venerdì 30 luglio 2010

Carnevale della Fisica n. 9


Il 30 di ogni mese è il giorno del Carnevale della Fisica, la rassegna di articoli di riflessione e divulgazione provenienti dal mondo della rete. Per questo appuntamento il compito di fare da padrone di casa è toccato all’amico Peppe Liberti, sul suo blog Rangle, che ha proposto come tema principale “Meraviglia, rigore e stravaganza”. Come direbbero gli americani? Awesome! Ottima presentazione, interessanti e vari i contributi, da leggere tutti con l'attenzione che meritano.

Il CdF n. 10 del 30 di agosto sarà ospitato qui da me ed avrà per tema “Fisica della Terra e della vita”. Naturalmente, come è stato per questa edizione, gli articoli a tema libero saranno comunque bene accolti. Mi raccomando, anche se è un mese di ferie, partecipate numerosi.

martedì 27 luglio 2010

Schiaparelli e la vita su Marte

Tra il febbraio 1893 e il dicembre 1909 l’astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910) pubblicò sulla rivista Natura ed Arte una serie d’articoli su Marte, nei quali dava conto degli studi effettuati da lui e da altri sul pianeta rosso e riferiva dell’esistenza sulla superficie del pianeta una fitta rete di strutture lineari che chiamò "canali". I canali di Marte divennero ben presto popolari, dando origine a una serie di speculazioni e dispute sulla possibilità che il pianeta potesse ospitare forme di vita intelligenti. In realtà i canali visti dal direttore dell’Osservatorio di Brera erano delle illusioni ottiche e le sue speculazioni sull’esistenza dei “marziali” erano contenute in un articolo preceduto dall’esergo Semel in anno licet insanire e dall’avvertenza, contenuta nella parte III dello stesso articolo, che recitava “Concediamo ora alla fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al fondamento sicuro dell'osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l'esistenza e lo sviluppo di una popolazione d'esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione. Ciò che diremo non avrà il valore di un risultato scientifico, ed anzi confinerà in parte col romanzo”. Il “libero volo” di Schiaparelli non lo assolve dalle sue responsabilità nell’aver creato la leggenda dei marziani, dei quali si spinge persino a discutere l’organizzazione sociale e politica. Inoltre la sua congettura fu interpretata alla lettera dall’astronomo americano Percival Lowell, che condusse tra il 1906 e il 1908 una serie di osservazioni a sostegno dell'ipotesi che i canali fossero delle grandiose opere di ingegneria idraulica progettate per gestire le scarse risorse idriche del pianeta. La natura illusoria dei canali fu ben presto messa in evidenza da molti studiosi e fondamentale fu l’obiezione del naturalista inglese Alfred Wallace che, in Is Mars Habitable? (1907), fece naufragare le tesi di Lowell, sostenendo che la temperatura e la pressione atmosferica del pianeta erano troppo basse perché potesse esistere acqua allo stato liquido, e che le analisi spettroscopiche effettuate fino a quel momento avevano escluso la presenza di vapore acqueo nell'atmosfera del pianeta.

Diciamo che, incontrando forse i desideri inespressi del pubblico, da tempo immemore alla ricerca di compagni d’avventure dell’umanità viventi in qualche parte dell’Universo, Schiaparelli se l’era un po’ cercata. Seguiamolo nel suo ragionamento così come si sviluppa nei primi articoli comparsi su Natura ed Arte (quello del 1909 è una sorta di aggiornato compendio dei precedenti).

IL PIANETA MARTE (1893)

L'idea di popolare gli astri e le sfere celesti d'intelligenze pure o corporee, di animali e di piante, non è nuova (…) Tutte le nostre speranze si sono quindi poco a poco concentrate su Marte, il solo astro che possa giustificarle sino ad un certo punto, siccome or ora si vedrà. Tali speranze si sono accresciute ed hanno raggiunto anzi presso alcuni un grado di esaltazione quasi febbrile, dopo che un esame accurato di quel pianeta ha fatto scoprire in esso alcuni cambiamenti, e un sistema di misteriose configurazioni, in cui con un po' di buona volontà si potrebbe congetturare piuttosto il lavoro di esseri intelligenti, anzi che la semplice opera delle forze naturali inorganiche. (…)

(…) Già i primi Astronomi, che studiarono Marte col telescopio, ebbero occasione di notare sul contorno del suo disco due macchie bianco-splendenti di forma rotondeggiante e di estensione variabile. In progresso di tempo fu osservato, che mentre le macchie comuni di Marte si spostano rapidamente in conseguenza della sua rotazione diurna, mutando in poche ore di posizione e di prospettiva; quelle due macchie bianche rimangono sensibilmente immobili al loro posto. Si concluse giustamente da questo, dover esse occupare i poli di rotazione del pianeta, o almeno trovarsi molto prossime a quei poli. Perciò furono designate col nome di macchie o calotte polari. E non senza fondamento si è congetturato, dover esse rappresentare per Marte quelle immense congerie di nevi e di ghiacci, che ancor oggi impediscono ai navigatori di giungere ai poli della terra. A ciò conduce non solo l'analogia d'aspetto e di luogo, ma anche un'altra osservazione importante (…)

Così stando le cose, è manifesto, che se le suddette macchie bianche polari di Marte rappresentano nevi e ghiacci, dovranno andar decrescendo di ampiezza col sopravvenire dell'estate in quei luoghi, ed accrescersi durante l'inverno. (…)

Le nevi australi offrono questa particolarità, che il centro della loro figura irregolarmente rotondeggiante non cade proprio sul polo, ma in un altro punto, che è sempre press'a poco il medesimo, e dista dal polo di circa 300 chilometri nella direzione del Mare Eritreo. Da questo deriva, che quando l'estensione delle nevi è ridotta ai minimi termini, il polo australe di Marte ne rimane scoperto; e quindi forse il problema di raggiungerlo è su quel pianeta più facile che sulla Terra. Le nevi australi sono in mezzo di una gran macchia oscura, che colle sue ramificazioni occupa circa un terzo di tutta la superficie di Marte, e si suppone rappresenti l'Oceano principale di esso. Se questo è, l'analogia con le nostre nevi artiche ed antartiche si può dire completa, e specialmente colle antartiche.


La massa delle nevi boreali di Marte è invece centrata quasi esattamente sul polo; essa è collocata nelle regioni di color giallo, che soglionsi considerare come i continenti del pianeta. Da ciò nascono fenomeni singolari, che non hanno sulla Terra alcun confronto. Allo squagliarsi delle nevi accumulate su quel polo durante la lunghissima notte di dieci mesi e più, le masse liquide prodotte in tale operazione si diffondono sulla circonferenza della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona di terreno circostante; e riempiendo tutte le regioni più basse producono una gigantesca inondazione, la quale ad alcuni osservatori diede motivo di supporre in quella parte un altro Oceano, che però in quel luogo non esiste, almeno come mare permanente. Vedesi allora (l'ultima occasione a ciò opportuna fu nel 1884) la macchia bianca delle nevi circondata da una zona oscura, la quale segue il perimetro delle nevi nella loro progressiva diminuzione, e va con esso restringendosi sopra una circonferenza sempre più angusta. Questa zona si ramifica dalla parte esterna con strisce oscure, le quali occupano tutta la regione circostante, e sembrano essere i canali distributori, per cui le masse liquide ritornano alle loro sedi naturali. Nascono in quelle parti laghi assai estesi, come quello segnato sulla carta col nome di Lacus Hyperboreus; il vicino mare interno detto Mare Acidalio, diventa più nero e più appariscente. Ed è a ritenere come cosa assai probabile, che lo scolo di queste nevi liquefatte sia la causa che determina principalmente lo stato idrografico del pianeta, e le vicende che nel suo aspetto periodicamente si osservano. (…)

Gli elementi della meteorologia di Marte sembrano dunque aver molta analogia con quelli della meteorologia terrestre. Non mancano però, come è da aspettarsi, le cause di dissomiglianza. Anche qui, da circostanze di piccol momento trae la Natura un'infinita varietà nelle sue operazioni. Di grandissima influenza dev'esser la diversa maniera, con cui in Marte e sulla Terra veggonsi ordinati i mari ed i continenti; su di che uno sguardo alla carta dice più che non si farebbe con molte parole. Già abbiamo accennato al fatto delle straordinarie inondazioni periodiche, che ad ogni rivoluzione di Marte ne allagano le regioni polari boreali allo sciogliersi delle nevi: aggiungeremo ora, che queste inondazioni diramate a grandi distanze per una rete di numerosi canali, forse costituiscono il meccanismo principale (se non unico), per cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Perchè infatti su Marte piove molto raramente, o forse anche non piove affatto. (…)

Come le nostre carte dimostrano, nella sua generale topografia Marte non presenta alcuna analogia colla Terra. Un terzo della sua superficie è occupato dal gran Mare Australe, che è sparso di molte isole, e spinge entro ai continenti golfi e ramificazioni di varia forma; al suo sistema appartiene un'intiera serie di piccoli mari interni, dei quali l'Adriatico ed il Tirreno comunicano con esso per ampie bocche, mentre il Cimmerio, quello delle Sirene, e il Lago del Solenon hanno con esso relazione che per mezzo di angusti canali. Si noterà nei quattro primi una disposizione parallela, che certo non è accidentale, come pure non senza ragione è la corrispondente positura delle penisole Ausonia, Esperia ed Atlantide. Il colore dei mari di Marte è generalmente bruno misto di grigio, non sempre però di uguale intensità in tutti i luoghi, nè nel medesimo luogo è uguale in ogni tempo. Dal nero completo si può scendere al grigio chiaro ed al cinereo. Tal diversità di colore può aver origine da varie cause, e non è senza analogia anche sulla Terra, dove è noto che i mari delle zone calde sogliono essere più oscuri che i mari più vicini al polo. (…)

Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro più o meno pronunziato, delle quali l'aspetto è molto variabile. Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l'andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l'estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.

Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte, di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggi potuto osservare, sono certamente configurazioni stabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quel luogo da quasi cent'anni, ed alcune altre da trent'anni almeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, o non varia che entro strettissimi limiti; ognuna di esse comincia e finisce sempre fra i medesimi termini. (…)

Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue estremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in un altro canale, o nell'intersezione di più altri canali. Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nel mezzo del continente, rimanendo senza uscita e senza continuazione. Questo fatto è della più alta importanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sotto tutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergono verso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome di laghi. (…)

Che del resto le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni delle superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo che queste, nello sciogliersi appaiono circondate da una zona oscura, formante una specie di mare temporario. In tale epoca i canali delle regioni circostanti si fanno più neri e più larghi, ingrossando al punto da ridurre, in un certo momento, ad isole di poca estensione tutto le aree gialle comprese fra l'orlo della neve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa, se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimo di estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allora le larghezze dei canali, scompare il mare temporario, e le aree gialle riprendono l'estensione primitiva. (…) L'interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiam riferito, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fatto, e non solo di nome. La rete da essi formata probabilmente fu determinata in origine dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l'opera di esseri intelligenti; e malgrado l'apparenza quasi geometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dell'evoluzione del pianeta, appunto come sulla Terra il canale della Manica e quello di Mozambico (…)

Ma il fenomeno più sorprendente dei canali di Marte è la loro geminazione; la quale sembra prodursi principalmente nei mesi che precedono e in quelli che seguono la grande inondazione boreale, intorno alle epoche degli equinozi. In conseguenza di un rapido processo, che certamente dura pochissimi giorni, od anche forse solo poche ore, e del quale i particolari non si sono ancora potuti afferrare con sicurezza, un dato canale muta d'aspetto e d'un tratto si trova trasformato su tutta la sua lunghezza in due linee o strisce uniformi, per lo più parallele fra di loro, che corrono dritte ed uguali con tracciamento geometricamente tanto esatto, quanto suole esser presso di noi quello di due rotaje di ferrovia. Ma questo esatto andamento è il solo termine di rassomiglianza colle dette rotaje: perchè nelle dimensioni non vi è alcun paragone possibile, come del resto è facile immaginare. Le due linee seguono a un dipresso la direzione del primitivo canale, e terminano nei luoghi dov'esso terminava. L'una di esse spesso si sovrappone quanto più è possibile all'antica linea, l'altra essendo di nuovo tracciamento; ma anche in questo caso l'antica linea perde tutte le piccole irregolarità e curvature che poteva avere. Ma accade ancora, che ambe le linee geminate occupino dalle due parti dell'ex canale un terreno interamente nuovo. La distanza fra le due linee è diversa nelle diverse geminazioni, e da 600 chilometri e più scende fino all'ultimo limite, in cui due linee possono apparir separate nei grandi occhi telescopici, meno di 50 chilometri d'intervallo; la larghezza di ciascuna striscia per sè può variare dal limite di visibilità, che supponiamo 30 chilometri, fino a più di 100. Il colore delle due linee varia dal nero ad un rosso scialbo, che appena si distingue dal fondo giallo generale delle superficie continentali; l'intervallo è per lo più di questo giallo, ma in più casi è sembrato bianco. Le geminazioni poi non sono necessariamente legate ai soli canali, ma tendono anche prodursi sui laghi. Spesso si vede uno di questi trasformarsi in due brevi e larghe liste oscure fra loro parallele, tramezzate da una lista gialla. In questi casi naturalmente la geminazione è breve, e non esce dai limiti del lago primitivo.

Le geminazioni non si manifestano tutte insieme, ma arrivata la loro stagione cominciano a prodursi or qua, or là, isolate in modo irregolare, o almeno senza ordine facilmente riconoscibile. (…) Il loro singolare aspetto e l'esser disegnate con assoluta precisione geometrica, come se fossero lavori di riga o di compasso, ha indotto alcuni a ravvisare nelle medesime l'opera di esseri intelligenti, abitatori del pianeta. Io mi guarderò bene dal combattere questa supposizione, la quale nulla include d'impossibile. Notisi però che in ogni caso non potrebbero essere opere di carattere permanente, essendo certo, che una stessa geminazione può cambiare di aspetto e di misura da una stagione all'altra. Si possono tuttavia assumere opere tali, da cui una certa variabilità non sia esclusa, per esempio, lavori estesi di coltura e di irrigazione su larga scala. Aggiungerò ancora, che l'intervento di esseri intelligenti può spiegare l'apparenza geometrica delle geminazioni, ma non è punto necessario a tale intento. La geometria della Natura si manifesta in molti altri fatti, dai quali è esclusa l'idea di un lavoro artificiale qualunque (…)

Tutto quello che possiamo sperare è, che col tempo si diminuisca gradatamente l'indeterminazione del problema, dimostrando, se non quello che le geminazioni sono, almeno quello che non possono essere. Dobbiamo anche confidare un poco in ciò, che Galileo chiamava la cortesia della Natura, in grazia della quale talvolta da parte inaspettata sorge un raggio di luce ad illuminare argomenti prima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni; di che un bell'esempio abbiamo nella chimica celeste. Speriamo adunque, e studiamo.



LA VITA SUL PIANETA MARTE (1895)

Semel in anno licet insanire

Nell'anno decorso 1894 il pianeta essendosi molto avvicinato alla Terra (siccome suol fare periodicamente ad intervalli di circa 26 mesi), si trovò a buona portata dei grandi telescopi astronomici; e così fu possibile di fare alcune osservazioni importanti. (…) Da che si è incominciato a studiar Marte con qualche attenzione, è questa la prima volta in cui è accaduto di osservare la completa dissoluzione delle sue nevi antartiche. Essa si può stimare avvenuta circa 55 giorni dopo il solstizio australe, cioè dopo l'epoca, in cui la massima intensità della radiazione solare si fece sentire in quella regione. Nel 1862, trovandosi il pianeta in una stagione identica, Lassell vide quelle medesime nevi ancora molto estese: 94 giorni dopo il solstizio australe il loro diametro non era minore di 500 chilometri. Nell'anno 1880 io le vidi ancora a Brera 144 giorni dopo il solstizio australe. Possiamo argomentare da questo, che in Marte, come sulla Terra, il corso delle stagioni non è perfettamente il medesimo in tutti gli anni, e che si danno colà, come presso di noi, estati più lunghe o più calde, ed altre più brevi o più fresche.

La rapida fusione di così ingenti quantità di neve non può essere senza conseguenze sulle condizioni idrografiche del pianeta. Sulla terra la fusione delle nevi artiche ed antartiche non può essere di molta conseguenza, prima perché le aree ghiacciate polari sono ambedue circondate dal medesimo mare, il quale, se cresce di livello per lo sciogliersi di una parte delle nevi artiche, d'altrettanto decresce pel contemporaneo coagularsi di nuove nevi antartiche. Una simil compensazione non può aver luogo su Marte in modo così semplice od immediato, essendo il maggior mare, che circonda il polo antartico, intieramente separato da quegli altri mari assai minori o piuttosto laghi, che stanno vicino al polo artico; siccome si può vedere dando uno sguardo alla carta di Marte qui unita. L'equilibrio nelle masse liquide dei due emisferi può stabilirsi soltanto per mezzo di deflusso attraverso ai continenti che occupano le regioni intermedie; e questa è la causa per cui all'alternato coagularsi e dissolversi dello nevi intorno ai due poli sono da attribuire in gran parte le mutazioni che si osservano nel sistema idraulico del pianeta. Mutazioni, che ai nostri telescopi son rese manifeste dalla modificata estensione dei mari, e dalla varietà d'aspetto di quelle strisce oscure che segnano le zone d'inondazione e di deflusso; le quali pertanto non senza un po' di ragione furon chiamate canali, quantunque tal nome si debba intendere in senso assai largo. Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le pioggie, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Non è un problema privo d'interesse quello di rendersi conto del modo, con cui può avvenire una tale diffusione.

Sulla terra le vicende delle stagioni si corrispondono nei due emisferi con effetti quasi intieramente simmetrici nella loro alternativa. I periodi di freddo e di caldo, di siccità e di pioggia si producono con fasi alternate, ma analoghe, ad intervalli di sei mesi, sotto paralleli di ugual latitudine ai due lati dell'equatore. (…) In Marte le cose sembrano proceder molto diversamente. Come dimostra uno sguardo dato alla carta, tutto o quasi tutto l'Oceano è concentrato intorno al polo australe, al quale per conseguenza, e alle circostanti regioni deve corrispondere una vasta depressione nel suolo solido del pianeta. Al contrario, dall'esser l'emisfero boreale quasi tutto occupato da un gran continente non interrotto, siamo indotti ragionevolmente a credere, che da quella parte si abbian le regioni più elevate, e che più alti di tutti siano i paesi circostanti al polo nord. Questa disposizione di cose fa si, che lo sciogliersi delle nevi polari può avere, pel clima e per la vita organica, conseguenze ben diverse, secondo che si tratta delle nevi australi o delle nevi boreali. È questo un punto, il quale merita di essere esaminato con qualche cura. (…)

L'effetto dello sciogliersi delle nevi australi è dunque di far uscire il mare dai suoi confini, e di produrre qua e là parziali inondazioni del medesimo sopra alcuni lembi del continente. Ora è molto dubbio, se un tal fenomeno possa riuscire di molto vantaggio per la vita organica, e sopratutto pei supposti abitatori del pianeta. (…) In nessun caso potrebbero quelle acque supplire alla coltivazione delle aree continentali, ed ai bisogni dell'agricoltura quale noi l'intendiamo.

Ben diverso è lo stato di cose che ci si presenta allo sciogliersi delle nevi boreali. Essendo queste collocate nel centro del continente, le masse liquide prodotte dalla liquefazione si diffondono sulla circonferenza della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona del terreno circostante; e, correndo verso le regioni più basse, producono una gigantesca inondazione molto bene osservabile ai nostri telescopi. Tale inondazione si estende per molte e grosse ramificazioni sopra terre prima asciutte, formando presso il polo nord laghi molto estesi (…) Da tal regione inondata si diramano grosse strisce oscure, rappresentanti al nostro sguardo altrettante larghe correnti, per le quali le nevi liquefatte ritornano, o tendono almeno a ritornare verso la loro sede naturale che sta nell'altro emisfero, cioè verso le bassure australi occupate dall'Oceano.

Riflettiamo ora, che la neve è il prodotto di una distillazione atmosferica, nella quale l'acqua si riduce alla purezza quasi completa. Se ciò non fosse, l'evaporazione dei nostri mari condurrebbe alla formazione di pioggie d'acqua salata, e di nevi salate; dove tutti sanno, che l'acqua piovana caduta a traverso di una atmosfera non inquinata è acqua quasi assolutamente pura, come assolutamente pura o quasi è l'acqua delle nostre nevi. Adunque la grande inondazione boreale di Marte, risultando dallo scioglimento di nevi cadute in terreno prima asciutto, e non essendo mescolata alle acque di un Oceano, sarà libera da quei sali e da quelle mescolanze, da cui non si può dubitare che sia inquinato l'Oceano australe del pianeta. Ne possiamo concludere, che se nelle parti asciutte o continentali della superficie di Marte vi è vita organica, gli è esclusivamente o quasi esclusivamente allo sciogliersi delle nevi boreali che deve la sua esistenza: gli è dalla giusta e opportuna ripartizione delle acque venenti dal polo nord, che dipende il suo progresso e il suo sviluppo. E se in Marte esiste una popolazione di esseri ragionevoli capace di vincere la Natura e di costringerla a servire ai propri intenti, la regolata distribuzione di quelle acque sopra le regioni atte a coltura deve costituire il problema principale e la continua preoccupazione degli ingegneri e degli statisti.

Concediamo ora alla fantasia un più libero volo (…)

Comparando il globo della Terra con quello di Marte sotto il rispetto della loro costituzione meteorologica ed idrografica, subito ci appare manifesto, dalle cose dette di sopra, quanto il primo dei due sia meglio disposto per accogliere la vita organica e per favorirne lo sviluppo nelle sue forme superiori. (…) Assai più dure condizioni di esistenza ha fatto la Natura ai poveri Marziali. Dove rare sono le nuvole e mille le pioggie, ivi mancano certamente le fonti ed i corsi d'acqua. Tutto per loro sembra dipendere, come già si è accennato, dalla grande inondazione prodotta nello sciogliersi delle nevi polari boreali. La loro conservazione o la loro prosperità richiede ad ogni costo, che siano arrestate nella maggior quantità possibile, e trattenute per tutto il tempo necessario quelle acque, prima che vadano a perdersi nel mare australe; che se ne approfitti nel modo più efficace alla coltura di aree abbastanza vaste per assicurare durante un intero anno Marziale (23 mesi nostri) l'esistenza di tutto ciò che vive sul pianeta. Problema forse non tanto facile e non tanto semplice! perché la somma di acqua disponibile è al più quella che hanno formato le nevi boreali d'una sola invernata; quantità certamente assai grande, la quale però, ripartita sopra tutti i continenti, potrebbe presto diventare insufficiente, anche non tenendo conto delle perdite inevitabili per evaporazione, filtrazione, errori di distribuzione, ecc.

Bastan questi riflessi a persuaderci, che le molte strisce oscure, onde il pianeta è solcato per ogni verso, larghe talvolta quanto il Mar Adriatico od il Mar Rosso e quasi sempre assai più lunghe, non possono, malgrado il nome da noi loro assegnato di canali, rappresentare nella loro vera larghezza arterie di deflusso delle acque boreali. Se tali fossero, basterebbero a dar passo in poche ore a tutta quanta la grande inondazione. Non solo le acque non potrebbero esser impiegate a colture che richiedessero la durata di alcuni mesi, ma giungerebbero al mare e vi si perderebbero prima che un vantaggio qualunque se ne potesse trarre. Certo per le vie segnate da quelle strisce ha luogo un deflusso, ma non tutte intiere quelle strisce servono al deflusso. La loro larghezza è per tale scopo eccessiva, né a questo scopo corrisponde bene il loro variabile aspetto, e la loro geminazione. Ciò che noi vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi corsi d'acqua, come da alcuno fu creduto. L'ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla Terra]. Queste zone di vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un colore più cupo, dovuto, com'è da credere, al fatto stesso dell'inaffiatura (si sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l'asciutto e disseccato dal sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione; mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore dobbiamo d'or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie continentale di Marte ad esso appartengano (…)

La mente nostra non è avvezza a concepire tali grandiose opere come effetto di potenze comparabili a quella dell'uomo. Quando però dalla considerazione generale di questi fatti si scende allo studio minuto dei loro particolari, e sopratutto si ferma l'attenzione sopra le misteriose geminazioni e sulla straordinaria regolarità di forma ch'esse presentano, l'idea che qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può esser considerata come intieramente assurda. Anzi, al punto in cui siamo giunti, e data la verità delle cose sin qui esposte, tale supposizione perde quel carattere d'audacia che ci spaventava da principio, e diventa quasi una conseguenza necessaria. (…)

E passando ad un ordine più elevato d'idee, interessante sarà ricercare qual forma d'ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose, quale abbiamo descritto; se l'intreccio, anzi la comunità d'interessi, onde son fra loro inevitabilmente legati gli abitanti d'ogni valle, non rendano qui assai più pratica e più opportuna, che sulla Terra non sia, l'istituzione del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti qualche cosa di simile ad un colossale falanstero, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti. Bello altresì sarà indagare, se sia meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così grandioso, vario e complicato complesso d'affari: quali progressi debbano aver fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l'Idraulica e l'arte delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina, concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre: dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi abitanti d'un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l'avara Natura oppone ad ogni passo.

lunedì 26 luglio 2010

Cronaca di un incontro mai avvenuto


È cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. È Louis che mi ha fatto parlare. Louis, uno studente, un fagiolo anche lui, un compagno. Ci troviamo dunque a Place Clichy. Era dopo pranzo. Vuol parlarmi. Lo ascolto. "Non restiamo fuori! mi dice lui. Torniamo dentro!". Rientro con lui. Ecco. "'Sta terrazza, attacca lui, va bene per le uova alla coque! Vieni di qua". Allora, ci accorgiamo anche che non c'era nessuno per le strade, a causa del caldo; niente vetture, nulla. Quando fa molto freddo, lo stesso, non c'è nessuno per le strade; è lui, a quel che ricordo, che mi aveva detto in proposito: "Quelli di Parigi hanno sempre l'aria occupata, ma di fatto, vanno a passeggio da mattino a sera; prova ne è che quando non va bene per passeggiare, troppo freddo o troppo caldo, non li si vede più; son tutti dentro a prendersi il caffè con la crema e boccali di birra. È così! Il secolo della velocità! dicono loro. Dove mai? Grandi cambiamenti! ti raccontano loro. Che roba è? È cambiato niente, in verità. Continuano a stupirsi e basta. E nemmeno questo è nuovo per niente. Parole, e nemmeno tante, anche le parole che son cambiate! Due o tre di qui, di là, di quelle piccole..." Tutti fieri allora d'aver fatto risuonare queste utili verità, siamo rimasti là seduti, incantati, a guardare le dame del caffè.

D’improvviso attacca, con l’aria di quello che si deve sfogare. Sopra le labbra i baffetti tremano al ritmo delle sue emozioni. “Dopo che Einstein ha introdotto i fotoni nell’onda luminosa, si sa che la luce contiene delle concentrazioni d’energia incorporate nell’onda”. Gli dico che lo so, che me l’ha già detto. Temendo che la cosa vada per le lunghe, cerco lo sguardo del cameriere per ordinare del caffè. “Sì, ma io penso che questa caratteristica sia comune a tutte le particelle. Anche l’elettrone è associato a un’onda. La mia idea è che bisogna estendere a tutte le particelle questa coesistenza di onde e corpuscoli”. Il cameriere mi ha visto, gli faccio segno con le dita: due, indicando le tazze di caffè sul tavolo vicino. Annuisce e se ne va. Louis riprende, allentando leggermente il nodo della cravatta. “Sia le onde che le particelle possono muoversi da un luogo ad un altro con una velocità ben determinata. E sia le onde che le particelle possono trasportare energia da un punto ad un altro. Dati allora due punti A e B, possiamo trasferire impulsi, fornire energia, da A a B in due modi: con un'onda o con una particella”. Louis prende un pezzo di carta e disegna velocemente i due schemi:


Subito sotto incomincia a scrivere una formula. “A ogni particella materiale di massa m e di velocità v deve essere associata un’onda reale, legata alla quantità di moto da questa relazione:


Dove λ è la lunghezza d’onda, h la costante di Planck, p la quantità di moto, m la massa a riposo, v la sua velocità e c la velocità della luce nel vuoto”. Gli prendo il foglietto dalle mani e guardo la formula. Intanto il cameriere ha portato i due caffè. Verso l’acqua bollente nei filtri di carta posti sopra le tazze. “Bella”, faccio io. È la prima volta che vedo associate la quantità di moto, che è una caratteristica corpuscolare, con la lunghezza d'onda, che è una proprietà ondulatoria. Lui sorride, toglie il filtro e comincia a sorseggiare il caffè. Gli dico che la sua formula è elegante. Noto che da questa relazione si vede che le particelle "lente", cioè con bassa velocità v hanno grandi lunghezze d'onda λ e, viceversa, particelle "veloci" hanno piccole λ. Gli dico però che nessuno ha finora visto un elettrone comportarsi come un’onda.

Mi accendo una sigaretta e lo guardo pensare. Ha cambiato espressione. La tristezza del mondo assale gli esseri come può, ma ad assalirli sembra che ci riesca quasi sempre. ”Co… cosa mi consigli di fare, allora?” Ha il vizio degli intellettuali, è inconsistente. Sa troppe cose 'sto ragazzo, e quelle cose lo incasinano. Ha bisogno di un sacco di trucchini per eccitarsi, per decidersi. Glielo dico io cosa fare. “Ne hai parlato con Perrin?” “Sì, mi ha fatto la tua stessa obiezione, ha detto come intendo far vedere quest’onda ipotetica, ma non ho saputo che cosa rispondergli”. “Digli di che si può fare attraverso i fenomeni di diffrazione, come hanno fatto von Laue e i Bragg, padre e figlio, con i raggi X”. I suoi occhi si illuminano. Non mi dà neanche il tempo di finire il caffè. Si alza, chiama il cameriere, paga in fretta il conto e se va con un rapido saluto, senza neanche ringraziarmi. Immagino che corra dal suo relatore. Io rimango seduto. Meglio così. Esistono certi posti così nella città, tanto stupidamente brutti che ci stai quasi sempre da solo. Chissà se racconterà mai a qualcuno di questo nostro incontro. Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini. Presto racconterò la mia.

- - - - - - - - - - - -

Louis De Broglie si laureò nel 1924 con la tesi Recherches sur la théorie des quanta, che conteneva per la prima volta l’idea della natura ondulatoria dell’elettrone. Il suo relatore fu il grande chimico-fisico e premio Nobel, Jean Perrin. Nel 1927 gli americani Clinton Joseph Davisson e Lester Halbert Germer, scoprirono la diffrazione degli elettroni sulla superficie di un cristallo di nickel, dimostrando la correttezza dell’equazione di De Broglie. Egli vinse il premio Nobel per la fisica nel 1929.


Louis-Ferdinand Céline pubblicò la sua opera più famosa, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit) nel 1932. L’incipit e molte frasi dell’articolo sono citazioni dal suo capolavoro.

sabato 24 luglio 2010

Che cos'è un mistero?

Il lettore mi scuserà, ma torno alla mia poetessa preferita, la polacca Wisława Szymborska. Questa volta per un libro in prosa, Letture facoltative, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2006. Si tratta di recensioni sui generis di libri solitamente destinati a rimanere invenduti (almanacchi del fai–da–te, guide, tentativi di divulgazione scientifica) che sono il pretesto per riflessioni e divagazioni con le quali l’autrice rivela il suo pensiero sugli uomini e sul mondo, spesso condite di delizioso umorismo. Ho trovato quanto mai attuale il commento a una pubblicazione sui cosiddetti misteri, quelli che stanno facendo la fortuna di molti furbacchioni negli studi televisivi o nelle case editrici. La frase finale è da incorniciare: la vera meraviglia non è imbattersi in improbabili alieni o parlare con altrettanto dubbie anime dei defunti. Lo stupore parte dall’osservazione dell’universo, in ogni sua manifestazione, grande o piccola. È da questo stupore che nasce la scienza.

Non occorre essere esperti in alcun campo del sapere per scrivere un libro come questo. Non è necessario andarsene per il mondo cercando un contatto diretto con i testimoni degli eventi più portentosi. Non bisogna affatto verificare che cosa poi ne sia stato della signorina Clarita di Manila la quale, a quel che si dice in pieno giorno e alla presenza di una folla di testimoni, venne maltrattata e morsicata da un individuo invisibile. Per scrivere libri del genere occorre leggere libri analoghi, già pubblicati, ed eventualmente arricchirli con le più recenti notizie riportate dai settimanali scandalistici. Poi bisogna mescolare il tutto per benino, suddividerlo in categorie e raccontarlo con parole proprie (onde evitare processi per plagio). Ovviamente certe notizie sensazionali sono vittima del tempo. Negli anni Sessanta, per esempio, non si parla più di tizi rapiti e portati sulla Luna, con il corollario delle loro curiose conversazioni con gli abitanti del satellite. Ma d'altra parte c'è sempre qualche cosa di nuovo. Lo Yeti ormai ha confratelli in ogni boscaglia del pianeta che sia un po' folta, il mostro di Loch Ness si fa vedere in tutti i laghi e i fiordi più profondi, e gli extraterrestri sono ormai così numerosi che bisogna fare attenzione a non chiuderne uno per sbaglio nella porta. Un Leit– motiv costante nei libri di questo tipo sono le rimostranze mosse all'indirizzo della scienza. Che si riveli sempre vergognosamente sprezzante e neghittosa, cieca e sorda di fronte a prove peraltro considerale di regola false o insufficienti. Ma certi tipi sono ancora peggio degli scienziati. Ne sanno qualcosa i fotografi che sono riusciti a immortalare le navicelle spaziali. Subito dopo nella camera oscura si sono intrufolati tre signori vestiti di nero che, farfugliando in una lingua pseudoumana, si sono fatti consegnare le stampe, per poi fuggire a bordo di una limousine nera senza targa. Il lettore mi prenderà probabilmente per un'ottusa razionalista incapace di ammettere che nel nostro normalissimo mondo possa accadere qualche cosa di strano, misterioso e amorale. Al contrario, per me non esiste niente che somigli a un mondo «normale». Più cose veniamo a sapere sul suo conto, più il mondo diventa enigmatico e la vita che ospita si configura come un'incredibile anomalia cosmica. Per stupirmi basta un albero che cresce, il fruscio delle sue foglie. Non ho bisogno di uno Jurgenson qualsiasi con le registrazioni delle voci di centotrentanove defunti, tra le quali echeggia quella baritonale di un Bismarck in attesa della reincarnazione. Forse qualcuno ha bisogno di condimenti più piccanti, come, ad esempio, quella rana che a Liverpool saltò fuori da un blocco di granito spaccato e visse ancora per qualche ora. Per stupire me basta una Rana nell'Erba.

Thomas de Jean, Ksigga tajemnic [II libro dei misteri], tre volumi tradotti da quattro persone, Wydawnictwo Pandora [Casa Editrice Pandora], 1993.

mercoledì 21 luglio 2010

Vortici e vertigini

“(…) Mentre l’uomo parlava, cominciai a sentire un suono cupo, crescente, simile al muggito di una mandria di bufali nella prateria americana, e nello stesso tempo notai che l’aspetto dell’oceano sotto di noi, da quello che i marinai chiamano rotto stava rapidamente mutandosi in una sorta di corrente diretta verso est. (…) Mentre l’osservavo, questa corrente acquistò una impressionante velocità, che cresceva ad ogni istante... fino a diventare travolgente: in cinque minuti l’intero mare fino a Vurrgh fu travolto da una furia incontrollabile; ma fu tra Moskoe e la costa che il fragore raggiunse la massima violenza. Qui il vasto letto delle acque si fondeva e si divideva in mille torrenti in lotta tra loro, esplodendo all’improvviso in frenetiche convulsioni – gonfiandosi, ribollendo, sibilando – roteando in innumerevoli, giganteschi vortici, turbinando e precipitando verso oriente con la velocità dell’acqua di una cascata.
Ancora pochi minuti ed ecco un altro radicale mutamento di scena. La superficie si calmò, divenne liscia, sparirono i vortici, mentre comparivano strisce di spuma dove prima non c’erano. Queste strisce s’allungarono, si fusero l’una con l’altra, fino a formare l’embrione di un ben più vasto vortice. E infatti all’improvviso, questo prese consistenza sotto forma di un cerchio di oltre un miglio di diametro. L’orlo del vortice era formato da una larga fascia di spuma scintillante, ma nemmeno una goccia di tale frangia cadeva nella bocca del terrificante imbuto, il cui interno, fino dove arrivava l’occhio, era una parete d’acqua liscia, brillante, nerissima, inclinata a quarantacinque gradi sull’orizzonte, animata da un moto rotatorio e insieme ondulatorio lungo il perimetro esterno, capace di emettere un suono pauroso, per metà urlo e per metà ruggito, più intenso di quello che sia mai salito al cielo nella sua angoscia dalla possente cascata del Niagara.
La base della montagna e la stessa roccia tremarono ed io, terrorizzato, mi gettai a terra abbarbicandomi ai radi ciuffi d’erba.
«Questo», disse il vecchio, «questo non può essere altro che il grande vortice del Maelström».”

Forse perché hanno la stessa origine etimologica (dal lat. vèrtere, “girare, volgere”), le parole vortice e vertigine si accompagnano spesso nella storia delle idee. Così, lo spaventoso vortice descritto da Edgar Allan Poe nel suo celebre racconto Una discesa nel Maelström (1841) è più o meno coevo delle vertigini dei poeti romantici e maledetti (la “languida vertigine”, o la Vertigine – maiuscola! – indotta dall’apertura di una misteriosa boccetta di profumo orientale in Baudelaire, ad esempio), talvolta legate all’abuso di alcool e/o oppiacei (come in De Quincey), o ai capogiri delle delicate signore e signorine borghesi di fronte alla minima emozione improvvisa. Anche Pascoli si cimentò in una poesia di tono mistico, La vertigine (1909) in cui “Si racconta di un fanciullo che aveva perduto il senso della gravità...” e che associa di nuovo i due termini nel precipitare del protagonista verso l’alto “in quel mare / d'astri, in quel cupo vortice di mondi!”. Non so se sia un caso (e per me non lo è), ma è interessante notare come nella seconda metà dell’Ottocento, accanto alle vertigini dei letterati, il concetto di vortice acquistò un particolare interesse nello sviluppo della fisica, svolgendo un ruolo fondamentale non solo nella dinamica dei fluidi, ma anche nella nascente teoria dei campi elettromagnetici e nei primi tentativi di schematizzazione della struttura della materia.

I vortici di Maxwell

Con il suo secondo lavoro sulla teoria elettromagnetica (On the physical lines of force, 1861), il grande fisico scozzese James Clerk Maxwell proponeva un modello che, come scrisse egli stesso, potesse “esaminare i fenomeni magnetici da un punto di vista meccanico” e “collegare i fenomeni dell'attrazione magnetica con i fenomeni elettromagnetici e con quelli delle correnti indotte”. La base di questa teoria del campo elettromagnetico era un modello che impiegava “vortici molecolari”, con gli assi di rotazione orientati lungo le linee del campo magnetico. L'idea di Maxwell di utilizzare un modello a vortici per esprimere le caratteristiche fisiche di un mezzo atto a trasmettere le azioni elettromagnetiche derivava dall’interpretazione data da William Thomson (in seguito divenuto Lord Kelvin) all'effetto Faraday, la rotazione del piano di polarizzazione della luce che attraversa un materiale dielettrico trasparente quando è sottoposto a un intenso campo magnetico. Thomson ipotizzava che questo fenomeno fosse causato dall'accoppiamento tra le vibrazioni dell'etere luminoso e le rotazioni di vortici molecolari in un mezzo materiale, nel quale gli assi di rotazione dei vortici si allineavano alla direzione delle linee di forza del campo magnetico. L’idea dei vortici si stava facendo strada: anche John William Rankine, verso la fine degli anni Quaranta, aveva proposto una teoria della materia per interpretare le proprietà termodinamiche dei gas, nella quale le molecole erano spiegate come piccoli nuclei di atmosfere eteree rotanti nello spazio con velocità proporzionale alla temperatura.

Nelle prime parti del suo articolo Maxwell illustrava il suo modello e come esso possa essere applicato per ottenere le equazioni fondamentali del campo elettromagnetico. Lo spazio era considerato come un fluido nel quale ruotano "innumerevoli vortici", i cui assi di rotazione coincidono con la direzione delle forze magnetiche in ogni punto del campo. In assenza di vortici la pressione è uguale in tutte le direzioni; mentre in presenza di vortici le forze centrifughe, causate dalla rotazione di questi, fanno in modo che ogni vortice si contragga longitudinalmente ed eserciti radialmente una certa pressione dipendente dalla velocità. Faraday, in un articolo del 1852, aveva già proposto una descrizione qualitativa dei fenomeni magnetici ed elettromagnetici ipotizzando un accorciamento longitudinale delle linee di forza e una mutua repulsione laterale.

Il passo successivo, per Maxwell, era considerare la velocità angolare di ogni vortice proporzionale all’intensità locale del campo magnetico. In questo modo egli ottenne che le espressioni delle forze agenti tra magneti, correnti elettriche e diamagneti fossero identiche. Il fisico si poneva poi il problema di “descrivere il meccanismo tramite il quale queste rotazioni possono essere fatte coesistere, ed essere distribuite secondo le leggi note delle linee di forza magnetiche”. In altre parole, bisognava spiegare come fanno due vortici adiacenti a ruotare liberamente nello stesso senso, visto che le loro superfici si muovono in direzione opposta. L'ipotesi introdotta da Maxwell fu di “concepire la materia rotante come sostanza di certe celle, separate tra loro da pareti (cell-walls) formate da particelle molto più piccole delle dimensioni delle celle”. Queste particelle, costituenti le pareti di separazione tra i vortici, da Maxwell identificate con la “materia dell'elettricità”, comunicano rotolando la rotazione da una “cella” all'altra.

In questo quadro l'elettricità acquisiva caratteristiche completamente diverse da quelli usuali: invece di essere un fluido confinato nei conduttori, essa era diffusa ovunque, libera di muoversi nei conduttori (anche se soggetta a una resistenza) e bloccata nei dielettrici (compreso lo spazio, il dielettrico primordiale).

Durante l'estate del 1861, Maxwell elaborò ulteriormente il suo modello a vortici, introducendo l'idea che la sostanza ruotante nelle celle possegga proprietà elastiche “simili a quelle dei corpi solidi anche se di grado diverso”. “La teoria ondulatoria della luce – scriveva Maxwell - ci richiede di ammettere questo genere di elasticità nel mezzo luminifero, per poter render conto delle vibrazioni trasverse. Non dobbiamo quindi essere sorpresi se il mezzo magneto-elettrico possiede le stesse proprietà”.

La descrizione dell'elettricità ricavata dal suo modello gli permetteva di considerare i fenomeni di polarizzazione dei dielettrici come un caso particolare dei fenomeni di conduzione. Quando una differenza di potenziale è applicata a parti diverse di un corpo si hanno due possibili effetti. Se il corpo è conduttore, la “materia dell'elettricità” si muove rotolando tra le superfici dei vortici dando luogo alla corrente elettrica: le forze tangenziali impresse dalla materia delle celle sono le forze elettromotrici e la pressione che le particelle esercitano le une sulle altre corrisponde al potenziale dell'elettricità. Se il corpo è un isolante, la differenza di tensione viene immagazzinata nel mezzo elastico sotto forma di energia potenziale tramite le deformazioni dei vortici molecolari. A differenza di quanto avviene in un conduttore, l'elettricità rimane legata alle molecole e non passa da una molecola all'altra.

Maxwell quindi concludeva che la distinzione tra conduzione e induzione elettrica statica è simile alla distinzione che nella materia viene fatta tra processi viscosi e processi elastici: il conduttore è assimilabile a una membrana porosa che oppone una maggiore o minore resistenza al passaggio di un fluido, mentre un dielettrico si comporta come una membrana elastica che è impermeabile al fluido, ma ne trasmette la pressione da una parte all'altra. In questo modo Maxwell ottenne due fondamentali risultati. Il primo riguardava il fatto che una corrente variabile in un conduttore induce nel mezzo circostante piccoli cambiamenti nelle posizioni delle particelle elettriche, cioè l'effetto della corrente variabile è quello di suscitare delle piccole correnti nel mezzo associate allo spostamento delle particelle. Questo permetteva a Maxwell di completare le sue equazioni tenendo presenti gli effetti di quelle che ancora oggi sono chiamate correnti di spostamento. Inoltre, visto che il mezzo è elastico, è possibile determinare la velocità con la quale il disturbo elettromagnetico si propaga attraverso di esso. Sulla base dei calcoli fatti utilizzando il suo modello, Maxwell concluse che “(…) ci sarebbe difficile non inferire che la luce consista nei moti ondulatori trasversi dello stesso mezzo che è la causa dei fenomeni elettrici e magnetici.”

Furono così delineati i fondamenti di quella che nel lavoro successivo egli avrebbe chiamato la teoria elettromagnetica della luce. Il modello a vortici consentì a Maxwell di formulare il sistema delle equazioni per il campo elettromagnetico. Tuttavia, furono proprio alcune difficoltà interpretative delle sue equazioni che avrebbero decretato l’abbandono del modello verso la fine secolo.

I vortici di von Helmholtz

Nel 1858 Herman von Helmholtz pubblicò un articolo in cui si occupava delle equazioni idrodinamiche di un fluido in presenza di vortici (Uber Integrale der hydrodynamischen Gleichungen, welche der Wirbelbewegung entsprechen). Una teoria matematica del moto dei fluidi era stata elaborata, a partire da Eulero e Lagrange, tra il Settecento e i primi decenni dell’Ottocento. Il sistema di equazioni differenziali che la esprimevano, però, era stato risolto solo nel caso di moti irrotazionali, privi cioè di vorticità. Nell’articolo, Helmholtz riusciva ad ottenere alcuni fondamentali risultati nel caso di moti vorticosi, grazie all’individuazione di nuove grandezze per la descrizione del problema e all’uso originale di concetti e strumenti matematici.

Il fluido considerato da Helmholtz è omogeneo, incomprimibile e con viscosità uguale a zero. Ad ogni punto del fluido si può pensare associata una grandezza (oggi lo chiameremmo un vettore) che rappresenta la vorticità, con direzione perpendicolare al piano di rotazione. Si possono allora considerare nel fluido le curve ideali che hanno come tangenti, punto per punto, le vorticità: Helmholtz le chiamò linee o filamenti di vortice. Infine, ad ogni curva chiusa idealmente disegnata nel fluido è associato quello che Helmholtz definiva un tubo di vortice, formato dalle linee di vortice che la attraversano, la cui superficie laterale è individuata dalle linee di vortice passanti per i punti della curva chiusa. La prima conclusione di Helmholtz è che, date le caratteristiche del fluido, in ogni sezione del tubo di vortice il prodotto dell’area della sezione per la velocità media di rotazione ha un valore costante (a questa costante Helmholtz diede il nome di intensità o forza del tubo di vortice). Tre sono i risultati generali che Helmholtz ottenne su questa base:
- i tubi di vortice non possono iniziare o finire dentro il fluido: essi devono chiudersi su sé stessi (formando anelli) o avere gli estremi sulla superficie libera del fluido (e, nel caso di un fluido distribuito su un volume infinito, essi devono chiudersi su sé stessi o essere infiniti):
- parti di fluido esterne al tubo di vortice non lo attraversano e parti di fluido interne al tubo di vortice non ne escono;
- l’intensità del tubo di vortice rimane costante durante il suo moto (comprese eventuali deformazioni continue, cioè senza tagli, del tubo di vortice).

I vortici di Kelvin

L’articolo di Helmholtz fu accolto con entusiasmo dai colleghi d’oltremanica ed esercitò una decisiva influenza sull’avvio della cosiddetta teoria dell’atomo-vortice di William Thomson, lord Kelvin. Oltre a ciò, nell’ambito della fisica matematica, ispirò sia le ricerche condotte da Tait, e successivamente da Maxwell e W. Thomson, sui quaternioni e sui vettori.

Peter Guthrie Tait, subito dopo la lettura dell’originale articolo di Helmholtz del 1858, decise non solo di tradurlo, ma di darne anche una dimostrazione pratica in una serie di esperimenti con gli anelli di fumo per i quali aveva realizzato una apposita smoke box. La “stupenda esposizione pratica di anelli di fumo” fatta da Tait fu lo stimolo decisivo per la ripresa dei risultati di Helmholtz da parte di Kelvin da cui nacque la teoria dell’atomo-vortice. Nell’incipit del suo articolo On vortex-atom del 1867 si legge infatti:

Dopo aver saputo dell’ammirevole scoperta di Helmholtz della legge relativa al moto vorticoso in un liquido perfetto […] l’autore ha affermato che inevitabilmente questa scoperta suggerisce l’idea che gli anelli di Helmholtz siano i veri e soli atomi. Infatti l’unico pretesto che sembra giustificare la mostruosa assunzione di pezzi di materia infinitamente duri e infinitamente rigidi, la cui esistenza viene affermata in termini di ipotesi verosimile da alcuni dei maggiori chimici moderni nelle loro sconsiderate proposizioni introduttive, è quello su cui insistette Lucrezio e che fu adottato da Newton – e cioè quello secondo cui tale ipotesi sembra essere necessaria per rendere ragione dell’inalterabilità delle qualità distinguibili nei differenti tipi di materia.

L’atomo doveva possedere innanzitutto la proprietà di essere permanente ed era difficile pensare a una qualsiasi entità solida che non si potesse rompere, qualora si fosse applicata la forza, la temperatura o la reazione chimica necessaria. E, proseguiva Thomson, il moto vorticoso di Helmholtz ha, come gli atomi pensati da Lucrezio, la stessa caratteristica di inalterabilità, una caratteristica “infinitamente perenne” che “solo un atto di potenza creatrice può generare o distruggere”. Siccome poi qualunque concatenamento di anelli o nodo sugli anelli si mantiene invariato nel tempo, essi offrono una possibile spiegazione della varietà dei diversi atomi che individuano i diversi elementi chimici. Infine, sottolineava Thomson, se si accetta “l’ipotesi secondo cui tutti i corpi sono costituiti da atomi-vortice immersi in un liquido perfettamente omogeneo” si ha come risultato “quello di diminuire di una unità il numero delle assunzioni che sono indispensabili se si vuole dare una spiegazione delle proprietà della materia”: i vortici anulari potevano da soli spiegare le forze reciproche tra gli atomi e i loro scambi di energia, “senza dover ricorrere ad alcun’altra proprietà della materia sul cui moto esse si basano che non siano l’inerzia e l’incomprimibilità dello spazio occupato”.

In tal modo, la teoria dell’atomo-vortice rappresentava un fondamentale punto di riferimento per una teoria della materia che “salva l’evidenza sperimentale” senza introdurre nuove ipotesi per ogni aspetto della dinamica degli atomi. Da questa teoria infatti, affermò Maxwell nel 1875, si doveva poter derivare le leggi generali del moto a partire da un unico oggetto primordiale, il mezzo etereo universale, mantenendo, e anzi consolidando, l’unità della teoria dinamica dei fenomeni fisici.

L’articolo di Thomson diede un grande impulso a una serie di ricerche dominate dal legame tra topologia e fisica, che coinvolgevano, pur con motivazioni diverse, Maxwell, stimolato dai suoi interessi sia nei fenomeni elettromagnetici sia nella teoria cinetica dei gas, Kelvin, motivato dalla sua teoria sulla struttura della materia, e Tait, che si impegnò per vari anni nella classificazione dei nodi, alla ricerca di una conferma dell’ipotesi di Kelvin di una relazione tra le classi di configurazione topologicamente equivalente dei nodi e le tipologie degli atomi che individuano i diversi elementi chimici e i loro composti.

Proprio questa opera di classificazione da parte di Tait fece emergere una delle prime difficoltà della teoria dell’atomo-vortice: l’enorme numero di configurazioni non equivalenti trovate rispetto alla varietà degli elementi chimici noti (con dieci intrecci si hanno 165 nodi diversi, con tredici più di diecimila). Ma, pur evidenziando uno dei limiti del modello, le ricerche in questo ambito costituirono il primo esempio dell’interesse per le possibili implicazioni fisiche di quel settore della matematica che era stato chiamato topologia da Johan Benedict Listing nel 1847 e che dalla fine dell’Ottocento avrebbe acquisito lo status di settore autonomo della matematica.

Nonostante i problemi incontrati dalla teoria dell’atomo vortice (al problema del numero delle configurazioni topologiche inequivalenti si aggiungeva il problema delle effettive condizioni per la stabilità degli anelli di Helmholtz), l’idea di concepire la materia come uno stato di moto di un fluido etereo primordiale proseguì fino ai primi anni del Novecento. Tra le tappe significative, nell’ambito della ricerca fisica, è il caso di ricordare quella segnata dal trattato sul moto dei vortici anulari del 1883 di J. J. Thomson (A Treatise on the Motion of Vortex Rings), in cui si sottolineava la semplicità concettuale del modello a vortici rispetto ai modelli atomistici: “accettate le leggi idrodinamiche non si richiede l’introduzione di forze tra particelle per spiegare il comportamento degli aggregati, come invece richiesto nella teoria cinetica dei gas”. Furono tuttavia le ricerche svolte proprio da J.J. Thomson sul modello a vortici che avrebbero condotto alla sua scoperta dell’elettrone, la quale avrebbe svolto un ruolo decisivo nell’abbandono del modello di Kelvin come ausilio per l’indagine fisica a livello atomico.

Nuovi vortici, nuove vertigini

Con la scoperta dell’elettrone e i successivi sviluppi della relatività e della meccanica quantistica, le idee di Lord Kelvin furono essenzialmente accantonate. La geometria e la fisica, pur continuando ad avere punti di contatto (basti pensare a come, nella teoria della relatività generale, la forza gravitazionale venga interpretata come curvatura locale dello spazio-tempo), presero strade in gran parte indipendenti. Solo in tempi recenti le interazioni tra geometria e fisica si sono moltiplicate e coinvolgono la meccanica quantistica, nella quale emergono significative relazioni con la topologia. In questo senso la geometria torna ad essere implicata nella fisica, offrendo tra l’altro risposte a quesiti riguardanti alcune proprietà fondamentali delle particelle elementari.

Ritornati dal loro provvisorio esilio nella meccanica dei fluidi, i vortici appaiono oggi in molti modelli, sia in fisica delle particelle elementari sia in fisica della materia. Li troviamo anche coinvolti nella controversa teoria delle corde e costituiscono argomento di indagine della moderna cosmologia, in un vortice di prospettive davvero vertiginose.


venerdì 16 luglio 2010

Juhan ci porta la Buona Novella!


Introduzione alla Teologia Pastafariana per Agnostici, Affini e Assimilabili



In the beginning was the Word,
and the Word was "Arrrgh!"
Piraticus 13:7


Introduzione, presa alla lunga

Ci sono delle cose che crederle è davvero difficile. Per dire, se uno va a Milano partendo da Torino (o anche da casa mia, nella cintura della stessa) è facile che si confermi nella convinzione che la terra è piatta come una frittata (o come il Kansas dicono i 'mericani). E si può anche dimostrare, cosa semplice-semplice, come vedrete subito.

Andiamo a Porta Nuova e, dopo aver preso il biglietto e averlo obliterato (dài, non è difficile come sembra, ci sono le macchinette che lo timbrano, solo che si chiamano così) saliamo sul treno. Il treno è pesante (ha una notevole massa per essere precisi, il peso è invece dato dal prodotto dell'accelerazione di gravità per la massa ed è questa che è fondamentale: avete mai sentito uno di quelli che lavorano al CERN palare di peso dei protoni? o degli elettroni? o dei neutrini? - in ogni caso non chiedetegli nulla riguardo alla massa del neutrino). Ma sto divagando; tornando al treno, se lo osserviamo con cura, vediamo che ha le ruote d'acciaio e viaggia su rotaie d'acciaio per diminuire l'attrito. L'attrito è talmente piccolo che il treno non può percorrere tratti in salita a meno che la salita sia ridicolmente bassa. Non può neanche frenare in modo decente o fare partenze brucianti, motivo per cui non ci saranno mai gare di formula 1 per treni, benché questi siano nati prima dei motori a scoppio. Allora, il nostro treno è fermo sul binario di Porta Nuova, con il motore spento. Se la Terra fosse davvero rotonda questo sarebbe ben strano: ogni punto di una sfera, compreso quello su cui c’è Torino, è in cima al mondo, e allora il treno dovrebbe partire senza motore, vuoi per Milano, ma anche per Genova, Susa (con l'intenzione di andare a Paris e oltre - portarsi le petit dictionnaire e il libricino con le frasi scritte come si leggono). Ma mettiamo che sia Milano in cima al mondo: non cambia nulla, ce ne accorgeremmo al ritorno.

Con questo credo di aver dimostrato in modo inoppugnabile che la Terra è piatta, come d'altronde descritta nella collana del Mondo Disco di Terry Pratchett (volumi che parlano di Scuotivento/Rincewind in particolare), che se non conoscete non sapete cosa vi perdete.

E invece no!

Se invece di essere "bugia nen" come quasi tutti i piemontesi, che già a Novara si sentono spersi, lasciaste perdere il treno e prendeste un aereo come si deve e quando scendete (e dopo esservi fatti un giro) invece di tornare a casa ne prendeste un altro orientato nella stessa direzione e continuaste in questo modo, dopo un tot di fermate tornereste (con un po' di fortuna) proprio a Torino, o dintorni.

Io questo non l'ho mai fatto ma posso portare testimoni degni di fede: Ferdinando Magellano (Fernão de Magalhães per i genovesi), Francis Drake, Phileas Fogg et al. Poi ci sono anche gli astronauti che raggiungono lo spazio, hanno anche un trabiccolo lassù che si chiama ISS (International Space Station) e fanno delle foto che poi vengono pubblicate sul sito Astronomy Picture of the Day. Insomma la Terra è quasi sferica, e pur con tutte le montagne quali il Monviso dove nasce il Po, il Bianco dove crescono le stilografiche e l'Everest e le buche di mari e oceani, è in realtà più simile a una palla di bigliardo di quello che credete. A volte l'apparenza inganna e ci dobbiamo ricredere e quello che sembrava vero, vero non è. Manco per niente. Questo per quanto riguarda la forma della Terra ma c'è ben altro.




Darwin, l'Evoluzione (Evilussione) e l'Apparenza Inganna

Secondo Darwin, tanto-tanto tempo fa non c'erano mica tutti gli animali, gli insetti, le piante, le persone che siamo abituati a vedere andare di qua e di là (meno che le piante). C'era una roba unicellulare che poi si è evoluta a poco a poco, per tentativi, differenziandosi. Alcuni arrivano a dire che a un certo punto è esplosa (no, non sto parlando del Big Bang) e parlano di qualche disastro dalle parti di Cambrai. Il Darwin è riuscito parecchio convincente e oggi sono in parecchi a credere alla sua teoria. Credo che questo sia dovuto anche a fattori psicologici: il nostro ha una barba bianca molto solenne e noi siamo, evolutivamente parlando, portati a credere a chi è dotato di una qualche barba: Appadreppio, James Randi, PZ Myers, Popinga, Babbo Natale, Zigmund Froid, Umberto Eco (anche se adesso va in giro senza), Mago Merlino e (nel mio piccolo) anch'io. Siamo portati a credere anche a persone senza barba, tra le quali mettiamo tutte le donne, anche se non tutte sono credibili. Crediamo a Rita Levi-Montalcini, a Françoise Hardy (che sto ascoltando in questo momento, da piccolo ne ero innamorato, adesso anche), Lilli Gruber, Sylvie Coyaud (Oca sapiens), Nadia Cassini, non crediamo a MS Gelmini, Iva Zanicchi, Madre Teresa, Irene Pivetti. Per quanto riguarda Vanna Marchi devo dire che no, non ci credo ma mi affascina, è sexy.

Tra gli uomini comunque non è che la barba sia da sola necessaria e sufficiente: prendiamo, per restare nell'ambito dell'evoluzione / eviluzione / evilussione, Richard Dawkins, che non ha la barba, ma ha tutta la mia stima, come Françoise Hardy del resto.

Torniamo a Darwin. La sua teoria ha almeno due grosse falle: 1) come mai se è tanto bella lui non ha mai vinto il Premio Nobel? E, soprattutto: 2) se l'uomo discende dalla scimmia, come mai ci sono ancora delle scimmie? E non vale dire "ancora per poco" per quanto riguarda il punto 2. E poi è in contrasto con la Bibbia. E la Bibbia è un libro eccezionale. Davvero. Per dire, è stato scritto in un lasso di tempo di cinquecento-duemila anni (esistono divergenze tra gli studiosi), ma provate a prenderlo e apritelo nelle pagine iniziali: comincia con l'indice che trova (quando è stato scritto si sarebbe detto "troverà") una mirabile corrispondenza con il testo, spinta fino al numero di pagina. Incredibile ma vero, controllate pure.

Quando la Bibbia e L'Origine delle Specie, il libro di Darwin, sono in contrasto bisogna scegliere. E non tutti sono d'accordo. E qui entra in gioco il Nostro Pastoso Signore, il Prodigioso Mostro Volante degli Spaghetti, Flying Spaghetti Monster per gli anglofoni, FSM per i fedeli non tanto per analogia con gli ebrei, originari estensori della Bibbia (e neanche per conto di re Giacomo o Sofronio Eusebio Girolamo) che parlano di YHWH.

Quelli lo facevano per darsi delle arie di mistero e poter usare la parola tetragrammaton (no, non ho fatto il classico, l'ho trovato su Wikipedia). Noi invece lo facciamo per ragioni di praticità, come quando TBL (Tim Berners-Lee) dopo aver inventato il "World Wide Web" l'ha reso sensato come "www" e come tale utilizzato anche dai Gazosa nell'indimenticabile "www.mipiacitu", 2001, oggi purtroppo quasi completamente dimenticata.


Il Kansas, il Profeta Bobby, il Vangelo

I crucci, i dubbi di coscienza, il "i nostri vecchi dicevano sempre che..." e un fracco di altri motivi hanno fatto lievitare il dibattito su Darwin e l'evoluzione che in qualche modo sembravano a qualcuno troppo invadenti e prevaricanti. Si è da parecchie parti giunti a proporre di affiancare o privilegiare la più tradizionale visione della Bibbia riguardo alla creazione del mondo e alla non-evoluzione, in particolare alla teoria darwinistica. Se poi la cosa avesse preso piede c'era la possibilità di altri restauri per la società civile: come trattare le donne, il posto dei negri (afroamaricani, secondo loro), froci (i cosidetti gay) e quant'altro: se ci si rimbocca le maniche ci sono un sacco di cose da fare!

A un certo punto nel Kansas... Non so com'è ma certe cose che poi si tirano dietro parecchie altre cose vengono fuori spesso in alcuni posti privilegiati; il Kansas è uno di questi. Oltre al modo di dire già riportato sopra, il Kansas entra nell'epopea del Mago di Oz (che per gli americani è l'equivalente della triade Iliade/Odissea/Eneide, anzi di più, c'è anche il film con Judy Garland che canta Over the Rainbow), nella musica pop di qualità con Kansas City degli ABBA, famosi anche per Mamma Mia e "Uotelù". E Kansas City è particolare: è situata sul fiume Kansas, sull'altra sponda del fiume si trova la città di Kansas City (Missouri). Si vede che da quelle parti il nome acchiappa, c'è anche chi esagera: Arkansas.

Dunque, tornando a noi, le gelminidi del Kansas decidono che gli studenti devono studiare, e questo di per sè non sarebbe male, ma studiare la Bibbia come testo di scienza e questo è discutibile. Perché c'è la visione evoluzionistica, popolare tra chi non legge solo Avvenire e Il Giornale e una miriade di altre culture. Uno che si ribella a queste censure è Bobby Henderson. Il profeta Bobby Henderson, sempre lodato sia il suo nome.

Bobby non è un pisquano qualunque: all'epoca si sta laureando in fisica all'Università dell'Oregon. L'Oregon è un posto bellissimo, verde e ecologico, in alto a sinistra rispetto al Kansas, non si toccano, c'è altro in mezzo. L'Oregon ha tante altre cose che mancano al Kansas, per dire ha l'oceano quando il Kansas non ha nemmeno il mare (sì come il Piemunt o la Lumbardia) e lì si fanno tanti piccoli aggeggi come un orologio che è un cardiofrequenzimetro, un altro che è una bussola o un barometro, quelle cose di Oregon Scientific insomma.

Dunque Bobby scrive una lettera aperta allo School Board del Kansas, lettera disponibile qui

È una lettera notevole, che non esprime solo la preoccupazione per le direttive del provveditorato kansiano ma espone altresì in modo chiaro e convincente sia le nozioni elementari del credo dello FSM sia anche fatti poco noti ma che hanno, e avranno sempre di più, a che fare con la vita di tutti noi, tutti i giorni. Pone cioè in evidenza come esista una correlazione lineare molto stringente tra l'aumento della temperatura globale del pianeta con il calo del numero dei Pirati.

Chiede che questa teoria sia esposta agli studenti parimenti al darwinismo e al creazionismo biblico (33-33-33), si dice pronto ad adire alle vie legali ma si augura che non sia necessario arrivare a tanto. Secondo l’insegnamento di Bobby, l'Universo è stato creato da un invisibile Mostro Volante degli Spaghetti durante una forte sbornia (per questo il Creato è imperfetto). Inoltre tutte le prove a sostegno della tesi evoluzionistica sono state intenzionalmente impiantate da questo essere per mettere alla prova la fede dei Pastafariani. È importante far notare che tutti i tentativi di falsificare sperimentalmente la sua esistenza si scontrano con il fatto che il Mostro Volante degli Spaghetti interviene modificando sistematicamente i risultati con la Sua Spaghettosa Appendice.


Poi le cose si sono evolute in modo diverso da quello preventivato, i creotardi sono stati sconfitti ) a Dover (Pennsylvania) in alto a destra rispetto al Kansas, sulla riva dell'altro Oceano.

Per usare le parole del Profeta Bobby (sempre sia lodato il suo nome): "The Church of the Flying Spaghetti Monster, while having existed in secrecy for hundreds of years, only recently came into the mainstream when this letter was published in May 2005. With millions, if not thousands, of devout worshippers, the Church of the FSM is widely considered a legitimate religion, even by its opponents – mostly fundamentalist Christians, who have accepted that our God has larger balls than theirs."

"La Chiesa del Mostro Volante degli Spaghetti, benché segretamente esistente da centinaia di anni, solo recentemente si è pubblicamente rivelata, quando questa lettera (quella di cui abbiamo parlato sopra) è stata pubblicata nel maggio 2005. Con milioni, se non migliaia, di credenti devoti. la Chiesa dell'FSM è ampiamente considerata una religione legittima, anche dai suoi detrattori - per lo più fondamentalisti cristiani, che hanno ammesso che il nostro Dio ha le palle più grosse del loro."


Qualora ce ne fosse bisogno, esistono infinite prove dell'esistenza di FSM. Senza scomodare Anselmo di Aosta/Bec/Canterbury (che tipo! come i negozi di moda che ti danno la borsa con New York/London/Milano/Hong Kong e dell'ultimo conosci il progettista da quando era piccolo) fate un salto alla home del sito della Chiesa e troverete gazillioni di testimonianze di avvistamenti, da tutto il mondo, anche dall'Italia, isole comprese. Troverete anche parecchie "hate mail", lettere piene di odio di persone non (ancora) illuminate dalla vera verità. Nel linguaggio della chiesa si dice "non ancora toccati dalle Sue Pastose Appendici". Spesso queste sono sgrammaticate, piene di errori e/o scritte TUTTO IN MAIUSCOLO, per forza non sono ancora stati toccati. Per quelli che sono più vicini al mondo scientifico ufficiale segnalo "Origin of the Novel Species Noodleous doubleous: Evidence for Intelligent Design" di Thomas D. Schneider, Ph.D.

Il prestigioso The Science Creative Quarterly ha parecchi paper relativi a FSM, che coprono diverse branche del sapere scientifico.

Allora cosa aspettate? Vi consiglio caldamente di provare la vera religione, il Pastafarianesimo. Come dice il Profeta Bobby (che la Pasta sia con lui) "[...] E ricordate la nostra garanzia: Provateci per trenta giorni e se non vi piaciamo, il vostro Dio molto probabilmente vi riprenderà indietro" (the Gospel p.120).

Il Vangelo del Mostro Volante degli Spaghetti naturalmente lo consiglio a tutti, è un libro da portare sempre con se, ha una copertina rigida che lo protegge dall'usura e un segnalibro a linguetta incorporato. Io ho la versione originale ma c'è anche la traduzione in millemila lingue tra le quali l'italiano (mancano per adesso il piemontese e il bergamasco, pota!). Costa sui 12 euri ma ne vale molti di più. A differenza della Bibbia è conciso, 215 pagine e onesto: in quale altro testo troverete scritto che se vi sembra confuso e contraddittorio è per testare la vostra fede (parafrasi mia perché non riesco a trovarla, ma vi assicuro che c'è).

Chi non ha tempo per leggersi tutto il vangelo (ma dai!) o non ha 12 euri circa da investire (dài! adesso si esagera) può almeno leggersi gli Otto Condimenti. Queste sono le regole base che FSM in persona ha trasmesso al Capitano Mosey. Il capitano li chiamava comandamenti ma i pirati condimenti e con questo termine sono conosciuti. Sì in origine pare che fossero quasi certamente 10 ma due siano andati persi. Li trovate su Wikipedia.

Approposito di Wikipedia: io in genere la uso, non sono di quelli che la snobbano con i più svariati e speciosi pretesti, ma in questo caso mi sembra poco rispettosa.



Conclusioni

Credo che a questo punto non dovreste avere più dubbi. Sappiate comunque che il Pastafarianesimo è una religione tollerante, non vi chiede neanche di abbandonare le vostre eventuali precedenti credenze. Va benissimo credere all'IPU (Invisible Pink Unicorn) o alla Teiera di Russell. A proposito, per quel che mi risulta, nessuno è mai riuscito a dimostrare che non esiste e quindi deve esistere. E siccome la Teiera da sola non suona bene io sono sicuro che ci sono una Zuccheriera e una o più Tazze con i relativi Piattini e Cucchiaini.

Considerate che il venerdì è festa per il Pastafariani. Che dopo la morte vi attende il Paradiso con un Vulcano di Birra e una Fabbrica di Strip-tease (con star maschili per le gentili signore); l'Inferno è simile ma la birra stantia e le performers hanno malattie veneree, proprio come a Las Vegas.

Per quanto riguarda il Vulcano, io sono convinto che ce ne sono parecchi, oltre alla birra devono esserci quelli per il vino suddivisi per vitigno, e zona di produzione. Io aspirerei al Barolo ma ho anche conosciuto una Parigina di Bordeaux, se la reincontrassi, chissà...

La Chiesa Pastafariana non considera eretiche queste posizioni, anzi approva la loro diffusione e le discussioni che esse dovessero generare (qualora non ci fosse niente di meglio da fare). Fate un paragone con quella di Roma (per i leghisti Ladrona): ha bruciato gente per molto meno, e fa delle preferenze.

Un teologo che adesso si è fatto una qual certa fama e viene spesso invitato alla TV con veline, prezzemoline e altre amiche del Premier sul suo sito dice che non accetta: 1) anima come creata direttamente da Dio al momento del concepimento; 2) il peccato originale; 3) la risurrezione dei corpi; e 4) la dannazione eterna dell’Inferno. Ma è amico di Martini, troppo conosciuto, lavora o ha lavorato per Silvio, è trendy, ... insomma niente falò. È un'ingiustizia però.

Considerate che nella Chiesa Pastafariana non ci sono preti pedofili e vescovi che li proteggono. Considerate che non si dicono menzogne nella pubblicità per spillarvi il vostro otto per mille, per noi niente otto per mille. Considerate che non ci sono al vertice della Chiesa persone come Marcinkus o il card. Sepe, quello della casa di Bertolaso. Non ci sono nemmeno gli esorcisti à la padre Amorth.

Allora tutti Pastafariani? Ci conto.
W la Pasta, Ramen.
(JUHAN)



Juhan si è laureato in Ingegneria al Politecnico di Torino, poi ha ottenuto il Ph.D. a UCD (University of Calisota, Ducksburg) avendo come tutors Gyro Gearloose e Ludwig von Drake.
Dopo uno stage e un breve periodo a Magrathea ha trascorso gran parte della sua vita come addetto al Controllo Qualità presso la Sirius Cybernetics Corporation.
Attualmente si occupa dell'applicasione dell'RFid alle banane per il recupero della buccia, per conto di Modo e del Librarian a UUAM (Unseen University, Ankh-Morpork).
Nei ritagli di tempo è impegnato alla diffusione del Pastafarianesimo e del linguaggio di programmazione Python; l'aumento della popolarità dell'uno e dell'altro è in misura trascurabile, se non nulla, attribuibile a lui.
Riguardo al nome: il cognome se c'era è andato perso. Ma non è grave: quanti di voi saprebbero dire il cognome (d'accordo tecnicamente non è neanche il cognome) di Björk? e quanti saprebbero pronunciarlo in modo passabile dopo averlo googlato?