giovedì 22 settembre 2016

La matematica è dappertutto (ma non è di tutti)


Sul blog di matematica ospitato dallo Scientific American, il 16 agosto scorso lo storico della matematica Michael J. Barany ha pubblicato un articolo intitolato Mathematicians Are Overselling the Idea That “Math Is Everywhere” (I matematici stanno vendendo troppo l’idea che “La matematica è dappertutto”), che ha fatto molto rumore e ha suscitato reazioni di vario tipo nella comunità dei matematici e degli storici della disciplina. 

La tesi principale di Barany è che la matematica più importante per la società è sempre stata il campo di un piccolo numero di pochi privilegiati. Più o meno dall’alba della civiltà umana, argomenta l’autore, le società hanno sempre attribuito un’autorità speciale agli esperti di matematica. Perché i matematici interessano alla società nel suo complesso? Se si ascoltano i matematici, i decisori politici e gli educatori, la risposta sembra unanime: la matematica si trova dappertutto, perciò dovrebbe interessare a tutti. Libri e articoli abbondano di esempi della matematica che, secondo i loro autori, si nasconde in ogni fatto della vita quotidiana o rivela potenti verità e tecnologie che plasmano i destini degli individui e delle nazioni. 

Certamente, i numeri e le misure figurano regolarmente nelle vite della maggior parte delle persone, ma ciò rischia di crear confusione tra le abilità basilari di calcolo (ingl. numeracy) e il tipo di matematica che più influenza le nostre vite. Quando parliamo di matematica nella politica, specialmente di investimenti pubblici nell’educazione e nella ricerca, non stiamo parlando di mere addizioni e misure. Per la maggior parte della sua storia, la matematica che fa la vera differenza per la società è stata il campo di pochi. Le società hanno valutato e coltivato la matematica non perché essa è dappertutto e per tutti, ma perché è difficile ed esclusiva. Riconoscere che la matematica si denota per l’elitarismo connaturato alla sua essenza storica, piuttosto che pretendere che sia nascosta tutto intorno a noi, afferma Barany, fornisce un’idea più realistica di come essa sia adatta per la società e possa aiutare le persone a sollecitare una disciplina più responsabile e inclusiva. 

Nelle prime società agricole agli albori della civiltà, la matematica, sostiene Barany, collegava i cieli e la terra. I sacerdoti usavano i calcoli astronomici per definire le stagioni e interpretare il volere divino, e la loro esclusiva padronanza della matematica dava loro potere e privilegio nella società. Quando le economie primitive divennero più grandi e complesse, i mercanti e gli artigiani incorporarono nel loro lavoro sempre più conoscenze matematiche di base, ma per essi la matematica era un trucco del mestiere più che un bene pubblico. Per millenni, la matematica avanzata rimase un affare dei benestanti, sia come passatempo filosofico, sia come mezzo per reclamare una speciale autorità. 

Le prime idee abbastanza diffuse che tutto ciò che si trova al di là della semplice matematica pratica doveva avere una più ampia platea datano a ciò che gli storici chiamano prima Età moderna, che incominciò cinque secoli fa, quando iniziarono a prendere forma molte delle nostre moderne strutture e istituzioni sociali. Proprio quando con la Riforma si cominciò a insistere sul fatto che le Scritture dovevano essere accessibili alle masse nelle loro lingue, gli scrittori scientifici come il gallese Robert Recorde utilizzarono la relativamente nuova tecnologia della stampa a caratteri mobili per diffondere la matematica per il popolo. Il libro di aritmetica in inglese di Recorde, del 1543, incominciava con la considerazione che “nessun uomo da solo può far alcunché, e ancor meno parlare o fare affari con un altro, senza avere sempre a che fare con il numero”. 


Molto più influente e rappresentativo di questo periodo fu il suo contemporaneo John Dee, che utilizzò la sua reputazione matematica per ottenere l’influente posizione di consigliere di Elisabetta I. Dee incarnò così intimamente l’idea della matematica come tipo di conoscenza segreto e privilegiato che i suoi detrattori lo accusarono di congiura e di altre pratiche occulte. Nella Rivoluzione Scientifica del XVII secolo, i nuovi promotori della scienza sperimentale, che era (almeno all’inizio) aperta a qualsiasi osservatore, erano sospettosi dei ragionamenti matematici perché li ritenevano inaccessibili e tendenti a chiudere punti di vista diversi con un falso senso di certezza. Durante l’Illuminismo del XVIII secolo, al contrario, gli intellettuali dell’Accademia Francese delle Scienze fecero fruttare la loro abilità nella matematica avanzata ottenendo un posto privilegiato nella vita pubblica, pesando nei dibattiti filosofici e negli affari pubblici e allo stesso tempo chiudendo i loro ranghi alle donne, alle minoranze e alle classi sociali più basse. 

Nel XIX secolo le società di tutto il mondo furono trasformate da ondate successive di rivoluzioni politiche ed economiche, ma il modello francese di competenza matematica privilegiata al servizio dello Stato proseguì. La differenza stava in chi doveva essere parte di quella elite matematica. Esser nato nella famiglia giusta continuava a essere un vantaggio, ma, nella scia della Rivoluzione Francese, anche i governi successivi manifestarono un grande interesse nell’educazione primaria e secondaria, e eccellenti risultati negli esami potevano aiutare alcuni studenti a fare carriera nonostante la loro origine modesta. I leader politici e militari ricevevano un’educazione uniforme nella matematica avanzata in poche accademie prestigiose che li preparavano ad affrontare i problemi speciali degli stati moderni, e questo modello francese di coinvolgimento statale nell’educazione di massa, unito a una speciale formazione specialistica per i migliori, trovò imitatori in Europa e anche oltre l’Atlantico. Anche quando la matematica di base fu alla portata di sempre più persone attraverso l’istruzione di massa, la matematica rimase qualcosa di speciale che era patrimonio di una elite isolata. Più persone potevano potenzialmente farne parte, ma la matematica non era di sicuro per tutti.

Entrando nel XX secolo, il sistema di indirizzare gli studenti migliori verso una educazione elitaria continuò a guadagnare importanza in Occidente, ma la matematica stessa diventò meno centrale in quell’educazione. In parte ciò rifletteva il cambiamento delle priorità del governo, ma in parte era una questione di studi troppo avanzati rispetto alle necessità dei governi. Mentre i matematici dell’Illuminismo affrontavano questioni pratiche e tecnologiche a fianco delle loro ricerche più filosofiche, i matematici di cent’anni fa si interessarono sempre più a teorie così astratte da essere ostiche, senza la pretesa di dedicarsi direttamente ai problemi mondani. 

Il punto di svolta successivo, che continua in molte maniere a definire le relazioni tra la matematica e la società al giorno d’oggi, fu la Seconda Guerra Mondiale. Combattendo una guerra di quella portata, i principali contendenti si dovettero confrontare con nuovi problemi nella logistica, nella progettazione e nell’uso di nuove armi, e in altri settori, che i matematici si dimostrarono capaci di risolvere. Non che la matematica più avanzata fosse diventata improvvisamente più pratica, ma avvenne che gli stati trovarono nuovi utilizzi per coloro che avevano una preparazione matematica avanzata e i matematici trovarono nuovi modi per essere richiesti dagli stati. Dopo la guerra, i matematici ottennero un appoggio sostanziale dagli Stati Uniti e da altri governi sul presupposto che, a prescindere dal fatto che la loro ricerca fosse utile in tempo di pace, ora c’era la prova che matematici di alto livello sarebbero stati necessari nella guerra successiva. 


Alcune di quelle attività belliche occupano tuttora i professionisti della matematica, sia all’interno, sia fuori dalle organizzazioni statali: dagli scienziati della sicurezza e dai decrittatori di codici nelle imprese tecnologiche e nei servizi segreti, ai ricercatori che ottimizzano fabbriche e catene di rifornimento nell’economia globale. Lo sviluppo dell’informatica del dopoguerra ha fornito un altro settore in cui i matematici sono divenuti essenziali. In tutte queste aree sono gli sviluppi della matematica di una ristretta elite che giustificano i finanziamenti privati e pubblici che i matematici continuano a ricevere oggi. Sarebbe una gran bella cosa se tutti fossero a proprio agio con i numeri, potessero scrivere programmi per computer, valutare i fatti della statistica, e questi sono tutti importanti obiettivi per l’educazione primaria e secondaria, ma non dobbiamo confonderli con i principali scopi e motivazioni del finanziamento pubblico della matematica, che hanno sempre riguardato la matematica di punta e non la matematica per tutti. 

Immaginare che la matematica sia ovunque, prosegue Barany,  fa semplicemente perdere di vista le reali politiche della elite matematica che conta davvero (tecnologia, sicurezza, economia), per l’ultima guerra e per la prossima. Al contrario, se comprendiamo che questo tipo di matematica è stata costruita storicamente da e per pochissimi, siamo chiamati a chiedere chi davvero può entrare nella loro ristretta cerchia e quali sono le responsabiulità che derivano dal loro sapere. Dobbiamo riconoscere che la matematica d’elite del giorno d’oggi, anche se è più inclusiva di cinque o cinquanta secoli fa, rimane una disciplina che conferisce una speciale autorità a pochi ed esclude molti per i più diversi motivi. Se la matematica fosse davvero dappertutto, dovrebbe già appartenere a tutti equamente, ma conclude Barany, quando si parla di accesso alla matematica e del suo finanziamento, c’è ancora molto lavoro da fare. La matematica non è dappertutto. 


Dicevo dei commenti. Anna Haensch, che scrive su un blog ospitato dal portale della American Mathematical Society, nell’articolo Don’t worry, math is still everywhere (Non preoccupatevi, la matematica è comunque dappertutto), contesta innanzitutto la scelta del titolo, che può far pensare che la critica di Barany si rivolga all’idea che la diffusione della matematica nella società, negli strumenti tecnologici, nelle nostre vite, non sia poi così importante come dicono in molti, a partire dagli insegnanti di matematica. In realtà Barany non vuol contestare la pervasività della matematica nella società moderna, ma il pensiero che essa sia alla portata di tutti indipendentemente dal censo, dal genere o dall’etnia o da altri fattori sociali condizionanti. Haensch concorda su questa idea, ma si chiede se ciò non valga per qualsiasi disciplina che richieda un lungo e costoso corso di studi. È vero che per accedere alla elite della matematica avanzata conviene avere disponibilità economiche, ma ciò succede anche per le scienze, il linguaggio o l’arte. 

Haensch pensa che affermare che la matematica sia dappertutto é proprio l’antidoto alla consueta e antica domanda “quando mai userò queste cose?” La matematica è dappertutto proprio come la scienza, l’arte e il linguaggio, pertanto conoscerla aiuta la gente a capire il mondo che ci circonda. Una buona dose di “la matematica è dappertutto” è una buon modo per motivare le persone a studiare la matematica di base, che è già una gran cosa. E siccome i buoni esempi servono a sviluppare le buone abitudini, ovviamente i decisori politici dovrebbero favorire la matematica avanzata come dovrebbero favorire ogni ricerca scientifica di punta. Infatti, anche se sembra una banalità, la ricerca di base è da dove proviene ogni grande scoperta. 


Assai più critica è stata la reazione dello storico della matematica e blogger Thony Christie, the Renaissance Mathematicus, che sostiene in Some rather strange history of maths (Una storia della matematica piuttosto curiosa) che alcune delle osservazioni storiche di Barany sono sostanzialmente errate, cosa grave se l’autore è uno storico della matematica. 

Christie afferma che è una leggenda l’idea che i calcoli astronomici fossero utilizzati per il definire le stagioni e aggiunge che gli astrologi babilonesi non erano certo una classe privilegiata, ma dei semplici funzionari statali con un compito ben preciso, pagato ma rischioso. Anche l’affermazione che la matematica di punta fosse un affare dei ricchi è, secondo Christie, errata: nelle società avanzate del mondo antico per le basi economiche era sufficiente la conoscenza della matematica elementare, mentre la matematica avanzata apparve a Babilonia nel 1500 a. C. e scomparve con il crollo dell’impero romano intorno al 400 d. C. Inoltre i Romani, la potenza dominante del mondo antico, non avevano un grande interesse per il progresso della matematica. 

La matematica medioevale aveva carattere eminentemente pratico e la ricerca matematica dovette aspettare il XIV secolo. Il valore del libro di Recorde del 1543 non risiede nel fatto che divulgava matematica di punta tra il popolo, ma solo nell’essere stato scritto in lingua vernacolare e non in latino: per il resto si tratta di un normale Liber Abaci nella tradizione di quello scritto da Leonardo Fibonacci tre secoli prima. 

Ciò che ha spinto Christie a scrivere la sua replica è tuttavia la contrapposizione che Barany fa tra un Recorde che porta la matematica alle masse e un Dee difensore elitario di un sapere segreto e privilegiato. In realtà Recorde ebbe incarichi importanti presso la Corona, essendo il medico personale sia di Edoardo Vi che della regina Maria; Dee, che visse a lungo all’estero, non ebbe mai cariche ufficiali , anche se è vero che spesso Elisabetta I lo consultava per dei pareri. (A dire il vero anche chi scrive queste righe è rimasto piuttosto sorpreso dal breve, fuorviante, ritratto di un personaggio affascinante e complesso come John Dee tracciato da Barany). Dee, oltre a essere stato il primo editore inglese egli Elementi di Euclide, raccolse la più grande biblioteca privata d’Europa, che metteva a disposizione gratuitamente a chi lo volesse consultare: altro che sapere esoterico! 

Quanto alla diffidenza verso la matematica degli artefici della Rivoluzione Scientifica del XVII secolo, la verità è esattamente opposta: Galileo era un propugnatore della matematizzazione della natura, e come lui agirono filosofi naturali come Stevino, Keplero, Cartesio, Pascal, Huygens e Newton. Ciascuno di essi era un matematico, che fornì importanti contributi al progresso matematico e scientifico, dall’algebra moderna, alla geometria analitica al calcolo, oltre a un grande quantità di sviluppi in altre branche. 

Christie conclude il suo articolo dicendo che è Barany ad aver venduto troppo la sua idea di una matematica avanzata separata dal resto della società e gli consiglia uno studio più approfondito della storia della matematica precedente il XX secolo. Una stroncatura, insomma. 


In una conversazione su Twitter dei primi di settembre, Barany difende le sue posizioni con Steven Strogatz, grande divulgatore della matematica, dicendo che ci sono due domande fondamentali alle quali si cerca di rispondere dicendo che ”la matematica è dappertutto”, e cioè: (1) perchè la gente dovrebbe finanziare la matematica avanzata; (2) perché la gente dovrebbe imparare la matematica di base. Barany sostiene che dire che la matematica è dovunque non è una risposta appropriata alle due domande. 

A me sembra che non era il caso di sollevare un caso sul nulla, perché nessuno ritiene che “la matematica è ovunque” sia una risposta completa alle domande di Barany, che forse andavano poste con il supporto di argomentazioni diverse. La matematica è ovunque, anche se purtroppo non é di tutti.

domenica 11 settembre 2016

La triste storia del giovane Galois e dei suoi manoscritti sventurati

Nel 1829 Evariste Galois, che aveva 17 anni, seguiva i corsi della sezione di matematica speciale del collegio Louis-le-Grand, tipica scuola della Restaurazione, caratterizzata da una dura disciplina e dominata dal potere politico e dalla chiesa. La sua ricca e originale personalità sopportava con sempre maggiore difficoltà la pesante atmosfera conservatrice e clericale di questa istituzione, di cui era interno da cinque anni. Se non si era ancora ribellato, se ancora non era il militante repubblicano che sarebbe stato due anni più tardi, la consapevolezza che aveva del proprio genio matematico si scontrava con i vincoli che frenavano la sua invincibile vocazione per la ricerca astratta e lo spingeva a disprezzare la mediocrità di coloro che lo giudicavano. La sua superiorità fu riconosciuta dal suo professore di matematica speciale, Louis-Paul-Emile Richard, ed era riconosciuta dalla maggior parte dei suoi compagni, ma erano ancora numerosi coloro che lo ritenevano uno spirito bizzarro e fantasioso, da raddrizzare con una rigorosa disciplina. 

Vero è che la passione matematica di Galois era ancora molto recente. Il suo ingresso in questo mondo risaliva solo ai primi mesi del 1827, quando, dopo la sfortunata esperienza trimestrale nella classe di retorica, ripeté la classe di seconda e frequentò contemporaneamente i corsi del primo anno di matematica preparatoria tenuti da Hippolyte-Jean Vernier. Subito stanco dell’impostazione dogmatica del docente e dei manuali in uso, cominciò a studiare direttamente i testi originali. Dopo aver “divorato” la Géométrie di Legendre, affrontò subito le opere principali di Lagrange e acquisì una solida cultura algebrica e analitica di base. Nei due anni successivi che passò al Louis-le-Grand, si accostò ai settori di punta della ricerca matematica dell’epoca, interessandosi specialmente alle opere di Lagrange, Gauss e Cauchy sulla teoria delle equazioni, a quelle di Cauchy e Libri sulla teoria dei numeri e a quelle di Legendre sulle funzioni ellittiche. 

Senza trascurare il corso di matematica speciale, consacrava una buona parte del suo tempo alla ricerca personale, orientandosi in particolare verso la teoria delle equazioni algebriche. La sua curiosità non si limitava tuttavia a questo settore fondamentale, e la sua prima pubblicazione, nel numero del 1 aprile 1829 degli Annales de mathématiques di Gergonne, era una Dimostrazione di un teorema sulle frazioni continue periodiche. Si trattava dell’opera di un bravo studente, ma che ancora non annunciava il suo genio. 

Nel corso del 1828, secondo la sua stessa testimonianza, credette a torto di essere riuscito a risolvere l’equazione generale di quinto grado, ma questo abbaglio deve essere stato di corta durata, perché agli inizi del 1829, durante il tempo libero, riprese su nuove basi lo studio della teoria delle equazioni, che avrebbe continuato a studiare fino alla costituzione della teoria dei gruppi. 

Nel maggio 1829, i risultati ottenuti lungo questa nuova via gli sembravano abbastanza importanti da meritare di essere comunicati all'Académie des Sciences di Parigi. Per sottomettere un lavoro al giudizio di questa autorevole istituzione si potevano allora seguire due procedure: sia l’invio alla Segreteria dell’Accademia o il suo deposito da parte dell’autore durante una seduta, sia la sua presentazione da parte di un accademico esperto in quel particolare ambito. La seconda procedura era la più ricercata, anche se la meno frequente, perché implicava l’accordo esplicito dell’accademico interessato, che garantiva almeno l’interesse dell’opera presentata, se non i suoi dettagli. 

Galois ebbe il privilegio di vedere presentate le sue prime opere all’Accademia, nelle sedute del 25 maggio e 1 giugno 1829, da un giudice tanto severo quanto competente: Cauchy. La sua accettazione prova che il giovane matematico era riuscito a convincere il grande analista dell’importanza e originalità delle sue ricerche. La successiva perdita dei manoscritti di queste memorie di Galois e del rapporto preparato da Cauchy non consente di avere un’idea precisa del loro contenuto. I registri dell’Accademia precisano tuttavia che si trattava di Ricerche sulle equazioni algebriche di grado primo e, probabilmente, di una seconda memoria riveduta e corretta sullo stesso soggetto. 

Qualche settimana dopo il deposito delle due memorie, la vita di Galois fu sconvolta da due avvenimenti di natura molto diversa che segnarono profondamente il suo spirito. 

Il 2 luglio, suo padre Nicolas-Gabriel, sindaco liberale di Bourg-la-Reine, si suicidò nel suo appartamento parigino per lo scandalo suscitato da alcuni poemetti oltraggiosi circolati sotto il suo nome ma in realtà scritti da un prete conservatore; inoltre le sue esequie diedero luogo a penosi incidenti. Inutile dire che il legame tra clero e Borboni, unito alla parte che ebbe il religioso reazionario nel suicidio del padre di Galois, contribuirono ad alimentare il suo odio verso la monarchia. Il giovane Evariste era disperato per la perdita del suo sostegno economico, ma soprattutto per l’ingiustizia e la persecuzione che erano allorigine di questa tragedia. 

Qualche settimana più tardi i suoi sentimenti di rivolta furono rafforzati da un nuovo triste episodio. Egli fallì per la seconda volta l’esame per l’ammissione alla Ecole polytechnique, in seguito al suo rifiuto di seguire la modalità espositiva voluta dall’esaminatore Dinet. Si narra che Galois gettò il cancellino in testa al professore dopo l’ennesima domanda insulsa, ma l’episodio sembra il frutto della leggenda creatasi intorno al matematico ribelle. 

Vedendo svanire le sue speranze di entrare a quella Ecole polytechnique il cui prestigio e la tradizione liberale lo attiravano, Galois decise di presentarsi al concorso per entrare alla Ecole Normale Supérieure, che allora si chiamava Ecole préparatoire. Anche se la domanda era stata presentata in ritardo, alla fine fu accettata, forse per l’intervento diretto di “persone poste in cima al mondo dei sapienti”, magari lo stesso Cauchy. 

Accettato agli scritti dell’esame d’ammissione (20-25 agosto), Galois ottenne un buon risultato, grazie soprattutto al giudizio positivo dell’esaminatore di matematica, Charles-Antoine-François Leroy, professore anche all’Ecole polytechnique. Nel mese di novembre iniziò così a frequentare i corsi, anche se doveva ancora affrontare degli orali di controllo, quindi ottenere in dicembre il baccalaureato in lettere e quello in scienze. 

Malgrado le preoccupazioni famigliari e scolastiche, Galois non abbandonò completamente le sue ricerche. Fu peraltro nel corso del secondo semestre del 1829 che, grazie al Bulletin di Férussac, fu informato per la prima volta di certi lavori di Abel, di cui conobbe il nome poco prima di venir a conoscenza della sua morte prematura, avvenuta il 6 aprile 1829. Leggendo sul numero di luglio una relazione sulla Memoria di una classe particolare di equazioni risolvibili algebricamente, pubblicata da Abel in Germania sul Journal di Crelle, Galois vi riconobbe un’ispirazione molto vicina a quella delle sue ricerche e vi ritrovò, con una certa amarezza, alcuni dei risultati che egli aveva presentato come inediti nelle sue memorie del 25 maggio e 1 giugno. La lettura della relazione lo incoraggiò a procedere rapidamente con le proprie ricerche sulla teoria delle equazioni algebriche, tanto più che già incominciava a intravedere il metodo con il quale sarebbe giunto molto al di là dei risultati pubblicati da Abel. Sul numero di ottobre poté leggere una sintesi, dello stesso Abel, del Compendio di una teoria delle funzioni ellittiche, che dovette rivelargli una nuova e feconda via di ricerca, alla quale si interessò subito attivamente. Nello stesso numero poté leggere l’annuncio della morte di Abel e un ricordo redatto da Crelle, di cui certi dettagli lo commossero profondamente. 

Anche Cauchy lesse i lavori di Abel nello stesso periodo, apprezzandone l’importanza e il carattere assai innovativo. La relazione presentata da Poisson il 21 dicembre 1829 all’Accademia delle Scienze sulle ricerche di Jacobi e Abel riguardo alle funzioni ellittiche dovette rafforzare il suo interesse. Avendo constatato che la memoria di Abel sulle equazioni algebriche conteneva una buona parte dei risultati poi ottenuti da Galois, pensò fosse suo dovere tentare di attenuare la delusione di quest’ultimo incoraggiandolo a salvare la parte più originale del suo lavoro e a proseguire le ricerche. 

All'inizio del 1830 stese il suo rapporto sulle memorie di Galois, che doveva essere letto nella seduta del 18 gennaio, ma un’indisposizione gli impedì di presentarlo. Una lettera trovata negli archivi dell’Accademia delle Scienze mostra l’importanza che egli accordava al lavoro di Galois, al punto di porla sullo stesso piano della propria memoria Sulla determinazione analitica delle radici primitive. Ecco il documento, con l’evidente errore di data di Cauchy, ancora non avvezzo a indicare il nuovo anno 1830: 


“Proprio oggi avrei dovuto presentare all'Accademia prima un rapporto sul lavoro del giovane Galois e poi una mia memoria sulla determinazione analitica delle radici primitive nella quale dimostro come sia possibile ridurre tale determinazione alla risoluzione di equazioni numeriche dotate solo di radici intere e positive. Sono tuttavia a casa, indisposto. Sono dispiaciuto di non poter partecipare alla sessione odierna e vorrei pregarla di iscrivermi a parlare per la prossima sessione sui due argomenti indicati. La prego di accettare i miei omaggi...” 
Ad ogni modo, questa lettera prova anche un altro fatto fondamentale, e cioè che il 18 gennaio 1830 Cauchy possedeva ancora le due memorie di Galois e che aveva redatto una relazione su di esse. Essa contraddice l’affermazione, spesso ripetuta, secondo la quale egli avrebbe perso questi documenti. Torneremo su questa questione dopo aver visto il seguito di questo piccolo mistero. 

I resoconti della seduta successiva, tenutasi il 25 gennaio, testimoniano che Cauchy effettivamente presentò la sua memoria sulle radici primitive, ma non fece menzione della relazione sulle memorie di Galois. Inoltre non c’è traccia che lo abbia fatto nelle riunioni successive. Che cos'era successo? 

Il fatto che Galois non si sia mai lamentato della negligenza di Cauchy in questa circostanza, mentre poneva tutte le sue speranze in un giudizio favorevole dell’Accademia, sembra indicare che l’annullamento della relazione di Cauchy sia intervenuto con il suo accordo. Resta allora da spiegare questo brusco cambiamento di atteggiamento dei due principali attori di questa vicenda. L’esame delle poche informazioni disponibili permette di formulare un’ipotesi che sembra attendibile.

Innanzitutto è certo che nel febbraio 1830 Galois depositò al segretariato dell’Accademia un’importante memoria destinata a concorrere al Gran Premio di Matematica che doveva essere assegnato nel mese di giugno successivo. In secondo luogo, le memorie del 25 maggio e 1 giugno 1829 non sono minimamente menzionate nel “catalogo” delle sue opere che Galois aveva redatto in seguito, in vista di un progetto di pubblicazione: la più vecchia delle memorie citate è proprio quella preparata probabilmente in gennaio per partecipare al Gran Premio di Matematica. Infine, nonostante il Gran Premio fosse stato indetto da lungo tempo, fu solo nelle due riunioni del 18 e 25 gennaio 1830 che fu decisa la commissione che avrebbe dovuto assegnarlo, e Cauchy non vi faceva parte.

Separando il campo dei fatti da quello delle ipotesi, proviamo a collegare i vari elementi per cercare di capire che cosa fosse successo. Si può innanzitutto pensare che Cauchy, nella sua relazione, pur riconoscendo i meriti di Galois, non poteva fare a meno di dire che molti dei risultati presentati nelle due memorie erano già stati raggiunti da Abel. Sapendo inoltre che il giovane aveva proseguito le sue ricerche ed era giunto a nuovi importanti risultati, era normale che gli suggerisse di raccogliere le parti originali in una nuova sintesi. Il Gran Premio di Matematica offriva un eccellente pretesto, e c’era ancora tempo per redigere una nuova opera da presentare al concorso. Cauchy potrebbe aver pensato che la presentazione della relazione alla riunione dell’Accademia, con la segnalazione della priorità di Abel, poteva in qualche modo suscitare un’impressione negativa alla commissione giudicante. Era dunque meglio rinunciare a presentare memorie e relazione in quella seduta. 

Non è improbabile dunque che, tra il 18 e il 25 gennaio, Cauchy abbia persuaso Galois dell’inutilità della presentazione alla riunione delle sue memorie e gli abbia presentato l’opportunità di scrivere una nuova memoria originale sulla teoria delle equazioni algebriche per concorrere al Grand Premio. 

L’ipotesi, se non gode di prove dirette, è supportata tuttavia da una testimonianza quasi contemporanea. Si tratta di un articolo di autore anonimo pubblicato sul numero del 15 giugno 1831 del giornale sansimoniano Le Globe, in cui si chiedeva il rilascio di Galois che lo stesso giorno compariva davanti al tribunale in seguito alla vicenda del banchetto dei repubblicani tenuto presso il «Vendanges de Bourgogne», locale in cui il 9 maggio egli avrebbe brindato minacciosamente a Luigi Filippo con un pugnale in mano (Galois fu poi assolto). L’autore dell’articolo, che sembra informato di prima mano, traccia un quadro pertinente delle ricerche intraprese da Galois, delle sue eccezionali qualità, e delle delusioni che aveva patito. Parlando della sua candidatura al Grand Prix del 1830, il testimone ricorda l’incoraggiamento ricevuto da Cauchy: 
“L’anno scorso, prima del 1 marzo, il signor Galois consegnò al segretariato dell’Istituto una memoria sulla risoluzione delle equazioni numeriche. Questa memoria doveva partecipare al Gran Premio di Matematica. Ne era degna, poiché superava qualche difficoltà che Lagrange non era stato in grado di risolvere. Il signor Cauchy a questo proposito si era prodigato in grandi elogi a Vauteur. Che cosa è successo? La memoria è andata perduta, e il premio viene assegnato senza che il giovane studioso sia figurato al concorso...” 
Prima di affrontare i fatti ricordati nell'ultima frase riportata, dobbiamo constatare, per concludere sulle memorie del 1829, che, se Galois non poté recuperare i manoscritti, non fu perché Cauchy li aveva perduti, ma perché furono dimenticati nel segretariato dell’Accademia. Benché questo fatto sia stato deplorevole, non può essere interpretato come un esempio delle “persecuzioni” che il giovane matematico avrebbe subito da parte dei suoi colleghi più anziani, in particolare da Cauchy. 

Torniamo ai fatti. Nei primi mesi del 1830 Galois era impegnato con i corsi dell’Ècole preparatoire: calcolo differenziale e integrale, fisica, astronomia, botanica. Contemporaneamente, e si potrebbe dire prioritariamente, continuava le sue ricerche matematiche. Conclusa la memoria con la quale voleva partecipare al Grand Prix, di cui fornì una breve presentazione sul Bulletin di Ferussac, preparò per la stessa rivista una breve nota sulla risoluzione delle equazioni numeriche e una memoria, molto più importante, nella quale introduceva gli “immaginari di Galois”. Questi due testi sarebbero stati pubblicati nel numero di luglio. La parte principale del lavoro di Galois sulle equazioni (la teoria di Galois) si può quindi considerare pronta a metà del 1830, il che sfata un altro dei miti che circondano la stessa a figura, cioè che egli abbia gettato le basi della teoria nella febbrile veglia notturna precedente il duello in cui venne ucciso.

Le speranze che Galois riponeva nel concorso per il Gran Premio dell’Accademia dovevano purtroppo essere bel presto crudelmente deluse. Se egli visse come un’ingiustizia il fatto che il 28 giugno il premio fosse stato attribuito ad Abel (alla memoria) e a Jacobi, certo si comprende ancor più facilmente il risentimento alla notizia che il suo manoscritto era andato perduto ancor prima di essere esaminato. Alle giuste rimostranze di Galois, la risposta di Cuvier, e cioé che la memoria era stata persa per la morte di Fourier che doveva esaminarla, esasperò ulteriormente il giovane matematico, già convinto di essere perseguitato dalla malasorte e dai rappresentanti della scienza ufficiale, espressione del regime monarchico. Cauchy, come si é detto, non faceva parte del collegio dei giurati, che comprendeva, oltre a Fourier, morto in aprile, Legendre, Lacroix, Poinsot e Poisson. 

Le vicende del Galois matematico si intrecciarono sempre più con il suo impegno politico. Alla fine del mese successivo cercò di partecipare alle “Tre Gloriose”, la rivoluzione delle giornate del 27, 28 e 29 luglio 1830 che depose l’odiato Carlo X Borbone e insediò Luigi Filippo d’Orleans (con il malcontento dei repubblicani), ma gli studenti dell’École Normale, tra cui lui, furono chiusi dentro l’edificio dal direttore, Guigniault. La successiva polemica di Galois contro il direttore gli costò l’espulsione dalla scuola, decretata il 4 gennaio 1831. 

Intanto, anche se oramai l’interesse principale dello sfortunato giovane sembra fosse diventato la politica, Galois inviò, su invito di Poisson. una terza versione all'Accademia della sua famosa memoria, intitolata Memoria sulle condizioni di risolvibilità delle equazioni mediante radicali, presentata all'Accademia il 17 gennaio successivo. 

L’ultimo anno della biografia di Galois ha poco di matematico, ma ha contribuito in gran parte a edificarne la leggenda. Liberato dopo l’episodio del brindisi minaccioso al nuovo re, egli fu di nuovo arrestato nel luglio 1831 perché si aggirava durante dei moti di piazza armato e vestito con l’uniforme della Guardia Nazionale, vietata in quanto utilizzata dai repubblicani e ritenuta provocatoria dal nuovo regime. Concluso il processo, il 23 ottobre Galois fu condannato a sei mesi di reclusione, che scontò nel carcere di S. Pelagia, dove tentò anche il suicidio e ebbe l’ulteriore dolore di ricevere dal segretario dell’Accademia, François Arago, il rapporto sulla sua ultima memoria che veniva nuovamente respinta: 
"Caro sig. Galois,
il vostro lavoro fu inviato al sig. Poisson per un parere. Egli lo ha restituito allegando un rapporto che qui cito:
“Abbiamo fatto ogni sforzo per capire le dimostrazioni del sig. Galois. I suoi argomenti non sono né abbastanza chiari né sufficientemente sviluppati per permetterci di giudicarne il rigore; non ci é stato nemmeno possibile farci un’idea sul lavoro.
L’autore afferma che le proposizioni contenute nel manoscritto sono parte di una teoria generale ricca di applicazioni. Spesso parti diverse di una teoria si chiariscono a vicenda e possono essere comprese più facilmente quando sono considerate insieme piuttosto che isolate una dall'altra. Per formarsi un’opinione bisogna quindi attendere che l’autore pubblichi un resoconto più completo di questo lavoro”
Per questo motivo, vi restituiamo il manoscritto con la speranza che possiate trovare utili per il lavoro futuro le osservazioni del sig. Poisson". 
Insomma, Poisson non aveva capito granché oppure, pressato dalle richieste di pareri accademici, aveva dato alla memoria solo un'occhiata distratta. Ci si può chiedere quale sarebbe stato il giudizio di Cauchy, che, monarchico convinto, si era rifiutato di giurare fedeltà al nuovo regime e aveva abbandonato la Francia in volontario esilio, trasferendosi prima a Friburgo, poi a Torino, dove si trovava in quei mesi, poi a Praga, e non sarebbe ritornato che nel 1838. Da Galois lo separava un abisso sul piano politico, ma forse era l’unico in grado di apprezzare l’approccio totalmente innovativo del matematico ventenne. 

Galois, d’altra parte, non pare che avesse sperato molto nel suo appoggio, e portava un certo risentimento anche nei suoi confronti. Anche se non citava Cauchy esplicitamente, i violenti attacchi rivolti contro i membri dell’Accademia, contenuti nella Prefazione che scrisse nel dicembre 1831, in vista di un progetto di pubblicazione delle sue memorie principali, paiono includerlo tra i responsabili della sua rovina. Non si può escludere che queste accuse siano all'origine del fatto che Cauchy, ritornato in Francia, neanche dopo la pubblicazione dei lavori di Galois nel 1846 nel Journal di Liouville fece mai più cenno, neanche indiretto, alla sua persona e alle sue opere. 


È facile comprendere come l’esito del rapporto su Galois fu quello di un ulteriore inasprimento verso il mondo accademico. Trasferito da Santa Pelagia per un’epidemia di colera, Galois fu liberato il 29 aprile ma un mese più tardi, il 30 maggio, fu ferito mortalmente in un misterioso duello del quale mi sono precedentemente occupato in un articolo, al quale rimando. 

Moriva così, non ancora ventunenne, uno dei più grandi geni matematici dell’Ottocento, creatore di una nuova branca della disciplina, ma ricordato soprattutto per la romantica biografia e, di certo, non aiutato dalla buona sorte.