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martedì 14 dicembre 2010

Piccola antologia dei poeti inesistenti (11): Attilio Vecchiatto

Come racconta Gianni Celati nell’antologia commentata che gli ha dedicato (Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna, Feltrinelli, 2010), l’attore veneziano Attilio Vecchiatto (1910–1993) ha vissuto un’esistenza errabonda e movimentata, in cui ha sperimentato l’esilio, i trionfi nei più grandi teatri sudamericani, il rapimento da parte dei guerriglieri colombiani, la bohéme del teatro sperimentale nel Bronx, gli allestimenti scespiriani con attori anziani e marionette ventriloque, il successo parigino tra gli intellettuali, l’invidia e l’ostilità di Dario Fo, la miseria nera degli ultimi anni italiani vissuti con la moglie Carlotta su e giù per la penisola, la prigione, la rinfrescante parentesi campana, la fine in una locanda veneziana per un colpo apoplettico.

13. Nos cui mundus est patria

Viaggiando fu l’albergo il mio castello
o un rifugio o un giaciglio di fortuna,
una capanna in Colombia o un bordello,
oppure in Venezuela il chiar di luna.

Mai ebbi casa né ebbi quel rovello:
niente da dire “mio” in cosa alcuna,
da un posto all’altro avendo nel cervello
l’idea che il mondo fosse la mia cuna.

Brontolava la moglie al ritornello
del nido necessario a far fortuna,
per non migrare sempre a mo’ d’uccello
e aver la casa che gli affetti aduna.

Hai ragione Carlotta, cuore attento,
ma la nostra casa sta tra il nulla e il vento.

Autore di poesie sin dagli anni ’30, quando si trovò a vivere in Argentina, Vecchiatto era già stato scoperto da Celati, che gli aveva già dedicato un testo in ricordo del suo ultimo spettacolo teatrale (Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, Feltrinelli, 1996). Egli aveva continuato a scrivere anche negli ultimi anni di vita, durante i quali spesso si guadagnava da vivere declamando versi e vendendone per strada le fotocopie. Il ritrovamento del grosso quaderno di sonetti in gran parte inediti, avvenuto qualche anno fa in un cassetto dell’ultima sua provvisoria dimora in una stanza della locanda di Sandon dal Fosso in cui morì, ha consentito la pubblicazione delle ultime opere di questo poeta straordinario, lucido e sfortunato.

1. Il viaggiatore torna in patria. Scritto in un caffé di Roma, tre mesi dopo il ritorno in Italia

Torna da vecchio in patria il viaggiatore
e guarda il suo paese ritrovato,
ora inospite, triviale, deturpato,
in mano a furbi senza alcun pudore:

fogna di massa, paese d’orrore
e di vergogne da togliere il fiato,
con quei somari del televisore
che fan del più fetente il più quotato.

Con chi scambiare idee in tal squallore,
dove impera il maramaldo unto e beato?
Cosa fare in balia d’un truffatore
che aizza tutto il popolo intronato?

Che dire? È in fogne, fango e brulicame
che fa carriera il Badalucco infame.


34. Sulla dittatura del nuovo

Hanno ficcato in testa a tutti quanti
che il nuovo sempre sia cosa migliore,
e in massa vedi ovunque gli zelanti
vestire i panni dell’adoratore

d’ogni gadget ch’è nuovo e un po’ più avanti
rispetto al nuovo delle sue passate ore,
con nuove macchinette elettrizzanti
esibite come titoli d’onore.

Il Badalucco la dà da bere a tanti
che non resta in giro un onesto obiettore:
tutti si inchinano ai nuovi fabbricanti
e il nuovo diventa la religion maggiore.

Questa è la vita come target aziendale:
e qui finisce il mio sonetto, bene o male.

Si tratta di sonetti formati da versi endecasillabi con schema ABAB ABAB ABAB CC (tre quartine a rime alterne e distico finale a rima baciata), talvolta caudati, secondo una metrica non molto comune. Essi, secondo il Celati, «parlano del vivere e del morire, dell’amore e del disamore, della nostra cecità e della luce immaginativa, della vita terrestre e della vocazione teatrale che ci guida attraverso il buio della mente. Ma soprattutto parlano d’una “Italia trista”, che non sa cosa sia vergogna, e dell’ottimismo obbligatorio più bigotto, della vita come target aziendale, dell’opulenza come insolenza, dell’italicismo come stupidità di comodo, e dell’ineluttabile ansia prodotta dal “borghese comfort della malora” (parole di Vecchiatto)».

9. Consuma, consuma e andrai in paradiso

Consuma, consuma e andrai in paradiso,
con tutti gli attori e la bella gente
che qui in terra hanno messo su il sorriso
di chi ha la fama dell’uomo vincente.

Continua a consumare e fai buon viso
a fregature, debiti e al demente
obbligo di star sempre sull’avviso,
perché del nuovo non ti sfugga niente.

Fai (come Badalucco) del tuo riso
uno stampo cosmetico lucente;
poi altre operazioni e un nuovo viso,
ti faranno un manichino appariscente.

Ma cadrai presto, sgonfio da far pietà,
nel baratro dell’umana nullità.


Sullo sfondo aleggia la figura del Badalucco, “categoria dello spirito” secondo il Vecchiatto, personaggio capace di portare tutti gli italiani nel buio più profondo di un ebete conformismo. L’opera non a caso è introdotta da una frase di Giordano Bruno che si ripete nell’esergo di ciascuna delle sue cinque parti (“puntate”): “Umbrarum fluctu terras mergente…”, che ben descrive non solamente il sentimento dell’autore, ma la situazione attuale dell’umanità: «È l’idea di un’oscurità in cui gli uomini vivono, come un grande mare di ombre che sommergono tutti i continenti piombando le menti degli uomini in una cecità molto difficile da superare». Alcuni hanno visto il Badalucco incarnato in un noto personaggio dell’economia e della politica, che negli ultimi lustri ha plasmato l’Italia a propria immagine e somiglianza, e che il lettore accorto saprà individuare. Ma forse è più corretto pensare che oramai il Badalucco è in ciascuno di noi e che ciascuno di noi è partecipe di un ineluttabile Badalucco universale, senza speranza di riscatto.

7. Seconda lezione di tenebre

Di tenebre si tace e chi ne parla
è dal consorzio civile isolato,
perché ogni tizio un po’ civilizzato
deve sempre mostrar con la sua ciarla

che sa dov’è la luce. E trascinato
dai discorsi degli altri (che poi a farla,
la luce, ci pensan poco) può darla
come un dato di fatto assicurato.

Dopo di che, ogni furbo che straparla,
con nuovi lumi oscuri come il fato,
succhierà soldi al tizio costernato
dal timore del buio che lo tarla.

Vecchiatto non vuol certo aver ragione,
ma rende omaggio al nostro tenebrone.

31. Ars moriendi. Scritto in un ospedale veneziano, in un momento di riflessione acuta, ma non depressiva

Dove il demone disumano impera
e travestito ormai da buon borghese
la belva finanziaria e menzognera
elegge a dio il denaro d’un paese,

di morire in pace ormai nessuno spera,
perché fino all’ultimo ha pretese
che il denaro lo salvi dalla fiera
morsa del nulla che sempre lo attese.

Ma tu Carlotta cara, amica vera,
ascolta Attilio che non può far spese
per curarsi la salute e che dispera
di sopravvivere ancora per un mese.

Sappi che lui non muore disperato,
a differenza del borghese infrollato.

NOTA. “Borghese infrollato” = reso frolle dagli agi. È l’infrollimento del borghese che vuole ogni comodità - ognuno per sé, a casa sua, etc.

4 commenti:

  1. Ma intanto il Badalucco con tre voti ti porta alle elezioni a marzo in posizione di forza.

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  2. Anche le "marionette ventriloque": quante cose devo essermi perso della vita!

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  3. Ho appena letto il libro curato da Celati. Lo ammetto: non avevo mai sentito parlare di Vecchiatto, ho acquistato il libro solo per via di Celati. Un grande attore di strada, il cui ricordo per strada s'è perso. In alcuni sonetti profetici quanto berlusconismo, quanta italianità nella sua più avvilente espressione! Penso vada un grossissimo grazie a Celati per aver portato a galla questo tesoro sommerso

    Trap

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  4. lettura attualissima e scorrevole, sia per le parti in prosa che quelle in versi

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