Questa favola l’ha scritta Anna. Dovrete ammettere che una favola in cui si parla dei preservativi è davvero strana. E il finale mi ricorda un certo libro e un certo film. Buona lettura.
LA CONDOMILLA
II mio nome è Brizio e sono il figlio del signore di Corneliano.
La mia storia cominciò un giorno di maggio di qualche anno fa. Dalle mie parti c'è l'usanza che il figlio minore di un nobile, a cui non spetta nulla dei beni paterni, vada in giro per il mondo alla ricerca di avventure e di fortuna. Così feci io quel lontano giorno di maggio. Lasciai il castello di mio padre, pieno di belle speranze e desideroso d'affrontare imprese rischiose e imprevisti. Ero entrato da poco nell'età adulta e avevo ancora la spavalderia dell'adolescente che si crede uomo.
Mi ricordo ancora come se fosse ieri: cavalcavo baldanzoso in groppa al mio cavallo; la mia nuova armatura, dono di mio padre, scintillava al sole. Mi sentivo forte e invincibile.
Cavalcai così per giorni e giorni, concedendomi il tempo strettamente necessario al riposo. Non sentivo la stanchezza; il mio corpo giovane e vigoroso rispondeva meravigliosamente agli incitamenti della mente piena di curiosità da soddisfare. Percorsi miglia e miglia, attraversando l'immensa pianura, costeggiando laghi e fiumi, inerpicandomi lungo i crinali di montagne di cui non conoscevo il nome. Dalle colline ombrose vedevo il sole affondare nel verde dei boschi; orizzonti infiniti si aprivano di fronte ai miei occhi avidi.
Non avevo una meta precisa e spesso lasciavo al mio cavallo la scelta della direzione da prendere. Apprezzavo la libertà di muovermi senza costrizioni; potevo fare ciò che volevo e innanzi a me c'era tutta la vita. Prima o poi avrei incontrato le avventure che cercavo, ne ero sicuro.
Un giorno il mio peregrinare mi condusse in una regione sconosciuta, circondata da monti e ricca di boschi e di foreste che, solo in brevi tratti, si diradavano per lasciar respirare i prati pieni di fiori. Verso mezzogiorno cercai riparo all'ombra di una grande quercia. Ero un po' stordito dal sole, i cui raggi infuocati dardeggiavano senza pietà. Si era vicini alla festa di san Giovanni e le lunghe giornate estive erano al loro culmine.
Mi ero appena assopito, quando sentii vibrare il terreno sotto di me. Un cervo bellissimo si era fermato di fronte alla pianta che mi offriva ricovero: il suo pelame bruno-fulvo diventava quasi argentato sulle tenere curve dell'addome e le piccole orecchie, sormontate da grandi corna ramose che erano simili all'intreccio stilizzato di un albero addormentato nel sole invernale.
Vidi che l'animale mi guardava. I grandi occhi umidi palpitavano con una grazia particolare e dolcissima; sembrava che mi invitasse a seguirlo. E infatti, dopo aver annusato l'aria con le narici frementi, il cervo riprese la corsa, tuffandosi tra gli alberi.
D'istinto gli andai dietro. C'era qualcosa in quell'animale che mi attirava in maniera irresistibile; la luce languida e timida del suo sguardo, venata di un che di malizioso, mi chiamava a sé.
Non ricordo più quanto vagai in quella foresta intricata. So soltanto che all'imbrunire mi ritrovai completamente stremato ai piedi della stessa quercia da cui avevo cominciato il mio folle inseguimento; ma dell'animale non v'era più traccia.
Venni distratto dai miei pensieri da un ritmico rullare di tamburi in lontananza. Incuriosito, mi addentrai di nuovo nella foresta, seguendo quei suoni cadenzati. Man mano che mi avvicinavo, sentivo delle voci festose e vedevo brillare dei fuochi attraverso la boscaglia.
"Vieni anche tu alla festa, mio bel signore?" mi chiese una fanciulla sbucata improvvisamente dal nulla, indicandomi il punto da cui provenivano i suoni e i canti.
Guardai abbagliato la sua bellezza radiosa. Una veste succinta metteva in mostra un corpo squisitamente modellato; ma la cosa che mi fece rimescolare il sangue nelle vene non fu tanto ciò che l'abito non copriva, ma quello che la trama leggera del tessuto tentava di nascondere. Fui preso dal desiderio irrefrenabile di toccare quel corpo bruno e sodo, di baciare quella bocca tumida. Nell'oscurità vedevo luccicare gli occhi scuri della fanciulla, che schiudeva le labbra in un bianco sorriso tentatore. . . Stavo quasi per assaggiare il miele che la sua bocca stillava, quando ella sfuggì abilmente dalle mie braccia e, prendendomi per mano, mi trascinò con sé verso i fuochi.
"Aspetta a scegliere la tua compagna, cavaliere! Potresti trovarne un'altra che ti aggrada di più... Magari la regina stessa!" mi disse la fanciulla ridendo.
"Non ho mai visto nulla più bello di te, amica mia..." protestai con la voce resa affannosa dalla corsa e dal desiderio. Era la prima volta che il mio corpo provava quello struggimento; mi sentivo forte e allo stesso tempo debole, come se le mie ossa fossero diventate d'un tratto spugnose e non mi sostenessero più.
Giungemmo in un'ampia radura, al centro della quale ardeva un grosso falò. Intorno ad esso ballavano e cantavano un gran numero di dame e cavalieri; alla luce del fuoco vidi che anche loro erano abbigliati come la fanciulla e quei veli leggeri scoprivano corpi pieni di bellezza e armonia.
In un attimo mi trovai sospinto nel vortice della danza. Il tempo passava, non mi accorgevo più di niente; sentivo soltanto l'energia che mi avvolgeva. Ogni tanto vedevo qualche coppia staccarsi dal cerchio danzante e sparire tra gli alberi, tenendosi per mano. Così, forse, se ne era andata anche la mia compagna...
Ad un certo momento guardai nel fuoco: al di là della cortina di fiamme vidi il cervo - proprio quello a cui avevo dato invano la caccia quel pomeriggio - che mi guardava immobile. Fu questione di un istante e lo vidi lanciarsi nel fuoco, da cui però emerse una splendida giovane.
"Vedi che alla fine mi hai raggiunto? No, non cercare più il cervo, perché sotto quelle spoglie c'ero io. Il mio nome è Graziola e sono la regina delle terre d'Ambino".
"Tu e il cervo sareste la stessa persona?"
"Sì. Un incantesimo mi condanna ormai da tempo ad assumere l'aspetto di un cervo, tranne nel periodo del solstizio estivo, durante il quale posso ritornare a essere una donna".
E che donna meravigliosa, pensai guardandola con ammirazione. I lunghi capelli bruni, che al riflesso del fuoco si accendevano di fulvi bagliori, scendevano oltre le curve dei fianchi a ricoprirla tutta. I grandissimi occhi scuri, dalle ciglia incredibilmente lunghe e ricurve, avevano la stessa luce dolce e timida che tanto mi aveva colpito nel cervo. La veste di velo argentato era corta ed era fissata a una spalla da un fermaglio che rappresentava una falce di luna. La sua bellezza mi stordiva, ma non osavo guardare Graziola troppo apertamente; mi ricordava la dea che corre attraverso monti e foreste, Diana l'ardente, la sagittaria dall'arco dorato, la sorella dell'Arciere...
"Non temere, non sono la Vergine ombrosa e vendicativa che gioca sulle montagne alla luce della luna... Vieni con me, bel cavaliere! E'il destino che ci ha fatto incontrare: le stelle già sapevano che ci saremmo uniti in questi giorni dedicati all'amore".
La bellissima Graziola mi portò con sé in un elegante padiglione in mezzo al bosco. Ero confuso, frastornato; tutta quella ricchezza che mi circondava, la bellezza di quella regina che mi aveva scelto come compagno, tutto questo eccitava i miei sensi dandomi il capogiro.
Quando sentii i suoi capelli scivolare su di me, solleticandomi il petto, tutto l'ardore dei miei vent'anni proruppe senza più freni. Sollevai Graziola tra le mie braccia e la deposi sul letto.
"Come sei bella, come sei bella... - continuavo a ripetere, mentre le mie mani inesperte le toglievano la veste. - Le curve dei tuoi fianchi sembrano monili forgiati da un artista... Il tuo ventre rotondo è morbido e soffice come un prato circondato da gigli e i tuoi seni sono come caprioletti, gemelli di gazzella..."
Il fuoco dentro di me ardeva e bruciava. L'irruenza dell'adolescente, che ancora era in me, mi spingeva a placare l'incendio che mi divorava. Mi avvinghiai a lei, soffocandola di baci.
"Fermati, mio giovane e impetuoso amico..." sussurrò Graziola, liberandosi dai miei abbracci. Si alzò e andò verso un grosso tavolo, sul quale troneggiava una coppa di cristallo colma d'acqua; in superficie galleggiavano alcune corolle di fiori. Ne prese una e, dopo averla scossa per togliere il liquido che la imbibiva, si avvicinò a me. Era un fiore strano quello che Graziola mi porgeva. Colpiva soprattutto il suo colore azzurro, dalle venature violette, che si sfumava in iridescenze perlacee al bordo dei petali; ma era la forma stretta e allungata della corolla ad attirare la mia attenzione. I petali, saldati per tutta la loro lunghezza, facevano assomigliare il fiore a una guaina sottile.
"Vedi questo fiore? Ben pochi ne conoscono l'esistenza e sì che farebbe la felicità degli amanti... Solo qui nella valle cresce spontaneamente e si sa come usarlo; nel resto del mondo, sono secoli che si è perduto questo sapere e nessuno, ormai, sa servirsene".
"Non conosco le virtù del fiore, mia regina; ma se pensi che abbia bisogno delle sue proprietà per renderti felice, ti sbagli. Sei così bella, Graziola, che sapresti risvegliare anche uno che dorme il sonno dell'eternità!"
"No, Brizio, non hai capito! - esclamò Graziola, sorridendo. - II fiore di questa pianta, che noi chiamiamo condomilla, non serve ad aumentare la prestanza di un uomo ed io, d'altro canto, non vedo proprio perché dovresti farne uso. Che cosa potrebbe volere di più una donna dal suo amante di quanto non abbia io?"
La mia incantevole regina si sdraiò accanto a me e proseguì: "Devi sapere che una volta il mondo era governato dalla saggezza delle donne, ogni paese aveva la sua regina e ognuno viveva nell'armonia che la natura elargiva a tutti. Ma poi vennero gli uomini delle terre poste a levante, con il loro dio maschio, forte e vendicativo, e l'armonia finì. Le donne dovettero piegarsi di fronte alla presunta superiorità maschile sancita dal loro libro sacro. Non fu più lecito amarsi liberamente; tutto ciò che permetteva di liberare l'energia vitale, tutto ciò che dava la gioia di vivere venne definito perversione e peccato. L'amore che due corpi possono trasmettersi da quel momento venne accettato solo in quanto permetteva alla stirpe di perpetuarsi. Ora dicono che il desiderio e il piacere dei sensi sono degni solo delle bestie. Ma cosa c'è di più bestiale di un atto non voluto, che schiaccia la donna sotto il peso di innumerevoli maternità?"
"Le mie terre si sono salvate da questa corruzione, conservando gli antichi costumi – continuò Graziola, abbracciandomi. – Io stessa governo questa valle, ma è la natura che ci guida, con la sua infinita saggezza. Due esseri, che si danno e si abbandonano all'amore, si ritrovano l'uno nell'altro proprio come accade nell'universo, in cui esiste un'energia che lega tutti i corpi, riportandoli all'unità smarrita all'origine. E la stessa natura ci offre un rimedio impensabile per rendere libere da ogni affanno o preoccupazione le persone che si fanno questo dono reciproco, affinché possano godere senza vincoli dell'armonia dei loro corpi. Il fiore di condomilla ci permetterà di abbandonarci al piacere dell'amore, senza temere che nel mio giardino si sviluppi un tenero virgulto che ora, ahimè, non sarei in grado di curare".
Graziola cominciò a baciarmi e io sentii il mio cuore galoppare di nuovo. Percepii le sue mani leggere percorrere il mio corpo: la regina stava prendendo possesso del suo reame... Eccola discendere dai rilievi del petto, cavalcare nelle dolci pianure del ventre e infine giungere alla torre del maniero che io le donavo. Le sue mani suadenti ne presero possesso e lentamente lo rivestirono dell'azzurro vessillo della condomilla...
Fu così che entrai nel giardino di Graziola e ne assaggiai i frutti squisiti. Più volte gustai il miele che quel favo stillava, più volte mi inebriai del vino che quella coppa rotonda mi porgeva. Quando mi addormentai, ero un uomo felice.
Mi svegliai che il sole era già alto. Allungai le mani, certo di sentire le calde curve della mia compagna, ma Graziola non c'era più. Mi rivestii in fretta e uscii dalla tenda. Fuori non c'era nessuno, tranne un cervo che brucava teneri germogli.
"Graziola!" gridai, correndo incontro all'animale.
Il cervo si voltò impaurito; ma poi, riconoscendomi, mi venne vicino e strofinò il muso contro di me.
"Oh, Graziola... No... No!" esclamai con disperazione. Mai avrei potuto immaginare che si poteva passare così in fretta dalla felicità allo sconforto. Avevo trovato la donna della mia vita ed ecco che già la perdevo.
"Ascoltami, Brizio! Sì, sono io che ti parlo. Ho ancora poco tempo, poi l'effetto dell'incantesimo sarà completo e non potrò dirti più niente... Ascoltami, amor mio: se vuoi salvarmi da questo infelice destino, puoi; però dovrai combattere con Elmo, l'incantatore, colui che mi ha ridotto così. Ti condurrò da lui, egli vive..."
L'esile voce di Graziola si era affievolita sempre più, finché si spense del tutto. Il povero animale si sforzava - è vero - di parlare, ma dalla sua bocca uscivano soltanto struggenti bramiti.
Fu così che iniziò il nostro viaggio alla ricerca dell'incantatore. Graziola correva innanzi sulle sue agili zampe e io la seguivo in groppa al mio cavallo; ogni tanto si voltava a guardare se le tenevo dietro e i suoi dolci occhi mi incitavano a proseguire.
Ogni giorno coprivamo grandi distanze e ci fermavamo solo all'imbrunire per sfamarci e riposarci. Graziola prendeva dalle mie mani i germogli più teneri che io avevo potuto cogliere per lei; lambiva le mie dita per dissetarsi con l'acqua che io le porgevo e, giunta la notte, ella dormiva accovacciata contro di me, attenta a non ferirmi con le corna. Accarezzavo il suo pelo lucido, sentivo il suo muso caldo e umido e i suoi sospiri, mentre con il mio mantello creavo di ripararla dal freddo della notte.
Talvolta chiedevo a qualche viandante notizie di Elmo, ma nessuno sembrava che lo conoscesse. Finché, un giorno, prima di addentrarmi in una scura foresta, seppi da un boscaiolo del posto che ero giunto a Moria, in quella che tutti chiamavano la Selva dell'Incantatore.
"Se appena potete, però, prendete un'altra strada, signore. Chi ha osato avventurarsi per quei sentieri, infatti, non ha fatto più ritorno. Succedono cose strane là dentro... Troppo strane!" – mi disse l'uomo, indicandomi il viluppo di alberi alle mie spalle.
"Chi abita in questa foresta?" chiesi per avere una conferma a quanto già sospettavo.
"Si dice in giro che sia il regno di un grande mago... – rispose l'uomo, facendo un gesto di scongiuro, mentre si guardava attorno con la paura di veder apparire colui che nominava. – Vagabondi e sventurati che sono caduti nelle reti della sua magia formano la triste corte su cui egli ha potere di vita e di morte".
"Non sapete dirmi altro su di lui?"
"Sembra che costui, in gioventù, sia stato un personaggio molto ammirato e rispettato per la sua intelligenza e per la sua ricchezza. Ma la passione per le pratiche magiche ha aumentato a dismisura la sua ambizione, facendolo diventare quello che è. Ma scusatemi, signore, non avrete intenzione di recarvi laggiù?"
"Devo andarci! Ho una missione da compiere".
"Fate pure come volete, cavaliere; ma se fossi in voi me ne guarderei bene!" esclamò l'uomo, avviandosi per la sua strada.
Nascosi Graziola in una piccola radura protetta dagli alberi e la salutai, pregandola di attendermi lì, dove sarei tornato dopo averla liberata dall'incantatore. Legai quindi il mio cavallo a un cespuglio e mi addentrai nella foresta.
Uno strano silenzio, interrotto soltanto dalle grida rauche di uccelli mai visti prima, pervadeva l'aria. I grossi alberi dai rami contorti formavano un intrico così fitto che la luce poteva penetrarvi a stento. Avide liane si attorcigliavano ai tronchi, abbarbicandosi ai rami dai quali poi ricadevano a terra, come una sorta di orribili ragnatele verdi secrete da un ragno immondo. Con la spada menavo fendenti in ogni direzione per aprirmi un varco e spesso inciampavo nelle radici nodose, che affioravano qua e là dal terreno.
In apparenza la foresta sembrava disabitata; sentivo soltanto lo scricchiolio dei rami spezzati e delle foglie calpestate. Ma in realtà percepivo la presenza di esseri ostili, che mi spiavano in silenzio con piccole ombre guizzanti...
Intanto mi domandavo che cosa avesse spinto Elmo a lasciare la vita ricca e agiata che conduceva per andare a rintanarsi in quel posto spettrale. Che cosa mai aveva trovato in quel luogo remoto che potesse compensarlo del potere e dell'opulenza a cui aveva rinunciato? Non sapevo spiegarmelo.
Ad un tratto un suono cupo di tamburi si diffuse tra gli alberi e una voce tenebrosa, che mi diede un senso di gelo, cominciò a scandire queste parole: "Va' a infondere la paura nel cuore di chi viene per distruggerci, o tamburo! Sconvolgi, turba, spaventa, riempi di terrore i suoi pensieri e il suo sguardo... Tuona sul nemico, fallo trasalire, confondi la sua anima, tu che sei fatto di legno e della pelle dei lupi!"
Cercai di farmi forza e di non ascoltare quelle frasi che rimbombavano sempre più forti; riuscii a resistere e a proseguire, perché la naturale spavalderia della prima giovinezza mi difendeva meglio di un'armatura. Inoltre, non avendo ancora conosciuto il lato tenebroso della vita, quelle parole non potevano risvegliare in me gli angosciosi fantasmi della paura.
Giunsi infine ad uno strano palazzo, adorno di statue e pinnacoli, i cui muri in pietra erano decorati da splendide pitture. Sull'ampia scalinata d'accesso sedevano decine di uomini variamente abbigliati, ma in tutti c'era qualcosa di rigido e freddo che li faceva sembrare creature prive di riflessi e volontà.
Nessuno ostacolò il mio cammino e così potei entrare nella dimora di Elmo. Percorsi vasti corridoi, attraversai stanze deserte; finché, seguendo una fanciulla dallo sguardo spento che recava un cesto di frutta, giunsi nella sala centrale della casa. Pesanti tendaggi nascondevano la zona del focolare; li scostai e vidi un uomo seduto a un tavolo. Poiché mi voltava le spalle, potei notare soltanto la sua corporatura massiccia e la testa lucida, completamente priva di capelli.
"Vieni avanti, ti aspettavo" mi disse, restando immobile con il capo tra le mani.
Mentre mi avvicinavo, si girò lentamente verso di me. Con meraviglia vidi un nobile viso, dagli occhi profondi e intelligenti, solo un po' appesantito dall'età.
"Che cosa pensavi di trovare, una volta giunto fin qui? Un drago con i colori lividi della morte o il mostro con i colori della collera e della violenza? Dimmi: ti ho forse deluso? Io, Elmo l'incantatore, il signore di Moria, con un aspetto così normale... Mi preferisci così?"
Feci un balzo all'indietro: il mago si era trasformato in un viscido serpente squamoso, che si avvolgeva e si svolgeva in di spire sinuose. L'animale mi fissava con occhi vitrei, mentre spalancava l'enorme bocca da cui saettava la lingua sottile.
"E tu sei venuto qui pensando di distruggermi? – continuò Elmo, riacquistando le fattezze normali. – Pazzo incosciente! Non capisci che il mio potere consiste nel suscitare terrore nella gente, incarnando ciò che più teme? Come credi che possa dominare tutte le persone che vivono nella foresta? Certamente non con la forza fisica... Ciò che le incatena a me è la paura della tenebra che è in loro e che vedono rispecchiata in me. Per alcuni io sono l'ombra, per altri il drago dallo sguardo che impietrisce, per altri ancora la bestia che vive nel loro cuore o addirittura il gemello di loro stessi..."
Non sapevo che dire. La sua presenza mi agghiacciava e, poco a poco, affioravano in me le paure dell'infanzia.
Vidi Elmo voltarsi verso di me e con orrore notai che il suo volto aveva i miei lineamenti. Ero io colui che guardavo; ma in quel momento il bel giovane che avevo di fronte possedeva qualcosa che non mi riconoscevo: un'aria truce e vendicativa.
"Ah, ah! - rise con cattiveria il mio doppio. - Dunque anche tu hai scoperto che una bestia alberga in te! Ora che hai conosciuto il tuo lato oscuro, la realtà rinnegata, temuta e rigettata, che ti riguarda, sai finalmente che cos'è la paura. Anche tu, ora, fai parte della corte di cui io sono il signore; per quale motivo credi che io abbia lasciato il mio posto nel mondo, se non per questo? Qui io sono il demiurgo, ho potere assoluto sugli altri; qui posso violare le regole della ragione, sono al di là del bene e del male, posso decidere di lasciare in vita o di dare la morte! Vedi? Così..."
Elmo tolse da una custodia un piccolo pugnale e con quello recise d'un sol colpo la gola della povera fanciulla che gli aveva portato la frutta. Ero inorridito.
"Che hai? Sei sconvolto? Ma è questo il potere che ho sempre voluto, senza limitazioni, puro e assoluto! Questo corpo, che ora giace ai miei piedi, poteva essere ancora in vita, se solo io l'avessi voluto; ma mi andava altrimenti... Nessuno potrà mai opporsi a me: io sono colui che rimane e, quando il mondo tornerà al caos, io mi trasformerò nel serpente che nessuno conosce e che nessun dio vede! Vai adesso, sparisci! Fa' quello che ti pare; anche se rimani, non m'importa; tanto non puoi farmi nulla".
Elmo si avviò al suo tavolo di lavoro, senza dare nemmeno un'occhiata alla povera morta stesa a terra.
"No, no... No! - pensai, ribellandomi a quella situazione. - Io non sono così; non lo sarò mai! Io sono Brizio, non l'uomo che mi sta davanti! Io sono l'uomo che ha provato le gioie dell'amore e che per amore è giunto fin qui..."
E, mentre con il pensiero riandavo ai momenti trascorsi con Graziola, al prodigioso fiore di condomilla, vedevo che il mio gemello andava svanendo per riacquistare le sembianze dell'incantatore. Mi avventai su di lui e, prima che potesse reagire, con la spada gli spiccai la testa dal busto.
Uscii alla svelta dal palazzo maledetto; fuori, gli uomini che avevano fatto parte di quel tristo seguito stavano tornando alla vita, lasciandosi alle spalle quell1incubo intessuto di terrore e paura.
Riattraversai di corsa la foresta, tanto grande era il desiderio di rivedere Graziola. Ella era là ad attendermi: splendida e altera e allo stesso tempo dolce e timida, mi tendeva le braccia sorridendomi.
"L'incantesimo si è spezzato, perché hai saputo credere in te stesso, Brizio. Un giovane mi ha salutato per andare a combattere il male ed ora è un uomo che mi viene incontro. È a questo uomo che io dono il mio amore per sempre".
Fu così che divenni lo sposo della saggia regina di una terra in cui regna ancora l'antica armonia. Non feci più ritorno al castello di Corneliano; la mia casa è quella che divido con Graziola e non ho bisogno d'altro.
E il fiore azzurro dalle magiche virtù? - si chiederanno in molti. I sudditi di Graziola continuano a cogliere la condomilla, ringraziando la natura per questo dono di felicità. Per quanto mi riguarda, Graziola non mi ha più offerto il fiore prodigioso, perché desidera un figlio da me. Le anziane di Ambino hanno previsto che sarà una bambina ed io già la vedo, piccola e fulva con gli occhi da cerbiatta.
Immagini tratte da: David Wooster – Alpine Flowers (1874)
Bellissimo! complimenti, Anna!
RispondiEliminaDolce e vero come il succo stesso della vita. Grazie Anna!
RispondiEliminaMi è piaciuta molto. Geniale il modo in cui il tema è introdotto nel contesto: leggero ed efficace.
RispondiEliminaSaluti
Brava Anna, bravo Pop che scopre i talenti. Forse non tutti sanno che anch'io il mio primo post l'ho fatto qui, ospite. Chissà Anna...
RispondiEliminaNessuno ha notato che il finale sembra ... (libro) e, di conseguenza, ... (film)?
RispondiEliminaBrava Anna, dimostri grande maestria tecnica e inventiva. Mi è piaciuto.
RispondiEliminaAmmetto l'ignoranza. L'unica citazione che ho notato è stata quella del Cantico dei Cantici.
RispondiEliminaCuore di tenebra >> Apocalypse Now
RispondiEliminala morale sarebbe che Elmo è un pò scemo, no?
RispondiEliminaDavvero molto bello e inquietante, bravissima Anna
RispondiEliminaPopinga, io nel finale vorrei chiedere una cosa. E Brizio, cosa desidera, Brizio? Lo sai, a me la protagonista, Graziola, mi è sembrata molto più simile a Elmo che a Brizio. E nemmeno Brizio mi è sembrato tanto "variopinto", nel senso di "sfaccettato". Mi è sembrato giovane e naif, poco interessante. Mi è sembrato strano che Graziola desiderasse un figlio da Brizio. Se io fossi stata regina e Graziola, io credo che avrei desiderato un figlio da Elmo, dal Nuovo Elmo, sarebbe stato molto più divertente, e "appagante", se desiderare un figlio fosse una cosa che si possa definire "appagante". E avrei desiderato che la mia bambina assomigliasse a lui, non a me.
RispondiEliminaQuesto racconto, scritto bene davvero, mi ha lasciato una certa nostalgia sai... E voglia di andare a visitare il Castello di Corneliano, che non conosco.
La condomilla è un fiore che non ho mai visto, forse appartengo a un regno dominato dai serpenti, chissà...
Io vorrei chiedere una cosa all'autrice: Anna, perchè hai scritto questo racconto? O forse non c'è mai un Perchè si scrivono dei racconti, vero?
E' un racconto romantico e sensuale. L'incantesimo di Elmo ha ridato a Graziola se stessa? E adesso, adesso che non c'è più magia, cosa resta?
B