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martedì 31 marzo 2015

Gauss e la nota di Schweikart

In una lettera del 19 dicembre 1799, scritta da Helmstedt, dove si trovava per discutere la tesi di laurea, il giovane Carl Friedrich Gauss (1777-1855) comunicava all’amico (e compagno di studi a Gottinga) Farkas Bolyai (1775-1856) i primi risultati dei suoi tentativi di dimostrare il V postulato di Euclide attraverso un procedimento per assurdo: 
“(…) sono dispiaciuto di non avere approfittato della nostra precedente vicinanza per sapere di più del tuo lavoro sui principi fondamentali della geometria; mi sarei senza dubbio risparmiato molti sforzi vani e sarei stato più tranquillo, per quanto ciò sia possibile per uno come me, quando ci sono molte cose da cercare in questa situazione. Personalmente sono andato molto avanti con lo studio di questo argomento (considerando che i miei altri impegni vari mi lasciano poco tempo), ma la via sulla quale mi sono messo non conduce al fine che si cerca, e che tu affermi di aver raggiunto, ma porta piuttosto a dubitare dell’esattezza della geometria. Certamente ho trovato molte cose che si potrebbero qualificare come prova di gran parte [della geometria euclidea], ma che in realtà ai miei occhi non provano NULLA; per esempio, se si potesse provare che esiste un triangolo rettangolo la cui area sia maggiore di quella di una data regione, allora sarei nella posizione di giustificare la geometria per intero. (…)”. 
Il 25 novembre 1804, rispondendo a una lettera di Bolyai in cui il matematico ungherese gli aveva inviato una Theoria parallelarum con la tanto attesa prova del V postulato, Gauss dichiarava francamente all’amico di non esserne soddisfatto, segnalava un errore, e sosteneva che lo scoglio contro il quale era andato a sbattere l’amico era lo stesso contro il quale lui stesso era finito. Si augurava, tuttavia, che “prima che il mio tempo finisca, questi scogli permetteranno il passaggio”.

Come si vede, egli era convinto, come la maggior parte dei matematici di allora, che una dimostrazione del controverso postulato delle parallele fosse possibile, anche se sosteneva che, per il momento, le numerose ricerche che aveva in corso non gli consentivano di dedicare molto tempo al problema. 

Solo lentamente incominciò a maturare in lui l’idea che il postulato non fosse dimostrabile e che fosse possibile una geometria diversa da quella euclidea. Così scriveva il 28 aprile 1817 da Gottinga all’amico Heinrich Olbers riguardo a un tentativo di dimostrazione del V postulato dell’allievo Friedrich Wachter, discutendo con il quale aveva coniato l’espressione “geometria anti-euclidea”:
Watcher ha stampato un piccolo articolo sui principi primi della geometria, del quale riceverete una copia da Lindenau. Per quanto Wachter sia penetrato nell’argomento più dei suoi predecessori, la sua dimostrazione tuttavia non è vincolante più di tutte le altre. Sto giungendo sempre più all’idea che la necessità della nostra geometria non può essere dimostrata, almeno non dalla mente umana, né per la ragione umana. Forse in un’altra vita giungeremo ad altre concezioni sulla natura dello spazio, che oggi ci sono irraggiungibili. Fino ad allora non si deve considerare la Geometria nello stesso rango dell’Aritmetica, che è a priori, ma piuttosto, nello stesso rango, diciamo, della Meccanica”. 
La sua prudenza, dettata anche dalla paura delle reazioni dei kantiani, allora dominanti e sostenitori dello spazio a priori, era ribadita in una lettera del 25 agosto 1818 all’astronomo e fisico Christian Gerling, del quale era stato relatore di tesi sei anni prima: 
“(…) Sono lieto che tu abbia il coraggio di esprimere le tue convinzioni che la nostra teoria delle parallele, assieme a tutta la nostra geometria, potrebbe essere falsa. Ma le vespe di cui vai a disturbare il nido ti voleranno intorno alla testa (…)” 
Abbastanza sorprendentemente, l’impulso a proseguire la ricerca in questa vita e non in un’altra doveva arrivare da un non addetto ai lavori, un giurista: Ferdinand Karl Schweikart (1780 – 1857). 


Schweikart aveva studiato legge all’università di Marburgo dal 1796 al 1798 e si era laureato a Jena. Dopo aver esercitato a Erbach tra il 1800 e il 1803, aveva fatto il tutore di aristocratici rampolli fino al 1809, anno in cui divenne professore straordinario di legge a Königsberg, dove ottenne anche una laurea in filosofia. Fu un autore molto prolifico nel suo campo, pubblicando tra l’altro un’opera sulle relazioni tra diritto naturale e diritto positivo. Quando studiava a Marburgo, aveva incominciato a interessarsi di matematica seguendo le lezioni di J.K.F. Hauff, che lo spinsero a interessarsi del problema delle parallele, che furono il soggetto della sua unica pubblicazione matematica (Die Theorie der Parallelinien, 1807). Il suo approccio iniziale al problema era rigorosamente euclideo, ma più tardi giunse a immaginare una geometria alternativa. 

Fu proprio Gerling a far conoscere a Gauss le idee coraggiose di Schweikart. Così gli scriveva da Marburgo il 25 gennaio del 1819: 
A proposito della teoria delle parallele, devo dirvi qualcosa, e onorare un impegno. Ho scoperto l’anno scorso che il mio collega Schweikart (Professore di Diritto, ora Prorettore) si è molto occupato di matematica, cioè delle parallele. Gli ho chiesto di prestarmi il suo libro. Mentre me lo prometteva, mi ha detto che ora pensava che il suo libro (1808) conteneva degli errori (egli assumeva per esempio come concetto fondamentale dei quadrilateri con tutti gli angoli uguali), ma che non aveva abbandonato il suo lavoro su questo argomento, e adesso era abbastanza convinto che, senza alcuni dati, il teorema di Euclide non può essere dimostrato, e che non gli sembrava improbabile che la nostra geometria sia solo un capitolo di uno scenario molto più generale. Gli ho riferito che voi avete sostenuto diversi anni fa che nessun progresso era stato fatto dai tempi di Euclide; infatti mi avete spesso detto che, [partendo] da diversi approcci su questo tema, anche voi non eravate stato capace di mostrare l’assurdità di tale ipotesi. Quando mi ha inviato il libro richiesto, ho trovato allegata questa nota e mi ha chiesto poco dopo (fine di dicembre) di inserirla in questa lettera, e di chiedervi a suo nome un’opinione sulle sue idee (…)”. 
Ed ecco la nota di Schweikart che Gerling fece avere a Gauss: 
“Esistono due tipi di geometria - una geometria in senso stretto, quella Euclidea; e uno studio astrale delle grandezze geometriche.  
I triangoli della seconda hanno la proprietà che la somma dei tre angoli di un triangolo non è uguale a due angoli retti.  
Ciò assunto, si può rigorosamente provare quanto segue: 
a) La somma dei tre angoli in un triangolo è minore di due angoli retti;
b) La somma diventa tanto più piccola quando più l’area del triangolo aumenta;
c) L’altezza di un triangolo rettangolo isoscele cresce quando il lato si allunga, ma non può crescere al di là di una certo segmento che io chiamo costante. 
I quadrati hanno perciò la seguente forma:  
Se per noi questa costante fosse la metà dell’asse terrestre (in modo che ogni retta disegnata da una stella fissa a un’altra, essendo distante di 90°, dovrebbe essere tangente al globo terrestre), allora sarebbe infinitamente estesa in relazione allo spazio delle cose della vita quotidiana. 
La geometria euclidea ha valore solamente assumendo che la costante sia infinitamente grande. Solo allora è vero che i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti; anche ciò si dimostra facilmente, con l’assunzione che la costante sia infinita”. 

Non erano ancora le geometrie non euclidee di Lobachevsky e János Bolyai (il figlio di Farkas), ma era sicuramente un passo significativo in quella direzione. 

Gauss rispose a Gerling il 16 marzo successivo, in modo abbastanza ambiguo: la nota di Schweikart gli aveva procurato molta gioia ed egli chiedeva all’amico di trasmettergli i suoi migliori auguri. Tuttavia ne rilevava alcune ingenuità, come il fatto che una costante non può avere valori diversi a seconda della situazione considerata, o quella che le misure rispetto alla Terra vanno fatte da un vertice fisso, ad esempio il suo centro, e non da un punto non specificato della superficie, oppure che le relazioni tra grandezza di un triangolo e i suoi lati non hanno nulla di misterioso, ma si tratta di una semplice relazione di proporzionalità. Sottolineava inoltre di aver "sviluppato la geometria astrale da così tanto tempo da poter risolvere tutti i problemi una volta conosciuta la costante”

Nonostante tutta la spocchia del “principe dei matematici”, resta il fatto che la nota di Schweikart costituisce la prima testimonianza di una geometria iperbolica. Egli era giunto a tale idea indipendentemente da tutti coloro che si occupavano del problema delle parallele. Forse il fatto di non essere un matematico professionista gli impedì di avere a disposizione il tempo necessario per svilupparla.

martedì 24 marzo 2015

Lambert e l’ombra di Kant

Edoardo Boncinelli ci sta ultimamente solleticando l’ingegno pubblicando su Facebook i suoi aforismi provocatori, che, se non ho capito male, intende poi raccogliere in un libro. Uno degli ultimi recita: 
"I filosofi dicono di cercare il senso delle cose. Sarà per quello, che dicono tante cose prive di senso". 
Forse non tutti i filosofi sono come li descrive Boncinelli (uno dei pochi intellettuali italiani che non fa distinzioni e classifiche tra le “due culture”), ma vi voglio raccontare una piccola storia che sembra proprio dargli ragione. 


Il libro di Girolamo Saccheri sul controverso V postulato di Euclide, pubblicato nel 1733, ebbe una certa risonanza in tutta Europa. Tra coloro che intrapresero studi analoghi vi fu il matematico alsaziano Johann Heinrich Lambert (1728 – 1777), che, dopo aver dimostrato l’irrazionalità di π, aveva affrontato il problema delle parallele nello studio Theorie der Parallelinien, scritto un anno prima della morte e pubblicato postumo nel 1786. 

Come Saccheri, anche Lambert partiva dallo studio di un quadrilatero trirettangolo, chiedendosi poi se il quarto angolo potesse essere retto, ottuso, oppure acuto. Sulle sue considerazioni pesò il fatto di essere anche un fisico, con interessi nelle proiezioni cartografiche e nell’astronomia, quindi abituato a trattare le superfici sferiche. Nell’ipotesi dell’angolo acuto, giunse a “quasi trarne la conclusione che [essa] si presenti nel caso di una sfera immaginaria”: insomma, aveva pensato a una geometria sferica, ma era rimasto sconcertato da un concetto che faceva a pugni con l’intuizione comune dello spazio.

Lambert aveva anche interessi filosofici ed era amico e corrispondente di Immanuel Kant, al punto che il filosofo di Königsberg voleva dedicargli la Critica della ragion pura, ma l’opera ebbe dei ritardi e fu pubblicata solo dopo la morte del matematico, nel 1781. 

Proprio nella Critica, Kant scriverà queste considerazioni, che doveva aver fatto conoscere a Lambert: 
“Lo spazio non è un concetto empirico, ricavato da esperienze esterne. […] Pertanto, la rappresentazione dello spazio non può esser nata per esperienza da rapporti del fenomeno esterno; ma l'esperienza esterna è essa stessa possibile, prima di tutto, per la detta rappresentazione. Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. […] Lo spazio non è un concetto discorsivo o, come si dice, universale dei rapporti delle cose in generale, ma una intuizione pura. Perché, primieramente, non ci si può rappresentare se non uno spazio unico, e, se si parla di molti spazi distinti, si intende soltanto parti dello stesso spazio unico e universale”. 
Fu così che l’ombra dello spazio unico e a priori di Kant bloccò ogni possibile speculazione di Lambert su possibili geometrie non euclidee. A dar retta ai filosofi...

lunedì 23 marzo 2015

Saccheri e l’eterogenesi dei fini


Giovanni Girolamo Saccheri nacque nel 1667, figlio di un avvocato di Sanremo. Talento precoce, Girolamo a diciott'anni entrò nell'ordine dei Gesuiti a Genova. Lì studiò filosofia e teologia finché i superiori lo mandarono a Milano presso il Collegio di Brera, dove fu notato da Tommaso Ceva, che lo indirizzò allo studio degli Elementi di Euclide. Il Ceva aveva un fratello di nome Giovanni che era diventato matematico del Duca di Mantova ed era un grande geometra. I due fratelli ebbero una grande influenza sul giovane Saccheri, che si innamorò della matematica perinde ac cadaver

Il giovane Saccheri divenne presto così abile con le rette e gli angoli da pubblicare un libro di Quaesita geometrica all'età di ventisei anni, l’anno prima di ricevere gli ordini ed essere trasferito a Torino come insegnante del locale Collegio. Astuto, di eloquio fine e seducente, nella capitale subalpina entrò in confidenza con il Duca Vittorio Amedeo, che lo prese sotto la sua protezione, affidandogli incarichi diplomatici e chiamandolo ogni volta che gli si presentava un difficile problema matematico da risolvere. Il frutto di tre anni di docenza fu il trattatello di Logica demonstrativa (1697). 

La logica del Saccheri si basa sullo studio delle definizioni. Egli ne distingue due tipi: le prime, che chiama definitiones quid nominis, o nomindes, sono quelle che hanno lo scopo di fornire il significato del termine definito; le seconde, definitiones quid rei, o reales, alla spiegazione del significato del termine aggiungono l’informazione della sua reale esistenza, con la prova di ciò. Così è quid nominis dire che il punto medio di un segmento è equidistante dagli estremi, è quid rei quando si fornisce anche la costruzione per trovare tale punto medio. 


A Pavia insegnò nel Collegio dei Gesuiti e tenne la cattedra di matematica all'Università per tutto il resto della sua vita. Tre lustri dopo la pubblicazione del libro di logica dimostrativa, il duca di Savoia Vittorio Amedeo cercò di riportarlo a Torino, offrendogli la cattedra di matematica, ma il servo di Gesù scelse di rimanere presso il Ticino. In seguito rifiutò anche la cattedra di matematica a Padova.

Da bravo gesuita euclideo, un giorno, era oramai giunto al sessantacinquesimo anno della sua vita terrena, le critiche che l’inglese John Wallis e l’arabo al-Tusi avevano mosso al postulato delle parallele gli sembravano poco generose e arroganti. Decise di dimostrarlo e difendere Euclide, non accontentandosi di una semplice definitio quid nominis. Scrisse allora un volume intitolato Euclides ab Omni Naevo Vindicatus (Euclide vendicato da ogni macchia), che conteneva questa dimostrazione: 

Considerò un segmento AB, con due segmenti uguali AC e BD ad esso perpendicolari. Unì C e D in modo da ottenere un quadrilatero (che chiamò quadrilatero birettangolo isoscele). Saccheri sapeva che, se avesse potuto provare che gli angoli in C e in D erano retti senza usare il famoso postulato di Euclide, sarebbe riuscito a dedurlo dagli altri assiomi del greco. Egli provò facilmente che gli angoli in C e in D erano uguali, ma dimostrare che erano anche retti era assai più complicato. Con astuzia fece l’ipotesi che essi non fossero retti, cercando di ottenere una contraddizione dall'uso di tutti gli altri postulati euclidei tranne il quinto, che è appunto quello delle parallele. Prese in esame due casi: o i due angoli uguali erano più piccoli di un angolo retto, o essi erano più grandi. 

Egli fu in grado di scartare abbastanza rapidamente la seconda ipotesi. Fece ricorso alla proprietà di Archimede, quella per la quale, se si estende sufficientemente un segmento lineare di data lunghezza, esso sarà più lungo di qualsiasi lunghezza considerata, e assunse che ogni linea retta è infinita e divide il piano in due parti. Così fu in grado di dimostrare che, nell'ipotesi di due angoli ottusi, avrebbe dovuto ricorrere a linee rette di lunghezza finita, e ciò appare una contraddizione. Commentò che "L'ipotesi dell'angolo ottuso è completamente falsa, poiché distrugge se stessa"

Nel caso che gli angoli in C e in D fossero stati acuti, egli non riuscì a ottenere una contraddizione. Egli suppose che ciò che vale per un punto a distanza finita dalla retta dovesse valere anche per un punto posto all'infinito, ma questa ipotesi in realtà rende inammissibile la confutazione. In pagine di grande intuito, egli dimostrò tuttavia ben 32 proposizioni, tra le quali: Se la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale, più grande o più piccola di due angoli retti, allora ciò accade in tutti i triangoli. 


A seconda che il triangolo iscritto in una semicirconferenza sia retto, ottuso o acuto, allora è vera l’ipotesi che l’angolo in C e in D sia retto, ottuso o acuto. 

Nell'ipotesi che tale angolo sia retto, due rette distinte si intersecano, a meno che una trasversale non le tagli secondo angoli corrispondenti uguali. Nell'ipotesi dell’angolo ottuso, due rette si intersecano sempre. Nell'ipotesi dell’angolo acuto, esistono infinite rette, che passano per un dato punto esterno a una retta data, che non intersecano tale retta. 

Così ragionando, Saccheri cercò di convincersi di aver trovato la contraddizione che cercava nel caso di due angoli uguali minori di quello retto. Scrisse così che “l’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa, perché ripugna alla natura della linea retta”. Non completamente convinto in cuor suo, aggiunse che, mentre la confutazione dell’ipotesi dell’angolo ottuso era chiara come la luce del giorno, “al contrario non sono riuscito a provare l’altra ipotesi, quella dell’angolo acuto, senza aver provato preventivamente che una linea i cui punti sono tutti equidistanti da una data retta giacente nello stesso piano è una retta anch’essa”

Girolamo Saccheri morì qualche mese dopo che il suo libro ebbe ottenuto l’imprimatur della Compagnia di Gesù (1733). Con il suo lavoro aveva identificato con chiarezza le tre ipotesi possibili e, non giungendo a una evidente contraddizione per quella dell’angolo acuto, aprì le porte a un nuovo tipo di geometria, ma questa è un’altra storia e ne parleremo un’altra volta. Resta il fatto che è destino degli uomini della sua terra fare molte cose a propria insaputa.