sabato 26 febbraio 2022

Willard Libby e la datazione con il carbonio-14

 


Il carbonio possiede 3 isotopi naturali: il carbonio-12 (
12C) con 6 protoni, 6 elettroni e 6 neutroni, il carbonio-13 (13C) con 6 protoni, 6 elettroni e 7 neutroni, che sono stabili, e il carbonio-14 (14C) con 6 protoni, 6 elettroni e 8 neutroni che è invece instabile, cioè decade trasformandosi in azoto-14 con il passare del tempo. Il 12C rappresenta il 98% di tutto il carbonio sulla Terra. 


Nel 1946, Willard Libby (1908–1980), allora professore di chimica all'Università di Chicago, propose un metodo innovativo per datare i materiali organici misurando il loro contenuto di carbonio-14. Il
14C era stato creato artificialmente nel 1940 da Martin Kamen (1913–2002) e Samuel Ruben (1913–1943) utilizzando un acceleratore di ciclotrone presso l'University of California Radiation Laboratory a Berkeley. 

Libby iniziò la sua ricerca nel 1945. Si ispirò al fisico Serge Korff (1906–1989) della New York University, che nel 1939 scoprì che i neutroni venivano prodotti durante il bombardamento dell'atmosfera da parte dei raggi cosmici. Korff predisse che la reazione tra questi neutroni e l'azoto-14, che è abbondante nell'atmosfera, avrebbe prodotto carbonio-14, chiamato anche radiocarbonio. 


Libby si rese conto che il carbonio-14 nell'atmosfera avrebbe trovato la strada per entrare nella materia vivente, che viene così marcata con l'isotopo radioattivo. In teoria, se si fosse potuto rilevare la quantità di carbonio-14 in un oggetto, si poteva stabilire l'età di quell'oggetto utilizzando l'emivita, o tasso di decadimento, dell'isotopo. Nel 1946, Libby propose questa idea rivoluzionaria sulla Physical Review

Ulteriori ricerche di Libby e altri stabilirono l’emivita del carbonio-14 in 5.568 ± 30 anni, ma nessuno aveva ancora rilevato il carbonio-14 in natura: a questo punto, le previsioni di Korff e Libby sul radiocarbonio erano del tutto teoriche. Per dimostrare il suo concetto di datazione al radiocarbonio, Libby aveva bisogno di confermare l'esistenza del carbonio-14 naturale, una sfida importante visti gli strumenti allora disponibili. 

A quel tempo, nessuno strumento di rilevamento delle radiazioni (come un contatore Geiger) era abbastanza sensibile da rilevare la piccola quantità di carbonio-14 richiesta dagli esperimenti. Libby contattò Aristid von Grosse (1905–1985) della Houdry Process Corporation, che fu in grado di fornire un campione di metano che era stato arricchito in carbonio-14 e che poteva essere rilevato dagli strumenti esistenti. Usando questo campione e un normale contatore Geiger, Libby e Anderson stabilirono l'esistenza del carbonio-14 in natura, proprio nella concentrazione prevista da Korff. 

Questo metodo funzionava, ma era lento e costoso. Fortunatamente, il gruppo di Libby sviluppò un'alternativa. Circondarono la camera del campione con un sistema di contatori Geiger calibrati con un sistema elettronico per rilevare ed eliminare la radiazione di fondo che esiste nell'ambiente. L’insieme fu chiamato "contatore in anticoincidenza". Quando fu combinato con uno spesso schermo che riduceva ulteriormente la radiazione di fondo e un nuovo metodo per preparare i campioni di carbonio puro per i test, il sistema si rivelò adeguatamente sensibile. Alla fine, Libby aveva un metodo per mettere in pratica la sua idea. 

Il concetto di datazione al radiocarbonio si concentrava sulla misurazione del contenuto di carbonio di oggetti organici, ma, per dimostrare l'idea, Libby avrebbe dovuto capire il sistema del carbonio terrestre. La datazione al radiocarbonio avrebbe avuto successo se fossero stati veri due fattori importanti: che la concentrazione di carbonio-14 nell'atmosfera era rimasta costante e che il carbonio-14 si muoveva prontamente attraverso l'atmosfera, la biosfera, gli oceani e altri serbatoi in un processo noto come ciclo del carbonio


In assenza di dati storici riguardanti l'intensità della radiazione cosmica, Libby presumeva semplicemente che la concentrazione di carbonio-14 fosse costante. Pensò che dovesse esistere uno stato di equilibrio in cui il tasso di produzione di carbonio-14 è uguale al suo tasso di decadimento, almeno negli ultimi millenni. Fortunatamente per lui, ciò si è poi dimostrato essere approssimativamente vero, anche se la concentrazione del carbonio-14 atmosferico è soggetta a piccole fluttuazioni sia nel tempo (secolari, decennali, stagionali) che nello spazio (differenti tra i due emisferi). 

Per il secondo fattore, era necessario stimare la quantità complessiva di carbonio-14 e confrontarla con tutti gli altri isotopi del carbonio. Basandosi sulla stima di Korff secondo cui venivano prodotti solo due neutroni al secondo per centimetro quadrato della superficie terrestre, ciascuno dei quali formava un atomo di carbonio-14, Libby calcolò un rapporto di un solo atomo di carbonio-14 per ogni 1012 atomi di carbonio sulla terra (1 ppt, parte per trilione, nella notazione informale scientifico-tecnica). 

Il compito successivo di Libby era studiare il movimento del carbonio all’interno del ciclo del carbonio. In un sistema in cui il carbonio-14 viene prontamente scambiato durante tutto il ciclo, il rapporto tra carbonio-14 e altri isotopi di carbonio dovrebbe essere lo stesso in un organismo vivente come nell'atmosfera. Tuttavia, le velocità di movimento del carbonio durante il ciclo non erano allora note. Libby e lo studente laureato Ernest Anderson (1920–2013) calcolarono la composizione isotopica del carbonio attraverso i diversi serbatoi (biosfera, geosfera, idrosfera e atmosfera), in particolare negli oceani, che costituiscono il serbatoio più grande. I loro risultati prevedevano la distribuzione del carbonio-14 attraverso le fasi del ciclo del carbonio e incoraggiarono Libby sul fatto che la datazione al radiocarbonio avrebbe avuto successo. 

Il concetto di datazione al radiocarbonio si basava sul presupposto che una volta morto un organismo, sarebbe stato tagliato fuori dal ciclo del carbonio, creando così una capsula temporale con un conteggio del carbonio-14 in costante diminuzione. Gli organismi viventi di oggi avrebbero la stessa quantità di carbonio-14 dell'atmosfera, mentre le fonti estremamente antiche che un tempo erano vive, come gli strati di carbone o il petrolio, non ne avrebbero più. Per oggetti organici di età intermedia - tra pochi secoli e diversi millenni - è possibile stimare un'età misurando la quantità di carbonio-14 presente nel campione e confrontandola con l'emivita nota del carbonio-14. 

Il 14C decade emettendo particelle ß- (elettroni) trasformandosi in 14N con un tempo di dimezzamento di 5568 ± 30 anni. Questo significava che dopo circa 5570 anni il reperto contiene la metà del 14C originario, dopo altri 5570 anni ne contiene un quarto e così via. Nel 1961 fu fissato un nuovo valore più preciso di 5730±40 anni. 


L'emissione di un elettrone e di un neutrino (ν) può essere spiegata con la trasformazione di un neutrone in un protone. 


Misurando la radioattività residua e confrontandola con quella normale presente in un essere vivente, si può risalire, mediante la seguente formula di decadimento, all'età del reperto (T). 


λ
rappresenta la costante di decadimento del
14C (5730). Ca è l'attività che il campione dovrebbe avere se fosse in vita e Cc l'attività misurata nel campione. Per attività si intende il numero di disintegrazioni al minuto. 

Per testare la tecnica, il gruppo di Libby applicò il contatore anticoincidenza a campioni la cui età era già nota. Tra i primi oggetti testati c'erano campioni di sequoie e abeti, la cui età era nota contando i loro anelli di accrescimento annuali. Esaminarono anche reperti da musei come un pezzo di legno della barca funeraria del faraone egiziano Senusret III, un oggetto la cui età era nota dai dati storici sulla morte del suo proprietario. 

Nel 1949, Libby e Arnold pubblicarono le loro scoperte su Science, introducendo la "Curva dei conosciuti". Questo grafico confrontava l'età nota dei manufatti con l'età stimata determinata dal metodo di datazione al radiocarbonio. Il grafico mostrava che tutti i risultati di Libby si trovano all'interno di un ristretto intervallo statistico delle età conosciute, dimostrando così il successo della datazione al radiocarbonio. 


L'introduzione della datazione al radiocarbonio ebbe un'enorme influenza sia sull'archeologia che sulla geologia, un impatto spesso definito la "rivoluzione del radiocarbonio". Prima della ricerca di Libby, i ricercatori in questi campi dovevano fare affidamento su metodi di datazione relativi, come il confrontare gli strati di un sito in cui sono trovati i manufatti, presumendo che gli strati di un sito fossero disposti cronologicamente. La datazione relativa mette semplicemente in ordine gli eventi senza una misura numerica precisa. Al contrario, la datazione al radiocarbonio ha fornito il primo metodo di datazione oggettivo in campo archeologico e cronobiologico: la capacità di attribuire date numeriche approssimative ai resti organici. 

L’applicazione del metodo di datazione assoluta con il carbonio-14 più nota al grande pubblico è stata realizzata tra il 1988 e il 1989, quando tre diversi laboratori di ricerca (Tucson, Cambridge e Zurigo), seguendo protocolli rigorosi, stabilirono che il tessuto della Sindone conservata a Torino non poteva essere dei tempi di Cristo, ma era del XIII-XIV secolo, epoca più o meno corrispondente al momento in cui incominciarono i documenti scritti riguardanti il “sacro lenzuolo”. La datazione ha suscitato grandi polemiche nel mondo cattolico, anche se nessuno ha osato mettere in discussione il metodo in sé, ma la scelta e la preparazione dei campioni. Sarebbe stato curioso che fossero esistite eccezioni per la radiodatazione delle reliquie. 


Il lavoro di Libby contribuì notevolmente anche alla geologia. Utilizzando campioni di legno di alberi una volta sepolti sotto il ghiaccio delle calotte glaciali, Libby dimostrò che l'ultima calotta glaciale nel Nord America settentrionale si è ritirata da 10.000 a 12.000 anni fa, non 25.000 anni come avevano stimato in precedenza dai geologi. 

Quando Libby presentò per la prima volta al pubblico la datazione al radiocarbonio, stimò che il metodo poteva essere stato in grado di misurare età fino a 20.000 anni. Con i successivi progressi nella tecnologia di preparazione dei campioni e di rilevamento del carbonio-14, il metodo può ora datare in modo sempre più affidabile materiali risalenti a 50.000 anni fa.

domenica 13 febbraio 2022

Darwin sperimentatore e la nascita della statistica dei dati biologici

 


Anche se aveva molti talenti, Charles Darwin non era un gran matematico. Nella sua autobiografia scrive di aver studiato matematica da giovane, ma ricorda anche che "mi ripugnava", pur riconoscendo che avrebbe voluto aver appreso i principi di base della matematica, "perché gli uomini così dotati sembrano avere un senso in più"


Darwin non amava le complesse dimostrazioni e scrisse al secondo cugino William Darwin Fox il 23 maggio 1855: "Non ho fiducia in niente che non sia la misurazione effettiva e la Regola del Tre” (cioè le proporzioni semplici). Scrivendo a T. H. Huxley il 7 maggio 1860, confermava che “Dato che sembravi in qualche modo interessato ai cambiamenti nelle proporzioni dei piccioni, ti dirò i risultati generali dopo aver rielaborato l'intero argomento in ogni modo possibile e con l'aiuto di circa (più o meno) diecimila calcoli con la regola delle tre”

Fu un fiore selvatico, la linaiola comune (Linaria vulgaris), a cambiare le sue opinioni. Come riferisce in The Effects of Cross and Self-Fertilisation in the Vegetable Kingdom (1876), per i suoi esperimenti Darwin coltivò la pianta, che ha piccoli fiori ermafroditi, incrociò accuratamente alcuni fiori e ne autofecondò degli altri. Quando coltivò i semi, scoprì che gli ibridi erano più grandi e più forti di quelli provenienti dalla stessa parentela. 
“Alla fine, fui portato a fare gli esperimenti registrati nel presente volume dalla seguente circostanza. Allo scopo di determinare certi punti riguardo all'eredità, e senza pensare agli effetti di un ravvicinato incrocio, coltivai vicini due grandi letti di pianticelle autofecondate ed incrociate della stessa pianta di Linaria vulgaris. Con mia sorpresa, le piante incrociate, quando erano completamente cresciute, erano chiaramente più alte e più vigorose di quelle autofecondate. Le api visitano incessantemente i fiori di questa Linaria e portano il polline dall'una all'altra; e se si escludono gli insetti, i fiori producono pochissimi semi; cosicché le piante selvatiche da cui sono cresciute le mie piantine devono essere state incrociate durante tutte le generazioni precedenti. Sembrava quindi del tutto incredibile che la differenza tra i due letti di pianticelle potesse essere dovuta ad un solo atto di autofecondazione; e attribuii il risultato al fatto che i semi autofecondati non fossero ben maturati, per quanto improbabile fosse che tutti avrebbero dovuto essere in questo stato, o a qualche altra causa accidentale e inesplicabile. L'anno successivo, coltivai per lo stesso scopo di prima due grandi letti ravvicinati di piante autofecondate e incrociate del garofano, Dianthus caryophyllus. Questa pianta, come la Linaria, è quasi sterile se si escludono gli insetti; e possiamo trarre la stessa deduzione di prima, cioè che le piante madri devono essere state incrociate durante ogni o quasi ogni generazione precedente. Nondimeno le pianticelle autofecondate erano chiaramente inferiori in altezza e vigore a quelle incrociate”. 

Era stupito. Sebbene avesse sempre sospettato che la consanguineità fosse dannosa per le piante, non aveva mai pensato che potesse avere un effetto significativo entro una singola generazione. “In modo che le piante naturalmente incrociate erano in altezza rispetto alle piante autofecondate spontaneamente in un rapporto di almeno fino a 100 a 1”

Così ripeté l'esperimento con altri sette tipi di piante, compreso il mais, per una decina di generazioni per tipo. Aveva una idea brillante e, a quel tempo, nuova. Poiché lievi differenze nel suolo o nella luce o nella quantità di acqua potrebbero influenzare i tassi di crescita, piantò i semi in coppia: un seme impollinato in modo incrociato e un seme autoimpollinato in ogni vaso. Poi li fece crescere e ne misurò l'altezza. 

Il metodo adottato da Darwin era quello di confrontare ogni pianta autofecondata a una incrociata, in condizioni il più possibile uguali. Le coppie così scelte per il confronto erano germogliate nello stesso momento, e le condizioni del terreno in cui crescevano erano ampiamente rese uguali piantando nello stesso vaso. Necessariamente non erano della stessa discendenza, poiché sarebbe difficile nel mais autofecondare due piante nello stesso momento in cui nasce una progenie incrociata dalla coppia. Tuttavia, i genitori provenivano presumibilmente dallo stesso lotto di semi. L'evidente scopo di queste precauzioni era di aumentare la sensibilità dell'esperimento, facendolo dipendere il meno possibile dalle circostanze ambientali, e quindi il più possibile dalle differenze intrinseche dovute all’origine delle piante. 

Il metodo dell'accoppiamento, molto utilizzato nel lavoro biologico moderno, illustra bene come un appropriato disegno sperimentale riesca a conciliare due desideri, che a volte appaiono in conflitto. Da un lato si richiede la massima uniformità del materiale biologico, oggetto dell'esperimento, per aumentare la sensibilità di ogni singola osservazione; e, dall'altro, si vogliono moltiplicare le osservazioni in modo da dimostrare per quanto possibile l'affidabilità e la coerenza dei risultati. 

Come previsto, in media, gli ibridi erano più alti. Tra le sue 30 piante di mais, ad esempio, gli esemplari autofecondati erano alti solo l'84% degli ibridi. Ma Darwin era abbastanza esperto da non fidarsi semplicemente dell'altezza media di così poche piante. "Posso premettere - scriveva - che se prendessimo per caso una dozzina o una ventina di uomini appartenenti a due nazioni e li misurassimo, presumo sarebbe molto avventato formulare un giudizio da un numero così piccolo sulla loro altezza media. Ma il caso è alquanto diverso nelle mie piante incrociate ed autofecondate, poiché erano esattamente della stessa età, furono sottoposte dalla prima all'ultima alle stesse condizioni, e discendevano dagli stessi genitori. Quando sono state misurate solo da due a sei paia di piante, i risultati sono manifestamente di poco o nessun valore, tranne in quanto confermano e sono confermati da esperimenti fatti su scala più ampia con altre specie”. Poteva essere, si domandò, che le differenze di altezza nelle piante fossero solo variazioni casuali? Il suo risultato poteva essere più significativo, ma voleva essere in grado di stabilire di quanto. 

Per farlo, tuttavia, era necessaria la matematica. Perciò si rivolse a suo cugino, Francis Galton, che era un leader nel campo emergente della statistica. Galton aveva recentemente inventato la deviazione standard o scarto quadratico medio, che è un indice di dispersione statistico, vale a dire una stima della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. 
“Poiché veniva misurato solo un numero modesto di piante incrociate e autofecondate, per me era di grande importanza sapere fino a che punto le medie fossero affidabili. Chiesi quindi al signor Galton, che ha molta esperienza in ricerche statistiche, di esaminare alcune delle mie tabelle di misura, in numero di sette, cioè quelle di Ipomoea, Digitalis, Reseda lutea, Viola, Limnanthes, Petunia e Zea”.

Galton non fu però di grande aiuto. Poteva calcolare la deviazione standard, ma non poteva usare quel numero per dire quanto fosse probabile che la differenza di altezza non fosse casuale. Inoltre, era abbastanza sicuro che ci fossero troppo poche piante per dirlo. Così rispose a Charles Darwin: 
“La determinazione della variabilità (misurata da quello che tecnicamente viene chiamato 'errore probabile') è un problema di maggior delicatezza di quello di determinare le medie, e dubito, dopo molte prove, che sia possibile trarre conclusioni utili da queste poche osservazioni. Dovremmo avere misure di almeno cinquanta piante per ogni caso, per poter dedurre risultati affidabili. Un fatto, tuttavia, relativo alla variabilità, è molto evidente nella maggior parte dei casi, anche se non in Zea mays, cioè che le piante autofecondate comprendono il maggior numero di esemplari eccezionalmente piccoli, mentre quelle incrociate sono più generalmente completamente cresciute. 

Se si arrivasse a conoscere che una serie segue la legge dell'errore o qualsiasi altra legge, e se d’altra parte si conoscesse il numero degli individui della serie, sarebbe sempre possibile ricostruire l'intera serie quando ne è stata data una frazione. Ma non ritengo che tale metodo sia applicabile in questo caso. Il dubbio sul numero delle piante in ogni riga [della tabella ricavata, NdR] è di minore importanza; la vera difficoltà sta nella nostra ignoranza della legge precisa seguita dalla serie. L'esperienza delle piante in vaso non ci aiuta a determinare tale legge, perché le osservazioni di tali piante sono troppo poche per permetterci di stabilire con precisione più che i termini medi della serie a cui appartengono, mentre i casi che stiamo ora considerando si riferiscono ai termini estremi di questa serie”. 
E la questione rimase a quel punto, in una frustrante incertezza, per 40 anni. 

Per risolvere l'impasse, ci voleva una Guinness. Nei primi anni del Novecento, la società produttrice di birra dublinese si dotò di un gruppo di ricerca per studiare in modo scientifico i parametri che influenzano la qualità della birra, applicando procedimenti che oggi prendono il nome di controllo di qualità. Un dipendente della Guinness, William Sealy Gosset, laureato in chimica e matematica, sviluppò un metodo di confronto fra campioni statistici che viene ampiamente usato ancora oggi in ogni campo, per esempio negli studi clinici di efficacia dei farmaci. 

A Gosset, tuttavia, non fu consentito di pubblicare il metodo con il proprio nome, perché Guinness voleva mantenere segreto il fatto che le statistiche potessero aiutare a produrre una birra migliore. Egli lo fece sotto lo pseudonimo di "Student", nel 1908. La tecnica è quindi diventata nota come “Student’s t-test”, un test statistico di tipo parametrico che ha lo scopo di verificare se il valore medio di una distribuzione si discosta significativamente da un certo valore di riferimento. 


Lo Student’s t-test fece ciò che Galton non sapeva come fare: data la deviazione standard calcolata da Galton, diceva quanto fosse probabile che la differenza di altezza tra gli ibridi e gli autofecondati fosse casuale. La risposta fu che la possibilità era di circa il 5%. Per gli standard statistici, è a malapena significativo. 

Ci vollero altri dieci anni e l'intervento di un altro genio statistico per la successiva svolta sul problema. Ronald Aylmer Fisher (1890-1962), un poliedrico biologo britannico che fu attivo come matematico, statistico e genetista. Per la sua opera nella statistica, è stato definito "la figura più importante nella statistica del XX secolo". In biologia, il suo lavoro utilizzò la matematica per combinare la genetica mendeliana e la selezione naturale; ciò contribuì alla rinascita del darwinismo nella revisione della teoria dell'evoluzione nota come sintesi moderna. Per i suoi contributi alla biologia, Fisher fu anche definito "il più grande successore di Darwin". 

Da studente universitario, Fisher venne a conoscenza dell’opera di Gregor Mendel sulla genetica e di quella di Darwin sull'evoluzione, ma la teoria che collegava le due non era ancora stata sviluppata. Fisher decise di creare la base statistica per rendere possibile la connessione. L'esperimento di Darwin con gli ibridi era proprio il tipo di problema che Fisher doveva essere in grado di risolvere. Notò qualcosa che Galton aveva ignorato: il metodo intelligente di Darwin per accoppiare le piante. Aveva calcolato la deviazione standard delle piante come un unico grande gruppo. 

Fisher rifece l'analisi ma calcolò la deviazione standard della differenza di altezza tra le coppie di piante in ogni vaso. Di colpo, invece di una possibilità del 5% che il risultato non significasse nulla, ottenne una possibilità dello 0,01%. In altre parole, era quasi certo che gli ibridi diventassero davvero più alti degli autofecondati. 


Fisher notò che lo Student’s t-test aveva un possibile difetto: presumeva che le altezze delle piante variassero in modo prevedibile (secondo una distribuzione normale, per essere precisi). Nel caso in cui tale ipotesi fosse stata sbagliata, escogitò un altro modo di analizzare i dati e confermò il risultato. Studiò la progettazione di esperimenti introducendo il concetto di randomizzazione e l'analisi della varianza, procedure oggi utilizzate in tutto il mondo. L'idea di Fisher era quella di organizzare un esperimento come un insieme di sotto-esperimenti suddivisi che differiscono l'uno dall'altro per l'applicazione di uno o più fattori o trattamenti. I sub-esperimenti sono progettati in modo tale da consentire di attribuire differenze nei loro risultati ai diversi fattori o combinazioni di fattori mediante analisi statistiche. Questo è stato un notevole progresso rispetto all'approccio allora esistente di variare solo un fattore alla volta in un esperimento, che era una procedura relativamente inefficiente. 

Fisher pubblicò il frutto della sua ricerca in due libri fondamentali, Statistical Methods for Research Workers e The Design of Experiments. Quest'ultimo introdusse diverse idee fondamentali, tra cui l'ipotesi nulla H0 e la significatività statistica, che gli scienziati di tutto il mondo usano ancora oggi. 

L'analisi di Fisher fu possibile solo perché Darwin aveva progettato così bene i suoi esperimenti. In effetti, Fisher era spesso frustrato dalla qualità degli esperimenti di altre persone. "Chiamare lo statistico dopo che l'esperimento è terminato", disse in una conferenza a Calcutta nel 1938, "potrebbe essere nient'altro che chiedergli di eseguire un esame post mortem: potrebbe essere in grado di dire di cosa è morto l'esperimento"

Secondo Fisher, “Il principale contributo di Darwin, non solo alla Biologia ma all'intera scienza naturale, fu l'aver portato alla luce un processo per cui a contingenze improbabili a priori viene data, nel corso del tempo, una probabilità crescente, fino a quando non è la loro mancata occorrenza, e non il loro verificarsi, che diventa altamente improbabile”

Ciò che poterono fare gli statistici con i dati di Darwin fu semplicemente una conseguenza dello sviluppo nel tempo della loro scienza, ma nessuno mai mise in dubbio la raffinatezza della sua procedura sperimentale.

sabato 12 febbraio 2022

Patrick Matthew copiato da Darwin? No!

 


Scriveva Stephen Jay Gould nell’articolo
Natural Selection as a Creative Force (in The Structure of Evolutionary Theory, 2002) lamentando la stucchevole fatalità di certe scoperte postume: : 
“Questo tipo di incidente si è verificato più e più volte, sin dai tempi di Darwin. Un evoluzionista, sfogliando alcuni tomi pre-darwiniani di storia naturale, si imbatte in una descrizione della selezione naturale. Ah, dice; Ho trovato qualcosa di importante, una prova che Darwin non era originale. Forse ho anche scoperto una fonte di furto diretto e nefasto da parte di Darwin! Nella più famigerata di queste affermazioni, il grande antropologo e scrittore Loren Eiseley pensava di aver rilevato una tale anticipazione negli scritti di Edward Blyth. Eiseley si concentrò faticosamente sulle prove che Darwin aveva letto (e usato) il lavoro di Blyth e, commettendo un errore etimologico cruciale lungo la strada, alla fine accusò Darwin di aver strappato a Blyth l'idea centrale della sua teoria. Pubblicò la sua tesi in un lungo articolo (1959), poi ampliato dai suoi esecutori testamentari in un volume postumo intitolato "Darwin and the Mysterious Mr. X" (1979). 

Sì, Blyth aveva discusso della selezione naturale, ma Eiseley non si era reso conto - commettendo così il solito e fatale errore in questa comune linea di argomentazione - che tutti i bravi biologi lo facevano nelle generazioni precedenti a Darwin. La selezione naturale era un elemento standard nel discorso biologico, ma con una differenza cruciale rispetto alla versione di Darwin, l'interpretazione usuale invocava la selezione naturale come parte di un ragionamento più ampio sulla permanenza del creato.

Sono state notate solo due eccezioni a questa tendenza generale, entrambe nell'ambito delle anomalie che confermano la regola. Il frutticoltore scozzese Patrick Matthew (nel 1831) e il medico scozzese-americano William Charles Wells (nel 1813, pubblicato nel 1818) parlarono della selezione naturale come di una forza positiva per il cambiamento evolutivo, ma nessuno dei due riconobbe il significato della sua speculazione. Matthew seppellì le sue opinioni nell'appendice di un'opera intitolata "Legname navale e arboricoltura"; Wells pubblicò la sua congettura in una sezione conclusiva, che parlava dell'origine delle razze umane, di un articolo sul caso medico di una donna multicolore [un caso grave di vitiligine, NdR]. Presentò questo documento alla Royal Society nel 1813, ma lo pubblicò solo poco prima di morire nel 1818, in aggiunta ai suoi due famosi saggi sull'origine della rugiada e sul perché vediamo una sola immagine con due occhi.” 
Patrick Matthew (1790-1874) era un commerciante, imprenditore agricolo e proprietario terriero scozzese, che nel 1831 pubblicò il concetto di base della selezione naturale come meccanismo di adattamento evolutivo e speciazione, ma non sviluppò nè pubblicizzò le sue idee. Di conseguenza, quando Charles Darwin pubblicò L'origine delle specie nel 1859, lui e Alfred Russel Wallace furono considerati coloro che avevano dato origine (indipendentemente l'uno dall'altro) alla teoria dell'evoluzione per selezione naturale. Dopo la pubblicazione di On the Origin of Species, Matthew si mise in contatto con Darwin, che nelle successive edizioni del libro riconobbe che il principio della selezione naturale era stato anticipato dalla breve dichiarazione di Matthew, contenuta per lo più nelle appendici e nell'addendum del suo libro del 1831 On Naval Timber and Arboriculture


Patrick Matthew aveva studiato alla Perth Academy e all'Università di Edimburgo, ma non si laureò, a causa della morte del padre quando aveva solo diciassette anni, per cui dovette assumersi le responsabilità di gestire gli affari di alcune proprietà terriere tra Perth e Dundee. Nel corso degli anni trasformò con successo gran parte dei terreni agricoli e dei pascoli delle tenute in diversi grandi frutteti. Divenne un accanito sostenitore e ricercatore interessato alla silvicoltura e all'orticoltura, aspetti che influenzarono il suo interesse per le leggi della natura. 

Tra il 1807 e il 1831 (quando fu pubblicato On Naval Timber and Arboriculture) viaggiò periodicamente in Europa, a volte per affari, a volte in cerca di chiarimenti scientifici o consigli agrari o economici: un suo viaggio a Parigi nel 1815 dovette interrompersi durante i Cento Giorni, quando Napoleone tornò dall'Elba. Tra il 1840 e il 1850 viaggiò molto in quella che oggi è la Germania settentrionale; riconoscendo il potenziale commerciale di Amburgo; acquistò due fattorie nello Schleswig-Holstein. Sarebbe diventato in seguito un sostenitore della politica imperiale prussiana.


Matthew si interessò alla colonizzazione della Nuova Zelanda e fu determinante nella creazione di una "Compagnia terriera scozzese della Nuova Zelanda". Su sua sollecitazione, due dei suoi figli, James e Charles, emigrarono dall’altra parte del mondo, dove fondarono uno dei primi frutteti commerciali utilizzando semi e piantine provenienti dalla Scozia. Suo figlio maggiore John, andò in America, inviando esemplari botanici a suo padre; tra questi vi erano (nel 1853) le prime piantine di sequoia piantate in Europa. 

Nel 1860, Matthew lesse nel Gardeners' Chronicle del 3 marzo una recensione (di Huxley), pubblicata in precedenza dal Times, di On the Origin of Species di Darwin, in cui si affermava che Darwin "dichiara di aver scoperto l'esistenza e il meccanismo di selezione e ne ha descritto i principi”. Una lettera di Matthew, pubblicata nel Gardeners' Chronicle il 7 aprile, affermava che l’idea era la stessa che aveva "pubblicato in modo molto completo e portato ad applicarsi praticamente alla silvicoltura" sul Naval Timber nel 1831. 


Citava poi integralmente una sezione dalle pagine 381 a 388 dell'Appendice. Era senza titolo, ma nei Contenuti appariva come "adattamento della vita organizzata alle circostanze, per ramificazioni divergenti". In esso, commentava la difficoltà di distinguere "tra specie e varietà". Il cambiamento della documentazione fossile tra le ere geologiche implicava che gli organismi viventi avessero "un potere di cambiamento, al variare delle circostanze", allo stesso modo dei "disordini e cambiamenti nell'esistenza organizzata, indotti da un cambiamento di circostanze dall'interferenza dell'uomo" che dava "la prova della qualità plastica di una vita superiore", definita "un potere di adattarsi alle circostanze". In seguito ai diluvi del passato, "si sarebbe formato un campo non occupato per nuove ramificazioni divergenti della vita" nel "corso del tempo, plasmando e adeguando il loro nuovo essere al mutare delle circostanze”'. Proponeva che "la progenie degli stessi genitori, in grande differenza di circostanze, potrebbe, in diverse generazioni, dare anche specie distinte, incapaci di co-riproduzione". 
"La disposizione adattiva autoregolante della vita organizzata, può, in parte, essere ricondotta all'estrema fecondità della Natura, la quale, come prima affermato, ha, in tutte le varietà della sua progenie, un potere prolifico molto al di là (in molti casi mille volte) di quanto necessario per riempire i posti vacanti causati dal decadimento senile. Poiché il campo dell'esistenza è limitato e occupato, sono solo gli individui più resistenti, più robusti, più adatti alle circostanze, sono in grado di lottare verso la maturità, abitando essi solo le situazioni a cui hanno un adattamento superiore e un potere maggiore di occupazione rispetto a qualsiasi altro tipo; i più deboli, meno adatti alle circostanze, vengono prematuramente distrutti”
Descrisse questo concetto come una "legge adattiva alle circostanze, che opera sulla piccola ma continua disposizione naturale alla mutazione nella progenie". Matthew citava quindi i tre paragrafi iniziali della Parte III del suo libro, Miscellaneous Matter Connected with Naval Timber: Nurseries, su "il rigoglio e le dimensioni del legname a seconda della particolare varietà della specie" e la necessità di selezionare semi dei migliori individui quando si coltivano alberi. 

Leggendo questa lettera pubblica, Darwin commentò in una lettera a Charles Lyell
“Ora una cosa curiosa sul mio Libro (...), Nella Saturday Gardeners' Chronicle di sabato scorso, un certo Patrick Matthews [sic] pubblica un lungo estratto dal suo lavoro sul legname navale e l'arboricoltura pubblicato nel 1831, in cui anticipa brevemente ma completamente la teoria della Selezione Naturale. Ho ordinato il Libro, poiché alcuni passaggi sono piuttosto oscuri ma è certamente, credo, un'anticipazione completa ma non sviluppata! Erasmus diceva sempre che sicuramente un giorno sarebbe successo. Comunque ci si può scusare per non aver scoperto il fatto in un'opera sul legno per le navi”. 
Darwin quindi il 13 aprile scrisse una sua lettera al Gardener's Chronicle, affermando: 
“Sono stato molto interessato dalla comunicazione del Sig. Patrick Matthew nel numero del vostro giornale datato 7 aprile. Riconosco liberamente che il signor Matthew ha anticipato di molti anni la spiegazione che ho offerto dell'origine delle specie, sotto il nome di selezione naturale. Penso che nessuno si sentirà sorpreso del fatto che né io, né apparentemente nessun altro naturalista, avessimo sentito parlare delle opinioni del signor Matthew, considerando quanto brevemente sono state fornite, e che sono apparse in appendice a un'opera sul legname navale e l'arboricoltura. Non posso fare altro che porgere le mie scuse al signor Matthew per la mia totale ignoranza della sua pubblicazione. Qualora fosse richiesta un'altra edizione della mia opera, inserirò un avviso in tal senso”. 
Come promesso, Darwin inserì una dichiarazione su Matthew, che aveva anticipato "precisamente la stessa visione sull'origine delle specie" nella terza (1861) e successive edizioni di On the Origin of Species, riferendosi alla corrispondenza e citando una risposta di Matthew pubblicata nel Gardener's Chronicle. Darwin scrisse che:
“Purtroppo, il punto di vista è stato fornito dal Sig. Matthew molto brevemente in passaggi sparsi in un'Appendice a un'opera su un argomento diverso, così che è rimasto inosservato fino a quando lo stesso Sig. Matthew non ha attirato l'attenzione su di esso nella Gardener's Chronicle, il 7 aprile 1860. Le differenze tra il punto di vista del Sig. Matthew e il mio non hanno molta importanza: egli sembra ritenere che il mondo sia stato quasi spopolato in certi periodi, e poi ripopolato; e propone, in alternativa, che nuove forme possono essere generate senza la presenza di alcuno stampo o germe di aggregati precedenti. Non sono sicuro di aver capito alcuni passaggi, ma sembra che attribuisca molta influenza all'azione diretta delle condizioni di vita. Egli vide chiaramente, tuttavia, tutta la forza del principio della selezione naturale. In risposta ad una mia lettera (pubblicata in Gard. Chron., 13 aprile), riconoscendo pienamente che il signor Matthew mi aveva anticipato, con generoso candore ha scritto una lettera (Gard. Chron. 12 maggio) contenente il seguente passaggio: "Per me la concezione di questa legge di natura è venuta intuitivamente come un fatto evidente, quasi senza uno sforzo di concentrazione del pensiero. Il signor Darwin qui sembra avere più meriti nella scoperta di quanto ne abbia avuto io; a me non sembrava la scoperta della produzione di specie come un fatto riconoscibile a priori, un assioma che richiede solo di essere messo in evidenza per essere ammesso da menti prive di pregiudizi e di sufficiente comprensione".” 

Fin qui la storia del rapporto tra Darwin e Matthew sulla genesi del concetto di evoluzione per selezione naturale. Sfortunatamente, in campo scientifico come in altri, sono nate molte polemiche, in gran parte ingiustificate, mosse più dal bisogno di visibilità che dall’amore per la verità storica. Sebbene Darwin insistesse sul fatto di non essere a conoscenza del lavoro di Matthew, come previsto da Gould, alcuni commentatori moderni hanno affermato che era probabile che lui e Wallace l’avessero letto, o avrebbero potuto essere indirettamente influenzati da altri naturalisti che lo avevano hanno letto e citato. L’ultimo in ordine di tempo, ampiamente pubblicizzato dai potenti mezzi della rete, è lo scrittore e criminologo inglese Mike Sutton. 

Nel 2014, Sutton, allora alla Nottingham Trent University, ha pubblicato in una rivista non sottoposta a peer-review un documento di ricerca, presentato in una conferenza della British Society of Criminology, in cui sosteneva che sia Darwin sia Wallace "molto probabilmente hanno commesso la più grande frode scientifica del mondo plagiando l'intera teoria della selezione naturale da un libro scritto da Patrick Matthew e poi affermando di non averne una precedente conoscenza”. Sutton ha poi pubblicato nel 2014 l’e-book Nullius in Verba: Darwin's Greatest Secret, ribadendo la sua argomentazione e affermando che “la versione darwinista ortodossa" è sbagliata poiché "Darwin e Wallace erano in corrispondenza, sono stati assistiti dal punto di vista editoriale, hanno ammesso di essere stati influenzati da altri naturalisti e di essersi incontrati con loro e che - è stato scoperto di recente - avevano letto e citato il libro di Matthew molto prima del 1858". Sutton ha inserito tra questi naturalisti l'editore Robert Chambers, e ha detto che era significativo che il libro di Matthew fosse stato citato nel settimanale di Chambers Edinburgh Journal il 24 marzo 1832; inoltre nel 1844 Chambers aveva pubblicato in forma anonima Vestiges of the Natural History of Creation che, secondo Sutton, aveva influenzato Darwin e Wallace. 


Nel 2015, Sutton ha ulteriormente ripetuto la sua affermazione di "contaminazione della conoscenza" nella rivista polacca Filozoficzne Aspekty Genezy (Aspetti filosofici della Genesi), che Sutton afferma essere sottoposta a revisione paritaria, ma uno dei redattori della rivista ha precisato, “Quanto a Sutton, non può legittimamente rivendicare molta credibilità per le sue idee solo perché queste sono pubblicate su un giornale come il nostro, che adotta il pluralismo feyerabendiano. Se la pensa diversamente, è solo un problema suo. Qualsiasi persona ragionevole dovrebbe saperlo bene." Oltre ai suoi articoli e ai suoi e-book, Sutton diffonde le sue idee contro Charles Darwin e Alfred Russel Wallace tramite diversi blog (patrickmatthew.com è curato da lui) e account Twitter e conferenze pubbliche. 

Tuttavia, non ci sono prove dirette che Darwin avesse letto il libro e la sua lettera a Charles Lyell in cui affermava di aver ordinato il libro indica chiaramente che non ne aveva una copia nella sua vasta biblioteca o accesso ad esso altrove. Anche l'affermazione particolare che Robert Chambers avesse letto e trasmesso le idee di Matthew che sono rilevanti per la selezione naturale non è supportata dai fatti. L'articolo dell'Edinburgh Journal di Chambers (1832, vol. 1, n. 8, 24 marzo, p. 63) non è una recensione ma solo un estratto ridotto dalle pp. 8–14 di On Naval Timber che non è niente altro che una guida per la potatura e non contiene nulla di rilevante per la selezione naturale. Si intitola “Sul trattamento delle tavole di legno". Anche se fosse stato scritto da Robert Chambers, ciò non significa che egli avesse letto o compreso, per non parlare della trasmissione, gli altri passaggi del libro di Matthew che contengono qualcosa di rilevante per la selezione naturale. Inoltre, The Vestiges of the Natural History of Creation non contiene nulla di importante sulla selezione naturale. Combinando questi fatti, Robert Chambers probabilmente non aveva letto il passaggio sulla selezione naturale nel libro di Matthew, e sicuramente non lo cita nei Vestiges, e probabilmente nemmeno nelle conversazioni. 


Nelle successive edizioni di L'origine delle specie, Darwin riconobbe il precedente lavoro di Matthew, affermando che egli "vedeva chiaramente... tutta la forza del principio della selezione naturale". È una leggenda urbana che, dal 1860 in poi, Matthew avrebbe rivendicato il merito della selezione naturale e avrebbe persino fatto stampare biglietti da visita con Discoverer of the Principle of Natural Selection.

Le critiche alla pretesa di priorità di Matthew, o quelle avanzate dopo la sua morte, hanno essenzialmente fatto riferimento agli stessi problemi, e cioè che la sua descrizione della selezione naturale non era accessibile e mancava di uno sviluppo più lungo. Altre critiche si sono concentrate sulle differenze tra le versioni della selezione naturale di Darwin e Matthew, e talvolta anche di Wallace. Se le idee di Matthew avevano avuto un impatto sul pensiero evolutivo successivo, come preteso, i segnali dovrebbero esserci, o durante la vita di Matthew o durante quella di Darwin. Tuttavia, le affermazioni moderne sulla priorità di Matthew non sono state in grado di fornire prove. 

Scrivendo a Darwin nel 1871, Matthew allegò un articolo che aveva scritto per The Scotsman e, oltre a desiderare di avere il tempo di scrivere una critica a The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, espresse la convinzione che ci siano prove di progetto e benevolenza in natura, e che la bellezza non può essere spiegata dalla selezione naturale. Tale convinzione è la teologia naturale tradizionale (un’anticipazione del Disegno Intelligente) e rivela quanto Matthew fosse lontano da Darwin nel realizzare il potenziale delle spiegazioni evoluzionistiche. 

Lo storico della scienza Peter Bowler (in Evolution: the history of an idea, 2003) ha riassunto succintamente alcune delle ragioni principali per cui Matthew non merita la priorità per la selezione naturale, concludendo che 
“Tali sforzi per denigrare Darwin fraintendono l'intero punto della storia della scienza: Matthew suggerì un'idea di base della selezione, ma non fece nulla per svilupparla; e lo pubblicò in appendice a un libro sulla coltivazione degli alberi per la cantieristica. Nessuno lo prese sul serio e non ebbe alcun ruolo nell'emergenza del darwinismo. La semplice priorità non basta per guadagnare a un pensatore un posto nella storia della scienza: bisogna sviluppare l'idea e convincere gli altri del suo valore a dare un contributo reale. I taccuini di Darwin confermano che non trasse ispirazione da Matthew o da nessuno degli altri presunti precursori”
L'opinione di Ernst Mayr (in The growth of biological thought, 1982) era ancora più chiara: 
“Patrick Matthew aveva indubbiamente l'idea giusta, proprio come fece Darwin il 28 settembre 1838, ma non dedicò i vent'anni successivi a trasformarla in una teoria convincente dell'evoluzione. Di conseguenza non ha avuto alcun impatto”. 
Richard Dawkins (in Darwin's Five Bridges: The Way To Natural Selection, 2010) ammetteva che Matthew aveva colto il concetto generale di selezione naturale, ma non ne aveva compreso il significato, né lo aveva sviluppato ulteriormente: 
“Sono d'accordo [...] che Matthew sia stato trattato in modo scortese dalla storia. Ma [...] esito ad assegnargli la priorità assoluta. In parte, è perché ha scritto in uno stile molto più oscuro di Darwin o Wallace, il che rende difficile sapere in alcuni punti cosa stesse cercando di dire (lo stesso Darwin lo notò). Ma soprattutto perché sembra aver sottovalutato l'idea, al punto che dobbiamo dubitare che abbia davvero capito quanto fosse importante. Lo stesso si potrebbe dire, con ancora più forza (motivo per cui non ho trattato il suo caso con gli stessi dettagli di quello di Matthew), di W.C. Wells, che anche Darwin ha scrupolosamente riconosciuto (nella quarta e nelle successive edizioni di The Origin). Wells ha fatto il salto per generalizzare dalla selezione artificiale a quella naturale, ma l'ha applicata solo agli esseri umani e la pensava come una scelta tra razze umane piuttosto che tra individui come facevano Darwin e Wallace. Wells sembra quindi essere arrivato a una forma di "selezione di gruppo" piuttosto che a una vera selezione naturale darwiniana come fece Matthew, che seleziona gli organismi individuali per il loro successo riproduttivo. Darwin elencò anche altri predecessori parziali, che avevano vaghi sentori della selezione naturale. Come Patrick Matthew, nessuno di loro sembra aver colto il significato sconvolgente dell'idea da cui erano illuminati, e userò il nome di Matthew per rappresentarli tutti. Sono sempre più propenso a concordare con Matthew sul fatto che la selezione naturale stessa non aveva bisogno di essere scoperta. Ciò che doveva essere scoperto era il significato della selezione naturale per l'evoluzione di tutta la vita”. 
In risposta a Sutton, lo storico della scienza e studioso di Darwin e Wallace, John van Wyhe ha commentato: 
“Questa teoria del complotto è così sciocca e basata su imitazioni così forzate e contorte del metodo storico che nessuno storico qualificato potrebbe prenderla sul serio”. 
Sfortunatamente, i più ostinati critici di Darwin non mancano di pertinacia. È di questi giorni la notizia, divulgata dal Times e da giornali popolari come il Sun e il Daily Mail, dell’imminente pubblicazione di un nuovo libro di Mike Sutton, intitolato "Science Fraud: Darwin's Plagiarism of Patrick Matthew's Theory" che fornirebbe “nuove prove” del “plagio” di Darwin e Wallace. 


Secondo Sutton, una lettera che la moglie di Darwin, Emma, avrebbe inviato a Patrick Matthew, è un'altra "testimonianza", in cui ella avrebbe riconosciuto che la teoria dell'evoluzione di Darwin era "figlia originale" di Matthew, ma che Darwin l'aveva cresciuta "come se fosse sua". Naturalmente, questa lettera è disponibile da anni, non aggiunge nulla di nuovo al dibattito e dimostra più l’onestà intellettuale di Darwin e consorte che quella di Sutton.



venerdì 4 febbraio 2022

Isostasia, quando le rocce galleggiano

 


L’isostasia ė l’equilibrio teorico ideale di tutte le grandi porzioni della litosfera terrestre, come se galleggiassero sullo strato sottostante più denso, la astenosfera, una sezione del mantello superiore composta da roccia più fluida, che si trova a circa 110 km sotto la superficie. L'isostasia controlla le elevazioni regionali dei continenti e dei fondali oceanici in accordo con la densità delle loro rocce sottostanti. Si presume che colonne immaginarie di uguale area di base che salgono dall'astenosfera alla superficie abbiano pesi uguali ovunque sulla Terra, anche se i loro costituenti e le elevazioni delle loro superfici superiori sono significativamente diversi. Ciò significa che un eccesso di massa visto al di sopra del livello del mare, come accade in un sistema montuoso, è dovuto a un deficit di massa, o radici a bassa densità, al di sotto del livello del mare. Pertanto, le alte montagne hanno radici a bassa densità che si estendono in profondità nel mantello sottostante. Il concetto di isostasia ha svolto un ruolo importante nello sviluppo della teoria della tettonica a zolle. 



Nascita della teoria
- Nel 1735, l’astronomo Pierre Bouguer (1698-1758), durante una spedizione francese sulle Ande per misurare la lunghezza dell'arco meridiano ad un grado di latitudine vicino all'equatore, fu il primo a misurare l'attrazione gravitazionale orizzontale delle montagne, notando che le Ande non potevano rappresentare una protuberanza di roccia collocata su una piattaforma solida. In tal caso, un filo a piombo avrebbe dovuto essere deviato dalla vera verticale di una quantità proporzionale all'attrazione gravitazionale della catena montuosa. La deviazione era invece inferiore a quella prevista. Un resoconto completo delle sue osservazioni fu pubblicato nel 1749 con il titolo La figure de la terre


Circa un secolo dopo, simili discrepanze furono osservate da Sir George Everest, geometra generale dell'India, nelle indagini a sud dell'Himalaya, indicando una mancanza di massa compensativa al di sotto delle catene montuose. Anche Everest si aspettava che la massa gravitazionale dell'Himalaya avrebbe causato deviazioni nei fili a piombo, ma osservò che essi non erano deviati verso le montagne quanto ci si poteva aspettare. In effetti la differenza avrebbe dovuto essere maggiore. 

Il primo tentativo di spiegazione del fenomeno tentò di darla nel 1855 il matematico inglese e missionario anglicano in India John Henry Pratt (1809-1871), che postulò differenze di densità nella crosta terrestre, densità più basse sotto le montagne, densità più elevate in pianura, per spiegare i valori (quasi costanti) ottenuti per la gravità a una data latitudine. L'ipotesi di Pratt presupponeva che la crosta terrestre avesse uno spessore uniforme sotto il livello del mare, con una base che a una determinata profondità regge un peso uguale per unità di area. In sostanza, la sua teoria sosteneva che le aree della Terra di densità minore, come le catene montuose, sporgono più in alto sul livello del mare rispetto a quelle di densità maggiore. La spiegazione di ciò era che le montagne risultavano dall'espansione verso l'alto di materiale crostale riscaldato localmente, che aveva un volume maggiore ma una densità inferiore dopo essersi raffreddato. 

Sir George Biddell Airy (1801-1892), matematico e astronomo inglese, a lungo Astronomo Reale, nello stesso anno ipotizzava invece che la crosta avesse una densità uniforme dappertutto. Lo spessore dello strato crostale non è però uniforme, e quindi la sua teoria ipotizzava che le parti più spesse della crosta affondassero più in profondità nel substrato, mentre le parti più sottili ne fossero sostenute. Secondo questa ipotesi, le montagne hanno radici sotto la superficie che sono molto più grandi della loro espressione superficiale. 



L'ipotesi di Airy, oggi considerata più vicina alla realtà, afferma che la crosta terrestre è un guscio più rigido che galleggia su un substrato più liquido di maggiore densità. In pratica le montagne si comportano come un iceberg che galleggia sull'acqua, in cui la maggior parte dell'iceberg è sommerso. 


Teoria di Pratt (a sinistra) e di Airy (a destra) 

Entrambe le teorie si basano sulla presunta esistenza di uno strato fluido o plastico più denso, l’astenosfera, su cui galleggia la litosfera rocciosa. A metà del XX secolo, con l'analisi dei terremoti, è stato verificato che essa è presente ovunque sulla Terra: le onde sismiche, la cui velocità diminuisce con la fluidità del mezzo, passano più lentamente attraverso di essa. Sia le proposte di Pratt che quelle di Airy hanno storicamente avuto i loro pregi, ma sono semplificazioni eccessive della situazione reale. 

Ancora non esisteva il termine isostasia (gr. ἴσος "uguale", στάσις "posizione"), che fu coniato dal geologo americano Clarence Dutton (1841-1912), che in una nota a piè di pagina di una recensione del 1882 sull'American Journal of Science, scrisse: 
"In un articolo inedito ho usato i termini isostatico e isostacia (sic) per esprimere quella condizione della superficie terrestre che deriverebbe dal galleggiamento della crosta su un substrato liquido o altamente plastico - porzioni diverse della crosta essendo di densità disuguale". 
Dutton illustrò queste idee nel suo discorso alla Philosophical Society di Washington nel 1889. Quando questo fu stampato nel 1892 fu proposto formalmente il termine isostasia, dopo che Dutton, su consiglio dei grecisti, corresse la "c" in una "s". 

Una volta accettato il concetto di isostasia, si voleva stabilire a quale profondità si trova la superficie sulla quale “galleggiano” i blocchi di crosta terrestre. Agli inizi del Novecento la ricerca della “profondità di compensazione” fu una sfida intrapresa dai geologi americani John Fillmore Hayford (1868-1925) e William Bowie (1872-1940) dell’US Coast and Geodetic Survey

La teoria di Hayford ipotizza che ci debba essere una distribuzione compensativa di materiali rocciosi di densità variabile in modo che la crosta terrestre eserciti una pressione essenzialmente uniforme a una certa profondità all'interno della Terra. Da studi sulle anomalie gravitazionali in vari luoghi, Hayford stimò che la profondità della compensazione isostatica variasse da 60 a 122 km (da 37 a 76 miglia) e da ciò dedusse la figura geometrica della Terra, che fu adottata nel 1924 come Ellissoide Internazionale dalla International Geodetic and Geophysical Union

Bowie coordinò osservazioni sistematiche delle anomalie gravitazionali sulla terraferma e incoraggiò indagini gravitazionali negli oceani. Queste osservazioni mostrarono che le anomalie erano correlate con le caratteristiche topografiche e convalidarono l'isostasia come fenomeno geologico. Con Hayford calcolò le tabelle della profondità della compensazione isostatica, considerandola in media pari a 113 km (70 miglia). Il suo libro Isostasy fu pubblicato nel 1927. 

A causa dei cambiamenti degli ambienti tettonici, tuttavia, l'isostasia perfetta viene raramente raggiunta e alcune regioni, come le fosse oceaniche e gli altipiani, non sono compensate isostaticamente. L'equilibrio isostatico è uno stato ideale in cui la crosta e il mantello si stabilizzerebbero in assenza di forze di disturbo. L'aumento e lo scioglimento delle calotte glaciali, l'erosione, la sedimentazione e il vulcanismo effusivo sono esempi di processi che perturbano l'isostasia. Le proprietà fisiche della litosfera (il guscio roccioso che forma l'esterno della Terra) sono influenzate dal modo in cui il mantello e la crosta rispondono a queste perturbazioni. Pertanto, la comprensione della dinamica dell'isostasia aiuta a capire fenomeni più complessi come la formazione di montagne e bacini sedimentari, la disgregazione dei continenti e la formazione di nuovi bacini oceanici. 

Misure di gravità - Poiché l'isostasia prevede carenze di massa nelle regioni più elevate, un modo per testare l'isostasia su scala planetaria è misurare la variazione del campo gravitazionale locale. Un semplice pendolo può essere utilizzato per misurare la forza di gravità locale: in effetti, fu così che furono eseguite le prime misurazioni della gravità. Al giorno d'oggi, la geodesia fisica, lo studio delle proprietà fisiche del campo gravitazionale terrestre, utilizza i gravimetri relativi e assoluti per le indagini gravitazionali. I moderni gravimetri assoluti sono interferometri ottici a laser che misurano in un punto l’accelerazione di una massa in caduta libera nel vuoto. L’unità di misura solitamente utilizzata per le misurazioni è il milligal (mGal), che vale 10-5 m/s2. La precisione di questi strumenti è dell’ordine del microgal, cioè 1 x 10-8 m/s2. I gravimetri relativi, che misurano la differenza di gravità esistente fra due punti, utilizzano principalmente molle al quarzo a lunghezza zero e sono calibrati sui gravimetri assoluti. 

A causa della rotazione, la Terra è più schiacciata ai poli e sporge all'equatore, formando all'incirca un ellissoide; quindi, al livello del mare il valore della gravità dipende dalla latitudine ed è inferiore alle latitudini vicine all'equatore che alle latitudini vicine ai poli. Questo valore di gravità in un punto particolare dell'ellissoide è chiamato valore teorico per quel punto. 

Varie formule, successivamente più raffinate, per il calcolo della gravità teorica sono indicate come International Gravity Formula, la prima delle quali fu proposta nel 1930 dall'International Association of Geodesy. Una formula teorica più recente per la gravità in funzione della latitudine è la International Gravity Formula 1980 (IGF80), basata sull'ellissoide standard di riferimento WGS80, che utilizza l'equazione di Somigliana (dal nome del fisico matematico italiano Carlo Somigliana, 1860-1955, che la propose nel 1929):


dove:

g(φ) è la gravità in funzione della latitudine geografica φ della posizione di cui si vuole determinare la gravità; 
k è una costante di formula; 
ge, è la gravità all'equatore; 
a, b sono rispettivamente i semiassi equatoriali e polari dello sferoide; 
e2 = (a2-b2) / a2 è l’eccentricità quadrata dello sferoide; 

da cui: 


Sottraendo il valore teorico della gravità g(φ) dal valore osservato della gravità g’ in un punto, si ottiene una differenza chiamata anomalia gravitazionale. Dopo aver corretto con varie tecniche sia la quota che l'attrazione gravitazionale delle rocce tra lo strumento e l'ellissoide, il valore misurato della gravità meno il valore teorico viene detto anomalia di gravità di Bouguer

Poiché il valore teorico viene determinato ipotizzando che la densità sia omogeneamente distribuita al di sotto della superficie terrestre secondo involucri concentrici, se risulta che il valore misurato g’ è maggiore di quello teorico g(φ) (anomalia gravimetrica positiva) vuol dire che la densità delle rocce nel sottosuolo in quel punto è maggiore di quanto previsto teoricamente. Se, al contrario, si registra che il valore misurato è minore di quello teorico (anomalia gravimetrica negativa), si conclude che nel sottosuolo si trovano masse rocciose più leggere di quelle previste teoricamente. Questo tipo di ricerche è utilizzato a livello locale nel campo della prospezione mineraria. 

Le misurazioni del campo gravitazionale terrestre indicano che le anomalie gravitazionali di Bouguer sono generalmente molto negative sulle montagne e altipiani e nulle o positive sugli oceani. La gravità è infatti più debole su gran parte delle Alpi, dell'Himalaya e di molte altre catene montuose. Le anomalie tipiche delle Alpi centrali sono dell'ordine di −150 milligal. Nelle regioni che hanno avuto il tempo di raggiungere l'equilibrio isostatico senza essere disturbate da altri effetti geologici, come il sud-ovest degli Stati Uniti, esiste un'ottima correlazione tra la quota e le anomalie gravitazionali di Bouguer, fornendo prove convincenti per l'isostasia. 


Le leggi dell’isostasia agiscono sui continenti proprio come farebbero sugli iceberg e sulle zattere. Un iceberg si alzerà più fuori dall'acqua quando la parte superiore si scioglie e una zattera affonda più in profondità quando vengono aggiunti carichi. Tuttavia, il tempo di adattamento per i continenti è molto più lento, a causa della viscosità dell'astenosfera. Ciò si traduce in molti processi geologici dinamici che si osservano oggi. L’esempio più noto è dato dall’isostasia glaciale

Isostasia glaciale - L'isostasia glaciale è il processo mediante il quale la litosfera terrestre viene pressata dal peso di una calotta glaciale. Quando la massa di ghiaccio viene successivamente ridotta o rimossa e il peso viene tolto, ciò consente alla crosta di risalire e tornare alla sua posizione originale. La quantità di depressione crostale risultante del carico della calotta glaciale è una funzione dello spessore del ghiaccio e del rapporto tra la densità del ghiaccio e della roccia. La densità del ghiaccio è circa un terzo di quella della crosta, e quindi la depressione crostale sotto una calotta glaciale è circa un terzo dello spessore del ghiaccio. Una calotta di ghiaccio di mille metri di spessore ha la capacità di abbassare il terreno sottostante di 275 m. Normalmente, la quantità di depressione crostale aumenta dal margine verso il centro della calotta glaciale, dove nella maggior parte dei casi le calotte glaciali sono più spesse. Attualmente, in Antartide, il peso della calotta glaciale è così elevato che ha abbassato il continente di 1 km nella crosta terrestre. Se queste masse di ghiaccio dovessero sciogliersi, anche la terra sottostante subirebbe un rimbalzo isostatico.

Occorrono diverse migliaia di anni prima che avvenga l'adeguamento isostatico perché c'è un intervallo di tempo tra la ritirata del ghiacciaio e la risposta della crosta terrestre. Quando una calotta glaciale inizia a ridursi, sollevando il peso dalla massa continentale depressa, inizia il processo di rimbalzo, iniziando rapidamente, per poi rallentare. 


Ci sono prove del rimbalzo isostatico nel passato. Nel Mar Baltico e nell'area della Baia di Hudson vicino al Canada, che erano entrambi ricoperti da una calotta glaciale 14mila anni fa, esistono oggi antiche linee di spiaggia a circa 300 m sotto il livello del mare. Gli scienziati della NASA e del Servizio Geologico americano ritengono che quest'area stia ancora attivamente risalendo, ma a un ritmo molto più lento rispetto a poco dopo l'ultima era glaciale. Affinché la Baia di Hudson raggiunga il suo stato di "equilibrio", i geologi calcolano che debba ancora risalire di circa 150 m. Il sottosuolo del Mar Baltico settentrionale (Golfo di Botnia) sale di circa 1 cm all’anno. 

Per quanto riguarda il riscaldamento globale, l'isostasia glaciale entra in gioco quando si calcola l'innalzamento del livello del mare per lo scioglimento delle calotte glaciali e per l'espansione termica dell'acqua. In alcuni casi, l'isostasia può compensare alcuni degli effetti dell'innalzamento del livello del mare. Il problema, tuttavia, è che l'isostasia progredisce più lentamente dell'innalzamento del livello del mare, per cui la compensazione degli effetti negativi sarebbe minima. 

Nel periodo dell'ultimo massimo glaciale, il volume delle calotte glaciali ha prodotto un abbassamento del livello del mare di circa 120-130 m. Al contrario, lo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e dell'Antartico causerebbe un innalzamento del livello del mare rispettivamente di 5,5 e 60 m (innalzamento globale medio del livello del mare di circa 70 m: vedi in figura la proiezione per l’Europa). Non sarebbe un bell'affare per le aree costiere, dove vive circa il 40% della popolazione mondiale.