che è di dimensioni finite senza bordi, allora se ogni anello sulla superficie può essere ridotto alla dimensione del punto, deve essere una sfera (e, viceversa, non può essere una sfera se c'è un cappio che non può essere ridotto ulteriormente).</span></div><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La Congettura di Poincaré è l'affermazione che la stessa cosa si può dire anche per gli spazi dimensionali superiori. In particolare, Poincaré affermò che qualsiasi spazio tridimensionale compatto in cui gli anelli possano essere rimpiccioliti in questo modo (cioè sia semplicemente connesso) debba essere la versione tridimensionale di una sfera, chiamata S<sup>3</sup>. (<b>1</b>) Da allora, l'affermazione è stata generalizzata a qualsiasi numero di dimensioni. Quindi, quando qualcuno oggi parla della Congettura di Poincaré intende dire che uno spazio compatto, <i>n</i>-dimensionale è equivalente alla<i> n</i>-sfera, S<i><sup>n</sup></i>, se e solo se è un omeomorfismo equivalente.</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Questo è stato un problema aperto molto famoso, elencato anche come uno dei problemi del millennio per i quali il Clay Institute ha offerto un premio di 1 milione di dollari. Tuttavia, ora è stato risolto. Sebbene questo programma di ricerca sia stato avviato da Richard Hamilton e anche molti altri geometri abbiano contribuito al programma, il passaggio finale è stato completato da Grigori Perel’man.</span></div><br /></span><div style="text-align: center;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">-o-</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><i><b><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La canzone di Perel’man</span></b></i></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><i><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>A Hamilton e Perel’man e a tutti gli altri matematici le cui ricerche hanno portato alla dimostrazione della Congettura di Poincaré.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>C'era un universo amorfo, una varietà tridimensionale seduta radiosamente nella mano di un dio. Anche se questo dio era onnipotente, non era onnipresente, non poteva vedere l'essenza del suo universo. "Non ha singolarità (<b>2</b>), né buchi neri", osservò, sentendo la levigatezza della forma tra le mani. "Pensi che sia una sfera? Non sembra una bella sfera a tre dimensioni, ma forse è una ipersfera deformata e contorta che sembra semplicemente incomprensibile perché l'ho messa insieme in modo così casuale quando è stata creata."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Una dea lì vicino gettò da parte il suo universo e sbirciò da sopra la sua spalla curva. Tracciò pigramente degli anelli nel suo universo, poi li strinse in punti. Lo fece all'infinito. Controllò tutti i possibili anelli che riusciva a disegnare e nessuno si impigliava nel buco di una ciambella. Non ci volle tempo, perché vivevano fuori dal tempo, fuori dalla dimensione, in uno spazio inimmaginabile per l'uomo.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Lei ridacchiò per il suo fastidio quando riportò il suo universo tra le mani chiuse. "Beh, è semplicemente connesso (<b>3</b>)", concluse e prese il suo universo prima che potesse andare alla deriva.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Il suo era un universo toroidale increspato punteggiato di singolarità appuntite. Quando disegnò un anello attorno al buco della ciambella al centro, rimase come un arco luccicante attraverso il minuscolo cielo incapace di stringersi. Altri anelli che disegnava si contraevano in scintille d'oro.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E come ciò risponde alla mia domanda?" chiese il dio, curioso di come i suoi anelli d'oro potessero far vedere che il suo universo era una 3-sfera. Queste dee onniscienti ma in qualche modo meno potenti spesso avevano assi matematici nella manica. Questa particolare dea inventava sempre nuovi universi con strane equazioni, per governarli.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>La dea sorrise. "Qualsiasi varietà 3 chiusa semplicemente connessa è una sfera." Fece scivolare le mani tra le sue per accarezzare il suo universo. "Il tuo è liscio e tridimensionale e… semplicemente connesso" Tracciò un altro anello dorato. Scivolò lentamente attorno alle spire del suo universo e poi su una delle sue estremità simili a un sigaro finché non si strinse fino a diventare un punto sulla punta.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E perché questo lo rende una 3-sfera?" disse dolcemente, scostandole la mano.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Uno dei miei abitanti lo ha dimostrato." Lei rise. Toccò con il dito un punto del suo universo, "Perel’man è qui sul bordo di una galassia a spirale." Il suo universo era duro, increspato secondo le sue leggi e completamente invulnerabile al suo tocco. A giudicare dal luccicante arco dorato, non era semplicemente connesso. Né era liscio. Tirò via la mano prima che lei potesse raschiare una delle sue dita su una singolarità.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>“Ah, uno dei tuoi abitanti lo ha dimostrato.” la assecondò, chiedendosi come un universo dettato da equazioni potesse avere degli abitanti intelligenti di cui parlare.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Beh, se non mi credi." lo schernì, “Puoi usare tutte le tue potenti abilità per plasmare quel tuo universo in una sfera. La prova è costruttiva”.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"OK" disse, sollevando la sua varietà tridimensionale nello spazio vuoto tra di loro. "Cosa stai suggerendo esattamente?"</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Prima devi trasformarlo con il flusso di Ricci (<b>4</b>)." iniziò.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Questa è una delle equazioni della tua varietà adesso..." disse, ricordando che il tensore di Ricci misurava la curvatura dello spazio e dei volumi al suo interno.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"No, la mia è l'equazione di Einstein. Contiene anche il tensore di Ricci. ma è un'equazione d'onda. Il mio universo cambia con le increspature gravitazionali che emanano e si fondono..."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>“e causando ogni sorta di singolarità!” obiettò lui.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Hai paura delle singolarità?" scherzò lei.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"No…"</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Perché potremo creare delle singolarità, ma le taglieremo..."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Ehi!" Il dio riprese l'universo tra le sue braccia protettive</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>.
"Solo temporaneamente, rimetteremo insieme l'universo quando avremo finito." lei lo rassicurò. “Comunque, il flusso di Ricci è un'equazione parabolica, funziona come il calore, non come le onde. Dissipa la curvatura attraverso l'intero universo rendendolo omogeneo, così che alla fine dovrebbe sembrare un cilindro o una sfera che si restringe..."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E le parti che hai tagliato via?!"</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Le rimettiamo e sembra ancora una sfera."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E questo tuo abitante ha inventato tutto questo?"</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Oh. no. Perel’man ha dimostrato che le 3-varietà semplicemente connesse sono sfere, ma il flusso di Ricci è stato sviluppato da Hamilton, e in realtà è la somma totale del lavoro di oltre una ventina di abitanti diversi vissuti in tempi diversi. Anche il tensore di Ricci era complicato da capire per gli esseri tridimensionali."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E allora cosa ha fatto questo Perel’man?"</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Ha aggiunto una canzone. Ascolta attentamente e sentirai cantare il tuo universo. Cambia la forma e la nota cambia."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Il dio sollevò il suo universo e ne suonò la nota. Ribolliva e si avvolgeva e la nota cantava su e giù scivolando dolcemente in una melodia che poteva controllare.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Poi plasmò il suo universo con il flusso di Ricci e la nota incominciò a salire. La nota suonava sempre più alta mentre le protuberanze si allargavano e le spire si tendevano in lunghi cilindri. Man mano che il suo universo si restringeva, si allungava in una rete di tubi sottili.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Taglia quello!" la dea indicò un tubo che stava collassando in una corda tesa. "Taglia ciascuno prima che si sviluppi un singolo filo."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Il dio fermò il tempo, il suo universo congelato, timoroso di tagliare il filo. "La canzone di Perel’man dimostra che le singolarità simili a filamenti sono cilindri tridimensionali prima di collassare". disse la dea. “Puoi riparare facilmente la rottura con due tappi dopo il taglio."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Tagliò delicatamente il tubo e, quando sollevò le metà, i loro bordi erano sfere rotonde bidimensionali. Gli porse due palline e lui riempì i bordi sferici vuoti, levigando delicatamente prima di far ripartire il tempo per i due universi che ora teneva davanti a sé.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>.
La coppia di universi riprese il flusso di Ricci e i loro mezzi filamenti tornarono a posto. Entrambi cantavano ancora, sempre più alti, dossi che si allargavano e spire che si allungavano in nuovi fili.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Lui tagliò il filo sottile successivo e lei gli diede due nuove palline per rattoppare i nuovi pezzi e lui tagliò più fili su pezzi diversi e l'universo si è moltiplicato. Ad ogni taglio il successivo saltava su un registro più alto e poi cantato dolcemente verso l'alto.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Ad Infinitum?" chiese, quando ebbero completato il loro centesimo taglio.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"No, se è una sfera a tre", disse, osservando gli universi che si svolgevano intorno a loro.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E se non è una sfera a tre?" chiese mentre esaminava la millesima fetta sferica.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>«Poi alla fine smettiamo di tagliare ed esaminiamo la forma collassata a cui si avvicina.» sussurrò, temendo che Perel’man potesse sbagliarsi.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>“Ma è una sfera a tre perché è semplicemente connessa.” sorrise, immaginando che l'ultimo taglio fosse vicino.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"E tutti i pezzi." pregò, "dovrebbero diventare 3-sfere che si restringono fino all'estinzione..."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>All'improvviso alcuni dei minuscoli universi si arrotondarono in 3 sfere in rapida riduzione. Le raggiunse, raccogliendo il loro flusso prima che potessero uscire dall'esistenza.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>I loro occhi si incontrarono momentaneamente. prima che lei indicasse le successive tre parti che si assottigliavano e gli lanciasse sei palle.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Mentre il dio lavorava sempre più velocemente. spezzando nuovi fili e catturando nuove sfere, la nota salì più in alto di qualsiasi tono che la dea avesse mai sentito prima.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Alla fine, accadde: tagliarono il loro ultimo filo e l'ultima coppia di universi si arrotondò in identiche sfere tridimensionali.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Il dio li prese tra le mani e li strinse. Anche lui era immobile, stupito dai milioni di minuscole 3-sfere perfette che fluttuavano intorno a loro.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Adesso vedi." disse senza fiato. prendendo un paio di sfere nelle sue mani "se rimuovi le palline con cui le abbiamo rattoppate e le unisci di nuovo insieme, puoi vedere che in realtà erano 3-sfere deformate prima che le spezzassimo a metà..."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Rimosse con cura le sfere corrispondenti dalle sfere gemelle e le unì le mani in modo che i bordi emersero vicino alla punta delle sue dita. Quindi, insieme, riformarono l'universo unito in un'unica luminescente 3-sfera tenuta tra le loro mani aperte.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"Incredibile" Il dio sollevò tutti i pezzi in aria all'unisono, rimettendoli al loro posto, aprendoli e fondendo insieme i bordi sferici.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Il suo universo, liberato dal flusso di Ricci, palpitò per alcuni battiti e poi si congelò in una perfetta sfera tridimensionale omogenea che fluttuava tra di loro.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Sedevano insieme, in uno spazio senza tempo, osservandone in silenzio la bellezza. Il dio disegnò un anello d'oro attorno al suo equatore e lo guardò scivolare su per le latitudini e scomparire con una scintilla al polo.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Liberandolo dalla matematica, lo riavvolse dolcemente nella sua forma originale. Ora poteva veramente vedere che era sempre stata una 3-sfera, una ipersfera deformata e contorta, ma ininterrotta.</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Si rivolse alla dea..."... e cosa accadrebbe se mettessimo insieme i nostri universi."</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>"L'unione non sarà semplicemente connessa e non sarà una sfera." Avvicinò il suo universo per fonderlo con quello di lui. "Ma forse, se appianiamo le mie singolarità, possiamo farle confluire in una geometria che non abbiamo mai visto prima."</i></div></i><br /></span><div style="text-align: center;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">-o-</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /><b>
Note:</b><br /><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;">1 -Sfera tridimensionale, o 3-sfera</b> - In matematica, una <i>3-sfera</i> (detta anche <i>ipersfera</i>) è un analogo dimensionale superiore di una sfera. Può essere visto nello spazio euclideo quadridimensionale come l'insieme di punti equidistanti da un punto centrale fisso. Analogamente a come la frontiera di una palla in tre dimensioni è una sfera ordinaria (o 2-sfera, una superficie bidimensionale), la 3-sfera è una varietà tridimensionale che fa da frontiera alla palla 4-dimensionale. Una 3-sfera è una varietà 3-dimensionale compatta, connessa e senza bordo. Inoltre, è un insieme semplicemente connesso: ogni curva chiusa sulla sua superficie può essere ristretta ad un singolo punto senza lasciare la 3-sfera. Secondo la congettura di Poincaré, dimostrata da Perel'man, la 3-sfera (a meno di omeomorfismo) è l'unica figura con queste proprietà.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivMtacVygqac3E_9JnwcWdmqynYNwXJGIyXA30shHZO1-1M46zcUSPvhe-HFF1lKKHS_bOYYkDTFFGMS9SAKCJdptqUbjkSQoQwH5CY4iGfSAAVPHhpxzzMIjqaOVPIoMwIhQ_SEkfAzc3yNys04nTFkopaotniNSR48LZzbwplNj0dQsA2h6iM_dI/s479/Hypersphere.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="479" data-original-width="477" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivMtacVygqac3E_9JnwcWdmqynYNwXJGIyXA30shHZO1-1M46zcUSPvhe-HFF1lKKHS_bOYYkDTFFGMS9SAKCJdptqUbjkSQoQwH5CY4iGfSAAVPHhpxzzMIjqaOVPIoMwIhQ_SEkfAzc3yNys04nTFkopaotniNSR48LZzbwplNj0dQsA2h6iM_dI/w399-h400/Hypersphere.png" width="399" /></span></a></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b>2 - Singolarità -</b> Il concetto di <i>singolarità </i>ha origine in matematica, dove indica in generale un punto in cui un ente matematico, per esempio una funzione o una superficie, "degenera", cioè perde parte delle proprietà di cui gode negli altri punti generici, i quali per contrapposizione sono detti “regolari”. In un punto singolare, per esempio, una funzione o le sue derivate possono non essere definite e nell'intorno del punto stesso "tendere ad infinito".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">In fisica, i punti singolari sono quelli in cui si verifica una singolarità matematica delle equazioni di campo, dovuta per esempio ad una discontinuità geometrica del dominio oppure al raggiungimento di un valore limite di un parametro. Benché le soluzioni singolari delle equazioni di campo restino molto utili per descrivere il comportamento fisico fuori della singolarità, esse perdono di significato fisico nei pressi del punto singolare. In pratica il comportamento fisico in tali intorni può essere descritto solo tramite teorie fisiche più complesse in cui la singolarità non si verifica. Un buco nero è una singolarità.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b style="font-weight: bold;">3 - Spazio connesso </b>- In matematica uno <i>spazio topologico</i> si dice <i>connesso </i>se non può essere rappresentato come l'unione di due o più insiemi aperti non vuoti e disgiunti. In maniera poco formale ma abbastanza intuitiva, possiamo dire che la connessione è la proprietà topologica di un insieme di essere formato da un solo "pezzo".</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Uno spazio topologico <i>X</i> è connesso per archi (o con terminologia equivalente, connesso per cammini) se per ogni coppia di punti <i>x</i> e <i>y</i> dello spazio esiste un arco che li collega.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Uno spazio topologico è detto <i>semplicemente connesso</i> (o 1-connesso, o 1-semplicemente connesso, se è connesso per cammini e ogni cammino tra due punti può essere continuamente trasformato in qualsiasi altro percorso simile preservando i due punti finali in questione.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Informalmente, un oggetto nel nostro spazio è semplicemente connesso se è costituito da un unico pezzo e non ha "buchi" che lo attraversano completamente. Ad esempio, né una ciambella né una tazza di caffè (con un manico) sono semplicemente collegate, ma una sfera di gomma cava è semplicemente connessa. In due dimensioni, un cerchio non è semplicemente connesso, ma lo sono un disco e una linea. Gli spazi connessi ma non semplicemente connessi sono detti non semplicemente connessi o moltiplicati.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTnCNgTc-ZsBGUanQOPmRB6IAv1AC8jaxU40gDjInHa8rhFQRr_xXXHro1m6j6H4V92Uwf8vVlqW7FpLwOScMwv-PkDQRpqP67kymz-EeLyVs9OcmUoTyZ0E9enyQv6EQ67nYKxtBjZGarYr8uPL6HUg3kTj7kz5VhgX-Rq-VzVGZqTaD8ePihYCgX/s903/Anello%20sulla%20sfera.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="178" data-original-width="903" height="126" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTnCNgTc-ZsBGUanQOPmRB6IAv1AC8jaxU40gDjInHa8rhFQRr_xXXHro1m6j6H4V92Uwf8vVlqW7FpLwOScMwv-PkDQRpqP67kymz-EeLyVs9OcmUoTyZ0E9enyQv6EQ67nYKxtBjZGarYr8uPL6HUg3kTj7kz5VhgX-Rq-VzVGZqTaD8ePihYCgX/w640-h126/Anello%20sulla%20sfera.png" width="640" /></span></a></div><span style="font-family: inherit;"><br /><i>Una sfera è semplicemente connessa perché ogni anello può essere contratto (sulla superficie) in un punto.</i></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">La definizione esclude solo i fori a forma di maniglia. Una sfera (o, allo stesso modo, una palla di gomma con un centro cavo) è semplicemente connessa, perché qualsiasi anello sulla superficie di una sfera può contrarsi in un punto anche se ha un "buco" nel centro cavo.</span></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><b>4 - Flusso di Ricci-Hamilton - </b>Nei campi matematici della geometria differenziale e dell'analisi geometrica, il <i>flusso di Ricci</i>, a volte indicato anche come flusso di Ricci-Hamilton, è una particolare equazione alle derivate parziali per una metrica Riemanniana. Si dice spesso che sia analogo alla diffusione del calore e all'equazione del calore, a causa delle somiglianze formali nella struttura matematica dell'equazione. Tuttavia, non è lineare, e mostra molti fenomeni non presenti nello studio dell'equazione del calore.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Il flusso di Ricci, così chiamato per la presenza del tensore di Ricci nella sua definizione, è stato introdotto da Richard Hamilton, che lo ha utilizzato negli anni '80 del Novecento per dimostrare nuovi sorprendenti risultati nella geometria riemanniana. Successive estensioni dei metodi di Hamilton da parte di vari autori portarono a nuove applicazioni alla geometria, inclusa la risoluzione della congettura della sfera differenziabile di Simon Brendle e Richard Schoen.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Seguendo il suggerimento di Shing-Tung Yau che le singolarità delle soluzioni del flusso di Ricci potessero identificare i dati topologici previsti dalla congettura di geometrizzazione di William Thurston, Hamilton produsse negli anni '90 una serie di risultati che erano diretti alla risoluzione della congettura. Nel 2002 e nel 2003, Grigori Perel’man presentò una serie di nuovi risultati fondamentali sul flusso di Ricci, inclusa una nuova variante di alcuni aspetti tecnici del programma di Hamilton. I lavori di Hamilton e Perel’man sono ora ampiamente considerati come una dimostrazione della congettura di Thurston, compresa come caso speciale la congettura di Poincaré, che era un noto problema aperto nel campo della topologia geometrica sin dal 1904. I loro risultati sono considerati un pietra miliare nei campi della geometria e della topologia.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4cvHF0GPbeDUrp-YljL-IVbGfY3QdwXJAX5BJX6jlZAcDq3JItffElCSaJ6jIDnyaQ9-pAboqWcbSOKdQGm8fJnKv4fsI3Yu5L5s7sPvZXWDOQKdm_NrgiLutGDJcf6HbX-5aFqp3tvmTkVa6OFe1LrV-k_q9ax99FLgCM-ehW_d36jQXY9XRs3Cc/s497/Ricci%20Flow.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><img border="0" data-original-height="497" data-original-width="327" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4cvHF0GPbeDUrp-YljL-IVbGfY3QdwXJAX5BJX6jlZAcDq3JItffElCSaJ6jIDnyaQ9-pAboqWcbSOKdQGm8fJnKv4fsI3Yu5L5s7sPvZXWDOQKdm_NrgiLutGDJcf6HbX-5aFqp3tvmTkVa6OFe1LrV-k_q9ax99FLgCM-ehW_d36jQXY9XRs3Cc/w422-h640/Ricci%20Flow.png" width="422" /></span></a></div><span style="font-family: inherit; font-size: medium;"><br />Il flusso di Ricci di solito deforma la varietà verso una forma più rotonda, tranne in alcuni casi in cui allunga la varietà oltre se stessa verso quelle che sono note come singolarità. Perelman e Hamilton, quindi, tagliano la varietà alle singolarità (un processo chiamato "chirurgia"), facendo sì che i pezzi separati assumano forme simili a sfere. I passi principali nella dimostrazione implicano il mostrare come si comportano le varietà quando vengono deformate dal flusso di Ricci, esaminare quale tipo di singolarità si sviluppano, determinare se questo processo chirurgico può essere completato e stabilire che l'intervento chirurgico non deve essere ripetuto infinite volte.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>
</div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-24991257065465391782022-12-08T21:59:00.000+01:002022-12-08T21:59:09.288+01:00Continuità dei parchi, la metastoria di Julio Cortàzar<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><i style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-yXWjWpQhSrX-DNhgj0jJ2p0HuolhT7J3hNWDbAHr0MuBC-febxlW26DRrR98x4EH2OQq8jpEmLznDIcF4cr6EJX23LuvwwGlAN33ooxnW3dTq1qTEKXta-9io0xyzDLBhRNTTN7ZsZwelYRV3yhYxA5luBXt5n0_oyCMwvVwDtyuqmnfAtNKE155/s1440/cortazar-hero.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="708" data-original-width="1440" height="314" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-yXWjWpQhSrX-DNhgj0jJ2p0HuolhT7J3hNWDbAHr0MuBC-febxlW26DRrR98x4EH2OQq8jpEmLznDIcF4cr6EJX23LuvwwGlAN33ooxnW3dTq1qTEKXta-9io0xyzDLBhRNTTN7ZsZwelYRV3yhYxA5luBXt5n0_oyCMwvVwDtyuqmnfAtNKE155/w640-h314/cortazar-hero.png" width="640" /></a></div><br />Continuità dei parchi</i><span style="font-family: inherit;"> è un racconto breve scritto dallo scrittore argentino Julio Cortázar nel 1956 (pubblicato solo otto anni dopo), che è, secondo il semiologo e critico messicano Lauro Zavala, </span><i style="font-family: inherit;">"contemporaneamente la finzione e la metafinzione tra le più studiate nella storia della letteratura"</i><span style="font-family: inherit;">. Nel racconto, realtà e finzione si intrecciano attraverso una storia nella storia, che si incontrano prima della fine e che l’autore non definisce. La trama presenta un uomo che legge un romanzo di due amanti che si incontrano in una capanna nel bosco, con un piano per distruggere "quell'altro corpo": forse, ma non è detto, il marito della donna. La struttura della storia viene spezzata quando uno dei personaggi del romanzo, la storia incorporata, si introduce nella realtà della trama della trama.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il nome del racconto fa riferimento ai tre contesti, o piani di realtà, che vengono identificati come “parchi”. Il primo comprende l'autore e il lettore di </span><i style="font-family: inherit;">Continuità dei parchi</i><span style="font-family: inherit;">, il secondo è la trama di un uomo d'affari che legge un romanzo, e il terzo è la storia incorporata dei due amanti.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il racconto è diviso in due paragrafi. Il vero lettore inizia a leggere la storia innocentemente come il personaggio che legge il suo romanzo. Più vicini rispettivamente alla fine della storia e del romanzo incorporato, entrambi i lettori sentono che accadrà qualcosa di terribile. Nell'ultimo paragrafo il lettore-personaggio diventa una vittima e il vero lettore diventa colpevole per aver immaginato la morte del personaggio. La mancata chiusura della storia fa scomparire il finale, evidenziando la colpa del vero lettore, che si è reso vittima o complice della morte del personaggio mentre assisteva al delitto, che è solo suggerito, ma non descritto. La conclusione moltiplica i dubbi invece di svelare il mistero. Quando il personaggio che legge muore, le due realtà si confondono, ma morirà davvero?</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Piuttosto che un mistero, la storia è in realtà una metafora dell'esperienza della lettura: il lettore di Cortázar si perde così tanto in un mondo immaginario che ne diventa letteralmente partecipe. È anche una metafora della nostra esperienza di lettura: siamo così presi dalla letteratura che, come il lettore in </span><i style="font-family: inherit;">Continuità dei parchi</i><span style="font-family: inherit;">, non possiamo più distinguere tra finzione e realtà. È anche una metafora dell'esperienza di scrittura: per creare mondi immaginari convincenti, lo scrittore deve perdersi nelle sue creazioni, proprio come il lettore di Cortázar si perde nel suo libro. Non possiamo identificare una spiegazione corretta per il finale sconcertante perché non esiste un'unica spiegazione. Invece, la storia è un'indagine su cosa significhi scrivere e leggere storie.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;">Continuità dei parchi</b></div></b><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Aveva iniziato a leggere il romanzo qualche giorno prima. L'aveva lasciato per affari urgenti, lo riaprì tornando in treno alla fattoria; piano piano si fece coinvolgere dalla trama, al disegno dei personaggi. Quel pomeriggio, dopo aver scritto una lettera al suo avvocato e discusso con il maggiordomo di una questione di mezzadria, tornò al libro nella tranquillità dello studio che dava sul parco con le sue querce. Sdraiato sulla sua poltrona preferita, con le spalle alla porta che lo avrebbe infastidito come un'irritante possibilità di intrusioni, lasciò che la mano sinistra accarezzasse più e più volte il velluto verde e cominciò a leggere gli ultimi capitoli. La sua memoria conservava senza sforzo i nomi e le immagini dei protagonisti; l'illusione romanzesca lo conquistò quasi subito. Godeva del piacere quasi perverso di staccarsi riga per riga da ciò che lo circondava, e sentire nello stesso tempo che la sua testa era comodamente appoggiata sul velluto dell'alto schienale, che le sigarette erano ancora a portata di mano, che oltre le grandi finestre l'aria della sera danzava sotto le querce. Parola per parola, assorto nel sordido dilemma degli eroi, lasciandosi andare verso le immagini che si concertavano e acquistavano colore e movimento, assistette all'ultimo incontro nella baita di montagna. La donna entrava per prima, sospettosa; poi arrivava l'amante, con la faccia ferita dal colpo di un ramo. Mirabilmente lei tamponava il sangue con i suoi baci, ma lui rifiutava le sue carezze, non era venuto a ripetere le cerimonie di una passione segreta, protetto da un mondo di foglie secche e di sentieri furtivi. Il pugnale si stava riscaldando contro il suo petto, e sotto di esso batteva la libertà accovacciata. Il dialogo struggente scorreva attraverso le pagine come un flusso di serpenti, e sembrava che tutto fosse deciso per sempre. Anche quelle carezze che avviluppavano il corpo dell'amante quasi volessero trattenerlo e dissuaderlo, delineavano abominevolmente la figura di un altro corpo che era necessario distruggere. Nulla era stato dimenticato: alibi, possibilità, possibili errori. Da quell'ora in poi, ogni momento aveva il suo uso minuziosamente assegnato. La spietata doppia revisione fu interrotta appena una mano accarezzò una guancia. Cominciava a fare buio.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Senza più guardarsi l'un l'altro, rigidamente vincolati al compito che li attendeva, si separarono sulla porta della capanna. Lei doveva seguire il sentiero che andava a nord. Dal sentiero opposto lui si voltò brevemente per vederla correre con i capelli sciolti. Corse a sua volta, riparandosi tra gli alberi e le siepi, finché riuscì a distinguere nella foschia malva del crepuscolo il sentiero che conduceva alla casa. I cani non dovevano abbaiare e non abbaiavano. Il maggiordomo non sarebbe arrivato a quell'ora, e non lo era. Salì i tre gradini del portico ed entrò. Dal sangue che gli galoppava nelle orecchie gli uscirono le parole della donna: prima una stanza azzurra, poi una galleria, una scala tappezzata. In alto, due ante. Nessuno nella prima stanza, nessuno nella seconda. La porta del salone, e poi il pugnale in mano, la luce delle grandi finestre, l'alto schienale di una poltrona rivestita di velluto verde, la testa dell'uomo in poltrona che legge un romanzo.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisjM-Wy4RdLgvg1I2vYRQzKP2I0BIroZcdl1gRNODDrJ20BxNMRxoL8Sf83k5KBoSFJ80laqfLjbfImeZKzHkFNkhQLxawuMjZVv6ll79_KfMtYFWOb9i3tYGS3Bo_g8XTzeKeg-0n2_xcyBkOioUaEWMvuy3q2mYYAF3s8UYXUmq6Bx0bLTFjgiiB/s511/Piani.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="442" data-original-width="511" height="346" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisjM-Wy4RdLgvg1I2vYRQzKP2I0BIroZcdl1gRNODDrJ20BxNMRxoL8Sf83k5KBoSFJ80laqfLjbfImeZKzHkFNkhQLxawuMjZVv6ll79_KfMtYFWOb9i3tYGS3Bo_g8XTzeKeg-0n2_xcyBkOioUaEWMvuy3q2mYYAF3s8UYXUmq6Bx0bLTFjgiiB/w400-h346/Piani.png" width="400" /></a></div><br /><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><b style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><b style="font-family: inherit;"><i>Continuidad de los parques</i></b></div></b><i><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">Había empezado a leer la novela unos días antes. La abandonó por negocios urgentes, volvió a abrirla cuando regresaba en tren a la finca; se dejaba interesar lentamente por la trama, por el dibujo de los personajes. Esa tarde, después de escribir una carta a su apoderado y discutir con el mayordomo una cuestión de aparcerías, volvió al libro en la tranquilidad del estudio que miraba hacia el parque de los robles. Arrellanado en su sillón favorito, de espaldas a la puerta que lo hubiera molestado como una irritante posibilidad de intrusiones, dejó que su mano izquierda acariciara una y otra vez el terciopelo verde y se puso a leer los últimos capítulos. Su memoria retenía sin esfuerzo los nombres y las imágenes de los protagonistas; la ilusión novelesca lo ganó casi en seguida. Gozaba del placer casi perverso de irse desgajando línea a línea de lo que lo rodeaba, y sentir a la vez que su cabeza descansaba cómodamente en el terciopelo del alto respaldo, que los cigarrillos seguían al alcance de la mano, que más allá de los ventanales danzaba el aire del atardecer bajo los robles. Palabra a palabra, absorbido por la sórdida disyuntiva de los héroes, dejándose ir hacia las imágenes que se concertaban y adquirían color y movimiento, fue testigo del último encuentro en la cabaña del monte. Primero entraba la mujer, recelosa; ahora llegaba el amante, lastimada la cara por el chicotazo de una rama. Admirablemente restañaba ella la sangre con sus besos, pero él rechazaba las caricias, no había venido para repetir las ceremonias de una pasión secreta, protegida por un mundo de hojas secas y senderos furtivos. El puñal se entibiaba contra su pecho, y debajo latía la libertad agazapada. Un diálogo anhelante corría por las páginas como un arroyo de serpientes, y se sentía que todo estaba decidido desde siempre. Hasta esas caricias que enredaban el cuerpo del amante como queriendo retenerlo y disuadirlo, dibujaban abominablemente la figura de otro cuerpo que era necesario destruir. Nada había sido olvidado: coartadas, azares, posibles errores. A partir de esa hora cada instante tenía su empleo minuciosamente atribuido. El doble repaso despiadado se interrumpía apenas para que una mano acariciara una mejilla. Empezaba a anochecer.</span></i></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><i><span style="font-family: inherit;">Sin mirarse ya, atados rígidamente a la tarea que los esperaba, se separaron en la puerta de la cabaña. Ella debía seguir por la senda que iba al norte. Desde la senda opuesta él se volvió un instante para verla correr con el pelo suelto. Corrió a su vez, parapetándose en los árboles y los setos, hasta distinguir en la bruma malva del crepúsculo la alameda que llevaba a la casa. Los perros no debían ladrar, y no ladraron. El mayordomo no estaría a esa hora, y no estaba. Subió los tres peldaños del porche y entró. Desde la sangre galopando en sus oídos le llegaban las palabras de la mujer: primero una sala azul, después una galería, una escalera alfombrada. En lo alto, dos puertas. Nadie en la primera habitación, nadie en la segunda. La puerta del salón, y entonces el puñal en la mano, la luz de los ventanales, el alto respaldo de un sillón de terciopelo verde, la cabeza del hombre en el sillón leyendo una novela.</span></i></div></span></i></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-49683620835904886702022-12-07T12:41:00.007+01:002022-12-07T12:41:46.136+01:00Sul significato quantistico dello zero assoluto <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY5lfQ8K3uEOtBRif3ZhOU0d38FfdYN_xS9jgPJiV3DMV_34YdNhbFVuQcJUDWre3hd7-nur-aSE9zSE8YHXzvVYOXCQluJsU0a0RUiW5bRO3RoaU-UhLFvGrNsk97K5e3TLZeoyodYYvA7XAa4YyhjYbjfusaXcdNy75Ytq9H1RM7k1WAoH55kJMy/s1280/bxoCCxUR3m5VSHCvcnem_fundamental-constants.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgY5lfQ8K3uEOtBRif3ZhOU0d38FfdYN_xS9jgPJiV3DMV_34YdNhbFVuQcJUDWre3hd7-nur-aSE9zSE8YHXzvVYOXCQluJsU0a0RUiW5bRO3RoaU-UhLFvGrNsk97K5e3TLZeoyodYYvA7XAa4YyhjYbjfusaXcdNy75Ytq9H1RM7k1WAoH55kJMy/w640-h360/bxoCCxUR3m5VSHCvcnem_fundamental-constants.jpeg" width="640" /></a></div><div><br /></div><br /><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: medium;">Nel 1930, i fisici erano affascinati da un numero α chiamato <i>costante di struttura fine</i> o <i>costante di Sommerfeld</i>, la costante di accoppiamento dell'interazione elettromagnetica, di cui esprime l'intensità relativamente alla carica elementare. Fu introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916 come misura della deviazione relativistica delle linee spettrali del modello atomico di Bohr ed è espressa da una relazione fra costanti fisiche nell'ambito dell'elettromagnetismo. Come tutte le costanti di accoppiamento, α è una quantità adimensionale, indipendente dal sistema di unità di misura usato. Essa vale esattamente 1/137, o almeno così si pensava allora.</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">A detta di Max Born, in </span><i style="font-family: inherit;">The Mysterious Number 137</i><span style="font-family: inherit;">, pubblicato nei </span><i style="font-family: inherit;">Proceedings of the Indian Academy of Sciences</i><span style="font-family: inherit;"> nel 1935, la costante </span><i style="font-family: inherit;">«Ha le conseguenze più fondamentali per la struttura della materia in generale».</i><span style="font-family: inherit;"> Tale costante definisce la scala degli oggetti naturali: le dimensioni degli atomi e di tutte le cose che sono costituite da atomi, l'intensità e i colori della luce, l'intensità delle forze elettromagnetiche, ecc. In sostanza, controlla e ordina tutto ciò che vediamo. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5n-EQShrDF22IbRnDDE9LCSjh-MWx7ERKz_1yc50Lj1V5E3WJhLVi5Cl1YsFlKn-15UCTydVmZheopql2cNOKSwO2lqR6lMAFs5ihd5udYZT9tCeWYgBUiAjzCXhukSp10KdgLSjxkVmlVuGp5FGLII1q0QuWMw5a1Prhyaqv7sUb8y_NRtmPmz5c/s620/u3aKuftIQgadjamyk1Lc_fine-str._BarryEvans.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="316" data-original-width="620" height="326" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5n-EQShrDF22IbRnDDE9LCSjh-MWx7ERKz_1yc50Lj1V5E3WJhLVi5Cl1YsFlKn-15UCTydVmZheopql2cNOKSwO2lqR6lMAFs5ihd5udYZT9tCeWYgBUiAjzCXhukSp10KdgLSjxkVmlVuGp5FGLII1q0QuWMw5a1Prhyaqv7sUb8y_NRtmPmz5c/w640-h326/u3aKuftIQgadjamyk1Lc_fine-str._BarryEvans.jpeg" width="640" /></a></div><br />La costante di struttura fine è di fondamentale importanza anche per quanto concerne il principio antropico, infatti, questo parametro adimensionale è determinante nel far sì che l'Universo si presenti così com'è, ossia in grado, tra le altre cose, di ospitare forme di vita. Una leggera variazione (del 10-20%) dal suo valore basterebbe infatti a influenzare in modo rilevante le leggi fisiche che governano l'Universo, in quanto si avrebbero cambiamenti nei rapporti tra le forze attrattive e repulsive tra le particelle elementari, con conseguenze dirette sulla costituzione della materia e sull'attività stellare. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La sua esistenza venne interpretata da alcuni scienziati come un indizio dell'incompletezza del nostro attuale modo di interpretare le leggi della natura. Come mai questo numero è l'esatto inverso di un numero intero? Alcuni, come Arthur Eddington, che perse molto tempo della sua gloriosa carriera in queste elucubrazioni numerologiche, credettero che questa coincidenza dovesse avere necessariamente un significato mistico. Eddington inizialmente pensava che α valesse 1/136, ma poi cambiò idea per accordarsi ai dati sperimentali, una evidente contraddizione rispetto alla sua idea platonica di derivare le costanti fondamentali della natura da speculazioni esclusivamente numeriche. Altri, come Wolfgang Pauli, interessato alla Kabbalah, che associa un numero a ogni lettera ebraica, fu sconvolto nel notare che il numero che la Kabbalah associa alla parola </span><i style="font-family: inherit;">Kabbalah </i><span style="font-family: inherit;">non è altro che... 137. Il 137 per Pauli fu una vera e propria ossessione (e lo fu anche per il suo amico e sodale lo psicanalista Carl Jung) e tale rimase fino al giorno della sua morte. Morì nella camera numero 137 dell’Ospedale di Zurigo. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUmk5ZeGbpF9aeAUngR6-xKYjGfo72JGzSyx9RUOYXeJtSxCflsTND99VP0UBwwW6AMxNDvTjDv60nYBDex_uIyihEQMBaLQeKXAI6-yPo8z7f1p05jFZ_zCB60aNLh7uxxkXtUGomXfg4edxzTS3UiNtCAsCwQccvFE3J8nCqNOLmnyMqXkvW5Eei/s1200/ElMpKjbXUAE3zOC.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUmk5ZeGbpF9aeAUngR6-xKYjGfo72JGzSyx9RUOYXeJtSxCflsTND99VP0UBwwW6AMxNDvTjDv60nYBDex_uIyihEQMBaLQeKXAI6-yPo8z7f1p05jFZ_zCB60aNLh7uxxkXtUGomXfg4edxzTS3UiNtCAsCwQccvFE3J8nCqNOLmnyMqXkvW5Eei/w640-h360/ElMpKjbXUAE3zOC.jpg" width="640" /></a></div><br />Per prendere in giro questi eccessi numerologici, un giovane fisico, Hans Bethe, che avrebbe ricevuto il Premio Nobel nel 1967, scrisse con altri un articolo [1] in cui affermava di spiegare perché lo zero assoluto della temperatura, lo zero Kelvin, è pari a −273° Celsius. Questa corrispondenza non è convenzionale, spiegava, perché −273 è uguale a −274 + 1. Tuttavia, 274 è uguale a due volte 137, cioè due volte l'inverso della costante di struttura fine. Hans Bethe continuava poi questa assurda </span><i style="font-family: inherit;">ratatouille </i><span style="font-family: inherit;">mescolando alcuni argomenti speciosi, spiegando ad esempio che è l'esistenza del neutrone che richiede l'aggiunta di un "più uno" affinché il calcolo sia corretto. </span></div></span><i><blockquote><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">“Consideriamo un reticolo cristallino esagonale. La temperatura dello zero assoluto è caratterizzata dalla condizione che tutti i gradi di libertà sono congelati. Ciò significa che tutti i movimenti interni del reticolo cessano. Questo ovviamente non vale per un elettrone su un orbitale di Bohr. Secondo Eddington, ogni elettrone ha 1/α gradi di libertà, dove α è la costante struttura fine di Sommerfeld. Oltre agli elettroni, il cristallo contiene solo protoni, per i quali il numero di gradi di libertà è lo stesso poiché, secondo Dirac, il protone può essere visto come un buco nel gas di elettroni. Per ottenere lo zero assoluto dobbiamo quindi rimuovere dalla sostanza 2/α −1 gradi di libertà per neutrone. (Il cristallo nel suo insieme dovrebbe essere elettricamente neutro; 1 neutrone = 1 elettrone + 1 protone. Un grado di libertà rimane a causa del movimento orbitale.) Per la temperatura dello zero assoluto otteniamo quindi: </span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"> T</span><sub style="font-family: inherit;">0</sub><span style="font-family: inherit;">= −(2/α −1)°. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Se prendiamo T</span><sub style="font-family: inherit;">0</sub><span style="font-family: inherit;"> = −273 otteniamo per 1/α il valore di 137 che concorda entro certi limiti con il numero ottenuto con un metodo completamente diverso. Si può facilmente dimostrare che questo risultato è indipendente dalla scelta della struttura cristallina”. </span></div></span></blockquote></i><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per chiunque abbia basi rudimentali di fisica moderna, l’articolo è privo di senso ed è una evidente parodia di certi tipi di "numerologia" che sono popolari tra pseudoscienziati e invasati. Per i suoi autori nel 1931 era ugualmente privo di senso; la fisica dello stato solido era meno avanzata di oggi e stava subendo alcuni cambiamenti drammatici causati dalla rivoluzione della fisica quantistica. Tuttavia, c’erano enormi lacune nella logica che avrebbero dovuto essere ovvie per i fisici di quel tempo. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ad esempio, α è indipendente dai sistemi di unità di misura, mentre il numero −273 per lo zero assoluto si applica solo ai gradi Celsius; in un altro sistema come i gradi Fahrenheit, lo zero assoluto è a −459° F. Questa è solo la sciocchezza più ovvia nel documento, ma avrebbe dovuto essere sufficiente per gli editori del giornale per capirlo. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">L'articolo fu pubblicato su una rivista molto seria il 9 gennaio 1931. Tre mesi dopo, il direttore della rivista dovette pubblicare una nota spiegando che questa bufala aveva solo lo scopo di mettere in guardia contro la proliferazione di pubblicazioni che rientrano in quelle che ora vengono chiamate "scemenze". Inoltre, ora sappiamo che la costante di struttura fine non vale 1/137 ma 1/137.035.999... Non è il reciproco di un intero, quindi non c'era bisogno di fare tante speculazioni. </span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">[1] G. Beck, H. Bethe, W. Riezler, </span><i style="font-family: inherit;">"Remarks on the quantum theory of the absolute zero of temperature"</i><span style="font-family: inherit;">, Die Naturwissenschaften, 2 (1931) </span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-78238565503990034272022-12-05T07:30:00.001+01:002022-12-05T07:30:00.220+01:00Bielefeld non esiste<p> </p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuMedsltUdJ7BsqtFAcVaSMj15Faq46snI4n75_evl9cs_cxA__syDVIkglalTrKGwAqiGgXtqcx-guY1bVi_floQSC4rwG3PL-SbWOZ2C9lh-Ni_Y8A5YhuHZAPMAHLV-10O6QPDilEqiWARfUsKys8Q3K441oSXiUxrkeF2Q4dlaeVRJucUZqQvW/s264/Biele.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="191" data-original-width="264" height="463" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuMedsltUdJ7BsqtFAcVaSMj15Faq46snI4n75_evl9cs_cxA__syDVIkglalTrKGwAqiGgXtqcx-guY1bVi_floQSC4rwG3PL-SbWOZ2C9lh-Ni_Y8A5YhuHZAPMAHLV-10O6QPDilEqiWARfUsKys8Q3K441oSXiUxrkeF2Q4dlaeVRJucUZqQvW/w640-h463/Biele.jpeg" width="640" /></a></div><br />Il complotto di Bielefeld (</span><i style="font-family: inherit;">Bielefeld Verschwörung</i><span style="font-family: inherit;">) è una teoria satirica che afferma che la città di Bielefeld, in Germania, non esiste, ma è un'illusione propagata da varie forze occulte. Pubblicata per la prima volta sulla Usenet tedesca nel 1994, essa è probabilmente la più antica tra le varie che, in tutto il mondo, negano l’esistenza di qualche località o addirittura di regioni (come da noi il Molise) o intere nazioni (come la Finlandia o l’Australia).</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La storia racconta che la città di Bielefeld (341.755 abitanti a dicembre 2021) nello stato tedesco del Nord Reno-Westfalia in realtà non esiste. Piuttosto, la sua esistenza è semplicemente propagata da un'entità nota solo come SIE ("loro" in tedesco, sempre in maiuscolo), che ha cospirato con le autorità per creare l'illusione dell'esistenza della città.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La burla pone tre domande:</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Conosci qualcuno di Bielefeld? </span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: medium;">Sei mai stato a Bielefeld? </span></div><div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit; font-size: large;">Conosci qualcuno che sia mai stato a Bielefeld?</span></div><span style="font-size: medium;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Ci si aspetta che la maggioranza risponda negativamente a tutte e tre le domande. Chiunque possa rispondere di sì a una qualsiasi delle domande o rivendicare qualsiasi altra conoscenza su Bielefeld viene immediatamente additato come coinvolto nella cospirazione o sua vittima.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Le origini e le ragioni di questa cospirazione non fanno parte della teoria originale. Tra i creatori del complotto sono stati indicati scherzosamente la CIA, il Mossad o gli alieni, che usano l'Università di Bielefeld come travestimento per la loro navicella spaziale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">La teoria del complotto è stata resa pubblica per la prima volta in un messaggio in un social il 16 maggio 1994 da Achim Held, uno studente di informatica all'Università di Kiel. Quando un amico di Achim Held incontrò qualcuno di Bielefeld a una festa studentesca nel 1993, disse </span><i style="font-family: inherit;">Das gibt's doch gar nicht</i><span style="font-family: inherit;">, una frase paragonabile a "Non ci credo", a significare incredulità o sorpresa. Tuttavia, la sua traduzione letterale è "Non può essere vero", suggerendo così (ambiguamente) non solo che l'affermazione non era reale, ma anche che nemmeno la città è reale. Da lì, si è diffuso in tutta la comunità Internet di lingua tedesca e continua ad essere popolare anche dopo quasi trent’anni.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">In un'intervista televisiva condotta per il decimo anniversario della pubblicazione sul newsgroup, Held affermò che questa burla sicuramente ebbe origine dal suo messaggio su Usenet, che era inteso solo come uno scherzo. Secondo Held, l'idea della teoria del complotto si è formata nella sua mente mentre parlava con un avido lettore di riviste New Age e da un viaggio in macchina presso Bielefeld in un momento in cui l'uscita dall'autostrada per la città era chiusa.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Lo storico Alan Lessoff osserva che una ragione del successo della burla è la mancanza di caratteristiche degne di nota di Bielefeld, poiché non ospita grandi istituzioni o attrazioni turistiche e non si trova sul corso di un fiume importante, "Bielefeld vuol dire anonimo".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nel novembre 2012, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto riferimento in pubblico alla cospirazione parlando di una riunione del municipio a cui aveva partecipato a Bielefeld, aggiungendo: "... se esiste" e "ho avuto l'impressione di essere lì".</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ0DfXWRdJC29wZYhUx7Jl1WmBTj_knKntY-Nnt0J2FoeWnp3peXzDTG39hzOyyBWNoRHodA2zfaoq8Ap9PYzvRYoXyBCX6ZyGfXBwJt1xQBBz-jTzxU2qAwofaOelYrQoyccHMMDW7gw9IyulBTbUrVCPiMsObHtQ-yL64o6Y__fQoFeTMXZsXz_B/s793/305286798_5791551710883107_7845468694492295231_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="380" data-original-width="793" height="306" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJ0DfXWRdJC29wZYhUx7Jl1WmBTj_knKntY-Nnt0J2FoeWnp3peXzDTG39hzOyyBWNoRHodA2zfaoq8Ap9PYzvRYoXyBCX6ZyGfXBwJt1xQBBz-jTzxU2qAwofaOelYrQoyccHMMDW7gw9IyulBTbUrVCPiMsObHtQ-yL64o6Y__fQoFeTMXZsXz_B/w640-h306/305286798_5791551710883107_7845468694492295231_n.jpg" width="640" /></a></div><br />Il consiglio comunale di Bielefeld si è adoperato per generare pubblicità per Bielefeld e costruire un'immagine pubblica della città conosciuta a livello nazionale. Tuttavia, anche dieci anni dopo l'inizio della cospirazione, l'ufficio del sindaco riceveva ancora telefonate ed e-mail che affermavano di dubitare dell'esistenza della città.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il primo aprile del 1999, il consiglio comunale ha rilasciato un comunicato stampa intitolato </span><i style="font-family: inherit;">Bielefeld gibt es doch!</i><span style="font-family: inherit;"> (Bielefeld esiste!). In riferimento all'origine del presunto complotto, l'800° anniversario di Bielefeld si è tenuto nel 2014 con il motto </span><i style="font-family: inherit;">Das gibt's doch gar nicht </i><span style="font-family: inherit;">(“Non può essere vero”).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nell'agosto 2019, il consiglio comunale si è offerto di donare 1 milione di euro a chiunque potesse fornire "prove incontrovertibili" della sua inesistenza nel tentativo di aumentare l'interesse per la città. Poiché nessuno è stato in grado di provare l'inesistenza di Bielefeld, la città vede quindi la sua esistenza come conclusiva e la cospirazione come terminata (in realtà, posta in questi termini, la questione è indecidibile). Per commemorarlo, la città eresse una lapide sopra un masso erratico nel centro storico vicino al monumento ai tessitori di lino.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihPCzqoLoKvJagvk10c6LoUOyfCSu-JXKxXAE3j83cQuoZkvZxZZ6-OpbPkRcNh9wCInz690Pb4rr8DM3P4eHoz4URitWluxzpPHbfW38v_Pa7iEkDiryYwVmzATkr2lJjbSQamyKyrBuJWPKH8ENovgfl5igthxU7J4LPojMLSNzGPiNehzSQLdBT/s4096/EEqe3g2W4AUFFTr.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2731" data-original-width="4096" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihPCzqoLoKvJagvk10c6LoUOyfCSu-JXKxXAE3j83cQuoZkvZxZZ6-OpbPkRcNh9wCInz690Pb4rr8DM3P4eHoz4URitWluxzpPHbfW38v_Pa7iEkDiryYwVmzATkr2lJjbSQamyKyrBuJWPKH8ENovgfl5igthxU7J4LPojMLSNzGPiNehzSQLdBT/w640-h426/EEqe3g2W4AUFFTr.jpeg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: inherit;"><br /></span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
</div><div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5010563870962388688.post-25903446988985812582022-12-04T07:30:00.003+01:002022-12-04T07:30:00.208+01:00La straordinaria invenzione di Claude Émile Jean-Baptiste Litre<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLEeQckQw2Rz9gW0lu0GPRuiIqd4sYtFnl-0hIfWPjFhQp-TAp4HLr4g_CgSNkBQ-MJ7GUW8en2FlombBj1rN8p9J31CImGtr2ssfxxXxN5Fgt2BPHq-2ehPcqsD5TcXqmkhv7RaPcocpfrlPnrMWByonPb3crgbtAG95NJvcsq73pAn6gUSHnIIYy/s253/litre-hoax-page-11-october-2018_0.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="253" data-original-width="164" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiLEeQckQw2Rz9gW0lu0GPRuiIqd4sYtFnl-0hIfWPjFhQp-TAp4HLr4g_CgSNkBQ-MJ7GUW8en2FlombBj1rN8p9J31CImGtr2ssfxxXxN5Fgt2BPHq-2ehPcqsD5TcXqmkhv7RaPcocpfrlPnrMWByonPb3crgbtAG95NJvcsq73pAn6gUSHnIIYy/w259-h400/litre-hoax-page-11-october-2018_0.png" width="259" /></a></div><br /><p></p><span style="font-size: medium;"><div style="font-family: inherit; text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il </span><i style="font-family: inherit;">Sistema internazionale delle unità di misura</i><span style="font-family: inherit;"> (SI) di solito consente l'uso della lettera maiuscola solo quando un'unità prende il nome da una persona. Ora, spesso è difficile distinguere tra il carattere "l" e la cifra "1" in determinati font o grafie, e quindi sia la minuscola (l) che la maiuscola (L) sono consentite come simbolo per litro. Il </span><i style="font-family: inherit;">National Institute of Standards and Technology</i><span style="font-family: inherit;"> degli Stati Uniti ora raccomanda l'uso della lettera maiuscola L, una pratica ampiamente seguita anche in Canada e Australia.</span></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Fu così che, per giustificare l'uso della L maiuscola per denotare i litri, nacque Claude Émile Jean-Baptiste Litre (1716-1778).</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Kenneth Woolner pubblicò la bufala come pesce d’aprile 1978 in un lungo e serioso articolo di </span><i style="font-family: inherit;">"CHEM 13 News",</i><span style="font-family: inherit;"> una newsletter dell'Università canadese di Waterloo di didattica della chimica per insegnanti. Secondo l’articolo, Claude Litre nacque il 12 febbraio 1716 nel villaggio di Margaux (è il nome di uno dei più prestigiosi bordeaux di Francia), figlio di un produttore di bottiglie di vino. In effetti, le bottiglie da un litro erano state un elemento vitale dell'industria vinicola di Bordeaux sin dagli anni '20 del Seicento, anche se nessuno si preoccupava del suo esatto valore. Questa tradizione familiare di interesse per i problemi di contenimento dei liquidi e la conoscenza delle proprietà del vetro ebbe senza dubbio una grande influenza sul lavoro successivo di Litre per la misurazione della capacità.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Litre mostrò subito talento matematico. Fu incoraggiato e protetto da diversi illustri scienziati (de Maupertuis e Celsius sopra tutti) nel corso della sua vita, durante la quale realizzò i primi cilindri di vetro con graduazioni accurate. Prima di Litre, nessuno aveva mai realizzato un cilindro preciso di vetro trasparente, e i suoi cilindri variavano di diametro interno di meno dello 0,1% su tutta la loro altezza. E nessuno, prima di Litre, aveva graduato con tanta precisione un cilindro di vetro, in decimi, centesimi e talvolta anche millesimi. I suoi cilindri graduati erano ambiti dai chimici di tutta Europa.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZ1kh0tgZZ8Uxnmfkks0c4I_zOKF0hjRcn40ZNkXkXHnTRNwO-AL5C2dIeyMw3Vx3HC54Xi07PGBX0cIyS8XmyWyD2jq6z0rAM2cJlZWfQtQFvzU9N9F1Igw4RcKaCWHVHduXgRFL6A1kSnv5pdIqK9jMVIqqHLCFtMySPuMy1zxxGgr5NhWfv8clV/s1500/61nDNqMBhLL._SL1500_.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1500" data-original-width="594" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZ1kh0tgZZ8Uxnmfkks0c4I_zOKF0hjRcn40ZNkXkXHnTRNwO-AL5C2dIeyMw3Vx3HC54Xi07PGBX0cIyS8XmyWyD2jq6z0rAM2cJlZWfQtQFvzU9N9F1Igw4RcKaCWHVHduXgRFL6A1kSnv5pdIqK9jMVIqqHLCFtMySPuMy1zxxGgr5NhWfv8clV/w254-h640/61nDNqMBhLL._SL1500_.jpg" width="254" /></a></div><br />La sua principale opera scritta, gli </span><i style="font-family: inherit;">Études Volumétriques</i><span style="font-family: inherit;"> del 1763, fu tradotta in inglese nel 1764 da Joseph Priestley (1733-1804) e in tedesco nel 1767 da Karl Wilhelm Scheele (1742-1786). Nella prefazione alla traduzione, Priestley elogiò il lavoro di Litre come un perfetto esempio del fatto che "</span><i style="font-family: inherit;">tutte le cose (e in particolare qualsiasi cosa dipenda dalla scienza) negli ultimi anni hanno avuto un progresso verso la perfezione più rapido che mai”</i><span style="font-family: inherit;">.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Dei cilindri graduati di Litre non sopravvive un solo esemplare, ma durante la sua illustre carriera scientifica, Litre propose un'unità di misura del volume che fu incorporata nel Sistema internazionale di unità dopo la sua morte nel 1778.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Gli ultimi anni di Litre trascorsero nella fama e adulazione accumulata tra i sapienti di Parigi, e purtroppo furono turbati da una sequenza senza fine di contenziosi sui brevetti contro vetrai tedeschi, veneziani e boemi. Sebbene fosse il destinatario di ogni onore civile che la Francia potesse conferire, Litre non fu mai ammesso all'</span><i style="font-family: inherit;">Académie des Sciences</i><span style="font-family: inherit;">, anche se costruì apparati per tutti i filosofi dell’Accademia e molti di loro lo consideravano un amico. Si dice che Litre sia stato escluso da Lavoisier, che non voleva che l'atmosfera aristocratica del consesso fosse contaminata da un </span><i style="font-family: inherit;">"fournisseur"</i><span style="font-family: inherit;">. Litre rifiutò di lasciarsi turbare da questa mancanza di riconoscimento ufficiale da parte dell'establishment scientifico. In effetti, sembra che non si sia mai lasciato turbare da nulla: era un individuo paziente, flemmatico, non portato all'argomentazione. Era astemio, laborioso e in ottima salute quando morì prematuramente il 5 agosto 1778, durante l'epidemia di colera di quell'anno.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Nei suoi</span><i style="font-family: inherit;"> Études Volumétriques</i><span style="font-family: inherit;"> Litre aveva scelto, per il suo volume standard, una misura molto vicina al vecchio </span><i style="font-family: inherit;">flaçon royal </i><span style="font-family: inherit;">di Enrico IV, introdotto nel 1595 per standardizzare la tassazione del vino. Tuttavia, riconobbe l'arbitrarietà di questa unità e suggerì che in qualsiasi sistema di unità razionalizzato, il volume avrebbe potuto essere specificato in termini di massa standard di un liquido standard. Ma il sogno di Litre di un sistema di unità razionalizzato non iniziò a concretizzarsi che 15 anni dopo la sua morte, quando il matematico Lagrange (1736 – 1813) fu nominato a capo di una commissione per elaborare un tale sistema. E nel 1795 nacque il sistema metrico decimale.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiyxYrlAT399FrfqNTp0ICA5vN1Id7nNujjM4DzdiI8t_h626R_Xb31GG-wCfcI_SCud028X5tUq56VKNRFrbWEsDuLSfnrMLkkK4bmRXogV1vM1je6hVSGd04RwUtODEAtdEJbH6Uf_JA5qJzht_uhrTeedmtucHi8GlSVxQlURhG5VipFTcErM-W/s1080/FB_IMG_1649491121006.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="868" data-original-width="1080" height="514" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjiyxYrlAT399FrfqNTp0ICA5vN1Id7nNujjM4DzdiI8t_h626R_Xb31GG-wCfcI_SCud028X5tUq56VKNRFrbWEsDuLSfnrMLkkK4bmRXogV1vM1je6hVSGd04RwUtODEAtdEJbH6Uf_JA5qJzht_uhrTeedmtucHi8GlSVxQlURhG5VipFTcErM-W/w640-h514/FB_IMG_1649491121006.jpg" width="640" /></a></div><br />Il chimico Antoine de Fourcroy (1755-1809), che aveva studiato la costruzione di strumenti nella fabbrica di Litre prima del suo grande lavoro sulla nomenclatura con Lavoisier, fu probabilmente il primo a suggerire che il nome di Litre fosse usato per l'unità di volume.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Il finto tributo di Woolner era talmente adattato ai suoi potenziali lettori che fu preso sul serio. Nel 1980 fu pubblicato un abstract su </span><i style="font-family: inherit;">Chemistry International</i><span style="font-family: inherit;">, la rivista dell'</span><i style="font-family: inherit;">International Union of Pure and Applied Chemistry</i><span style="font-family: inherit;"> (IUPAC), che fu ritrattato secondo i crismi nel numero successivo della rivista.</span></div></span><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="font-family: inherit;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: inherit;">Per i più curiosi, aggiungo che il cognome del grande scienziato (poi nome dell'unità di capacità) deriva dal francese </span><i style="font-family: inherit;">litre</i><span style="font-family: inherit;">, da </span><i style="font-family: inherit;">litron</i><span style="font-family: inherit;">, nome di un’antica misura francese di capacità per il grano (XVI sec.), dal latino medievale </span><i style="font-family: inherit;">litra</i><span style="font-family: inherit;">, a sua volta dal greco λιτρα, "libbra" (unità di peso).</span></div></span></span><div style="text-align: justify;"><br /></div>
<div class="blogger-post-footer">http://keespopinga.blogspot.com/feeds/posts/default?alt=rss</div>Marco Fulvio Barozzihttp://www.blogger.com/profile/17070968412852299362noreply@blogger.com0