lunedì 27 dicembre 2010

L’effetto Coriolis anticipato nell’Almagestum Novum del Riccioli

L'Almagestum novum, astronomiam veterem novamque complectens (1651) dell’astronomo gesuita ferrarese Giovanni Battista Riccioli (1598–1671) fu uno degli ultimi tentativi organizzati e sistematici di opporsi al sistema eliocentrico da parte delle gerarchie cattoliche. La sua redazione fu il frutto di un vero e proprio lavoro di squadra, coordinato dal Riccioli e dal suo allievo Francesco Maria Grimaldi (1618–1663), al quale presero parte diversi membri della Compagnia di Gesù. Il risultato fu un ponderoso trattato enciclopedico in due volumi, edito a Bologna, contenente una summa del sapere astronomico del tempo, con minuziose descrizioni delle osservazioni effettuate, sia dagli autori che da altri, e reperibili nella letteratura scientifica del tempo. Il trattato, il cui titolo fa riferimento all’Almagesto, l’opera fondamentale in cui l’astronomo alessandrino Tolomeo espose il suo sistema geocentrico alla metà del II secolo, è riccamente illustrato da schemi e arricchito di tabelle. Esso è noto soprattutto per gli studi sulla Luna e per le due mappe lunari disegnate dal Grimaldi, che mostrano (a) una panoramica del nostro satellite e delle sue fasi, (b) le aree interessate dalla librazione e la nomenclatura elaborata dal Riccioli, il quale assegnò 248 nomi di astronomi antichi e contemporanei ad altrettanti siti lunari (clic per ingrandire). La nomenclatura utilizzata è in gran parte quella ancor oggi adottata. Per questo loro lavoro, sia il Riccioli sia il Grimaldi sono ricordati con la dedica di due grandi crateri lunari.


In realtà, gran parte dell’opera discute gli argomenti pro e contro i diversi sistemi cosmologici che allora erano oggetto di dibattito (tolemaico, copernicano e tychonico) con il Riccioli che sembra sostenere un sistema misto geo–eliocentrico come quello di Tycho Brahe: l’antiporta del primo volume mostra le ipotesi eliocentrica e geo-eliocentrica pesate da graziose figure mitologiche, con la bilancia che pende decisamente verso la seconda. L’Almagestum Novum contiene infatti ben 77 argomenti contro il movimento della Terra sostenuto dal sistema copernicano. Essi comprendono obiezioni importanti derivati dalla fisica e dall’astronomia, che furono oggetto di studio anche dopo l’avvento della fisica newtoniana e che solo nel sistema newtoniano trovarono adeguata spiegazione. Essi costituiscono un’affascinante spaccato di storia della scienza in un periodo fecondo e importante.


Gli argomenti del Riccioli, finora reperibili in modo sparso e frammentario nella letteratura scientifica, sono state oggetto del recente lavoro dell’americano Christopher M. Graney, del Jefferson Community & Technical College di Louisville (Kentucky), che ne ha fornito un utile compendio e una rappresentazione schematica. Essi spaziano da obiezioni basate su esperimenti sulla caduta dei corpi, a osservazioni telescopiche delle stelle, a ragionamenti sulla semplicità del moto, o sull’azione del vento. Molti sono facilmente confutati dal buon senso, mentre altri possono essere ribattuti solo dopo accurata sperimentazione. È interessante notare come solo due su 77, tra l’altro di secondaria importanza, sono di natura completamente religiosa: al contrario, molti degli argomenti di Copernico facevano riferimento a spiegazioni di tipo fideistico, con un appello al potere divino.


La principale obiezione del Riccioli alla quale allora non si era in grado di rispondere riguarda l’azione sul moto dei corpi della Terra in quanto sistema di riferimento ruotante. Così Graney, che si è confrontato con le lunghe e spesso involute frasi del latino del gesuita, sintetizza l’argomento n. 3:

“Se la Terra avesse una rotazione giornaliera su se stessa, i gravi che cadono vicino all’Equatore avrebbero un moto fondamentalmente diverso da quello degli stessi corpi che cadono vicini ai poli in condizioni identiche”.

Questo argomento è poi rinforzato dai tre successivi, che prendono in considerazione anche il moto di rivoluzione annuale (argomento 4), il moto dei corpi leggeri che sembrano salire verso l’alto (argomento 5) e soprattutto dal n. 6:

“I gravi cadono verso la Terra lungo una linea che è retta e perpendicolare al terreno. Se sono lanciati perpendicolarmente verso l’alto, essi cadono sul luogo da dove sono stati lanciati. Se la Terra possedesse movimenti giornalieri e annuali, questi corpi cadrebbero lungo traiettorie curve”.

Si tratta del primo di diversi riferimenti a una forza che oggi chiamiamo di Coriolis, che non sarebbe stata osservata sperimentalmente sino al XIX secolo. Così, in modo abbastanza paradossale, una delle conseguenze intuitivamente più evidenti dei moti della Terra è sottolineata da uno studioso che negava questi moti.

La forza di Coriolis (più correttamente effetto Coriolis) è una forza apparente a cui risulta soggetto un corpo quando si osserva il suo moto da un sistema di riferimento che sia in moto circolare rispetto a un sistema di riferimento inerziale. Descritto per la prima volta in maniera dettagliata dal francese Gaspard Gustave de Coriolis nel 1835, l’effetto Coriolis, che ha le dimensioni di una forza, dipende, sia come intensità sia come direzione, dalla velocità del corpo in movimento rispetto al sistema di riferimento rotante. Si ritiene che esso causi la formazione dei sistemi ciclonici o anticiclonici nell'atmosfera, abbia un ruolo determinante nella direzione delle correnti oceaniche e abbia effetti non trascurabili in tutti i casi in cui un corpo sulla Terra si muova ad alta velocità su lunghi percorsi, come per esempio nel caso di proiettili o di missili a lunga gittata. Tuttavia l’effetto è molto più difficile da rilevare di quanto faccia supporre la sua trattazione matematica. Discutendo la debole risposta dei copernicani ai suoi argomenti, e cioè che il movimento rettilineo dei corpi è solo apparente, Riccioli, che aveva fatto esperimenti diretti facendo cadere dei corpi dalla cima alta circa 100 metri della Torre degli Asinelli di Bologna e aveva notato un piccolo ma innegabile spostamento dalla verticale, ribadisce che è l’evidenza sperimentale che deve essere considerata il fattore decisivo. Se non si può contare su questa evidenza, allora “sarà distrutta tutta la conoscenza fisica”. Si può notare come il Riccioli, pur con tutti i limiti e le idee preconcette che gli derivavano dall’essere un gesuita che si occupava di scienza, fosse assai più galileiano di molti suoi avversari, in un’epoca in cui molti “filosofi naturali” aveva accettato il sistema copernicano quasi senza discuterlo nelle sue implicazioni più sottili.

Lo spostamento legato all’effetto Coriolis ritorna nel testo del Riccioli in altre argomentazioni, alcune delle quali in verità piuttosto deboli, come riconosce lo stesso autore. Così si trova nell’esperimento mentale dell’argomento n. 10 (“Immaginiamo un grosso peso lasciato cadere dall’alto che svolge una catena durante la caduta. Se l’ipotesi copernicana è corretta, la catena non disegnerà una linea diritta verso la Terra, ma sarò curvata verso oriente”). Ritorna con forza invece nell’argomento 17:

“Una palla di cannone lanciata in direzione del piano del meridiano (diretta verso nord o verso sud) seguirà una traiettoria diversa se il cannone è più vicino ai poli che se è più vicino all’equatore, a causa della minore velocità del terreno vicino ai poli. Ma ciò è contrario all’esperimento di Tycho”.

Riccioli aggiunge che l’unica risposta a questo argomento è che forse quell’esperimento in realtà non è mai stato eseguito (non sempre l’astronomo danese era considerato completamente affidabile nella descrizione dei suoi esperimenti). Tuttavia, sostiene il Riccioli, l’esperimento è possibile e l’effetto di deflessione potrà essere rilevato se i moti coinvolti sono sufficientemente violenti (cioè, se si dispone di artiglieria di grande potenza).

L’argomento 18 è solo in apparenza simile al precedente:

“Se la Terra ruota su se stessa, la palla di un cannone diretta verso un obiettivo posto a ovest colpirà sotto il bersaglio, mentre la palla di un cannone diretta verso un obiettivo posto a est colpirà sopra il bersaglio. Ma ciò è contrario all’esperienza”.

Questo argomento riguarda i cambi di direzione dovuti al moto di rotazione della Terra: la linea che va dalla bocca di un cannone al bersaglio cambia intanto che la Terra gira, mentre la traiettoria della palla in volo non lo fa, con i risultati descritti dal Riccioli. Nella pagina in cui viene esposto l’argomento viene illustrato un cannone con la bocca in A spara verso un bersaglio posto a Est (B) e uno a Nord (E), equidistanti da A. Mentre la palla del cannone (I e F) è in volo, la rotazione della Terra porta la bocca del cannone in C, il bersaglio orientale in D e quello settentrionale in N (clic per ingrandire).


Si tratta di un argomento assai vicino a quelli esposti in precedenza, che implica un effetto come quello Coriolis. Di questa materia si era occupato anche Galileo nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, sostenendo che l’effetto sarebbe stato di circa un pollice di deviazione per una gittata di 500 cubiti, troppo piccolo da misurare, essendo la precisione di un cannone a quella distanza assai minore (circa un cubito). Ma, nota il Riccioli, il movimento della Terra, se esistesse, dovrebbe essere plausibilmente rilevabile da questa sorta di esperimento.

La figura mostra lo schema di un semplice calcolo dell’effetto Coriolis soprascritto all’illustrazione dell’Almagestum Novum. Le linee colorate mostrano i percorsi del cannone in un sistema di riferimento ruotante mentre spara un proiettile in direzione dell’asse di rotazione. La linea blu è il percorso della bocca del cannone, quella rossa è il percorso della palla, quella verde è il percorso della palla vista dal cannone. La scala dello schema è stata adattata all’illustrazione, e la distanza dall’asse di rotazione è stata disegnata in modo da accordare la linea rossa e la curva AKF. Tuttavia, si noti la deflessione verso destra (verso Est) del proiettile osservata dal cannone, come descritto da Riccioli e Grimaldi.

Gli ultimi due argomenti che coinvolgono una sorta di effetto Coriolis sono il 19 e il 20. Nel 19 (“Se la Terra ruotasse, la gittata di una palla di cannone sarebbe minore se fosse lanciata verso il polo del mondo che se lanciata verso est o verso ovest. Ma ciò è contrario all’esperienza”), Riccioli cita l’opera di Grimaldi e invita il lettore ad altre parti dell’Almagestum Novum per i dettagli. L’argomento 20 (“Se la Terra ruotasse, la gittata di una palla di cannone sarebbe minore se fosse lanciata verso ovest che se lanciata verso est. Ma ciò è contrario agli esperimenti.”) è una variazione del n.18.

Gli argomenti riguardanti il moto di oggetti rispetto a un sistema di riferimento che ruota, che Giovanni Battista Riccioli intendeva negare, non sono gli unici che misero in difficoltà i copernicani. Discutendo della grandezza e della distanza delle stelle fisse, ad esempio, egli mise in discussione la precisione delle osservazioni telescopiche delle stelle con argomenti che sarebbero stati spiegati solo con la prima misura del parallasse stellare, fatta nel 1838 da Friedrich Wilhelm Bessel. Tuttavia, come ha fatto notare Owen Gingerich (Cercando Dio nell’Universo, Lindau, Torino, 2007), l’accettazione definitiva dell’ipotesi copernicana non si dovette a singole “prove” sperimentali come la scoperta delle fasi di Venere o delle lune di Giove: queste avrebbero potuto essere incorporate nell’ipotesi geocentrica di Tycho Brahe abbastanza facilmente. Fu piuttosto lo sviluppo da parte di Newton di un sistema teorico coerente che diede ragione a Copernico e non a Tycho, che convinse gli astronomi dell’eliocentrismo, anche in assenza di alcune prove sperimentali. Gingerich sostiene che gli scienziati non ballarono per strada o tennero grandi celebrazioni quando nel 1838 Bessel misurò la parallasse annuale, o nel 1851 quando il pendolo di Foucault dimostrò chiaramente che la Terra era un sistema di riferimento ruotante: la materia era già stata stabilita definitivamente da Newton.

ResearchBlogging.org
Riferimenti:

Per il suo studio Graney fa riferimento all’edizione Almagestum novum pubblicata online dall’ETH Bibliotek Zürich dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia.

Christopher M. Graney (2010). Giovanni Battista Riccioli's Seventy-Seven Arguments Against the Motion of the Earth: An English Rendition of Almagestum Novum Part II, Book 9, Section 4, Chapter 34, Pages 472-7 arXiv arXiv: 1011.3778v1

Christopher M. Graney (2010). The Coriolis Effect Apparently Described in Giovanni Battista Riccioli's
Arguments Against the Motion of the Earth: An English Rendition of Almagestum Novum Part II, Book 9, Section 4, Chapter 21, Pages 425, 426-7 ArXiv arXiv: 1012.3642v1


sabato 25 dicembre 2010

Combinazioni presso la chiusa



Lenta va la barchetta
sul placido canale.

Avanza senza fretta
nella nebbia autunnale.

Trasporta una cassetta
che arriverà a Natale.

Un uomo intanto aspetta
davanti al bar centrale.

Fuma una sigaretta
sbuffando sul giornale.

Ordina un’anisetta
con tono informale.


Questa mia poesiola fatta da 6 distici evoca atmosfere simenoniane (un Simenon bambino, direi) e non comunica grandi scoperte del pensiero. E' tuttavia concepita in modo da poter:
- sostituire tra di loro sia i versi A sia i versi B, con qualche effetto surreale;
- essere ridotta a un numero inferiore di distici per creare poesie più corte,
per un totale di qualche migliaio di combinazioni diverse. Un infimo tentativo di ispirarmi ai Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau.

sabato 18 dicembre 2010

Sonetto oulipiano fior da fiore


Il sonetto che segue è costruito prendendo in prestito i versi da alcuni di quelli che costituiscono la raccolta Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna, Feltrinelli, 2010, che Gianni Celati attribuisce al veneziano Attilio Vecchiatto. Il procedimento adottato, di derivazione oulipiana, consiste nel fare un inventario delle rime presenti nell’intera raccolta, scegliere i sonetti con i versi che presentano le stesse rime (in questo caso –ato e –one per le quartine e –ento per il distico finale), e infine considerare i versi che, avvicinati con una opportuna punteggiatura, possono dare un senso alla poesia, che costituisce l’insieme intersezione degli insiemi formati dai singoli sonetti. Il numero alla fine di ogni riga è il numero d’ordine della singola opera all’interno della raccolta da cui è stato preso il verso.

Il metodo consente di ottenere una composizione che costituisce un compendio della raccolta di versi di un autore, mantenendone il più possibile il senso complessivo, la musicalità e lo stile. Può essere adottato con buoni risultati per sostituire un’antologia, in questi anni in cui il tempo a disposizione del lettore medio è davvero poco. Mi riprometto comunque di ritornare sull’argomento.

Se in vita mia quasi sempre ho sbagliato

Se in vita mia quasi sempre ho sbagliato (25)
solo di tenebre posso dar lezione, (6)
e di vergogne da togliere il fiato (1)
in cui la luce d’amor si fa visione. (30)

In questo albergo un tempo ho soggiornato (18)
all’apparecchio di televisione (12)
voi non sentite com’è congelato? (4)
Badalucco ha parlato a profusione. (40)

Nessun può più uscir dal seminato (38)
ma rende omaggio al nostro tenebrone, (7)
satollo del denaro guadagnato: (48)
una mortale umana condizione. (6)

Noi siamo spore perse in spargimento, (17)
ma la nostra casa sta tra il nulla e il vento. (13)

martedì 14 dicembre 2010

Piccola antologia dei poeti inesistenti (11): Attilio Vecchiatto

Come racconta Gianni Celati nell’antologia commentata che gli ha dedicato (Sonetti del Badalucco nell’Italia odierna, Feltrinelli, 2010), l’attore veneziano Attilio Vecchiatto (1910–1993) ha vissuto un’esistenza errabonda e movimentata, in cui ha sperimentato l’esilio, i trionfi nei più grandi teatri sudamericani, il rapimento da parte dei guerriglieri colombiani, la bohéme del teatro sperimentale nel Bronx, gli allestimenti scespiriani con attori anziani e marionette ventriloque, il successo parigino tra gli intellettuali, l’invidia e l’ostilità di Dario Fo, la miseria nera degli ultimi anni italiani vissuti con la moglie Carlotta su e giù per la penisola, la prigione, la rinfrescante parentesi campana, la fine in una locanda veneziana per un colpo apoplettico.

13. Nos cui mundus est patria

Viaggiando fu l’albergo il mio castello
o un rifugio o un giaciglio di fortuna,
una capanna in Colombia o un bordello,
oppure in Venezuela il chiar di luna.

Mai ebbi casa né ebbi quel rovello:
niente da dire “mio” in cosa alcuna,
da un posto all’altro avendo nel cervello
l’idea che il mondo fosse la mia cuna.

Brontolava la moglie al ritornello
del nido necessario a far fortuna,
per non migrare sempre a mo’ d’uccello
e aver la casa che gli affetti aduna.

Hai ragione Carlotta, cuore attento,
ma la nostra casa sta tra il nulla e il vento.

Autore di poesie sin dagli anni ’30, quando si trovò a vivere in Argentina, Vecchiatto era già stato scoperto da Celati, che gli aveva già dedicato un testo in ricordo del suo ultimo spettacolo teatrale (Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, Feltrinelli, 1996). Egli aveva continuato a scrivere anche negli ultimi anni di vita, durante i quali spesso si guadagnava da vivere declamando versi e vendendone per strada le fotocopie. Il ritrovamento del grosso quaderno di sonetti in gran parte inediti, avvenuto qualche anno fa in un cassetto dell’ultima sua provvisoria dimora in una stanza della locanda di Sandon dal Fosso in cui morì, ha consentito la pubblicazione delle ultime opere di questo poeta straordinario, lucido e sfortunato.

1. Il viaggiatore torna in patria. Scritto in un caffé di Roma, tre mesi dopo il ritorno in Italia

Torna da vecchio in patria il viaggiatore
e guarda il suo paese ritrovato,
ora inospite, triviale, deturpato,
in mano a furbi senza alcun pudore:

fogna di massa, paese d’orrore
e di vergogne da togliere il fiato,
con quei somari del televisore
che fan del più fetente il più quotato.

Con chi scambiare idee in tal squallore,
dove impera il maramaldo unto e beato?
Cosa fare in balia d’un truffatore
che aizza tutto il popolo intronato?

Che dire? È in fogne, fango e brulicame
che fa carriera il Badalucco infame.


34. Sulla dittatura del nuovo

Hanno ficcato in testa a tutti quanti
che il nuovo sempre sia cosa migliore,
e in massa vedi ovunque gli zelanti
vestire i panni dell’adoratore

d’ogni gadget ch’è nuovo e un po’ più avanti
rispetto al nuovo delle sue passate ore,
con nuove macchinette elettrizzanti
esibite come titoli d’onore.

Il Badalucco la dà da bere a tanti
che non resta in giro un onesto obiettore:
tutti si inchinano ai nuovi fabbricanti
e il nuovo diventa la religion maggiore.

Questa è la vita come target aziendale:
e qui finisce il mio sonetto, bene o male.

Si tratta di sonetti formati da versi endecasillabi con schema ABAB ABAB ABAB CC (tre quartine a rime alterne e distico finale a rima baciata), talvolta caudati, secondo una metrica non molto comune. Essi, secondo il Celati, «parlano del vivere e del morire, dell’amore e del disamore, della nostra cecità e della luce immaginativa, della vita terrestre e della vocazione teatrale che ci guida attraverso il buio della mente. Ma soprattutto parlano d’una “Italia trista”, che non sa cosa sia vergogna, e dell’ottimismo obbligatorio più bigotto, della vita come target aziendale, dell’opulenza come insolenza, dell’italicismo come stupidità di comodo, e dell’ineluttabile ansia prodotta dal “borghese comfort della malora” (parole di Vecchiatto)».

9. Consuma, consuma e andrai in paradiso

Consuma, consuma e andrai in paradiso,
con tutti gli attori e la bella gente
che qui in terra hanno messo su il sorriso
di chi ha la fama dell’uomo vincente.

Continua a consumare e fai buon viso
a fregature, debiti e al demente
obbligo di star sempre sull’avviso,
perché del nuovo non ti sfugga niente.

Fai (come Badalucco) del tuo riso
uno stampo cosmetico lucente;
poi altre operazioni e un nuovo viso,
ti faranno un manichino appariscente.

Ma cadrai presto, sgonfio da far pietà,
nel baratro dell’umana nullità.


Sullo sfondo aleggia la figura del Badalucco, “categoria dello spirito” secondo il Vecchiatto, personaggio capace di portare tutti gli italiani nel buio più profondo di un ebete conformismo. L’opera non a caso è introdotta da una frase di Giordano Bruno che si ripete nell’esergo di ciascuna delle sue cinque parti (“puntate”): “Umbrarum fluctu terras mergente…”, che ben descrive non solamente il sentimento dell’autore, ma la situazione attuale dell’umanità: «È l’idea di un’oscurità in cui gli uomini vivono, come un grande mare di ombre che sommergono tutti i continenti piombando le menti degli uomini in una cecità molto difficile da superare». Alcuni hanno visto il Badalucco incarnato in un noto personaggio dell’economia e della politica, che negli ultimi lustri ha plasmato l’Italia a propria immagine e somiglianza, e che il lettore accorto saprà individuare. Ma forse è più corretto pensare che oramai il Badalucco è in ciascuno di noi e che ciascuno di noi è partecipe di un ineluttabile Badalucco universale, senza speranza di riscatto.

7. Seconda lezione di tenebre

Di tenebre si tace e chi ne parla
è dal consorzio civile isolato,
perché ogni tizio un po’ civilizzato
deve sempre mostrar con la sua ciarla

che sa dov’è la luce. E trascinato
dai discorsi degli altri (che poi a farla,
la luce, ci pensan poco) può darla
come un dato di fatto assicurato.

Dopo di che, ogni furbo che straparla,
con nuovi lumi oscuri come il fato,
succhierà soldi al tizio costernato
dal timore del buio che lo tarla.

Vecchiatto non vuol certo aver ragione,
ma rende omaggio al nostro tenebrone.

31. Ars moriendi. Scritto in un ospedale veneziano, in un momento di riflessione acuta, ma non depressiva

Dove il demone disumano impera
e travestito ormai da buon borghese
la belva finanziaria e menzognera
elegge a dio il denaro d’un paese,

di morire in pace ormai nessuno spera,
perché fino all’ultimo ha pretese
che il denaro lo salvi dalla fiera
morsa del nulla che sempre lo attese.

Ma tu Carlotta cara, amica vera,
ascolta Attilio che non può far spese
per curarsi la salute e che dispera
di sopravvivere ancora per un mese.

Sappi che lui non muore disperato,
a differenza del borghese infrollato.

NOTA. “Borghese infrollato” = reso frolle dagli agi. È l’infrollimento del borghese che vuole ogni comodità - ognuno per sé, a casa sua, etc.

mercoledì 8 dicembre 2010

L’Alfabeto apocalittico di Edoardo Sanguineti

Il 9 dicembre 1930, ottant’anni fa domani, nasceva a Genova Edoardo Sanguineti, il grande poeta e ludolinguista (ma anche romanziere e critico), morto nel maggio di quest’anno. Lo voglio ricordare proponendo una sua opera che ne testimonia il talento linguistico e la vena ludica (egli era anche il presidente onorario dell’Oplepo, la filiazione italiana dell’Oulipo di Queneau, Perec e Roubaud) .

L’Alfabeto apocalittico fu scritto nel 1982 e consiste in una serie di 21 ottave, una per ogni lettera dell’alfabeto italiano. Il rimpianto editore d’arte Galleria Rizzardi ne pubblicò nel 1984 una preziosa versione In-8º (27×17 cm) di 32 pagine, stampata in Milano da Giorgio Upiglio in 99 più XV esemplari, con ventuno capilettera e un’acquaforte acquatinta a colori numerata e firmata da Enrico Baj. La ripropongo qui di seguito, sperando di non violare diritti che comunque non mi appartengono.












La collaborazione con Baj era il frutto di un’amicizia di lunga data: io due si erano conosciuti nei primi anni ’50 a Torino, quando Sanguineti era ancora studente di Lettere e stava scrivendo la sua prima raccolta, Laborintus. Con Baj avrebbe poi pubblicato nel 1995 anche Malebolge 1994/1995 o del malgoverno. Da Berluskaiser a Berluscaos, il cui titolo rivela il comune impegno politico e la precoce, anche se non profetica, analisi del fenomeno Berlusconi. In coda affido allo stesso Sanguineti la lettura dei versi dedicati alla lettera N.


martedì 7 dicembre 2010

Un infruttuoso auto–trattamento di un caso di “Blocco dello scrittore”


Lo studio che presento è comparso sul Journal of Applied Behaviour Analysis n. 3 (autunno 1974). Parti di questo articolo non furono presentate all’81° Convenzione Annuale dell’American Psychological Association, tenutasi il 30 agosto 1973 a Montreal, Canada. Il suo autore, Dennis Upper, un phD di Yale, allora alla Behaviour Therapy Unit, Veterans Administration Hospital, Brockton, Massachusetts, fornisce uno dei migliori esempi di utilizzo ‘patafisico di una pubblicazione scientifica e contiene l’insegnamento che la scienza procede per tentativi ed errori, tramite successi e fallimenti. Anche di questi ultimi bisogna dar conto. Upper lo fa con grande onestà intellettuale, comunicando con una pagina bianca di non essere riuscito a vincere il proprio terrore della pagina bianca. Un terrore che più tardi Upper avrebbe vinto, visto che è uno dei più prolifici psicologi clinici americani sul piano scientifico e divulgativo. Nel 2007 ha pubblicato un’autobiografia professionale, Long Story Short: A Memoir, e le sue poesie e suoi racconti sono comparsi in più di quindici giornali letterari.

Il paper è stato successivamente citato in A Multisite Cross-Cultural Replication of Unsuccessful Self-Treatment of Writer's Block di Robert Didden, Jeff Sigafoos, Mark F. O'Reilly, Giulio E. Lancioni, e Peter Sturmey, J. Appl Behav Anal. 2007 Winter; 40(4), a dimostrazione che l’approccio ‘patafisico trova negli Stati Uniti uno dei suoi terreni più fertili. Scrive l’editor Patrick C. Friman: «I was reminded of a remark often attributed to Mark Twain, “I am sorry I wrote such a long letter, I did not have time to write a shorter one.”».