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lunedì 20 marzo 2017

La libellula di Gadda


Nel 1953 Carlo Emilio Gadda pubblicò una piccola meditazione in forma di dialogo intitolata L’egoista, in cui due personaggi, Teofilo e Crisostomo, conducono un comune discorso circa le differenze tra la psicologia dell’egoista e quella dell’egotista-narcissico (narcisistico). Il breve testo (qui) è in realtà uno pseudo-dialogo, in cui i due interlocutori non discutono: le divisioni del discorso riproducono il più delle volte una normale distribuzione in paragrafi, limitandosi in pratica a esprimere le opinioni dell’autore.

Non sono comunque le idee di Gadda sull’egoismo che mi hanno spinto a scrivere questa nota, bensì la frase che si trova a conclusione del primo intervento di Teofilo:
“Chi immagina e percepisce se medesimo come un essere «isolato» dalla totalità degli esseri porta il concetto di individualità fino al limite della negazione, lo storce fino ad annullarne il contenuto. L’io biologico ha un certo grado di realtà: ma è sotto molti riguardi apparenza, vana petizione di principio. La vita di ognun di noi pensata come fatto per sé stante, estraniato da un decorso e da una correlazione di fatti, è concetto erroneo, è figurazione gratuita. In realtà, la vita di ognun di noi è «simbiosi con l’universo». La nostra individualità è il punto di incontro, è il nodo o groppo di innumerevoli rapporti con innumerevoli situazioni (fatti od esseri) a noi apparentemente esterne. Ognuno di noi è limitato, su infinite direzioni, da una controparte dialettica: ognuno di noi è il no di infiniti sì, è il sì di infiniti no. Tra qualunque essere dello spazio metafisico e l’io individuo (io-parvenza, io-scintilla di una tensione dialettica universale) intercede un rapporto pensabile: e dunque un rapporto di fatto. Se una libellula vola a Tokio, innesca una catena di reazioni che raggiungono me”. 
La prima cosa che mi è venuta in mente è il notorio sermone di John Donne (Meditazioni, XVII), per cui nessun uomo è un’isola:
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. 
La frase finale dell’ingegnere, quella della libellula giapponese, ricorda tuttavia una metafora scientifico-filosofica diventata famosa molti anni dopo il 1953: la farfalla della complessità e del caos di Edward N. Lorenz. La prima comparsa della farfalla brasiliana risale alla conferenza Does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?, che Lorenz tenne nel 1972. L’idea era però già presente in un articolo del 1963, dove si diceva “un meteorologo fece notare che se le teorie erano corrette, un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre”. Successivamente Lorenz usò la più poetica farfalla, forse ispirato dal diagramma generato dai suoi attrattori. La scelta di Gadda sembra persino migliore: una libellula, per di più giapponese, magari uscita da un haiku, indica una causa scatenante ancor più delicata di un grosso lepidottero tropicale o di un gabbiano.


Se vogliamo dirla proprio tutta, neanche Gadda è stato il primo profeta dell’effetto farfalla. Alan Turing, nel saggio Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), aveva anticipato questo concetto:
“Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza”. 
E nel breve racconto fantascientifico di Ray Bradbury Rumore di tuono (A Sound of Thunder), pubblicato nel 1952, l’uccisione accidentale di una farfalla giurassica durante un viaggio all'indietro nel tempo ha conseguenze imprevedibili sul futuro, al punto di cambiare l’esito di un’elezione presidenziale nel 2055. Che morale trarre da queste coincidenze? Forse le morali sono molte, ma, a mio parere, quando giunge il tempo perché un idea nasca e abbia successo (oppure che discenda dal suo mondo iperuranio), sono in molti ad averla, magari indipendentemente l’uno dall'altro.

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