Nell'estate del 1820 l'agricoltore Philo Cleveland iniziò i lavori per allargare un pezzo di prato nella sua fattoria nei pressi di Pompey, nello stato di New York. Stava dissodando la terra, abbattendo alberi e rimuovendo pietre, quando trovò una lapide incisa. Non ci prestò molta attenzione fino a diversi giorni dopo, quando la pioggia aveva pulito la pietra.
La lapide ha più o meno la forma di un ovale, lunga circa 14 pollici (360 mm), larga 12 pollici (300 mm) e spessa 10 pollici (250 mm) e composta da gneiss. Pesa circa 127 libbre (58 kg). Al centro della pietra è inciso un albero che viene scalato da un serpente. La pietra portava incise le strane parole "Leo De L on VI 1520". Incuriosito, Cleveland la portò nella bottega dei fabbri locali. La pietra divenne un'attrazione e i visitatori del negozio usarono chiodi e lime per pulire l'iscrizione. Dopo circa sei mesi fu spostata nel vicino villaggio di Manlius, e mentre era lì fu esaminata da diversi scienziati.
Nel 1823 un articolo pubblicato in The Literary Chronicle analizzò l'iscrizione, concludendo che poteva essere un riferimento al pontificato di papa Leone X; il disegno al centro di un albero con un serpente rappresentano la caduta dell'uomo, le lettere L. on stanno per loco sigilli (il luogo del sigillo), con una croce che sottolinea la natura cristiana della pietra e una U capovolta per indicare la posizione di un sigillo.
Dal momento in cui fu ritrovata, la pietra di Pompey fu considerata dagli storici la prima testimonianza della presenza europea nella regione. Si pensava che avesse segnato la tomba di uno spagnolo, forse un esploratore, un missionario o un prigioniero di una tribù di nativi americani.
Dal 1840 al 1870 la pietra incisa fu analizzata da diversi archeologi, storici e ricercatori americani. Nel 1842, Barber e Howe ipotizzarono, nel libro Historical Collections of the State of New York, che essa potesse segnare il luogo di sepoltura di uno spagnolo morto dopo aver viaggiato dalla Florida in cerca di ricchezze. Il libro dell'antropologo Henry Schoolcraft del 1847 Notes on the Iroqouis la attribuì a un gruppo che si era separato da una delle spedizioni dell'esploratore Juan Ponce de León alla ricerca della Fontana della giovinezza, considerando il testo "De L on" come riferimento a "de Leon" e il "VI" un riferimento a sei anni dopo la scoperta della Florida da parte di de Leon nel 1512. Due anni dopo, l’archeologo E. G. Squier pubblicò il libro Antiquities of the State of New York, che confermava l'autenticità della pietra. L'autore e ricercatore Buckingham Smith, nel 1863, presentò un documento all'American Antiquarian Society in cui suggeriva che la pietra fosse un memoriale di un missionario spagnolo morto e l'iscrizione un riferimento a papa Leone X. Negli anni '60 dell'Ottocento, John F. Boynton, uno dei primi leader del movimento dei Santi degli Ultimi Giorni, propose che ci fossero connessioni tra la pietra e il Gigante di Cardiff, un altro artefatto che in seguito si rivelò essere una bufala.
La pietra fu poi esposta nel Museo di Stato dell'Istituto di Albany. Nel 1872, l'Albany Institute la depositò presso il Museo di Storia Naturale dello Stato di New York, con lo scopo di fornire "strutture migliori per l'ispezione".
Nella "difesa più elaborata" dell'autenticità della pietra, Henry A. Homes, responsabile della Biblioteca dello Stato di New York, tenne una conferenza l’11 novembre 1879, sostenendo che, se non era una bufala, la pietra conteneva "la prima prova della presenza degli europei in Nord America". Sottolineò che l'autenticità dell'iscrizione non era mai stata messa in dubbio e che un certo signor Haven affiliato all'American Antiquarian Society l'aveva ritenuta autentica. Homes analizzò i pareri dei suoi predecessori sulla pietra e concluse che nessuno aveva raggiunto una spiegazione ragionevole. Concluse che era un memoriale di un europeo, probabilmente spagnolo e di nome Leone, che era stato catturato da una tribù di nativi americani con diversi compagni e adottato. La pietra era stata probabilmente realizzata da un compagno sul suo luogo di sepoltura nel 1520.
Il reverendo William Martin Beauchamp, il "più scaltro di tutti gli antiquari di Onondaga" fu il primo a mettere seriamente in dubbio l'autenticità della pietra, Beauchamp scrisse di essere diventato scettico sulle origini della pietra nel 1894, dopo aver sentito che la sua autenticità non era quasi mai stata messa in dubbio. Rintracciò l'iscrizione, e, dopo averla analizzata, concluse che era stata eseguita da strumenti che comprendevano almeno due diversi scalpelli a freddo, un martello o un martello e un punzone. Riteneva anche che la "L" e i numeri fossero stati scritti in uno stile moderno, invece di come sarebbero stati scritti nel XVI secolo. Infine sostenne che nessun nativo aveva vissuto vicino al sito nel XVI secolo. Sulla base di ciò, pensava che la pietra risalisse al XIX secolo e pubblicò un articolo sul Syracuse Journal in cui presentava le sue conclusioni.
In risposta all'articolo, John Edson Sweet scrisse, sempre sul Journal, che suo zio Cyrus Avery gli aveva confessato nel 1867 di aver creato la bufala con suo nipote William Willard e di aver scolpito e sepolto la pietra in un campo di Pompey "solo per vedere cosa ne sarebbe venuto fuori". I due avevano deciso di non farsi avanti dopo che era iniziata l'attenzione degli studiosi. Sweet concludeva la sua lettera definendo la pietra "niente più o meno che uno scherzo". Nel 1911 Beauchamp descrisse la teoria “spagnola” della sepoltura come una "tradizione infondata" e notò che il terreno non era adatto a una sepoltura.
Anche dopo queste novità, almeno due sacerdoti citavano la pietra come prova autentica che i cattolici erano stati negli Stati Uniti già negli anni '20 del Cinquecento. Dopo l'articolo di Beauchamp, Woodbury Lowery decriveva brevemente la pietra nel suo libro The Spanish Settlements Within the Present Limits of the United States senza metterne in dubbio l'autenticità, proponendo che la pietra poteva essere stata realizzata da esploratori spagnoli durante una spedizione non autorizzata in cerca di schiavi.
Nel 1937 Noah T. Clarke, archeologo dello stato di New York, notò che l'iscrizione della pietra era stata modificata, con il 1520 modificato in 1584 e la "L on" scomparsa. Tentò di ripristinare altre parti della pietra, ma fu limitato nella ricerca poiché molti documenti erano stati distrutti nell'incendio del Campidoglio dello Stato di New York del 1911.
Nel 1939 lo storico Arthur C. Parker scrisse un articolo su American Antiquity intitolato The Perversion of Archaeological Data e definì la pietra di Pompey "screditata" come un esempio di "lavoro scadente [...] svolto da persone in cerca di fama o profitto”.
La pietra fu nuovamente esposta al New York State Museum nel 1934, questa volta identificata come una bufala. Lo stato di New York prestò la pietra alla città di Pompey nel 1976 per le celebrazioni del bicentenario degli Stati Uniti. Dal 2018 è conservata nel Museo della Società Storica di Pompey. Nonostante la bufala sia stata accertata, il sito web del museo dice ancora che "continuano ad esserci argomenti rigorosi da entrambe le parti" sull'autenticità della pietra”. Quando ci si chiama Pompey, un artefatto antico è il minimo sindacale.
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