The Wandering Rocks
(Le rocce erranti), decimo episodio dei diciotto dell'Ulysses di James Joyce (1922), racconta le attività dei cittadini
nelle strade di Dublino tra le tre meno cinque e le quattro del pomeriggio del
16 giugno 1904. Composto da diciannove brevi scene quasi disarticolate, che
mostrano collettivamente quasi tutti i personaggi dell’opera, questo episodio è
sia un intermezzo tra le due metà sia una miniatura del tutto. Limitato
spazialmente dai percorsi paralleli di due illustri personaggi, il reverendo
John Conmee e l’Earl of Dudley, viceré d’Irlanda, che raffigurano la Chiesa e
lo Stato coloniale che stringono idealmente la città di Dublino, l’episodio fu pensato come simbolo dell’ambiente ostile, tuttavia ogni personaggio
è un protagonista, per cui si respira un’atmosfera corale.
La sesta scena vede Stephan Dedalus mentre parla (in italiano, anche nell’originale) con il maestro di canto dall’altisonante nome di Almidano Artifoni. Pare che la decisione di Stephen di non intraprendere quella che potrebbe essere, secondo Artifoni, una redditizia carriera vocale sia legata alla sua convinzione che "il mondo è una bestia" (il travagliato giovane avrebbe detto che è un inferno).
Questa è la traduzione della scena di Enrico Terrinoni, per l’edizione che ha curato per Newton Compton (Roma, 2015). In corsivo sono le parole in italiano nell’originale di Joyce:
Più tardi, troviamo un cenno al baffuto insegnante di musica italiano nella diciassettesima scena (“Almidano Artifoni superò Holles Street procedendo oltre il cantiere di Sewell”) e nell’ultima, dove il corteo del Viceré d’Irlanda, passando per Landsdowne Road, incontra il saluto distratto, doveroso, ipocrita degli astanti “e il saluto dei pantaloni resistenti di Almidano Artifoni, inghiottiti da una porta che si chiudeva”. Quella porta che si chiude segna anche la fine dell’episodio.
Sappiamo dalla biografia di Joyce che il suo insegnante di italiano si chiamava in realtà padre Charles Ghezzi s.j., trasformato in Artifoni. Ghezzi compare in altri racconti di Joyce, con il nome sempre cambiato, ma con le stesse fattezze.
E Almidano Artifoni? Era un personaggio reale? Possiamo con certezza rispondere affermativamente, ma egli non era né un gesuita, né un musicista. Era un uomo che aveva fatto del bene a Joyce, al punto da meritarsi le citazioni che sono state riportate.
Il bergamasco Almidano Artifoni (1873-1950, dopo essersi diplomato alla Scuola superiore di Commercio di Genova, fu per cinque anni insegnante alla Berlitz School di Amburgo in Germania, arrivando a diventarne il direttore. Nel 1900 si trasferì a Trieste, per aprirvi la locale filiale della Berlitz. Qualche anno più tardi divenne molto importante nella vita dello squattrinato James Joyce (giunto a Trieste nell’ottobre 1904 con la compagna Nora Barnacle incinta), che tolse dalle ristrettezze assegnandogli un posto di insegnante di inglese presso la sede distaccata di Pola, e poi nella sede centrale della stessa Trieste, dove successivamente diede lavoro anche al fratello di Joyce, Stanislaus, che aveva raggiunto James nel capoluogo giuliano.
Nel 1907 Artifoni lasciò la direzione della Berlitz School nelle mani di altri due insegnanti, anche se continuava a presentarsi come direttore. Insegnò ragioneria alla Scuola Superiore di Commercio Revoltella e aiutò Joyce a ottenere il ruolo di insegnante d’inglese nello stesso istituto tra il 1910 e il 1913. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il vero Artifoni rimase a Trieste lavorando come esperto contabile per il Tribunale.
E lo pseudo-Artifoni maestro di canto che compare nell’Ulysses? Era il maestro napoletano Luigi Denza, compositore di Funiculì funiculà, insegnante alla London Academy of Music, il quale nel 1904 aveva presieduto la giuria del prestigioso concorso di canto dublinese Feis Ceoil, a cui Joyce aveva partecipato vincendo la medaglia di bronzo. Si disse che avesse rinunciato alla finale a causa della richiesta di cantare un pezzo leggendo la musica. Joyce era infatti un melomane appassionato, aveva una bella voce tenorile e prese qua e là lezioni da diversi maestri. Durante il soggiorno triestino era stato allievo di Romeo Bartoli quando si iscrisse al Conservatorio di Musica di Trieste nell’ottobre del 1908 con l’intenzione di esercitare la voce per dedicarsi a una carriera da professionista. Bartoli gli confermò di essere dotato di una voce piuttosto buona e gli promise che sarebbe stato pronto a salire su un palco entro due o tre anni. Si sa, inoltre, che Joyce diede a Bartoli delle lezioni di inglese ed è possibile che i due scambiassero le proprie prestazioni professionali. In realtà la “carriera” di Joyce si sarebbe limitata alla performance resa nel quintetto tratto da Der Meistersinger di Wagner al concerto di fine anno del Conservatorio, il 3 luglio 1909.
Insomma, Artifoni, uno e trino, vero o prestanome, rappresentò per lo scrittore irlandese una figura positiva (“Occhi umani”) che volle ricordare nelle sue opere e, soprattutto, nel suo capolavoro.
Nessun commento:
Posta un commento