Raymond Queneau (1903-1976) è stato uno dei più prolifici ed eclettici scrittori francesi del secolo scorso. La sua vivacità intellettuale ha dato luogo a un’opera molteplice, con una produzione originale, talvolta giocosa e, per certi versi, inclassificabile. Tra le sue opere più note sono gli Exercices de style (1947), opera geniale e provocatoria, in cui un brano formato da due paragrafi, in cui sono descritte delle vicende affatto banali, viene declinato in 99 versioni diverse, ciascuna con uno stile differente. Il libro è stato pubblicato in italiano con la competente traduzione di Umberto Eco (“Esercizi di stile”, Einaudi, 1983). Riporto un paragrafo del brano originario (Notazioni) e l’esercizio derivato in stile Geometrico:
NOTAZIONI. Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto vuoto, vi si butta.
GEOMETRICO. In un parallelepipedo rettangolo generabile attraverso la linea retta d’equazione 84x + S = y, un omoide A che esibisca una calotta sferica attorniata da due sinusoidi, sopra una porzione cilindrica di lunghezza l>n, presenta un punto di contatto con un omoide triviale B. Dimostrare che questo punto di contatto è un punto di increspatura.
Al di là di questo gioco letterario, una delle costanti che è possibile ravvisare nell’opera di Queneau è l’interesse per la scienza (qui un esempio) e, in particolare, proprio per la matematica. Ho analizzato in un articolo precedente l’aspetto combinatorio a proposito dei Cent mille milliards de poèmes (1961), libro singolare composto da dieci sonetti in cui ognuno dei rispettivi 14 versi, aventi le stesse rime e la stessa costruzione sintattica, è ritagliato su una striscia di carta. I versi possono essere combinati fino ad offrire appunto centomila miliardi di poesie.
La fascinazione di Queneau per i numeri fu precoce: alcune pagine del suo diario di adolescente già lo dimostrano chiaramente. A 17 anni annota: “Sono andato con Leroux al Museo. Studio con furore la matematica”. Alcuni dei suoi saggi, pubblicati in Bords (1963) e in Bâtons, chiffres et lettres (1965, in italiano “Segni, cifre e lettere e altri saggi”, Einaudi, 1981) contengono talvolta considerazioni sulle serie di Fourier, su Hilbert, su Bourbaki, e sulle “congetture errate nella teoria dei numeri”. Dal punto di vista più strettamente narrativo, la matematica compare sia come struttura (al punto da sfiorare in alcuni casi l’aritmomania), sia come soggetto, come ad esempio in Odile (1937, pubblicato in italiano da Einaudi nel 1989).
Odile
Odile non è un romanzo matematico, anche se il suo protagonista, Roland Travy, è un matematico dilettante fallito. Si tratta invece della duplice storia di una vicenda amorosa e di un’infatuazione intellettuale. La prima, quella tra Travy e Odile, l’eroina nascosta che dà titolo all’opera, termina bene. La seconda, quella di Travy per il cenacolo surrealista il cui capo Anglarès è la parodia di André Breton, termina male (e si tratta di una vicenda autobiografica perché Queneau era stato surrealista alla fine degli anni ’20, abbandonando il movimento con disprezzo per i suoi deliri onirici) .
La matematica ricopre un ruolo portante nella narrazione, un ruolo che è puramente estetico e mai didascalico (diversamente da opere come Il teorema del pappagallo di Hans Guedj o Il mago dei numeri di Hans Magnus Enzensberger). Tanto meno Queneau fa uso della matematica per creare metafore. In Odile la matematica è utilizzata per dipingere l’identità del protagonista, che in essa cerca rifugio, e come struttura narrativa, in grado cioè di creare effetti ed emozioni. Quando Travy parla di matematica, riporta con precisione alcuni teoremi come si potrebbero trovare in un manuale. Ecco il suo sfogo durante un colloquio con Odile:
“Gettai uno sguardo inutile su un foglio di carta che si attardava sul mio tavolo: dati due rami regolari semplici a diramazioni alterne, trovare il numero dei loro punti di intersezione in funzione di dodici quantità da cui dipende la loro rappresentazione simbolica in rapporto a due assi di coordinate. Ci volevano sei quantità per rappresentare senza ambiguità una tale figura geometrica, era là, pretendevo una delle mie scoperte, in effetti una semplice constatazione che fino a quel momento io non sapevo dedurre nulla. Presi un quaderno; vi erano dei calcoli su una nuova classe di numeri di cui mi credevo il padre, numeri formati di due elementi estremi di una doppia ineguaglianza. Essi presentavano rispetto alle tre operazioni diverse dall’addizione delle proprietà estremamente curiose che non arrivavo a spiegarmi chiaramente; delle ricerche su ciò che chiamavo l’induzione di serie infinite e l’integrale di Parseval, su ciò che definivo l’addizione a destra e quella a sinistra dei numeri complessi e l’importanza di queste operazioni per l’analisi combinatoria. Numeri, numeri, numeri...”
Un dilettante competente
Nel suo rapporto con i numeri, Queneau considerò sempre se stesso un dilettante (nel vero senso della parola), un “buongustaio di cifre”. Ciò non gli impedì di essere aggiornato su suoi sviluppi attraverso letture specifiche, una pratica costante, e la partecipazione ai seminari dei maggiori matematici operanti a Parigi. In un saggio incompiuto del 1942, Brouillon projet d’une atteinte à une science absolue de l’histoire, pubblicato nel 1966 con il titolo Une histoire modèle, Queneau tentò di conciliare gli studi di matematica applicata alle scienze biologiche e sociali del matematico e fisico italiano Vito Volterra (1860-1940) con le teorie sulla ciclicità della storia, per tentare di proporre un modello applicabile all’evoluzione della storia umana.
Nel 1948 entrò nella Société mathématique de France e, dal 1963, fu membro dell’American Mathematical Society. Da quell’anno partecipò ai seminari di ricerca operazionale e di calcolo dei grafi. Dal suo diario sappiamo che negli anni Cinquanta partecipava alle riunioni di Bourbaki e che incontrava regolarmente a cena il logico matematico austriaco Georg Kreisel (1923), che allora insegnava a Parigi, con il quale discuteva delle principali innovazioni matematiche.
Nel 1960 Queneau, sempre più attratto dalle possibilità offerte dalla combinatoria e dalla matematica in genere alla genesi letteraria, con un gruppo di scrittori e matematici tra i quali François Le Lionnais e Claude Berge, fondò l’Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle). Il termine “potenziale” si riferisce a qualcosa che esiste in potenza nella letteratura, cioè che si trova all'interno del linguaggio e che non è stato necessariamente esplorato. Strumento prediletto per lo studio e la produzione è la contrainte, una restrizione formale arbitraria che possa creare nuovi procedimenti, nuove forme e strutture letterarie suscettibili di generare poesie, romanzi, testi. Nel corso degli anni sono state esplorate decine di contraintes diverse, da quelle in qualche modo legate all’enigmistica, come il palindromo, l’acrostico, il lipogramma, a forme più direttamente legate ai codici delle scienze esatte, come il calcolo combinatorio, la teoria degli insiemi o la teoria dei grafi. Fra le numerose definizioni dell'Oulipo fornite dagli stessi membri, una è assai elegante e significativa: “Un Oulipiano è un topo che costruisce il labirinto da cui si propone di uscire più tardi”. La “filosofia” di questo gruppo tuttora attivo e ramificatosi in diversi paesi, tra cui l’Italia (come Oplepo), è che l’uso delle contraintes conduce l’autore a un maggiore sforzo immaginativo e può generare opere di assoluto interesse e qualità.
Nella vasta bibliografia di Queneau, a dimostrazione del radicamento del suo interesse e della competenza acquisita, è presente persino una vera e propria pubblicazione matematica. Si intitola Sur les suites S-additives (e il lettore accorto avrà notato l’allitterazione…).
Le serie s-additive
Sur les suites s-additives fu presentato da André Lichnerowicz come nota all’Accademia delle Scienze francese durante la seduta del 6 maggio 1968 e in seguito fu pubblicato (in francese!) sul Journal of Combinatorial Theory (12, p. 31, 1972) con la presentazione di Giancarlo Rota. In 41 pagine si succedono definizioni, teoremi con le loro dimostrazioni e un certo numero di congetture, tutti frutto dell’elaborazione di Queneau nel campo della teoria dei numeri.
Cerco di illustrarne i contenuti principali, partendo dal concetto più semplice: le serie 0-additive o serie non additive. Una serie non additiva è costituita nel seguente modo:
si parte da una base di k numeri interi strettamente positivi, disposti in ordine crescente (a1, a2, a3, ..., ak);
si prosegue la costruzione della serie rispettando la regola secondo la quale, per tutti gli n>k, an è il più piccolo numero intero superiore a an −1 che non può essere scritto come somma di due termini distinti della serie di rango inferiore a n.
Ad esempio, se consideriamo la base (1, 6, 8), il numero 9 non è un termine della serie in quanto 9 = 8+1. Al contrario, 10, che non può essere scritto come somma di due termini qualsiasi presi all’interno dell’insieme (1; 6; 8) è il termine successivo della serie. Si avrà dunque (1, 6, 8), 10, ... Con analogo ragionamento si può far proseguire la serie con i numeri 12, 15, 17, 19, 24, 26, 28, 33, 35, 37, 42, 44, ... .
Si noti che la regola di costruzione della serie non si applica ai termini della base, per cui un suo termine può essere la somma dei due termini precedenti. Ad esempio, nella base (3, 4, 6, 9, 10, 17) si ha 9 = 3+6 e 10 = 6+4.
Queneau incomincia a costruire e studiare un certo numero di serie 0-additive. La base (1, 3) genera così nient’altro che la serie dei numeri dispari, mentre (2, 6) genera (2, 6), 7, 10, 11, 14, 15, 19, 22, 23, ... . Poi constata che, nella maggior parte dei casi, le differenze tra due termini successivi di una serie 0-additiva divengono assai rapidamente periodiche, ripetendosi indefinitamente all’interno di un ordine dato.
Riprendiamo il primo esempio, (1, 6, 8), riscrivendo la serie e interponendo tra i termini successivi la loro differenza, scritta in rosso:
(1, 5, 6, 2, 8), 2, 10, 2, 12, 3, 15, 2, 17, 2, 19, 5, 24, 2, 26, 2, 28, 5, 33, 2, 35, 2, 37, 5, 42, 2, 44, ... .
Si osserva che, a partire da un certo rango, sembrano ripetersi le differenze 5, 2 e 2. In effetti è possibile verificare che le differenze sono periodiche e che, con l’eccezione di 12, i termini della successione appartengono a tre progressioni aritmetiche di ragione 9:
1 + 9p,
6 +9p,
8 + 9p.
Un tale fenomeno si osserva nella maggior parte dei casi, dopo eventuali “perturbazioni” per l’occorrenza di termini in soprannumero o, al contrario, di termini mancanti. Consideriamo un secondo esempio con la serie 0-additiva di base (6,10):
6, [9], 10, 11, 12, 13, 14, 15, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 93, 94, 95, 96, 97, 98, ...
Come i colori hanno messo in evidenza, i termini di questa serie appartengono a cinque progressioni aritmetiche di ragione 21, fatta eccezione per i due termini 6 e 15 e per il 9, assente dalla prima progressione e perciò inserito tra parentesi quadre.
La congettura di Queneau
Queneau ha dimostrato nel suo lavoro la periodicità delle differenze successive delle serie 0-additive di base (1, n) e (2, n). I suoi risultati sono raggruppati nel seguente schema:
Per gli altri valori di n, e per basi più complicate, Queneau congettura che le differenze presentino sempre delle periodicità, ma fino ad oggi non si è potuto dimostrare nulla e il problema, tutt’altro che semplice, resta aperto. L’americano Steven Finch, che si è occupato delle serie di Queneau, dopo il calcolo di più di un milione e mezzo di termini con l’ausilio del computer, ha trovato una base di sei termini, (3, 4, 6, 9, 10, 17), che sembra non consentire di trovare un periodo.
Le serie 1-additive
Per definire le serie 1-additive è sufficiente sostituire “che non può essere scritto come somma di due termini distinti della serie di rango inferiore a n” con “che può essere scritto esattamente in un solo modo come somma di due termini distinti della serie di rango inferiore a n”.
Consideriamo allora la serie 1-additiva (2, 3), che prosegue con 5 (5 = 2+3), con 7 (7 = 2+5), con 8 (8 = 3+5) e poi con 9, 13, 14, 18, 19, 24, ... . Non rientrano in questa serie i numeri come 4 o 6, che non possono essere scritti come somma di due termini precedenti, né i numeri come 10 o 11, che possono essere scritti in più di un modo come somma di due termini precedenti (in effetti, 10 = 2+8 = 7+3 e 11 = 3+8 = 2+9). Se si prosegue la costruzione di questa serie, non si riconosce alcuna struttura. Al contrario, la base (4, 5), studiata da Queneau, conduce a un periodo di 32 termini, dopo un primo “pseudoperiodo” contenente degli elementi perturbatori!
Queneau affronta anche lo studio della serie di base (1, 2), conosciuta come serie di Ulam, dal nome del grande matematico polacco-americano Stanislaw Ulam (1909-1984) che per primo l’ha studiata. Questa serie sembra sfidare ogni regolarità:
(1, 2), 3, 4, 6, 8, 11, 13, 16, 18, 26, 28, 36, 38, 47, 48, 53, 57, 62, 69, 72, 77, 82, 87, 97, 99, 102, 106, 114, ... .
In definitiva, il comportamento delle serie 1-additive pare assai più complicato di quelle delle serie non additive.
Gli altri valori di S
Si definiscono le serie S-additive come quelle serie in cui ciascun termine, a partire da un certo rango, “può essere scritto esattamente in S modi come somma di due termini distinti della serie”. Ad esempio, si può costruire la serie 2-additiva (1, 2, 4, 5), 6, 7, 8, 10, 13, ... perchè ciascun termine può essere scritto esattamente in 2 modi come somma di due termini che lo precedono (6 = 1+5 = 2+4; 7 = 1+6 = 2+5; ecc.). La serie (1, 2, 3, 5, 6, 7), 8, 9, 10, 12, 14, ... è 3-additiva, perché 8 = 1+7 = 2+6 = 3+5 e 9 = 1+8 = 2+7 = 3+6; ecc.
La costruzione e lo studio di queste serie si fanno via via sempre più complicate. È tuttavia possibile stabilire che, per S>6, numerose serie S-additive non presentano più un numero infinito di termini, ma diventano convergenti.
La serie di Dickson
L’idea di Queneau nel caso delle serie 0-additive era già stata esplorata circa quarant’anni prima dal matematico americano Leonard Eugene Dickson (1874-1954), per quanto in una forma leggermente diversa. In un articolo del 1934 Dickson studia le serie costruite a partire da una base di k numeri interi strettamente positivi, disposti in ordine crescente (a1, a2, a3, ..., ak), con la seguente regola di costruzione: per tutti gli n>k, an è il più piccolo numero intero superiore a an −1 che non può essere scritto come somma di due termini distinti oppure no della serie di rango inferiore a n. Se consideriamo la base (1, 6, 8) utilizzata come primo esempio, possiamo verificare come il criterio della distinzione oppure no differenzi le serie dei due studiosi:
Queneau: (1, 6, 8), 10, 12, 15, 17, 19, 24, 26, 28, 33, 35, ...
Dickson: (1, 6, 8), 10, −, 15, 17, 19, −, 26, 28, 33, 35, ...
Come si può notare, il 12 non fa parte della serie di Dickson, in quanto 12 = 6+6. Lo stesso succede per 24 = 12+12.
Non un semplice esercizio di stile
Le serie s-additive basate sui numeri naturali non sono certamente degli oggetti matematici eccezionali, tuttavia il loro studio è interessante per delle motivazioni essenzialmente metodologiche. La loro definizione fa ricorso a due concetti aritmetici elementari: l’addizione e la disuguaglianza. Le loro proprietà essenziali (divergenza o convergenza, regolarità o casualità) manifestano una notevole sensibilità alla variazione dei parametri iniziali. Questa caratteristica fa sì che da definizioni elementari possono essere generati oggetti matematici non lineari, difficilmente esplicitabili e valutabili. Ciò fa delle serie s-additive, al pari di quella dei numeri primi (di cui Ulam è stato uno studioso), una palestra ideale per lo studio dei sistemi complessi. Non a caso si è incontrato il nome di Ulam. Egli esaminò la sua serie nel quadro di uno studio iniziato nel 1961 intitolato On some mathematical problems connected with patterns or growth of figures (in Problems in Modern Mathematics, Interscience, 1964), legato ai modelli di automi cellulari ai quali si stava interessando anche John Von Neumann. Le serie di Queneau si inseriscono in questa prospettiva e non costituiscono affatto lo sterile “esercizio di stile” matematico di un dilettante ispirato.
Molto bello, c'è da studiare per alcuni giorni o alcuni anni. Per cui se chiudi il blog io vado avanti comunque. :-)
RispondiEliminaPer intanto una domanda, ma mi serve una piccola premessa: questo post è peer reviewed? Se sì si dimostra ancora una volta che i referee (non tutti, per carità! non voglio dare la stura a facili polemiche) non sempre fanno il loro lavoro con lo scrupolo che la Scienza (notata la maiuscola?) richiede. Se invece è tutto farina del tuo sacco possiamo dare la colpa alla scuola che non è abbastanza formativa. Perché, vedi, il quarto termine della serie di Ulam (che corrisponde al numero 4) non è seguito dalla virgola come segno (tipografico) di separazione dei termini della serie stessa ma da un punto (full stop, period). Nella mia disamina considero ciò un refuso che potrà essere corretto nelle prossime revisioni. Se così non fosse gradirei che l'autore o altri in sua vece mi facessero notare che l'errore è mio, nel qual caso potrei desistere dall'applicarmi alla matematica e passare ad altra attività. ;-)
Il full stop dopo il 4 è un mio refuso, che vado a correggere. L'articolo è mio, naturalmente scritto prendendo informazioni qua e là. Nello specifico, la parte sulle serie di Queneau è stata "presa" da un articolo divulgativo di Michel Criton contenuto in Mathématiques et littérature. Une fascination réciproque, Tangente, Ed. Pole, Paris, 2006. Nell'articolo citato, il 4 della serie di Ulam era correttamente seguito da una virgola (comma)!
RispondiEliminaCome sai, non sono un matematico, per cui potrei aver commesso qualche altro errore, che ti invito a correggere ringraziandoti in anticipo per l'opera di revisione.
ma queste serie hanno una qualche applicazione in qualche campo, allo stato attuale delle cose o come hai detto sono interessanti solo dal punto di vista metodologico?
RispondiEliminaChe io sappia le serie s-additive sono parenti povere di quelle più nobili dei numeri primi o della successione di Fibonacci. Non credo che, allo stato, abbiano un grande interesse pratico. Comunque non lo so, chiederò ai Rudi Matematici!
RispondiEliminaSi le varie serie di Fibonacci (Tribonacci , ecc,) mi sembra che abbiano applicazioni da qualche parte anche se non saprei precisare.
RispondiEliminaBeh, i cifrari a chiave pubblica permettono di crittografare un messaggio attraverso procedimenti che sfruttano proprio le proprietà dei numeri primi. I numeri di Fibonacci, in cui la differenza tra due termini consecutivi converge verso phi (sezione aurea), sono stati usati da Le Corbusier per progettare edifici "a misura d'uomo", ma è stato un mezzo fallimento. Altro non so.
RispondiEliminaGrazie per questo post. E' bellissimo.
RispondiEliminaCiao; nella prima enunciazione della serie o-additiva non arrivi ad ak, bensì ad an. (a1, a2... an). Suggerirei di correggere perché si fa un po' di confusione al paragrafo dopo finché non si capisce che è un refuso ;-)
RispondiEliminaGiancarlo Niccolai: grazie, ho corretto. E' già il secondo refuso che mi viene segnalato: protesterò con il mio pusher. :oops:
RispondiEliminaah, ecco,
RispondiEliminaavevo letto il tuo nome dai Rudimatematici!
Ho risposto al tuo commento scervellandomi... non ricordavo... :-)
Non ho avuto ancora il tempo di leggere i tuoi interessanti (e impegnativi :-)) post. Ma torno!!!
Devo leggere con calma..
per intanto, ricambio i complimenti :-)
g
Ciao! Un post molto interessante che tornerò a leggere con la dovuta attenzione. Sono Annarita di http://lanostramatematica.splinder.com
RispondiEliminaTi ho ospitato nella 13° edizione del Carnevale della Matematica:)
Tornerò a leggere anche altri post che ho adocchiato, connessione mobile permettendo...dato che sono al mare!
A presto!
annarita
molto interesante il post e l'intero Blog
RispondiEliminaultimamente parlavo con un cabbalista il quale mi parlava del numero 26 posto tra un quadrato ed un cubo , vedo che anche Queneau s'imbatte con questo numero nella sequenza.
non so se ti sei fatto un'idea precisa in merito.
saluti
Blas
Annarita: come dimenticare la più bella prof. di matematica della rete? Buone vacanze!
RispondiEliminaBlasblog, mi dispiace deluderti, ma le considerazioni numerologiche non mi interessano. E il mio interesse per la kabbalah è puramente storico e intellettuale.
RispondiEliminaPopinga vedo che non ti sei arrabiato per il mio commento (rileggendolo non mi piace il tono saputello). Adesso posso lasciar perdere il programma pluriennale di studi sulle serie s-additive. ;-)
RispondiEliminaCiao Popinga. Ti ringrazio dell'augurio di buone vacanze e dell'apprezzamento estetico. Se questa particolarità può tornare utile alla causa della matematica...ben venga!;)
RispondiEliminaHo segnalato sul mio blog di matematica il tuo articolo, che ho apprezzato in modo particolare fra i vari post del carnevale:
http://lanostramatematica.splinder.com/post/20971667#more-20971667
Curiosità: insegno anche Scienze (sono un fisico) e amo la poesia e la letteratura quanto la Scienza e la Matematica.
Buone vacanze e a presto!
annarita:)
Complimenti per il pst, davvero bello!
RispondiElimina@juhan: pare che l'applicazione pratica della matematica sia curare i complessi di inferiorità che affliggono i matematici.