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venerdì 4 giugno 2021

L'inestricabile groviglio di Barbilian / Barbu, matematico e poeta


Dan Barbilian (1895-1961) è stato professore di algebra all'Università di Bucarest e autore di originali opere nei campi della geometria, dell'assiomatica, dell'algebra e teoria dei numeri, Con lo pseudonimo di Ion Barbu, pubblicò sin da quando era un adolescente un centinaio di poesie, con il tempo sempre più simboliste ed ermetiche, che sono ancora oggi incluse nei canoni della letteratura rumena. La sua ultima e importante raccolta, Joc secund (letteralmente "Gioco secondo", ma per l’autore è il gioco della poesia), risale al 1930: per i successivi trent'anni si dedicò esclusivamente alla matematica, affermando che non era in grado di praticare con successo entrambi i campi e che la poesia lo aveva sconfitto (Barbilian e Barbu non potevano più coesistere). Continuò, tuttavia, a scrivere di teoria poetica, cercando di articolare una "assiomatizzazione" della poesia in una forma "pura" universalmente rappresentativa. Il suo metodo era ispirato e informato dai progressi contemporanei in matematica e dai tentativi formali di sistematizzare e unificare aree di ricerca fino ad allora separate. Alla fine, estese la sua teoria poetica in una visione per la quale la matematica, correttamente e creativamente intesa, dovrebbe costituire la base di tutto l’apprendimento, in una sorta di umanesimo matematico: “Cosa distingue l'umanesimo matematico dall'umanesimo classico? In due parole: una certa modestia di spirito e sottomissione all'obiettivo. Un'educazione matematica, anche se alla fine viene valorizzata attraverso quella letteraria, aggiunge un certo rispetto per le circostanze create fuori di noi, e per la collaborazione con un dato materiale”.

Nel 1927, in un’intervista, Barbilian utilizzò un'esplicita metafora algebrica per descrivere la sua forma preferita di poesia, invocando la teoria invariante dei gruppi: “La poesia dovrebbe preservare gli invarianti di fronte a determinati gruppi di trasformazioni verbali”. Nelle operazioni di un gruppo, alcune caratteristiche devono essere preservate, mentre gli elementi, o le parole stesse, possono muoversi o essere manipolate in altro modo. Il suggerimento qui è che la formazione della poesia può essere vista come una permutazione o giustapposizione di elementi che sono parole: lo scrittore presenta blocchi di idee, o immagini, e dalla loro congiunzione e relazione tra loro, il lettore può trarre varie inferenze, entro i limiti di ciò che è possibile all'interno di quel “gruppo” di permutazioni ammissibili; cioè preservando gli invarianti.

La teoria poetica di Barbilian presuppone che le restrizioni all'uso della metafora matematica siano di fatto liberatorie, in quanto consentono una rappresentazione “pura” e meno individuale delle inferenze, sentimento certamente sentito dai membri dell’Oulipo nei loro esperimenti con contraintes. Barbu adotta un approccio consapevolmente e deliberatamente matematico alla poesia, partendo da blocchi di immagini o idee discrete, giustapponendoli e organizzandoli per creare una struttura di interpretazione. Il suo metodo assomiglia a quello assiomatico, hilbertiano, in cui la metafora è astratta e per molti aspetti impersonale. Tuttavia, l'interpretazione richiesta al lettore è profondamente individuale, dati i suoi scarsi riferimenti a immagini comuni condivise. Dal punto di vista del fruitore, si tratta di poesia ermetica, ostica, di difficile interpretazione e traduzione, al punto che Barbu costituisce un caso esemplare negli studi sulla cosiddetta “intraducibilità”.

Per Barbu il metodo è importante quanto il risultato stesso, è insito anche nella poetica. Se la poesia e la poetica sono comunemente indagate dal punto di vista della forma e dei principi creativi, Barbu estende questo metodo basandosi sulla sua immersione negli sviluppi matematici contemporanei dell'algebra astratta e dei fondamenti della matematica.

Joc secund vide la luce nel 1930, ma Barbilian pubblicò gran parte dei suoi scritti teorici solo dopo la Seconda guerra mondiale, negli anni '40 e '50. Un campo matematico sviluppato in questo periodo fu la teoria delle categorie, introdotta per la prima volta nel 1945 da Eilenberg e Mac Lane come un nuovo sistema di descrizione e organizzazione di strutture e sistemi di strutture matematiche astratte. Una categoria è una raccolta di oggetti insieme a morfismi, in cui i morfismi possono essere visualizzati come mappe o relazioni definite (spesso rappresentate come frecce) tra gli oggetti. Nelle categorie sono le relazioni e le loro qualità di conservazione che sono significative. Il Joc secund di Barbu, ad esempio, si presta immediatamente a un'analisi teorica su queste basi, con i suoi elementi ripetuti all'interno e attraverso le poesie, la struttura stratificata e le immagini permutate che sono sia preservate che alterate da una poesia all'altra. 


Gruppo

Di tutte le poesie analizzate per il loro contenuto matematico, "Grup" è quella scelta più coerentemente dai critici interessati, forse a causa del suo titolo apertamente matematico. Essa descrive le riflessioni di Barbu sulla teoria dei gruppi, come un metodo che tenta di descrivere gli "stati più alti" dell'essere. Per Barbilian, il matematico e umanista matematico, dovrebbe essere teoricamente possibile farlo attraverso la matematica, e in particolare la teoria dei gruppi, ma come scrisse nelle sue opere in prosa, attraverso Joc secund questo tentativo è frustrante e alla fine fallisce. "Grup" è una poesia che attinge a immagini matematiche per rappresentare un'immagine di promessa creativa e suggestione che alla fine è delusa. Le immagini matematiche sono quelle che suggeriscono la promessa – l'ideale verso cui Barbu tendeva – ma, come disse della sua poesia nel suo insieme, alla fine non riuscì a raggiungere il suo ideale. Significativamente, essa segna la fine del Barbilian poeta.

GRUP

E temnița în ars, nedemn pământ.
De ziuă, fânul razelor înșală;
Dar capetele noastre, dacă sunt,
Ovaluri stau, de var, ca a greșeală.

Atâtea clăile de fire stângi !
Găsi-vor gest închis, să le rezume,
Să nege, dreaptă, linia ce frângi:
Ochi în virgin triunghi tăiat spre lume.


GRUPPO

Una vera cella, bruciata, indegna terra.
All’aurora il fascio dei raggi inganna;
ma le nostre teste, se lo sono,
restano ovali, di calce, come un errore.

Quanti sacchi di fili mancini!
Scopriranno un gesto chiuso, per riassumere;
per negare la linea retta che miete:
occhi in un vergine triangolo tagliato attraverso il mondo?

Il gruppo, per come lo concepisce Barbilian, è una prigione nel senso che è un concetto che intrappola, più che illuminare; sulla terra bruciata e indegna si trovano i primi fondamenti della matematica che sono stati in una certa misura screditati, ma non ancora adeguatamente sostituiti. Questi errori e false dichiarazioni sono evidenti in "inganni" ed "errore" (di per sé un termine matematico). I raggi e i fili sono potenzialmente pieni di speranza, ma la loro innata propensione alla confusione - cioè "mancini" - suggerisce il fallimento. L'obiettivo è trovare un "gesto chiuso" nel senso di un teorema pulito e ordinato, o una grande teoria unificata, che smentisca la visione euclidea della geometria, a favore di una forse più accurata visione. Nello spazio iperbolico, o non euclideo, la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180 gradi. In questo caso gli “occhi” possono essere gli angoli. Inoltre, la chiusura è una proprietà dei gruppi e del loro funzionamento.

I riferimenti al sole e ai raggi di luce sono comuni a tutta la raccolta e sottolineano l'immagine ripetuta della vista, della visione e della lotta per comprendere e rappresentare, nonché la loro essenza sottostante come le "linee" della geometria (anche nella geometria non euclidea). “Fânul razelor” (letteralmente, raggio di fieno) può essere tradotto come covone, fascio [di fieno/grano], perché fascio è anche un termine matematico, definito per la prima volta nel 1948 in un seminario Cartan e usato nell'algebra omologica, associato ad Alexander Grothendieck che nel 1957 estese la teoria dei fasci nel suo lavoro sulla teoria delle categorie. Il fascio di grano consente anche l'immagine della germinazione e della nuova vita, rafforzata dalla traduzione di ziuă, "giorno" come aurora, e dalla traduzione di "fringi" come "miete".

Tornando alle linee geometriche, i "fire stîngi" (fili mancini) possono essere interpretati per includere le linee piegate o non parallele delle geometrie non euclidee. Gli "ovaluri de var" per le teste suggeriscono un'esistenza senza colore, e gli ovali suggeriscono qualcosa di instabile e umano.


Diottro

La poesia, come indica il titolo, usa in parte immagini della fisica. La riga di apertura rappresenta un prisma (che scompone la luce), alto e come un organo, e termina con coni, di polvere e cenere, presi dalla terra. La luce attraverso un prisma riflette i colori dello spettro, ma i coni di luce sono più ristretti e unitari. Ancora una volta l’assoluto, l’ineffabile, sconfigge le aspirazioni del poeta.


DIOPTRIE

Înalt în orga prismei cântăresc
Un saturat de semn, poros infoliu.
Ca fruntea vinului cotoarele roșesc,
Dar soarele pe muchii curs - de doliu.

Aproape. Ochii împietresc cruciș
Din fila vibratoare ca o tobă,
Coroana literei, mărăciniș,
Jos în lumină tunsă, grea, de sobă.

Odaie, îndoire în slabul vis !
- Deretecată trece, de-o mătușă -
Gunoiul tras in conuri, lagăr scris,
Adeverire zilei - prin cenușa.

DIOTTRO

Alta nell'organo del prisma considero
una saturazione di segni, fogliazione porosa.
Come la fronte del vino arrossisce i bordi,
ma il sole fluisce sui margini - del dolore.

Quasi. Gli occhi incrociati pietrificano
dalla pagina che vibra come un tamburo,
corona letterata, di spine,
giù nella luce rasata, pesante, della stufa.

Camera, piegata in quel debole sogno!
- Passa, messa in ordine da una vecchia -
immondizia scopata in coni, cella scritta,
risorto è il giorno attraverso la cenere.

"Dioptrie" suggerisce un tentativo imperfetto di creare un modello matematico unificante e la frustrazione per l'incapacità di rappresentare un ideale, Il poeta si trova di fronte a una gran quantità di segni, che suggeriscono la purezza e le molte possibilità della luce rifratta. Questi sono già in un libro (fogliato), quindi in qualche modo scritto, ma il risultato è pesante, fatto solo di spazzature del pavimento, e nella migliore delle ipotesi, coni (che suggeriscono una luce più monocroma, non rifratta), non i prismi di “Grup”. Il processo di scrittura stesso diventa una prigione. Immagini della scrittura - fogli, una pagina, lettere e infine il riferimento inequivocabile alla scrittura in “scris” (scritto) - si trovano ovunque. La luce è un tema prevalente, con il suggerimento che la percezione è imperfetta. Il colore del vino si avvicina al primo colore nello spettro visibile, il rosso, ma la luce solare scivola via sul bordo. Gli occhi si incrociano, non vedono bene, lasciano vibrare la pagina come un tamburo (che a sua volta suggerisce l'orecchio), così la vista lascia il posto all'udito fioco. Nella strofa centrale la luce diventa rasata e pesante. Alla fine, il sole che è sorto dalla prima strofa sorge davvero, ma attraverso la cenere.

Un diottro è uno strumento di misura per le lenti da vista. Interessante è la scelta di uno strumento antico, abbinato all'uso della terminologia arcaica in sobă (stufa) e odaie (stanza di campagna o in stile contadino), insieme alla stessa immagine della donna anziana (mătușă). Tutto ciò suggerisce una vana lotta per formulare una visione moderna e non oscurata. La speranza offerta ai sensi umani da una schiera di prismi e cilindri (l'organo) si riduce a un cono molto meno rifrangente e monocromo, fatto di spazzature del pavimento.

I tentativi di scrittura sono esplicitamente rappresentati dai segni, dalla pagina piegata e dalla corona di lettere. Evidente in questa poesia è l'immaginario religioso. L'organo del verso di apertura evoca immediatamente immagini di chiese, a cui seguono una corona di spine, vino rosso sangue e infine il riferimento al giorno risorto, con i suoi forti legami liturgici con la Pasqua e la crocifissione. La giornata è accolta con Adeverire, termine usato nel dialogo liturgico pasquale nella chiesa ortodossa rumena. Così il sole è sorto, ma al di là della speranza inizialmente suscitata dall’alto organo, sta tramontando in una vecchia stanza.



Ut algebra poësis


UT ALGEBRA POESIS
[Ninei Cassian]

La anii-mi încă tineri, în târgul Göttingen,
Cum Gauss, altădată, sub curba lui alee
- Boltirea geometriei astrale să încheie -
Încovoiam poemul spre ultimul catren.

Uitasem docta muză pentru-un facil Eden
Când, deslegată serii, căinței glas să dee,
Adusă, coroiată, o desfoiată fee
Își șchiopăta spre mine mult-încurcatul gen.

N-am priceput că Geniul, el trece. Grea mi-e vina...
Dar la Venirea Două stau mult mai treaz și viu.
Întorc vrăjitei chiveri cucuiul străveziu

Și algebrista Emmy, sordida și divina,
Al cărei steag și preot abia să fiu,
Se mută-m nefireasca - nespus de albă! - Nina.


UT ALGEBRA POESIS
[a Nina Cassian]

Nei miei anni ancora giovanili, nella città di Gottinga,
come Gauss, un tempo, sotto la curva dei suoi sentieri
- chiuse le volte astrali della geometria -
ho piegato una poesia verso la sua ultima quartina.

Ho dimenticato la musa colta per un facile Eden
quando, liberata nella sera compatta, per dar voce al rimorso,
creata, curva, una fata senza petali
si avvicinava zoppicando con uno stile aggrovigliato.

Non capii che il Genio passa. Grande è la mia colpa...
Ma per la Seconda Venuta sono molto più sveglio e vivo.
Allontano il bernoccolo stregato travestito da incappucciato

e l'algebrista Emmy, resa oscena e divina,
per la quale vorrei essere insieme vessillifero e sacerdote,
si trasforma nell'innaturale – indicibilmente bianco! - Nina.

Rispetto alle poesie di Joc secund, questa, pubblicata per la prima volta in România literară nel 1969 e non inclusa nelle raccolte di Barbu edite durante la sua vita, è fortemente autobiografica, più diretta e meno astratta. Secondo la poetessa Nina Cassian, alla quale era dedicata, la poesia fu scritta nel 1947 o nel 1948. Allude al rammarico di Barbu per aver abbandonato gli studi a Gottinga, che aveva raggiunto nel 1922 per un dottorato in analisi numerica con Edmund Landau, ma che aveva abbandonato dopo due anni in preda a una dipendenza da medicinali e a irrefrenabili velleità poetiche (avrebbe completato gli studi di dottorato a Bucarest solo nel 1929). Per il poeta, la cittadina universitaria è legata al ricordo di grandi matematici: da David Hilbert a Emmy Noether, a Carl Friedrich Gauss.

Il riferimento a Gauss e al "chiudere le volte" della geometria si riferisce al suo status di fondatore della geometria moderna, e la "curvatura" del poema fino all'ultima quartina indica l'eredità che si può considerare che Gauss abbia trasmesso alla altrettanto grande, moderna algebrista, Noether. La "curva" in questo contesto può anche riferirsi all'aspetto non lineare della geometria moderna, a cui Gauss era associato.

Il titolo riecheggia ut pictura poësis di Orazio, ("Come nella pittura così nella poesia"), frase con la quale il poeta latino suggeriva che la poesia merita la stessa attenzione dell'arte, sia nei dettagli che nel suo insieme. Nel caso di Barbu, suggerisce che la poesia potrebbe essere trattata allo stesso modo della matematica; una chiara eco delle opinioni espresse nei suoi scritti teorici sul valore di un'educazione matematica "umanista".

L'aspettativa di Barbu di una seconda venuta (cristiana) suggerisce anche un'ulteriore interpretazione del titolo Joc secund, cioè che l'altra realtà ideale che l’autore cercava è in qualche modo divinamente ordinata. Il "sigillo", la chiusura (incheie), delle volte della geometria suggerisce che Gauss nella sua geometria avesse raggiunto la perfezione assoluta. 

Un bianco quasi innaturale (nefireasca) sembra rappresentare l'ideale, che in questo caso è rappresentato da Noether, e ugualmente, da Nina. Non è chiaro cosa Barbu intendesse per "sordida", oscena, in relazione a Noether, a meno che non sia possibile un riferimento alla sua lotta per essere riconosciuta come donna matematica.

La poesia aggrovigliata (incurcat) ricorda la frustrazione del poeta in "Grup" con le pile di fili mancini, un'immagine che può anche nell'originale rumeno suggerire una capigliatura aggrovigliata (pagliaio), e la vecchia in “Dioptrie” che riordina il disordine intricato della stanza. Barbu sembra cercare chiarezza e direzioni chiare (ma non dritte), che si riflette nella curva ordinata di questa poesia da Gauss a Noether.

Questa non è una delle migliori poesie di Barbu, ma si propone come illustrazione poetica di una rara riflessione, personale e meno oscura, scritta circa quindici anni dopo la pubblicazione di Joc secund, quando si era ormai affermato come matematico.

 Nota metodologica:

Non conosco il rumeno e, non avendo trovato traduzioni in italiano, ho fatto riferimento agli adattamenti in inglese e in francese reperibili. Nel dubbio, ho fatto ricorso anche a Google Translator per il rumeno, conscio di tutti i suoi limiti. Naturalmente tutte le precisazioni e le correzioni sono benvenute nello spazio dei commenti.


Fonti principali:

Loveday Kempthorne, Relations between ModernMathematics and Poetry: Czesław Miłosz; Zbigniew Herbert; Ion Barbu/DanBarbilian, doctoral thesis, Victoria University of Wellington, 2015

Loveday Kempthorne, Peter Donelan, Barbilian-Barbu, A Case Study in Mathematico-poetic Translation, Signata, 2016

Daniel Coman, Corina Selejan, The Limits of(Un)translatability Culturemes in Translation Practice, Transylvanian Review 28, 2019


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