«Sento odore di guerra». «E io di primavera,
la terra che formicola, Signore, sotto la neve. Sgela».
«Appena via la neve si scatena l’inferno».
«Monsieur, mentre lo dite, non sembrate toccato».
«Atarassia? O Crisippo, sarebbe bello. Ma ti fidi tu
di questa natalizia pace e quiete? Quando fu l’Europa
mai il grembo di Abramo? Nei miei lunghi viaggi
sui muri dei granai ho visto i segni. Già l’inverno puzzava
di polvere da sparo. La bestia s’avvicina.
Solo io sono qui a morir di freddo». «Non vi state ammalando?»
«In Austria, in Boemia ed in Polonia pareva l’orizzonte
sigillato da un solo cielo grigio.
Fremeva soltanto dove in lontananza era punto dal campanile.
Sapeva il vino dell’incoronazione d’amara medicina,
puzza la selvaggina, ed ammuffito il pane.
A Danzica, agli scacchi, mi presero la dama non so come.
A Praga mi gridò un nano malvagio: brutto cattolico!
Sulle strade fango, movimento - passano truppe e truppe.
C’era una donna a Vienna che mi fece il malocchio.
Era ovunque, metalliche le sue scaglie di drago,
il dio delle battaglie. Affusti, asce, cuoio di corazze.
E un rimestio, un rumore per le campagne e i boschi.
E barconi e argini di tronchi, ogni fiume e torrente
largo abbastanza chiama fanteria, con lance dritte in piedi.
Ovunque salmerie e staffette a cavallo. Al vederle era chiaro:
qualcosa sta accadendo nelle terre romane».
Mi spaventate. Che ci faccio io qui?» «Questo buco è protetto.
E l’inverno è nemico della guerra.
non busserà alla porta prima che il merlo canti».
«Voi pensate sul serio di raggiunger l’esercito?»
Era contrito. Ancora così tronfio a San Martino -
ora, appena sfornato, l’io si affloscia.
Odia la luna piena e, con la febbre, va a coricarsi presto,
È come sempre quasi mezzodì quando Descartes si alza.
Si rade e dallo specchio la sua faccia gli dà del perdigiorno.
Lui rimbecca: che il diavolo ti porti... Vuoto davanti
ma già con le righe, già predisposti gli x, y, z -
incognite alle variabili di ogni nuova equazione.
Il futuro è un alfiere che galoppa.
Che gli importa la guerra ? Non varca la sua soglia!
«E cos’altro sapete?» «Scusami, ero distratto -
su che, Gillot ?» «La vostra guerra: ma verrà in Germania?»
«Sarà tremenda - e soprattutto qui».
«Sembra che sotto sotto vi rallegri».
«S’inganna chi si culla in sicurezze, la guerra ti trascina.
E non rimane mai pietra su pietra.
Il raccolto che brucia, città e campi sommersi.
Coi pifferi e le trombe si desta nell’infante l’istinto primordiale,
l’ha nel sangue la guerra: e un passatempo. Aspetta, non c’è dubbio:
o contro o pro si prende poi partito».
Cova il fuoco in Europa. Vien buio. Il fumo sale
dal lacerato panno sull’altare. Introitus... Finito il medioevo.
Miserabile ciò che dall’infanzia, non appena ragiona
porta con sé un cristiano, in quella sua coscienza
di sedotto, provato, sovvertito: una pappa il cervello
in cui su questa terra va guadando. E che profano è il cuore,
questo lacchè della sua carne debole.
Gerusalemme e Wittenberg, San Pietro e Notre Dame -
la rosa gira. Cigola la guerra, macchina per far soldi.
E all’empio sopravvive la vergogna.
«Guarda là. Ruggine. E mozziconi orridi, come fossero ossa.
La fiamma lecca e strappa quell’umida corteccia.
Cova e fuma dapprima, poi avvampa e crepita,
proprio come gli spari, a tradimento. Da ogni lato all’assalto:
questo regno di Cristo vien spartito, gli si scava la tomba.
Violenza al calor bianco: di ben dura moneta si ripaga
ciò ch’era focolare e amor del prossimo.
Il fuoco abbaglia, mangia l’intelletto.
La guerra paga, salario e onori attendono
chi salta in piedi e appicca il fuoco in grande».
da Della neve, ovvero Cartesio in Germania, di Durs Grünbein, traduzione di Anna Maria Cappi, Einaudi, Torino, 2005
René Descartes trascorse l’inverno tra il 1619 e il 1620 in Germania come soldato a proprie spese (“gentiluomo volontario”) al servizio del Duca di Baviera. Era in corso dal 1618 la Guerra dei Trent’anni. Rimase per mesi bloccato dai rigori stagionali in una confortevole casa ben riscaldata, probabilmente a Neuburg an der Donau, nel nord della Baviera, assieme al suo maggiordomo Gillot. Fu in questa località che iniziò a fissare i principi del suo "sistema", osservando come il sapere delle scuole risultasse meno vicino alla verità' di quanto non lo fossero "i semplici ragionamenti che può fare spontaneamente un uomo di buon senso riguardo alle cose che si offrono alla sua attenzione". Fu allora che decise di sbarazzarsi di tutte le nozioni acquisite, con l'intenzione di recuperarle eventualmente solo dopo "averle controllate e ordinate secondo le esigenze della ragione". Spirito dei tempi, questo sistema “razionale” gli sarebbe stato ispirato da un sogno. In primavera la Guerra riprese con tutto il suo portato di violenza, morte e distruzione.
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