Il grande chimico e fisico svedese Svante Arrhenius (1859 - 1927), premio Nobel per la chimica (1903) per i suoi lavori sulla conducibilità elettrica delle soluzioni acide e basiche che lo condussero alla teoria della dissociazione elettrolitica, tornato in Svezia dopo un lungo soggiorno presso le Università tedesche, abbandonò la chimica fisica e incominciò ciò che chiamò la “fisica cosmica”, che oggi chiameremmo fisica terrestre. Dal 1894 fu il primo a costruire un modello quantitativo dell’effetto serra, collegando le variazioni del contenuto di anidride carbonica nell’atmosfera agli effetti climatici. Condusse elaborati calcoli registrando misurazioni a intervalli di dieci gradi di latitudine in diverse stagioni, utilizzò la riflettività osservata della Luna come riferimento per l’energia radiativa del Sole, e sviluppò un modello della relazione tra l’anidride carbonica e la temperatura superficiale: i cambiamenti nella temperatura sarebbero variati con il quadrato della concentrazione dell’anidride carbonica, e l’effetto sarebbe stato maggiore in estate che in inverno. Nel 1896 predisse che un raddoppio della concentrazione dell’anidride carbonica avrebbe innalzato la temperatura media di 6°C, il che non è molto lontano dalle stime correnti di 3-5°C. Il suo interesse non riguardava tuttavia il riscaldamento come conseguenza dell’industrializzazione, ma trovare la causa delle ere glaciali. Il suo unico commento sul riscaldamento globale rifletteva la sua idea di abitante dell’estremo Nord: stimò che l’utilizzo dei combustibili fossili avrebbe raddoppiato il contenuto di anidride carbonica nei successivi tremila anni e avrebbe “consentito ai nostri discendenti di vivere sotto un cielo più caldo e in un ambiente meno ostile di quello che oggi ci è concesso”. A quanto pare, non aveva considerato pienamente la questione, perché non era preoccupato che il conseguente innalzamento del livello marino avrebbe sommerso Stoccolma, la “Venezia del Nord”. Inoltre, come i recenti, tragici, eventi stanno dimostrando, maggior riscaldamento significa maggior energia dei fenomeni atmosferici avversi.
Ancora più freddoloso dovette essere un altro grande chimico, il prussiano Walther Hermann Nernst (1864 - 1941), premio Nobel per la chimica nel 1920 per la scoperta del cosiddetto terzo principio della termodinamica (più correttamente si tratta di un teorema, perché si può dimostrare): “Non è possibile per qualsiasi processo, anche se idealizzato, ridurre l'entropia di un sistema al suo valore allo zero assoluto tramite un numero finito di operazioni (cioè di trasformazioni termodinamiche)”. In pratica, l’entropia di tutte le sostanze vale 0 solamente nel loro stato cristallino perfetto a 0°K. Nernst e Arrhenius erano stati colleghi (e compagni di bisbocce) prima a Gottinga e poi a Lipsia, dove erano stati allievi e collaboratori di Wilhelm Ostwald. In seguito le loro strade si erano allontanate, sia professionalmente sia sul piano umano (al punto che Arrhenius ostacolò per anni il conferimento a Nernst del Premio Nobel). Ciò non impedì al tedesco del Nord di essere d’accordo con lo svedese e considerare il riscaldamento globale con un punto vista originale, suggerendo di iniziare a bruciare le miniere di carbone abbandonate per aumentare la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera!
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