In tutta la sua opera, Leonardo Sinisgalli evidenzia la potenza conoscitiva della matematica, della geometria, e delle scienze in genere. Tuttavia, poiché la «verità» è sempre più sfuggente, «sottile», la sola indagine scientifica non basta: a un certo punto è indispensabile uno scatto, una «folgorazione improvvisa». Dovrà essere il poeta a tentare di cogliere frammenti di verità e consegnarli agli uomini. Il calcolo infinitesimale, presupposto delle nuove geometrie algebriche, ha spianato la strada verso la descrizione della realtà nella sua più minuta e ondivaga essenza, indeterminabile ma non per questo inesprimibile.
In una lettera indirizzata all'amico Gianfranco Contini, spesso citata dai critici, Sinisgalli sostiene, con una metafora provocatoria ed efficace, che la funzione della poesia, che appartiene per sua natura alla sfera dell’imponderabile, può essere espressa come
"un quantum, una forza, un’estrema animazione esprimibile mediante un numero complesso a + bj […] dove a e b sono quantità reali, e j è il famoso operatore immaginario. Questo operatore dà un senso, un’inclinazione al numero che, per sua natura, è orizzontale e inerte, lo rende attivo, lo traduce in una forza. A me pare analoga l’azione di j a quella che il poeta esercita sulla «cosa». Le parole per formare un verso devono avere una particolare inclinazione […]. Voglio dire, insomma, che il simbolo j ci darebbe un’idea di quella che è l’alterazione provocata dal linguaggio sulla realtà, del rapporto, cioè, tra «cosa» e «immagine». La poesia in ultimo non è un fenomeno naturale, si sottrae costituzionalmente alla voragine entropica dell’universo, è piuttosto evento sintropico, irripetibile, caratterizzato da un’intrinseca “misteriosa finalità”.”
Questa inclinazione fornita da j ricorda il clinamen lucreziano, l’impercettibile ma fondamentale deviazione dalla verticale nella caduta inerte degli atomi, grazie al quale la materia si organizza in un senso e dalle particelle infinitesimali si passa alle cose. Allo stesso modo, la parola poetica acquista direzione vettoriale rispetto al flusso puramente rettilineo e referenziale del linguaggio, agendo sulla cosa descritta in senso straniante. In questa considerazione riemerge la passione di Sinisgalli per i numeri immaginari (il numero complesso è formato da una parte reale e una immaginaria). Questo prodigio concettuale, che compare e assume dignità matematica con gli algebristi italiani del Rinascimento, diventerà, nella matematica moderna, un vettore, cioè una direzione, un’inclinazione. Inoltre, i numeri immaginari e quelli complessi, il calcolo matriciale e i quaternioni possono ora dare conto di una realtà pluridimensionale, con i suoi movimenti, le tensioni, le torsioni, gli spin.
Il numero immaginario con cui viene definita la specificità poetica corrisponde, al di là di metafora, a un’istanza comunque razionale, a un’entità calcolabile. Per Sinisgalli l’attività poetica è allo stesso tempo misura, regola e «ispirazione» che dà «bagliore metafisico» e che declina in perturbazione fisiologica, in metabolismo, seguendone gli esiti di uno sviluppo storico che vede la poesia andare «verso la prosa». La poesia diventa forma del respiro del poeta, e non più traduzione dell’ideale, dell’assoluto, come voleva definirla Croce. Così tutto ciò che avvicina la poesia a una formula algebrica, perde di peso ed è preda di una crisi metrica. Lo sguardo del poeta non è più euclideo. Oggi la poesia ha contorni più «rotti», e «la sua forma, per via della sua volubilità, della sua indeterminatezza, si avvicina a una forma vivente», immagine organica del sistema che prolifera e cresce per margini, in modo frattale, o senza direzioni predefinite e preferenziali, in modo rizomatico, e non si offre più con la geometria algida di un cristallo.
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