Nel 1930, i fisici erano affascinati da un numero α chiamato costante di struttura fine o costante di Sommerfeld, la costante di accoppiamento dell'interazione elettromagnetica, di cui esprime l'intensità relativamente alla carica elementare. Fu introdotta da Arnold Sommerfeld nel 1916 come misura della deviazione relativistica delle linee spettrali del modello atomico di Bohr ed è espressa da una relazione fra costanti fisiche nell'ambito dell'elettromagnetismo. Come tutte le costanti di accoppiamento, α è una quantità adimensionale, indipendente dal sistema di unità di misura usato. Essa vale esattamente 1/137, o almeno così si pensava allora.
A detta di Max Born, in The Mysterious Number 137, pubblicato nei Proceedings of the Indian Academy of Sciences nel 1935, la costante «Ha le conseguenze più fondamentali per la struttura della materia in generale». Tale costante definisce la scala degli oggetti naturali: le dimensioni degli atomi e di tutte le cose che sono costituite da atomi, l'intensità e i colori della luce, l'intensità delle forze elettromagnetiche, ecc. In sostanza, controlla e ordina tutto ciò che vediamo.
La costante di struttura fine è di fondamentale importanza anche per quanto concerne il principio antropico, infatti, questo parametro adimensionale è determinante nel far sì che l'Universo si presenti così com'è, ossia in grado, tra le altre cose, di ospitare forme di vita. Una leggera variazione (del 10-20%) dal suo valore basterebbe infatti a influenzare in modo rilevante le leggi fisiche che governano l'Universo, in quanto si avrebbero cambiamenti nei rapporti tra le forze attrattive e repulsive tra le particelle elementari, con conseguenze dirette sulla costituzione della materia e sull'attività stellare.
La sua esistenza venne interpretata da alcuni scienziati come un indizio dell'incompletezza del nostro attuale modo di interpretare le leggi della natura. Come mai questo numero è l'esatto inverso di un numero intero? Alcuni, come Arthur Eddington, che perse molto tempo della sua gloriosa carriera in queste elucubrazioni numerologiche, credettero che questa coincidenza dovesse avere necessariamente un significato mistico. Eddington inizialmente pensava che α valesse 1/136, ma poi cambiò idea per accordarsi ai dati sperimentali, una evidente contraddizione rispetto alla sua idea platonica di derivare le costanti fondamentali della natura da speculazioni esclusivamente numeriche. Altri, come Wolfgang Pauli, interessato alla Kabbalah, che associa un numero a ogni lettera ebraica, fu sconvolto nel notare che il numero che la Kabbalah associa alla parola Kabbalah non è altro che... 137. Il 137 per Pauli fu una vera e propria ossessione (e lo fu anche per il suo amico e sodale lo psicanalista Carl Jung) e tale rimase fino al giorno della sua morte. Morì nella camera numero 137 dell’Ospedale di Zurigo.
Per prendere in giro questi eccessi numerologici, un giovane fisico, Hans Bethe, che avrebbe ricevuto il Premio Nobel nel 1967, scrisse con altri un articolo [1] in cui affermava di spiegare perché lo zero assoluto della temperatura, lo zero Kelvin, è pari a −273° Celsius. Questa corrispondenza non è convenzionale, spiegava, perché −273 è uguale a −274 + 1. Tuttavia, 274 è uguale a due volte 137, cioè due volte l'inverso della costante di struttura fine. Hans Bethe continuava poi questa assurda ratatouille mescolando alcuni argomenti speciosi, spiegando ad esempio che è l'esistenza del neutrone che richiede l'aggiunta di un "più uno" affinché il calcolo sia corretto.
“Consideriamo un reticolo cristallino esagonale. La temperatura dello zero assoluto è caratterizzata dalla condizione che tutti i gradi di libertà sono congelati. Ciò significa che tutti i movimenti interni del reticolo cessano. Questo ovviamente non vale per un elettrone su un orbitale di Bohr. Secondo Eddington, ogni elettrone ha 1/α gradi di libertà, dove α è la costante struttura fine di Sommerfeld. Oltre agli elettroni, il cristallo contiene solo protoni, per i quali il numero di gradi di libertà è lo stesso poiché, secondo Dirac, il protone può essere visto come un buco nel gas di elettroni. Per ottenere lo zero assoluto dobbiamo quindi rimuovere dalla sostanza 2/α −1 gradi di libertà per neutrone. (Il cristallo nel suo insieme dovrebbe essere elettricamente neutro; 1 neutrone = 1 elettrone + 1 protone. Un grado di libertà rimane a causa del movimento orbitale.) Per la temperatura dello zero assoluto otteniamo quindi:T0= −(2/α −1)°.Se prendiamo T0 = −273 otteniamo per 1/α il valore di 137 che concorda entro certi limiti con il numero ottenuto con un metodo completamente diverso. Si può facilmente dimostrare che questo risultato è indipendente dalla scelta della struttura cristallina”.
Per chiunque abbia basi rudimentali di fisica moderna, l’articolo è privo di senso ed è una evidente parodia di certi tipi di "numerologia" che sono popolari tra pseudoscienziati e invasati. Per i suoi autori nel 1931 era ugualmente privo di senso; la fisica dello stato solido era meno avanzata di oggi e stava subendo alcuni cambiamenti drammatici causati dalla rivoluzione della fisica quantistica. Tuttavia, c’erano enormi lacune nella logica che avrebbero dovuto essere ovvie per i fisici di quel tempo.
Ad esempio, α è indipendente dai sistemi di unità di misura, mentre il numero −273 per lo zero assoluto si applica solo ai gradi Celsius; in un altro sistema come i gradi Fahrenheit, lo zero assoluto è a −459° F. Questa è solo la sciocchezza più ovvia nel documento, ma avrebbe dovuto essere sufficiente per gli editori del giornale per capirlo.
L'articolo fu pubblicato su una rivista molto seria il 9 gennaio 1931. Tre mesi dopo, il direttore della rivista dovette pubblicare una nota spiegando che questa bufala aveva solo lo scopo di mettere in guardia contro la proliferazione di pubblicazioni che rientrano in quelle che ora vengono chiamate "scemenze". Inoltre, ora sappiamo che la costante di struttura fine non vale 1/137 ma 1/137.035.999... Non è il reciproco di un intero, quindi non c'era bisogno di fare tante speculazioni.
[1] G. Beck, H. Bethe, W. Riezler, "Remarks on the quantum theory of the absolute zero of temperature", Die Naturwissenschaften, 2 (1931)
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