L’incontro
Nell’Aeropagitica, il discorso per la libertà di stampa rivolto al Parlamento nel 1644, il grande poeta inglese John Milton, secondo i conterranei secondo solo a Shakespeare, riferisce di aver fatto visita a Galileo Galilei durante il suo soggiorno italiano del 1638, prima di essere richiamato in Inghilterra dalle avvisaglie della Guerra Civile. Milton aveva 29 anni e aveva appena incominciato la sua luminosa carriera. Galileo era vecchio, ormai cieco e agli arresti domiciliari nella sua casa di Arcetri: “There it was that I found and visited the famous Galileo grown old, a prisner to the Inquisition, for thinking in Astronomy otherwise then the Franciscan and Dominican licencers thought. And though I knew that England then was groaning loudest under the Prelaticall yoak, neverthelesse I took it as a pledge of future happines, that other Nations were so perswaded of her liberty” (Accadde che trovai e visitai il celebre Galileo, invecchiato, prigioniero dell’Inquisizione per aver pensato in Astronomia diversamente dagli ufficiali Francescani e Domenicani. E sebbene sapessi che l’Inghilterra allora gemeva ad alta voce sotto il giogo pretesco, tuttavia considerai come una promessa di felicità futura che altre Nazioni fossero così convinte della sua libertà).
È difficile leggere questo passaggio senza riconoscere che per Milton lo scienziato italiano rappresentasse un simbolo della Nuova Scienza e un martire della libertà intellettuale. Così l’incontro è stato interpretato da molti, anche a livello popolare. Lo testimoniano le numerose opere poetiche e pittoriche che sono state dedicate all’episodio, come l’incisione pubblicata sull’Art Journal di Londra nel 1864 che ho riprodotto in apertura di questo articolo.
Milton fa riferimento a Galileo in tre occasioni nella sua opera principale, il “Paradiso Perduto” (Paradise Lost), un poema epico in dodici canti sulla creazione, la caduta dell’uomo, la sua cacciata dall’Eden, lo schema divino della sua redenzione. Il poema, considerato uno dei capolavori della letteratura universale, fu scritto tra il 1658 e il 1665. Tutte tre le volte il pisano è associato allo strumento che gli aveva assicurato la fama, il telescopio. Galileo è il solo contemporaneo menzionato nel poema, una volta per nome e due volte attraverso una perifrasi.
Le macchie della Luna
Nel primo libro dell’opera (vv, 287-291), un riferimento a Galileo compare quando il poeta descrive lo scudo di Satana, il quale:
Hung on his shoulders like the Moon, whose Orb
Through Optic Glass the Tuscan Artist views
At Ev'ning from the top of Fesole,
Or in Valdarno, to descry new Lands,
Rivers or Mountains in her spotty Globe.
Pende dalle sue spalle come la Luna, la cui Sfera
osserva l’artista toscano con il Vetro Ottico,
di sera, dalla collina di Fiesole
o in Valdarno, per descrivere nuove Terre,
Fiumi o Monti sul suo maculato Globo.
Le macchie della Luna, le sue irregolarità, sono secondo Galileo un argomento contro la statica perfezione dei corpi celesti, sostenuta da molti filosofi antichi e suoi contemporanei. Nel Sidereus Nuncius (1610) afferma infatti:
Queste macchie alquanto scure e abbastanza ampie, ad ognuno visibili, furono scorte in ogni tempo; e perciò le chiameremo grandi o antiche, a differenza di altre macchie minori per ampiezza ma pure così frequenti da coprire l'intera superficie lunare, soprattutto la parte più luminosa: e queste non furono viste da altri prima di noi. Da osservazioni più volte ripetute di tali macchie fummo tratti alla convinzione che la superficie della Luna non è levigata, uniforme ed esattamente sferica, come gran numero di filosofi credette di essa e degli altri corpi celesti, ma ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli.
Le macchie solari
Il secondo accenno a Galileo contenuto nel Paradise Lost si trova nel terzo libro (vv. 588-590), nel passo in cui Satana atterra sul Sole prima di iniziare la sua discesa sull’Eden. In questa occasione Milton paragona l’angelo caduto a una macchia solare:
There lands the Fiend, a spot like which perhaps
Astronomer in the Sun's lucent Orbe
Through his glaz'd Optic Tube yet never saw.
Là approda il Demonio, una tale macchia che forse
l’Astronomo nella lucente Sfera del Sole
con il suo vitreo Tubo Ottico mai non vide.
È certo che Milton conoscesse gli scritti di Galileo sulle macchie solari, in cui di nuovo veniva criticata senza remore la posizione aristotelica, divenuta dottrina per la chiesa. In una lettera all’accademico dei Lincei Federico Cesi (colui che avrebbe inventato la parola “telescopio”), datata 12 maggio 1612, lo scienziato invia una copia delle sue prime osservazioni, osservando:
Circa le quali macchie io finalmente concludo, e credo di poterlo necessariamente dimostrare, che le sono contigue alla superficie del corpo solare, dove esse si generano e si dissolvono continuamente, nella guisa appunto delle nugole intorno alla terra, e dal medesimo sole vengono portate in giro, rivolgendosi egli in sè stesso in un mese lunare con revolutione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato [l’insieme dei filosofi aristotelici, o peripatetici] per mantenimento della immutabilità de i cieli.
Galileo chiaramente riconosceva la natura rivoluzionaria delle sue dichiarazioni, anche se ancora non si rendeva conto delle conseguenze che giudizi simili avrebbero creato sulla sua carriera e nei rapporti tra la chiesa e la nuova scienza che stava contribuendo a far nascere.
Il nocchiero nell’Egeo
L’ultimo riferimento a Galileo si trova nel quinto libro del poema (vv. 261-266). Questa volta il suo nome viene fatto direttamente, in un passaggio che descrive con intensità la discesa dell’arcangelo Raffaele, giunto ad ammonire Adamo per l’ultima volta:
(…) As when by night the Glass
Of Galileo, less assur'd, observes
Imagind Lands and Regions in the Moon:
Or Pilot from amidst the Cyclades
Delos or Samos first appeering kenns
A cloudy spot (…).
(…) Come quando di notte la Lente
di Galileo, meno sicura, osserva
Terre immaginate e Regioni sulla Luna:
o il Nocchiero in mezzo alle Cicladi
guarda il comparire di Delo o Samo,
una cupa macchia. (…).
Grazie al potere del suo strumento, Galileo è qui l’esploratore che cartografa le regioni del nostro satellite e scorge i contorni incerti di nuove terre, come il nocchiero di una nave che sia avvicina alle isole egee. Nel Sidereus Nuncius egli descrive la visione telescopica in termini entusiastici sin dall’inizio: nella dedica a Cosimo II de’Medici suggerisce che le stelle possono essere considerate incorruttibili monumenti. Prima di dedicare le lune di Giove appena scoperte alla famiglia regnante, afferma infatti:
Alcuni però che guardano a cose più salde e durature consacrarono la fama eterna di uomini sommi non a marmi o metalli, ma alla custodia delle Muse e agli incorrotti monumenti delle lettere. Ma perché ricordo queste cose? quasi che l'ingegno umano, contento di queste regioni, non abbia osato andar oltre: invece, guardando più lontano, avendo ben compreso che tutti i monumenti umani per violenza di tempeste o per vecchiezza alfine muoiono, pensò più incorruttibili monumenti, sui quali il tempo vorace e l'invidiosa vecchiezza non potessero reclamare diritti. E scrutando il cielo affidò a quei noti eterni Globi di chiarissime Stelle i nomi di coloro che per opere egrege e quasi divine furono stimati degni di godere insieme agli Astri l'eternità. Per questo non si oscurerà la fama di Giove, Marte, Mercurio, Ercole e degli altri eroi con i cui nomi si chiamano le Stelle, prima che lo splendore delle stesse Stelle.
Nell’Aeropagitica, il discorso per la libertà di stampa rivolto al Parlamento nel 1644, il grande poeta inglese John Milton, secondo i conterranei secondo solo a Shakespeare, riferisce di aver fatto visita a Galileo Galilei durante il suo soggiorno italiano del 1638, prima di essere richiamato in Inghilterra dalle avvisaglie della Guerra Civile. Milton aveva 29 anni e aveva appena incominciato la sua luminosa carriera. Galileo era vecchio, ormai cieco e agli arresti domiciliari nella sua casa di Arcetri: “There it was that I found and visited the famous Galileo grown old, a prisner to the Inquisition, for thinking in Astronomy otherwise then the Franciscan and Dominican licencers thought. And though I knew that England then was groaning loudest under the Prelaticall yoak, neverthelesse I took it as a pledge of future happines, that other Nations were so perswaded of her liberty” (Accadde che trovai e visitai il celebre Galileo, invecchiato, prigioniero dell’Inquisizione per aver pensato in Astronomia diversamente dagli ufficiali Francescani e Domenicani. E sebbene sapessi che l’Inghilterra allora gemeva ad alta voce sotto il giogo pretesco, tuttavia considerai come una promessa di felicità futura che altre Nazioni fossero così convinte della sua libertà).
È difficile leggere questo passaggio senza riconoscere che per Milton lo scienziato italiano rappresentasse un simbolo della Nuova Scienza e un martire della libertà intellettuale. Così l’incontro è stato interpretato da molti, anche a livello popolare. Lo testimoniano le numerose opere poetiche e pittoriche che sono state dedicate all’episodio, come l’incisione pubblicata sull’Art Journal di Londra nel 1864 che ho riprodotto in apertura di questo articolo.
Milton fa riferimento a Galileo in tre occasioni nella sua opera principale, il “Paradiso Perduto” (Paradise Lost), un poema epico in dodici canti sulla creazione, la caduta dell’uomo, la sua cacciata dall’Eden, lo schema divino della sua redenzione. Il poema, considerato uno dei capolavori della letteratura universale, fu scritto tra il 1658 e il 1665. Tutte tre le volte il pisano è associato allo strumento che gli aveva assicurato la fama, il telescopio. Galileo è il solo contemporaneo menzionato nel poema, una volta per nome e due volte attraverso una perifrasi.
Le macchie della Luna
Nel primo libro dell’opera (vv, 287-291), un riferimento a Galileo compare quando il poeta descrive lo scudo di Satana, il quale:
Hung on his shoulders like the Moon, whose Orb
Through Optic Glass the Tuscan Artist views
At Ev'ning from the top of Fesole,
Or in Valdarno, to descry new Lands,
Rivers or Mountains in her spotty Globe.
Pende dalle sue spalle come la Luna, la cui Sfera
osserva l’artista toscano con il Vetro Ottico,
di sera, dalla collina di Fiesole
o in Valdarno, per descrivere nuove Terre,
Fiumi o Monti sul suo maculato Globo.
Le macchie della Luna, le sue irregolarità, sono secondo Galileo un argomento contro la statica perfezione dei corpi celesti, sostenuta da molti filosofi antichi e suoi contemporanei. Nel Sidereus Nuncius (1610) afferma infatti:
Queste macchie alquanto scure e abbastanza ampie, ad ognuno visibili, furono scorte in ogni tempo; e perciò le chiameremo grandi o antiche, a differenza di altre macchie minori per ampiezza ma pure così frequenti da coprire l'intera superficie lunare, soprattutto la parte più luminosa: e queste non furono viste da altri prima di noi. Da osservazioni più volte ripetute di tali macchie fummo tratti alla convinzione che la superficie della Luna non è levigata, uniforme ed esattamente sferica, come gran numero di filosofi credette di essa e degli altri corpi celesti, ma ineguale, scabra e con molte cavità e sporgenze, non diversamente dalla faccia della Terra, variata da catene di monti e profonde valli.
Le macchie solari
Il secondo accenno a Galileo contenuto nel Paradise Lost si trova nel terzo libro (vv. 588-590), nel passo in cui Satana atterra sul Sole prima di iniziare la sua discesa sull’Eden. In questa occasione Milton paragona l’angelo caduto a una macchia solare:
There lands the Fiend, a spot like which perhaps
Astronomer in the Sun's lucent Orbe
Through his glaz'd Optic Tube yet never saw.
Là approda il Demonio, una tale macchia che forse
l’Astronomo nella lucente Sfera del Sole
con il suo vitreo Tubo Ottico mai non vide.
È certo che Milton conoscesse gli scritti di Galileo sulle macchie solari, in cui di nuovo veniva criticata senza remore la posizione aristotelica, divenuta dottrina per la chiesa. In una lettera all’accademico dei Lincei Federico Cesi (colui che avrebbe inventato la parola “telescopio”), datata 12 maggio 1612, lo scienziato invia una copia delle sue prime osservazioni, osservando:
Circa le quali macchie io finalmente concludo, e credo di poterlo necessariamente dimostrare, che le sono contigue alla superficie del corpo solare, dove esse si generano e si dissolvono continuamente, nella guisa appunto delle nugole intorno alla terra, e dal medesimo sole vengono portate in giro, rivolgendosi egli in sè stesso in un mese lunare con revolutione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo et ultimo giuditio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di sentir scaturire gran cose dal Peripato [l’insieme dei filosofi aristotelici, o peripatetici] per mantenimento della immutabilità de i cieli.
Galileo chiaramente riconosceva la natura rivoluzionaria delle sue dichiarazioni, anche se ancora non si rendeva conto delle conseguenze che giudizi simili avrebbero creato sulla sua carriera e nei rapporti tra la chiesa e la nuova scienza che stava contribuendo a far nascere.
Il nocchiero nell’Egeo
L’ultimo riferimento a Galileo si trova nel quinto libro del poema (vv. 261-266). Questa volta il suo nome viene fatto direttamente, in un passaggio che descrive con intensità la discesa dell’arcangelo Raffaele, giunto ad ammonire Adamo per l’ultima volta:
(…) As when by night the Glass
Of Galileo, less assur'd, observes
Imagind Lands and Regions in the Moon:
Or Pilot from amidst the Cyclades
Delos or Samos first appeering kenns
A cloudy spot (…).
(…) Come quando di notte la Lente
di Galileo, meno sicura, osserva
Terre immaginate e Regioni sulla Luna:
o il Nocchiero in mezzo alle Cicladi
guarda il comparire di Delo o Samo,
una cupa macchia. (…).
Grazie al potere del suo strumento, Galileo è qui l’esploratore che cartografa le regioni del nostro satellite e scorge i contorni incerti di nuove terre, come il nocchiero di una nave che sia avvicina alle isole egee. Nel Sidereus Nuncius egli descrive la visione telescopica in termini entusiastici sin dall’inizio: nella dedica a Cosimo II de’Medici suggerisce che le stelle possono essere considerate incorruttibili monumenti. Prima di dedicare le lune di Giove appena scoperte alla famiglia regnante, afferma infatti:
Alcuni però che guardano a cose più salde e durature consacrarono la fama eterna di uomini sommi non a marmi o metalli, ma alla custodia delle Muse e agli incorrotti monumenti delle lettere. Ma perché ricordo queste cose? quasi che l'ingegno umano, contento di queste regioni, non abbia osato andar oltre: invece, guardando più lontano, avendo ben compreso che tutti i monumenti umani per violenza di tempeste o per vecchiezza alfine muoiono, pensò più incorruttibili monumenti, sui quali il tempo vorace e l'invidiosa vecchiezza non potessero reclamare diritti. E scrutando il cielo affidò a quei noti eterni Globi di chiarissime Stelle i nomi di coloro che per opere egrege e quasi divine furono stimati degni di godere insieme agli Astri l'eternità. Per questo non si oscurerà la fama di Giove, Marte, Mercurio, Ercole e degli altri eroi con i cui nomi si chiamano le Stelle, prima che lo splendore delle stesse Stelle.
In questo caso, tuttavia, Milton non sembra condividere l’entusiasmo dello scienziato: una nota di ambiguità emerge nel suo riferimento. La lente di Galileo è less assur’d, meno sicura, e osserva Imagind Lands (Terre immaginate). Al di là della celebrazione dell’invenzione e delle nuove osservazioni da questa rese possibili, emerge un sottile dubbio. Milton, il religioso poeta che fu ministro di Cromwell, nella maniera allusiva e contorta che caratterizza lo stile poetico della sua epoca, adombra l’idea che il nostro progresso nella conoscenza possa essere un’illusione e che la visione dell’uomo, per quanto prodigiosamente accresciuta dai nuovi strumenti, non potrà mai eguagliare quella divina. Una parola accompagna infatti tutti i riferimenti a Galileo e al telescopio: “macchia” (spotty Globe, a spot … yet never saw, a cloudy spot), quasi a significare che l’imperfezione riscontrata nel cielo sia la stessa dell’umanità che la osserva.
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