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lunedì 19 marzo 2012

Tre stroncature scientifiche

Oceano mare, di Alessandro Baricco

Non conosco quali credenziali scientifiche possa vantare questo Alessandro Baricco, ma devo purtroppo affermare che il suo Oceano Mare mi delude profondamente. Avvezzo ai libri di oceanografia della scuola di Jacques Cousteau, pieni di dati scientifici sulla fauna e la flora marine, sugli ambienti e la geologia dei fondali, arricchiti dal racconto di entusiasmanti avventure nel sesto continente, corredati da un apparato iconografico di grande qualità, mi colpisce l’assoluta mancanza di informazioni, la totale assenza di disegni e fotografie, il racconto di vicende che nulla hanno a che fare con quanto promesso dal titolo. Anche su di esso c’è poi da discutere. Oceano o mare? Tutti sanno che gli oceani sono mari, ma non tutti i mari sono oceani. La differenza non è data soltanto dalle dimensioni, ma anche dalla natura geologica dei fondali: gli oceani presentano dorsali e fosse, i mari le hanno solo se sono residui di oceani. Con tutta evidenza, l’autore non possiede la minima cognizione di che cosa sia la tettonica a zolle.

Ogni libro scientifico che si rispetti è preceduto da un breve sunto, un abstract, che in poche righe sintetizza i contenuti principali dell’opera. Il Baricco anche qui pecca di disattenzione o di ignoranza. Dobbiamo forse considerare come indicazione dei temi principali dell’opera l’incipit «Sulle labbra della donna l’ombra di un sapore che la costringe a pensare ‘acqua di mare, quest’uomo dipinge il mare con il mare’ », che ricorda tanto una canzone di Gino Paoli? E come si fa a parlare di oceano, o di mare, se non ci si muove da una locanda? E dove sono gli oceanografi, i biologi marini, i subacquei? Una donna isterica, un’altra un po’ allegra, un matematico idiota, un pittore malato nel cervello che dipinge con l’acqua? E il prete, che cosa c’entra un prete?

Mi chiedo poi la sostenibilità scientifica di una frase come «Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni». E no, caro il mio Baricco, il compito di un libro di divulgazione scientifica è proprio quello di fornire spiegazioni! Troppo comodo questo ermetismo d’accatto! Facile, troppo facile scrivere un libro sull’oceano senza muoversi dalla terraferma, facile come eseguire uno studio di funzione senza sapere le tabelline.

Quando finalmente succede qualcosa nel tedio generale dell’opera, finalmente in mare aperto, si parla di un lontano naufragio della fine del ‘700. Il nome Medusa, che per un istante induce il lettore a pensare che si parli di zoologia marina, è invece quello di una nave. Due tizi che parlano dei fatti loro su una zattera alla deriva costituiscono il punto con più pathos dell’intera opera, il che non è certo il modo migliore per esporre gli esiti di una ricerca o raccontare suggestive esplorazioni.

Non ho mai letto un libro scientifico così privo di contenuto scientifico, scritto con un linguaggio del tutto privo di precisione terminologica, così perso in chiacchiere senza senso e in banalità da cartina da cioccolatino come «Non si è mai abbastanza lontani per trovarsi». Ne sconsiglio pertanto l’acquisto, domandandomi come una tale opera abbia potuto superare anche la più benevola delle peer-review.



Perché io credo in colui che ha fatto il mondo. Tra fede e scienza, di Antonino Zichichi

Il volume, 256 pagine, presenta una copertina cartonata con la fotografia dell’autore di tre quarti, capelli bianchi lunghi pettinati all’indietro, viso sorridente abbronzato, braccia conserte, abito blu, camicia bianca, cravatta scura. Lo sfondo è una di quelle belle immagini a colori finti ottenute da un telescopio a raggi infrarossi che rappresenta una lontana galassia.

Un globo luminoso al centro emette quattro raggi, a simulare un sistema di assi cartesiani, ed è contornato dal profilo di un triangolo isoscele con base circa doppia dell’altezza, disegnato in bianco, che ricorda una di quelle rappresentazioni medievali della Trinità sulla base del credo di Nicea, probabilmente per una citazione colta. La superficie del triangolo, pur essendo trasparente, è più scura rispetto al resto dell’immagine. Le scritte di copertina sono in bianco, per meglio risaltare sul fondo; si nota che le parole “io credo” sono scritte in carattere più grande forse per un errore di composizione. Più piccolo il sottotitolo “Tra fede e scienza”. Nell’angolo in basso a destra spicca il conosciuto logo del gruppo editoriale, con la S che simula un arco nell’atto di scoccare una freccia diretta verso destra.

La quarta di copertina riporta in due colonne affiancate, con allineamento a sinistra, una presentazione del contenuto del libro e una succinta biografia dell’autore. In basso a destra è visibile l’elegante codice a barre. Il prezzo di vendita al pubblico del libro è di € 16,00, ma su Internet è possibile trovarlo anche a prezzi più bassi a seconda della libreria on line. Nel suo complesso il volume costituisce un parallelepipedo largo 13,5 cm, alto 20,5 cm e di spessore pari a 2,4 cm, per un volume complessivo di cm3 664,2. Il peso del volume (si perdoni il bisticcio di parole e di unità metriche) è di 456 grammi. Facendo il rapporto tra il prezzo di vendita e il peso si ricava il valore approssimato di 35,09 €/kg, molto più caro che il prosciutto crudo venduto in busta alla Coop. Se ne sconsiglia pertanto l’acquisto.

(Talvolta la cosa migliore di un libro è la sua mera materialità, l’unica degna di essere recensita).


Éléments de Mathematique, di Nicolas Bourbaki

Tutti nell’ambiente sanno che Nicolas Bourbaki non esiste, che era il nome di un generale francese dell’Ottocento, eroe a Tunisi, che con la matematica non c’entra niente. Allora, può un personaggio inesistente scrivere una serie di trattati matematici per cinquant’anni di fila? La matematica violata da uno pseudonimo, soprattutto invocando il sistematico rigore! Passi se uno scrive un romanzo: tanti sono stati scritti sotto pseudonimo, e molti letterati hanno adottato nomi di fantasia per tutta la vita, come Georges Sand, Italo Svevo, Aldo Palazzeschi o Alberto Moravia. Altri addirittura, pur conservando il loro vero nome, hanno finto per tutta la vita di essere romanzieri (forma ancor più raffinata e crudele di pseudonimia), come Alberto Bevilacqua, Oriana Fallaci, oppure quello dei lucchetti di cui non ricordo neanche il nome. Diciamo che nella finzione, che è matrice della letteratura, ci può stare anche un nome inventato o una fama usurpata. Ma, perdio, nella scienza no!

La matematica esige serietà, perché tratta di argomenti verificabili, coerenti anche se non completi, oggettivi anche quando sono completamente astratti. Potrebbe mai pubblicare su Science un fisico che si firma Donald Duck? O segnare un nuovo approccio nella matematica uno che si fa chiamare Galois, come una sigaretta? O vincere la medaglia Fields uno che sceglie lo pseudonimo di Perelman, come una penna stilografica? Perché allora questo finto Bourbaki, assai longevo peraltro, si è permesso di scrivere di matematica senza rivelare le sue generalità? Per provocazione? Per irrisione? Per non prendersi responsabilità?

Lasciamo perdere pure la questione dello pseudonimo, per passare a un’altra stranezza. Tutti noi abbiamo imparato la geometria attraverso le figure e, grazie alla vista, sappiamo riconoscere un quadrato, una parabola, una spirale. Com’è allora che i diversi volumi degli Éléments non ne contengono neanche una? Passi pure il rinunciare a tutto tranne riga e compasso, come fecero i Greci (che così si preclusero molte utili dimostrazioni e oggi stanno pagando la loro imperizia contabile), ma rinunciare persino alla mano libera, al punto che uno le figure è costretto a immaginarsele? Un conto è disegnare una retta nel piano cartesiano, un conto è fornire una formula astrusa come y = 5x + 2 e dire che corrisponde a una retta. Chi ce lo assicura? Il signor Bourbaki? E chi è?


Prendiamo infine in considerazione che cosa sceglie il signor Bourbaki, o chi per lui, per costruire il suo edificio matematico: la teoria degli insiemi. E in quale versione? Sì, perché di teorie degli insiemi ce ne sono molte e c’è stato anche uno che è arrivato a distinguere gli infiniti a partire dall’insieme vuoto. Si arriva così all’assurdo di scegliere come fondamento, invece dei cari e vecchi numeri, un concetto opinabile e sottoposto a discussione. Costruireste voi una casa senza essere certi che i vostri mattoni reggono lo sforzo? In realtà non c’è nemmeno accordo su come i mattoni debbano essere fatti, con quale composizione, quale forma, quali dimensioni. E infatti si rincorrono le difficoltà con acrobazie sempre più pericolose: l’ipotesi del continuo, l’assioma della scelta, ecc.

Dice l’autore nella prefazione: «Dai greci, chi dice matematica dice dimostrazione. Alcuni dubitano che al di fuori delle matematiche esistano dimostrazioni nel senso preciso e rigoroso che questo termine ha ricevuto dai greci e che si intende dare in questa opera. Si ha il diritto di dire che il significato del termine dimostrazione non è variato, poiché ciò che è stato una dimostrazione per Euclide, lo è tuttora ai nostri occhi; […]Ma a questa venerabile eredità si sono aggiunte, da un secolo, importanti scoperte. In effetti l'analisi del meccanismo di dimostrazione nei migliori testi di matematica ha permesso di liberare la struttura dal doppio punto di vista del vocabolario e della sintassi. Si arriva quindi alla conclusione che un testo di matematica sufficientemente esplicito può essere espresso in un linguaggio convenzionale comprendente solamente un piccolo numero di termini invariabili assemblati mediante una sintassi che consisterà in un piccolo numero di regole inviolabili. Un testo così concepito si dice formalizzato. [...]. La verifica di un testo formalizzato non richiede che una attenzione meccanica; le sole cause di errore saranno dovute alla lunghezza o alla complessità del testo.[...]. Per contro, in un testo non formalizzato si è esposti ad errori di ragionamento che rischiano, ad esempio, di causare un uso improprio dell'intuizione o del ragionamento per analogia». Splendido: si invoca l’utilità della dimostrazione e nei volumi queste sono lasciate al lettore, si dice di voler rinunciare ambiguità del linguaggio naturale e con che cosa lo si sostituisce? Con simboli assemblati in modo confuso! Alla ricchezza del linguaggio si sostituisce l’afasia della cifra nuda. Alla bellezza della comprensione dei passi successivi di un algoritmo si preferisce un oscuro codice enigmistico: non ci siamo!

14 commenti:

  1. Ti faccio una piccola stroncatura al titolo. Dei tre testi che hai recensito forse solo l'ultimo potrebbe avanzare pretesa di ritenersi scientifico.

    Ben scritto.

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  2. Post estremamente complesso e profondo. Sono d'accordo con te per quanto riguarda Baricco.

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  3. Massimo: scusa se te lo dico, ma davvero non sei d'accordo su Zichichi?

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  4. A me pare di aver capito le tue opinioni su i due ultimi libri recensiti, ma davvero non ho capito cosa pensi di quello di Baricco.

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  5. Aaqui: l'unico che non mi fa cagare è quello di Bourbaki. Nell'idiozia della recensione di Oceano mare ho infilato qualche citazione-perla che avrebbe dovuto chiarire il mio pensiero. Evidentemente non ci sono riuscito, acci!

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    1. Diciamo che le tue opinioni su Zichichi e su Bourbaki erano molto più palesi.

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  6. Mi congratulo per la recensione di Zichichi: forse pensando al tema (l'esistenza di Dio misericordioso), il recensore ha fatto opera di misericordia limitandosi a parlare della sola cosa valida dell'opera: la veste tipografica e i suoi valori estetici. Se me ne verrà voglia, mi riservo di fare un po' la parte del cattivo (cioè, parlare del contenuto)

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  7. Chiaro e convincente

    Rafone Oscar.

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  8. io non riesco proprio a capire la sua critica a baricco, a me non sembra che lui abbia mai avuto la pretesa di fare divulgazione scientifica, quello è un romanzo è ovvio che non sia scientificamente più attendibile di twilight

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  9. Guercio: la mia critica è ovviamente patafisica. In ogni caso, il libro di Baricco, anche se valutato con criteri puramente letterari, non mi piace.

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  10. Io è da parecchio tempo che seguo un artista che è anche scienziato e mi piace parlare con lui col nome che lui stesso si è scelto, non con quello vero, che appartiene invece alla sua famiglia e ai suoi affetti in carne e ossa. Io lo chiamo sempre Popinga, e dietro a quello pseudonimo non lo so cosa o chi si celi veramente, perché mi piace pensare che Popinga ha, possiede un carattere, dei vezzi e dei vizi, delle passioni, degli eccessi e delle meraviglie come se fosse un personaggio. Io leggo le sue cose e le trovo sia romanticamente stupende che scientificamente attendibili, perché mi fido di lui, al punto da non verificare quasi più le cose che scrive (verificare è una mia mania, l'ho scritto per quello). Popinga è curioso e suscettibile, pignolo e sognatore. Popinga sa tante cose e tante altre ne vorrebbe sapere. Secondo me. Ecco, a me piace anche metterci un "secondo me", perché poi non importa cosa Popinga dica di se stesso, se condivida o meno le opinioni che io ho su di lui, se abbia voglia di smentirmi o no, se tenga a chiarire la sua visione di sé, perché io lo penso come mi pare e piace, come si fa con gli Autori che ti diventano amici inseparabili. Ecco.

    Baricco non fa del male a nessuno, e in treno tiene compagnia. Usa la lingua in modo facilmente seducente, per questo è banale, nella forma e nei contenuti, però certe volte io ho bisogno di banalità: mi sento in compagnia di me stessa. Baricco serve a sorprenderci di quanto siamo geniali noi stessi.

    Zichichi è uno che a me sembra che tenti di rendersi un fenomeno scientifico da solo, un Prototipo, un Esemplare. E' un attore che recita la scienza, e che si è messo in testa di assomigliare a Carmelo Bene. Non è nemmeno un divulgatore modesto, che si limita a cercare di farci capire le cose difficili e ostiche con linguaggio semplice, ma è piuttosto uno che spaccia la propria visione del mondo per scienza. E' pericoloso, perché la gente ingenua e ignorante come me rischia di cascarci, di fidarsi. Ecco, io credo che non sia autentico, Zichichi. E' un esaltato calcolatore, un fanatico non idealista: una specie di ossimoro, insomma.

    Quando Popinga si arrabbia e stronca, a me mi fa tanta paura. Se fossi uno scienziato o uno scrittore, io sarei dilaniato dal desiderio di avere una sua opinione super autorevole sulla mia opera, e nel contempo paralizzato dall'angoscia del suoi giudizi tombali. Avere un amico che fa tanta paura è divertente: una pacca sulla spalla cameratesca davanti a un bel bicchiere di Lambrusco insieme a un rossore verginale e a palpitazioni da ansia di prestazione.

    E comunque il lunedì non sarebbe lo stesso, senza di lui. Senza Popinga, intendo.

    B

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  11. olistic-zen05/04/12, 02:42

    Direi che Popinga ha, dalla sua, talento, domestica-follia, quel minimo di arroganza necessaria, soprattutto grande e sottile intuito (ovviamente: secondo me).
    Ottimo che abbia voglia, Popinga, di esprimere i suoi giudizi, leggiamoli e condividiamo o respingiamo. Fa sempre riflettere (quanto mai su quel pallone sgonfio di Bariccolo, scrittore di un'inutilità "gotica"...)
    Ma francamente se ci mettiamo a fare le stroncature su Popinga, che fa le stroncature di un Popinga che fa le stroncature su un altro Popinga ecc. ecc. mi sembra poi troppo... Restituiamo le proporzioni al tutto.
    Al ferro diamo lo spazio che merita, al ferro "battuto" uno spazio maggiore, al ferroni un altro ancora, e via così.
    Ciao a tutti. Olistic

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  12. Baricco è tante volte indefendibile; e questa recensione nè è la prova
    Zichichi e Bourbaky non li conosco
    grazie per le informazioni
    Blas

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