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lunedì 3 settembre 2012

I versacci di un fannullone

Dice la Treccani online che la parodia è il “travestimento burlesco di un’opera d’arte, a scopo satirico, umoristico o anche critico, consistente, nel caso di opere di poesia (meno spesso di prosa), nel contraffare i versi conservandone la cadenza, le rime, il tessuto sintattico e alcune parole (…). La parodia è dunque imitazione dei modi e degli stili, fatta con l’intento di suscitare l’ilarità, quasi sempre accompagnata dalla dichiarata intenzione di castigare ridendo mores. Una forma di satira, dunque? Piuttosto un genere poetico a sé stante, antico quanto la poesia stessa, se è vero che già nell’antica Grecia c’era chi parodiava Omero e se anche grandi poeti si sono cimentati con l’imitazione “degenere” di altri, anche solo per imparare da loro. Infatti, per fare una buona parodia bisogna essere bravi poeti, così come per fare una buona imitazione bisogna essere bravi attori.

E, direi, si ha oggi un bisogno essenziale di trasformare l’indignazione in verso, come scriveva Giovenale. Se l’indignazione oggi sceglie la parodia è un segno dei luoghi, perché il nostro Paese ha sempre trasformato le tragedie in commedie, e dei tempi, perché mai come in questi ultimi anni la classe politica è riuscita ad incarnare i difetti della parte più cafona della società, che ha in precedenza modellato a propria immagine e somiglianza grazie al potere pervasivo dei mezzi di comunicazione di massa. Così gli italiani sono diventati “pubblico” o, per dirla con Horkheimer e Adorno, “cliente e impiegato” del meccanismo di dominio.

Una risata non li seppellirà, ma consola pensare che ci siano persone che mettano il loro sapere e la loro ironia al servizio della denuncia sociale, oltre naturalmente che del proprio diletto personale. Una di queste è Maurizio Ternullo, siciliano di Augusta, dove è nato nel 1947. Dopo la laurea in Fisica, ha lavorato cinque anni in Fiat, alla Direzione Ricerca e Sviluppo (data a quegli anni la fine dello sviluppo della Fiat); conserva ancora gelosamente la tessera del sindacato unitario Cgil-Cisl-Uil. Superato un concorso per astronomo, si è trapiantato a Catania. Si dedica alla fisica solare (il ciclo di attività solare) e, a tempo perso, studia la geometria dell'ellisse, curva che lo affascina perché notoriamente eccentrica (a differenza del compassato cerchio). Negli ultimi anni prende il vezzo senile di scrivere versi, spinto dalle dichiarazioni della Gelmini sulla inferiorità degli insegnanti meridionali e di Brunetta sugli statali "fannulloni".

Nascono così i Versacci di un fannullone, raccolta di poesie satiriche, comiche e indignate, molte delle quali sono, appunto, parodie, quasi tutte precedute da una breve nota sul fatto di cronaca politica che ha ispirato l’opera. Quella che mi è piaciuta in modo particolare fa il verso ai versi del Sommo Poeta:

Grillo, vorrei che tu, Bossi e Borghezio

Anche Beppe Grillo, come un leghista DOC, non vuole che i bambini nati in Italia, figli di stranieri, siano cittadini italiani 

Grillo, vorrei che tu, Bossi e Borghezio
e Calderoli, Salvini e Maroni,
con mutuo amore, senza alcuno screzio,
andaste tutti fuori dai coglioni,

e MariaStella con la Santanché
unisse a voi e a donna Mussolini
il buon incantatore, e già che c'è
non si scordasse Sgarbi e la Bernini,

né Stracquadanio, Gasparri e Cicchitto,
né Rosy Mauro, quale presidente
dell'eletta assemblea dei naviganti,

e, messi in un vascello, andaste dritto
dove volete, oriente od occidente,
purché spariste insieme tutti quanti.

(1 febbraio 2012)

Ma l’arte di Ternullo non si limita alla parodia. Qui è stimolata dal comportamento di un ministro della Repubblica che pare da poco disceso dagli alberi, vero fascio-piteco:

Un primate a Montecitorio 

Il 30 Marzo 2011, il ministro La Russa si produce, dal banco del governo, in un applauso di scherno a Franceschini e quando il presidente Fini lo invita a moderarsi, gli rivolge un esplicito "Vaffanculo". 

Considera, lettor, le costumanze 
di uno che stando al banco del governo, 
dove l'hanno portato circostanze 

che sol comprender può il Padreterno, 
sia capace di opporre ad argomenti 
a lui sgraditi, un applauso di scherno,

che altro opporre non può; non altrimenti 
che urlante scimmia entro robusta gabbia, 
se vede giungere folle plaudenti 

lascia per poco di grattar la scabbia 
e i gesti lor riprende, e poi li alterna 
con urla e capriole, e quanto abbia 

di lascive pulsioni, tutto esterna 
acquetandosi sol se il pasto morde. 
Più aduso, forse, a bordello o a taverna,

l'antropoide inveisce e non demorde, 
e urlando "Vaffanculo" al presidente, 
mostra il valor delle ferine corde. 

Matta bestialità lo fa furente; 
agli italiani onore e lustro toglie 
anzi, di spregio diffonde semente. 

Chi oltr'Alpe va, l'amaro frutto coglie. 

(5 Maggio 2011)

L’ultima opera che propongo al lettore, sempre scritta con un linguaggio aulico che fa da splendido contrasto alla bassezza dei temi trattati, è dedicata a colui che tutto questo mondo ha creato, l’Urflegel nella lingua di Goethe, il Cafone originale: 


Le barzellette oscene di Berlusconi 

Berlusconi narra ai sindaci cinti di fascia tricolore la barzelletta sulla mela "che sa di fica".

Le sue frodate ville erano piene 
di una folla di astuti adulatori; 
ridevan forte alle storielle oscene 

che lui narrava ai suoi visitatori. 
Qualcun rideva cogliendo gli istanti 
quando ognuno degli altri ascoltatori 

stando in silenzio, sporgendosi avanti, 
con grande zelo fingeva interesse: 
così poteva fregar tutti quanti, 

ridendo prima ch'ogni altro ridesse. 
Per la scarsa memoria o fantasia, 
Silvio poi le contava alle commesse 

che già le conoscevan dalla zia, 
poi le contava ai ministri stranieri, 
al barista, qual mancia o regalia, 

ai sindaci, venuti seri seri 
per problemi scottanti e impellenti
e che, cercando d'apparir sinceri, 

ridevano, ridevan da dementi 
contando di ottenere sovvenzioni 
in proporzione all'arcata dei denti 

ch'ognun mostrava in preda a convulsioni, 
ad anossia per troppa ilarità, 
chi steso a pancia in su, altri bocconi, 

chi sbavando paonazzo in libertà
con la cravatta allentata, il colletto 
sbottonato, a mostrare l'ubertà

del satiresco vello sopra il petto. 
Poi l'incubo si sciolse e il narratore 
riprese il posto suo sopra un traghetto 

a intrattenere attempate signore 
che, ridendo e tenendosi la pancia, 
grate del ritrovato buonumore

il suo cappello empir della lor mancia. 

(24 Aprile 2011 - Pasqua)

Il libro può essere acquistato online oppure ordinandolo nelle librerie LaFeltrinelli.

Maurizio Ternullo, Versacci di un fannullone, Ilmiolibro.it 
ISBN: 9788891023650 
Formato 15x23 - Copertina Morbida - bianco e nero 
196 pagine 
2a edizione 7/2012 

Prezzo di copertina € 14,5 
Prezzo di vendita online € 12,00

6 commenti:

  1. Domanda: ci sono anche Brocco Uttiglione e Jo Vanardi?
    Se poi ci fosse anche il Cota... (o chiedo troppo)

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  2. ma allora anche quelle di Franco e Ciccio erano opere d'arte?

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  3. E' questione di gusti. A me da bambino piacevano. E comunque sei ampiamente off topic.

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  4. Caro Marco, come posso ringraziarti per tanta attenzione dedicata ai miei passatempi da pensionando ? E' vero, nelle mie satire si ritrovano citazioni di Dante, Leopardi, Manzoni, Tasso, etc. Ho inteso per lo piu' queste citazioni come atti di omaggio a questi autori [con un'eccezione: detesto la Gerusalemme Liberata e il 5 maggio (a cui si ispirano le "sconcezze n. 1 e 2); tutto lo studio che dedicai da bambino a "ei fu siccome immobile..." ora lo dedico a ridicolizzare questi versi così lontani dal mio attuale modo di sentire]. Per Dante o Ariosto è diverso: Dante è la passione della mia vita, e le citazioni spesso veicolano un significato che viaggia insieme a quello palese, come in filigrana. Nel brano dedicato a Bertone (turbato, povera verginella, per le dissolutezze di B.), c'è questa terzina: "Mangiasti con la fame di Ugolino / con Berlusca, arcivescovo Bertone. / Cosa ti indusse a stargli sì vicino?". Qui, ho ricalcato la terzina "Tu dei saper ch'io fui conte Ugolino / e questi e' l'arcivescovo Ruggieri / Or ti diro' perch'io son tal vicino" come a sottolineare l'analogia tra la coppia dantesca (Ugolino/Ruggieri) con questa (Berlusca/Bertone): due traditori degni l'uno dell'altro. Il brano "Berlusca furioso" comincia citando Ariosto: "Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto". Così l'Ariosto introduce la pazzia di Orlando, che legge e rilegge il brano dove Angelica e Medoro rivelano che si amano. Nel brano mio, la citazione di Ariosto, piegata a descrivere B. che legge e rilegge i nomi dei suoi per individuare i "traditori", getta il ridicolo su B., che viene descritto mentre vive l'abbandono dei suoi deputati come il tradimento della donna amata. Poi ho parodiato anche "Guido, I' vorrei che tu e Lapo e io..."; è vero, ho fatto tante boiate. Oh, ragazzi, è appena uscita la terza edizione: meno pagine, testo accresciuto di note, specialmente i brani dedicati a Galileo, Feyerabend, Zichichi, Messori e Cammilleri. Leggete, leggete quanto la Chiesa amo' sempre Galileo, leggete che lo spazio e' reale e il tempo immaginario, e che se non ci sono equazioni non si puo' credere nulla: neanche che per fare figlioli, bisogna fare l'amore: neanche che alla fine, si schiatta tutti. Ma questo è un altro discorso, molto lungo. Ti abbraccio, Marco, e grazie a chi ha avuto la bontà di leggermi.

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  5. Quanto mi piaceva quella bottiglia nella testata...

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