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martedì 14 agosto 2012

Sette canne, un vestito


La storia dell’industrializzazione italiana nel Novecento è fatta spesso di grandi idee, di investimenti ambiziosi, di crisi che sembrano definitive, di rilanci e di sogni che talvolta sono diventati realtà. Basti pensare alla vicenda dell’ENI, società che fu affidata a Enrico Mattei per essere liquidata e che nel dopoguerra divenne un gigante nel settore petrolifero. La chimica industriale ha giocato un ruolo importante nel processo di crescita del nostro paese, in molti settori strategici come ad esempio quello della produzione di fibre tessili artificiali. 

Metodi per la produzione di fibre per l’industria tessile a partire dalla cellulosa dei vegetali erano noti già negli ultimi decenni dell’Ottocento, ma solo nel 1902 il chimico inglese Charles Frederick Cross e i suoi collaboratori brevettarono una seta artificiale che chiamarono viscosa. Il nome deriva dal fatto che la cellulosa, che è insolubile in quasi tutti i solventi, si scioglie in una soluzione alcalina di un solvente organico, il disolfuro di carbonio, formando un derivato chiamato xantato di cellulosa. Questa sostanza si presenta come una dispersione colloidale viscosa, da cui il nome commerciale. Quando la viscosa viene estrusa attraverso piccoli fori e il filamento risultante viene trattato con acido, la cellulosa viene rigenerata nella forma di sottili fili che possono essere usati nella produzione di un tessuto simile alla seta, poi chiamato rayon. Un processo simile, in cui la viscosa viene estrusa attraverso una sottile fenditura, produce fogli di cellophane


Un ruolo importante nella storia della produzione italiana fu svolto dalla SNIA. Nata nel 1917 a Torino su iniziativa dell’imprenditore e finanziere biellese Riccardo Gualino, la SNIA (Società di Navigazione Italo Americana) era all’inizio una società per il trasporto marittimo del carbone degli Stati Uniti in Italia. Con la fine della guerra, in seguito al crollo dei noli marittimi, la società decise di diversificare l’attività, interessandosi alla produzione di fibre artificiali. Acquistando e assorbendo diverse aziende chimiche, la SNIA, che sarebbe poi diventata Società Navigazione Industriale Applicazione Viscosa (SNIA Viscosa) divenne una delle più importanti aziende del paese nella produzione di ciò che allora si chiamava seta artificiale e che, quando nel 1924 si proibì per legge l’uso del nome seta per i prodotti non derivanti dal baco da seta, prese il nome di rayon. 

Anche la SNIA sembrò a un certo punto affrontare una crisi fatale, quando Gualino, che si era avventurato in speculazioni finanziarie in prossimità della grande crisi del 1929, entrò in urto con il governo fascista. Intervenne allora un azionista dell’azienda, l’imprenditore milanese Senatore Borletti, che assunse temporaneamente la presidenza (1930) per poi affidare il timone nel 1934 a Franco Marinotti, che aveva fatto esperienza nel settore tessile con il commercio in Unione Sovietica e nel Vicino Oriente. Marinotti risollevò l’azienda, anche grazie ai buoni rapporti con il fascismo (fu vice podestà a Milano), e la resse, tranne che nel periodo 1943–47, promuovendone lo sviluppo, quasi fino alla morte, avvenuta nel 1966. 


La politica di autarchia imposta all’Italia dalle sanzioni internazionali dopo la guerra d’Etiopia impose di fare a meno del legno delle conifere dell’Europa settentrionale per l’approvvigionamento di cellulosa, la materia prima per il processo di produzione del rayon. Si pensò allora di utilizzare la canna gentile (Arundo donax), specie che abbondava nelle zone paludose che allora si stavano bonificando. Proprio in una di queste aree in via di risanamento nel sud del Friuli, i cui dintorni erano ricchi di canne, si decise di impiantare un insediamento industriale per la produzione del rayon. Attorno al vecchio centro agricolo di Torre di Zuino, in comune di San Giorgio di Nogaro, si costruì nel biennio 1936-37 un importante stabilimento della SNIA, circondato da case per gli operai e da una rete di servizi. Si crearono edifici pubblici e abitativi, stadio, piscina e strutture produttive, collegati da un razionale assetto viario, che costituiscono uno degli esempi più interessanti di pianificazione urbanistica del periodo fascista. L’opera fu inaugurata da Benito Mussolini in persona il 21 settembre 1938 e fu celebrata da un poema di Filippo Tommaso Marinetti.



Nacque così Torviscosa, divenuto comune autonomo nel 1940, che, per certi versi, anticipa l’idea di “centro aziendale”, che negli anni ’50 ispirò la nascita di Metanopoli “capitale” dell’ENI di Enrico Mattei alle porte di Milano. Il primo podestà del neonato comune friulano fu naturalmente Marinotti. 

Negli anni 1944-45 i bombardamenti alleati colpirono la fabbrica di Torviscosa nei suoi punti nevralgici. Appena finita la guerra, si ripararono gli ingenti danni e riprese la produzione di rayon. L’approvvigionamento di materia prima era difficoltoso, e perciò si continuò a ricorrere all’autarchica canna gentile. Per promuovere la propria attività, nel 1949 la SNIA decise, come usava prima dell’avvento della televisione, di commissionare un cortometraggio da proiettare nella sale cinematografiche. La stessa cosa sarebbe ad esempio accaduta in Francia otto anni dopo, quando la Pechiney commissionò ad Alain Resnais un documentario sull’utilità della plastica che si giovò del testo in versi alessandrini di Raymond Queneau.

L’incarico fu assegnato a Michelangelo Antonioni, che aveva collaborato con Roberto Rossellini e Luchino Visconti in Italia e con Marcel Carné in Francia e aveva alle spalle una discreta produzione documentaristica (Gente del Po, 1943-47, Nettezza Urbana, 1948, L’amorosa menzogna, 1949, questi ultimi due entrambi premiati con un Nastro d’argento). Le riprese furono effettuate negli stabilimenti di Torviscosa e di Varedo, riprendendo direttamente i lavoratori e le macchine in azione. Nacque così Sette canne, un vestito


Accompagnato dalla voce narrante, che legge un testo semplice e chiaro (con il bell’incipit “Questa è la favola del rayon”), il documentario illustra tutte le fasi di produzione del rayon a partire dalla canna gentile. Si parte dallo sminuzzamento e bollitura della canna che, una volta ripulita delle scorie, diventa pasta di cellulosa. Questa entra nelle torri di clorazione e di alcalinizzazione, dove viene sbiancata e purificata e trasformata in fogli. I fogli vengono pressati, aggiungendo soda caustica diluita, e disintegrati. I frammenti di cellulosa, diluiti nel disolfuro di carbonio, si trasformano in xantato di cellulosa, che fuso con la salamoia, da vita alla viscosa. Segue la fase di estrusione attraverso piccoli ugelli, in cui la viscosa, grazie all’azione di un acido, diventa un filo lucido e solido che viene arrotolato in gomitoli. Dopo una nuova lavatura e sbiancatura, si riavvolge in un gomitolo definitivo chiamato "rocca conica", costituito da cento chilometri di filo. Dalle umili canne di paludi malsane e fangose si ottiene così un tessuto economico simile alla seta. Con sette canne si può ottenere un vestito. E, se il sarto è bravo, si possono realizzare abiti d’alta moda da presentare nelle maggiori sfilate del mondo.

 

L’opera mette in evidenza l’estrema cura compositiva di ogni sequenza e alcuni elementi di quella che sarà la cifra stilistica di Antonioni, come il tema dell’ambivalenza degli insediamenti industriali che si installano nella campagna. Non sappiamo se il regista si sia confrontato con la poesia di Marinetti, ma si può notare come il documentario segua quasi fedelmente la scansione delle immagini evocate dal poeta, anche se ne muta completamente le implicazioni. 

Ritrovato nel 1995 nell’archivio storico della fabbrica, amorevolmente custodito da Enea Baldassi, Presidente dell’Associazione Primi di Tor Viscosa, e meritoriamente restaurato dalla Cineteca del Friuli di Gemona, il documentario è una testimonianza importante per la storia della chimica industriale del nostro paese e per i rapporti che essa seppe intrattenere con il mondo dell’arte e della cultura in generale.

4 commenti:

  1. Oggi (e non solo in Italia) manca una simile interazione tra arte e industria.
    E credo che tale interazione sarebbe utile a entrambe le parti.
    Saluti,
    Mauro.

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  2. Negli U.S.A. furono coinvolti, in un documentario di argomento simile (i derivati del legno, fra cui il rayon)Laurel & Hardy:
    http://www.youtube.com/watch?v=EWzdI09gZzo

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  3. Grazie dell'info, Sebastiano. Ne farò tesoro. :-)

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