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domenica 16 marzo 2014

John Wallis, antipatico e geniale


Di carattere scontroso e indisponente, il matematico inglese John Wallis (1616-1703) non perdeva occasione per fare polemica. Famosa fu la sua disputa ventennale a suon di velenosi pamphlet con Thomas Hobbes (l’autore del Leviatano) sulla pretesa di quest’ultimo di aver realizzato la quadratura della circonferenza e sugli attacchi che il filosofo aveva mosso contro la nuova filosofia sperimentale. La contesa, iniziata nel 1655, si interruppe solo con la morte di Hobbes nel 1679. Un’altra controversia lo vide contestare all’ecclesiastico William Holder la priorità dell’invenzione di un metodo per insegnare a parlare ai sordomuti. Non contento, ebbe anche il tempo di manifestare tutto il suo spirito nazionalistico contestando (non del tutto a torto) a Cartesio di aver copiato l’algebra di Thomas Harriot.

Anche in politica, nei tempi tempestosi della rivoluzione di Cromwell e della successiva restaurazione monarchica, molti non apprezzarono affatto il suo saper navigare al servizio prima di uno e poi dell’altro dei contendenti. Non desta pertanto sorpresa che non fosse amato da molti contemporanei, tra i quali il bizzarro biografo John Aubrey, che lo accusò di essere plagiario delle idee di altri, “togliendo loro le piume per adornare il proprio cappello”. Eppure la sua grandezza scientifica è incontestabile, se lo stesso Isaac Newton, che non era prodigo di complimenti per i suoi colleghi, lo considerava tra i più grandi matematici del Seicento. 

Sebbene avesse ricevuto un’educazione umanistica eccellente (tra l’altro aveva imparato il latino, il greco e l’ebraico), Wallis, figlio di un pastore anglicano del Kent, era in gioventù completamente digiuno di matematica, che conobbe quasi casualmente grazie a un libro di aritmetica prestatogli dal fratello maggiore. Come scrisse egli stesso nella sua autobiografia: 

“Proseguii [con la matematica] come un piacevole passatempo nelle ore libere, se mi capitavano tra le mani libri di aritmetica o di altri argomenti matematici, senza che nessuno mi dicesse quali leggere, quali cercare, o con quale metodo procedere. Infatti la matematica non era a quei tempi considerata parte dell’educazione accademica, ma piuttosto un affare di commercianti, mercanti, marinai, falegnami, geometri o gente simile (…)”.

Wallis era destinato alla carriera ecclesiastica, e si diplomò Master of Arts in teologia e morale nel 1640, poco dopo aver ricevuto gli ordini. Per qualche tempo servì qua e là come cappellano privato, finché, nel 1643, la ricca eredità materna gli consentì di affrancarsi dal bisogno di lavorare per mantenersi: diventò un uomo agiato. 


Nel paese, la ribellione del Parlamento contro le pretese assolutistiche di Carlo I era intanto sfociata in guerra aperta, e Wallis prese le parti dei ribelli. Nel 1642, durante una cena, gli furono mostrati alcuni messaggi cifrati delle forze realiste, che egli fu in grado di decifrare in poco tempo. Il suo talento fu presto sfruttato dalla intelligence di Cromwell durante la lunga guerra civile: Wallis ebbe un ruolo importante nella capacità delle forze parlamentari di conoscere in anticipo le manovre degli avversari. La sua opera è stata paragonata a quella del gruppo di Turing a Bletchey Park, che svelò il mistero di Enigma, il sistema di comunicazione in codice dei tedeschi. 

La qualità della crittografia era all’epoca assai eterogenea: si usavano infatti sia banali sistemi basati sulla trasposizioni di lettere (che Wallis riconobbe e interpretò già durante la cena stessa di cui abbiamo parlato), sia algoritmi combinatori di lettere, cifre e altri simboli, sia i più evoluti metodi a chiave variabile. Wallis si rese conto che gli ultimi (“inventati dai francesi”) erano più sicuri, al punto da giudicarli “inattaccabili”, ma probabilmente la sua affermazione serviva a scoraggiare eventuali richieste di rivelare le proprie conoscenze (nel 1697 avrebbe rifiutato la richiesta di Leibniz di insegnare la crittografia agli studenti di Hannover).

Continuava intanto la sua formazione matematica da autodidatta. Nel 1647 si imbatté in una copia della Clavis Mathematicae di William Oughtred, un manuale che sostenne di aver letto in un paio di settimane. La Clavis era la più chiara e completa esposizione disponibile delle conoscenze dell’epoca riguardo alla matematica e all’algebra. Wallis l’apprese così approfonditamente da considerarsi discepolo di Oughtred.

Due anni dopo, il suo lavoro per le forze del Parlamento, oramai vittoriose, fu premiato con l’incarico di professore di geometria a Oxford, fatto straordinario se si considera che egli non aveva mai ricevuto un’educazione matematica formale né aveva mai pubblicato nulla. Fu senza dubbio una nomina “politica”, anche considerando che il suo predecessore era stato allontanato per il solo fatto di essere un realista. Wallis si dimostrò tuttavia degno dell’incarico ottenuto, che mantenne per i successivi quarant’anni in ogni contingenza politica. Non considerandosi “arrivato”, egli studiò tutto ciò che si conosceva in ogni branca della disciplina, e pubblicò negli anni alcune opere importanti sui più disparati argomenti matematici, come si vedrà in seguito. 

Il prestigio acquisito, e la sua presa di posizione contraria all’esecuzione di Carlo I all’inizio del 1649, fecero in modo che Wallis poté mantenere la cattedra anche dopo la Restaurazione della monarchia (1660-61), diventando persino cappellano di Carlo II. Continuò anche a decifrare messaggi criptati, questa volta per conto del re. 

Nel 1655 Wallis pubblicò un trattato sulla definizione analitica delle sezioni coniche, in cui per la prima volta esse venivano riconosciute come curve di secondo grado. In questo Treatise on the Conic Sections, Wallis popolarizzò il simbolo ∞ per indicare una quantità infinita. Così scriveva: 

“Considero che qualsiasi piano (seguendo la Geometria degli indivisibili del Cavalieri) sia costituito da un infinito numero di linee parallele, o, come preferirei, da un infinito numero di parallelogrammi della stessa altezza (sia l’altezza di ciascuno di essi una parte infinitamente piccola, 1/∞, dell’altezza complessiva, e il simbolo ∞ indichi l’infinito), e l’altezza di tutti assieme sia l’altezza della figura”. 


L’anno successivo (1656), diede alle stampe quello che viene considerato il suo capolavoro, l’Arithmetica Infinitorum, forse la più significativa opera sull’analisi prima che Leibniz e Newton ponessero le basi del calculus. Essa ebbe vasta risonanza, e diede un grande impulso alla matematica inglese. Il testo, che sistematizza ed estende i metodi di analisi di Cartesio e Cavalieri, contiene il risultato per il quale Wallis è soprattutto ricordato, cioè il prodotto infinito per π/2 (formula di Wallis):


Ma il suo valore consiste anche nei metodi e nelle notazioni innovativi per la soluzione degli antichi problemi di quadratura e cubatura. Fu in questa Aritmetica degli infiniti che egli introdusse la notazione standard per le potenze, estendendole dai naturali positivi ai numeri razionali:


Passarono quasi trent’anni prima dell’uscita di un’altra pubblicazione fondamentale del matematico inglese: il Treatise of Algebra (1685). L’opera, introdotta da un lungo preambolo storico sullo sviluppo della disciplina, contiene il primo uso sistematico delle formule fisiche. Una quantità data vi viene rappresentata dal rapporto numerico con l’unità di misura utilizzata per quel tipo di grandezza. La parte finale del trattato è dedicata ai contenuti e alle implicazioni dell’Arithmetica Infinitorum, con la descrizione dei contributi nel frattempo apportati al calcolo delle grandezze infinitamente piccole o grandi da Newton e da altri matematici.


Accanto al suo lavoro di matematico teorico, Wallis intraprese nel tempo anche l’opera di curatore delle edizioni postume di opere di altri matematici inglesi, come Oughtred (il suo maestro virtuale) e Thomas Harriot. Si dedicò inoltre alla traduzione di opere matematiche e scientifiche degli antichi greci, probabilmente intrapresa su manoscritti originali o su copie giunti a Oxford nel 1629, quando William Herbert, cancelliere dell'università, acquistò la collezione lasciata dal matematico veneziano Francesco Barozzi per 700 sterline e la donò alla Biblioteca Bodleiana, dove è tuttora conservata. Vero genio polivalente, Wallis redasse anche opere su soggetti quali la logica, la grammatica, la linguistica e la teologia. Come se non bastasse, fu tra i fondatori della Royal Society.

Un personaggio così straordinario non poteva sfuggire all’attenzione dei romanzieri. Iain Pears ne ha fatto uno dei quattro protagonisti del bellissimo thriller, colto e raffinato, La quarta verità (Longanesi, Milano, 1999, ora TEA, 2010), di cui mi sono occupato in un precedente articolo. Secondo uno dei testimoni di un misterioso omicidio di un docente del New College, compiuto a Oxford nel 1663, Wallis

(…) non godeva di grandi simpatie, cosa ai miei occhi comprensibile dal momento che era stato Cromwell a imporlo a Oxford. Wallis era soprattutto impopolare perché, ai tempi della grande purga dei puritani seguita al ritorno del re, non soltanto aveva mantenuto la sua carica, ma aveva addirittura ricevuto segni di favore dalle alte sfere”

Nel corso della sua testimonianza epistolare, Wallis replica a queste critiche con la sua verità, che, nella finzione letteraria, gli rende forse un po’ di giustizia: 

“Sento di dovermi spiegare; non dico, badate, giustificarmi, dal momento che penso di essere stato coerente nel corso di tutta la mia carriera. So che i miei nemici non sono d'accordo, e suppongo che la ragionevolezza di quanto da me compiuto durante la mia attività pubblica - se tale si può definire - non sia chiara a menti poco informate. Com'è possibile, dicono, che un uomo sia anglicano, presbiteriano, leale al martire Carlo, e diventi poi il capo crittografo di Oliver Cromwell e decifri le lettere più segrete del re per aiutare la causa parlamentare, quindi torni alla Chiesa anglicana e, per finire, sfrutti le proprie capacità per difendere di nuovo la monarchia, una volta restaurata? Non è questa ipocrisia? Non è semplicemente un modo di mettersi al servizio unicamente dei propri interessi? Così dicono gli ignoranti. 

A tutto questo rispondo di no. Non lo è, e chiunque dileggi le mie azioni ignora quanto difficile sia riequilibrare gli umori di un sistema politico una volta che venga colpito da una malattia. C'è chi dice che ho cambiato bandiera da un giorno all'altro, e sempre per tornaconto personale. Ma davvero credete che in tal caso mi sarei accontentato della cattedra di geometria all'università di Oxford? Se fossi stato davvero ambizioso, avrei mirato quantomeno a una carica vescovile. Ho rinunciato a questa non perché, come potreste credere, mi sarebbe stato impossibile ottenerla: ma perché non era quello il mio obiettivo. A muovermi non era un'ambizione egoistica e mi sono adoperato al fine di essere utile piuttosto che grande. Ho fatto sempre di tutto per agire secondo principi di moderazione, in conformità con quella che al momento era l'autorità costituita. Sin da quando scoprii per la prima volta il disegno segreto della matematica e mi dedicai alla sua esplorazione, ho anelato all'ordine, perché è nell'ordine che si realizza il disegno divino. La gioia di un problema matematico risolto con eleganza e il dolore nel vedere l’armonia naturale dell'uomo infranta sono due facce della stessa medaglia; in entrambi i casi credo di essermi schierato a fianco della rettitudine. 

Né ho desiderato, quale ricompensa, fama o reputazione; anzi, le ho rifuggite in quanto vanità e ho accettato di buon grado che altri conquistassero cariche elevate nella Chiesa e nello Stato, sapendo che in realtà la mia influenza segreta aveva un peso di gran lunga maggiore della loro. Che gli altri parlino pure; il mio compito era agire e questo ho fatto al maglio delle mie capacità; ho servito Cromwell, perché solo lui, con il suo pugno di ferro, poteva riportare l'ordine nel Paese e porre fine alle dispute tra le fazioni, e ho servito il re quando, alla morte di Cromwell, quel ruolo sancito da Dio passò a lui. E sono stato un buon servitore per entrambi; non per loro in quanto tali, ovviamente, ma perché, così facendo, servivo il mio Dio, come ho cercato di fare in ogni cosa”.

3 commenti:

  1. Ciao Marco.....ho fatto il "reblog" del tuo aricolo sul mio blog. Un saluto cordiale Maria Cristina

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  2. Ho visto che sei iscritto all' ANPI e ciò ti farebbe onore se non trinciassi giuduzi all sans façon,
    Parla per te.
    Cristiana

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    1. Cara Cristiana, potrei conoscere il motivo di tale livore?

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