Tra il febbraio 1893 e il dicembre 1909 l’astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910) pubblicò sulla rivista Natura ed Arte una serie d’articoli su Marte, nei quali dava conto degli studi effettuati da lui e da altri sul pianeta rosso e riferiva dell’esistenza sulla superficie del pianeta una fitta rete di strutture lineari che chiamò "canali". I canali di Marte divennero ben presto popolari, dando origine a una serie di speculazioni e dispute sulla possibilità che il pianeta potesse ospitare forme di vita intelligenti. In realtà i canali visti dal direttore dell’Osservatorio di Brera erano delle illusioni ottiche e le sue speculazioni sull’esistenza dei “marziali” erano contenute in un articolo preceduto dall’esergo Semel in anno licet insanire e dall’avvertenza, contenuta nella parte III dello stesso articolo, che recitava “Concediamo ora alla fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al fondamento sicuro dell'osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l'esistenza e lo sviluppo di una popolazione d'esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione. Ciò che diremo non avrà il valore di un risultato scientifico, ed anzi confinerà in parte col romanzo”. Il “libero volo” di Schiaparelli non lo assolve dalle sue responsabilità nell’aver creato la leggenda dei marziani, dei quali si spinge persino a discutere l’organizzazione sociale e politica. Inoltre la sua congettura fu interpretata alla lettera dall’astronomo americano Percival Lowell, che condusse tra il 1906 e il 1908 una serie di osservazioni a sostegno dell'ipotesi che i canali fossero delle grandiose opere di ingegneria idraulica progettate per gestire le scarse risorse idriche del pianeta. La natura illusoria dei canali fu ben presto messa in evidenza da molti studiosi e fondamentale fu l’obiezione del naturalista inglese Alfred Wallace che, in Is Mars Habitable? (1907), fece naufragare le tesi di Lowell, sostenendo che la temperatura e la pressione atmosferica del pianeta erano troppo basse perché potesse esistere acqua allo stato liquido, e che le analisi spettroscopiche effettuate fino a quel momento avevano escluso la presenza di vapore acqueo nell'atmosfera del pianeta.
Diciamo che, incontrando forse i desideri inespressi del pubblico, da tempo immemore alla ricerca di compagni d’avventure dell’umanità viventi in qualche parte dell’Universo, Schiaparelli se l’era un po’ cercata. Seguiamolo nel suo ragionamento così come si sviluppa nei primi articoli comparsi su Natura ed Arte (quello del 1909 è una sorta di aggiornato compendio dei precedenti).
IL PIANETA MARTE (1893)
L'idea di popolare gli astri e le sfere celesti d'intelligenze pure o corporee, di animali e di piante, non è nuova (…) Tutte le nostre speranze si sono quindi poco a poco concentrate su Marte, il solo astro che possa giustificarle sino ad un certo punto, siccome or ora si vedrà. Tali speranze si sono accresciute ed hanno raggiunto anzi presso alcuni un grado di esaltazione quasi febbrile, dopo che un esame accurato di quel pianeta ha fatto scoprire in esso alcuni cambiamenti, e un sistema di misteriose configurazioni, in cui con un po' di buona volontà si potrebbe congetturare piuttosto il lavoro di esseri intelligenti, anzi che la semplice opera delle forze naturali inorganiche. (…)
(…) Già i primi Astronomi, che studiarono Marte col telescopio, ebbero occasione di notare sul contorno del suo disco due macchie bianco-splendenti di forma rotondeggiante e di estensione variabile. In progresso di tempo fu osservato, che mentre le macchie comuni di Marte si spostano rapidamente in conseguenza della sua rotazione diurna, mutando in poche ore di posizione e di prospettiva; quelle due macchie bianche rimangono sensibilmente immobili al loro posto. Si concluse giustamente da questo, dover esse occupare i poli di rotazione del pianeta, o almeno trovarsi molto prossime a quei poli. Perciò furono designate col nome di macchie o calotte polari. E non senza fondamento si è congetturato, dover esse rappresentare per Marte quelle immense congerie di nevi e di ghiacci, che ancor oggi impediscono ai navigatori di giungere ai poli della terra. A ciò conduce non solo l'analogia d'aspetto e di luogo, ma anche un'altra osservazione importante (…)
Così stando le cose, è manifesto, che se le suddette macchie bianche polari di Marte rappresentano nevi e ghiacci, dovranno andar decrescendo di ampiezza col sopravvenire dell'estate in quei luoghi, ed accrescersi durante l'inverno. (…)
Le nevi australi offrono questa particolarità, che il centro della loro figura irregolarmente rotondeggiante non cade proprio sul polo, ma in un altro punto, che è sempre press'a poco il medesimo, e dista dal polo di circa 300 chilometri nella direzione del Mare Eritreo. Da questo deriva, che quando l'estensione delle nevi è ridotta ai minimi termini, il polo australe di Marte ne rimane scoperto; e quindi forse il problema di raggiungerlo è su quel pianeta più facile che sulla Terra. Le nevi australi sono in mezzo di una gran macchia oscura, che colle sue ramificazioni occupa circa un terzo di tutta la superficie di Marte, e si suppone rappresenti l'Oceano principale di esso. Se questo è, l'analogia con le nostre nevi artiche ed antartiche si può dire completa, e specialmente colle antartiche.
La massa delle nevi boreali di Marte è invece centrata quasi esattamente sul polo; essa è collocata nelle regioni di color giallo, che soglionsi considerare come i continenti del pianeta. Da ciò nascono fenomeni singolari, che non hanno sulla Terra alcun confronto. Allo squagliarsi delle nevi accumulate su quel polo durante la lunghissima notte di dieci mesi e più, le masse liquide prodotte in tale operazione si diffondono sulla circonferenza della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona di terreno circostante; e riempiendo tutte le regioni più basse producono una gigantesca inondazione, la quale ad alcuni osservatori diede motivo di supporre in quella parte un altro Oceano, che però in quel luogo non esiste, almeno come mare permanente. Vedesi allora (l'ultima occasione a ciò opportuna fu nel 1884) la macchia bianca delle nevi circondata da una zona oscura, la quale segue il perimetro delle nevi nella loro progressiva diminuzione, e va con esso restringendosi sopra una circonferenza sempre più angusta. Questa zona si ramifica dalla parte esterna con strisce oscure, le quali occupano tutta la regione circostante, e sembrano essere i canali distributori, per cui le masse liquide ritornano alle loro sedi naturali. Nascono in quelle parti laghi assai estesi, come quello segnato sulla carta col nome di Lacus Hyperboreus; il vicino mare interno detto Mare Acidalio, diventa più nero e più appariscente. Ed è a ritenere come cosa assai probabile, che lo scolo di queste nevi liquefatte sia la causa che determina principalmente lo stato idrografico del pianeta, e le vicende che nel suo aspetto periodicamente si osservano. (…)
Gli elementi della meteorologia di Marte sembrano dunque aver molta analogia con quelli della meteorologia terrestre. Non mancano però, come è da aspettarsi, le cause di dissomiglianza. Anche qui, da circostanze di piccol momento trae la Natura un'infinita varietà nelle sue operazioni. Di grandissima influenza dev'esser la diversa maniera, con cui in Marte e sulla Terra veggonsi ordinati i mari ed i continenti; su di che uno sguardo alla carta dice più che non si farebbe con molte parole. Già abbiamo accennato al fatto delle straordinarie inondazioni periodiche, che ad ogni rivoluzione di Marte ne allagano le regioni polari boreali allo sciogliersi delle nevi: aggiungeremo ora, che queste inondazioni diramate a grandi distanze per una rete di numerosi canali, forse costituiscono il meccanismo principale (se non unico), per cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Perchè infatti su Marte piove molto raramente, o forse anche non piove affatto. (…)
Come le nostre carte dimostrano, nella sua generale topografia Marte non presenta alcuna analogia colla Terra. Un terzo della sua superficie è occupato dal gran Mare Australe, che è sparso di molte isole, e spinge entro ai continenti golfi e ramificazioni di varia forma; al suo sistema appartiene un'intiera serie di piccoli mari interni, dei quali l'Adriatico ed il Tirreno comunicano con esso per ampie bocche, mentre il Cimmerio, quello delle Sirene, e il Lago del Solenon hanno con esso relazione che per mezzo di angusti canali. Si noterà nei quattro primi una disposizione parallela, che certo non è accidentale, come pure non senza ragione è la corrispondente positura delle penisole Ausonia, Esperia ed Atlantide. Il colore dei mari di Marte è generalmente bruno misto di grigio, non sempre però di uguale intensità in tutti i luoghi, nè nel medesimo luogo è uguale in ogni tempo. Dal nero completo si può scendere al grigio chiaro ed al cinereo. Tal diversità di colore può aver origine da varie cause, e non è senza analogia anche sulla Terra, dove è noto che i mari delle zone calde sogliono essere più oscuri che i mari più vicini al polo. (…)
Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro più o meno pronunziato, delle quali l'aspetto è molto variabile. Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l'andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l'estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.
Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte, di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggi potuto osservare, sono certamente configurazioni stabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quel luogo da quasi cent'anni, ed alcune altre da trent'anni almeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, o non varia che entro strettissimi limiti; ognuna di esse comincia e finisce sempre fra i medesimi termini. (…)
Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue estremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in un altro canale, o nell'intersezione di più altri canali. Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nel mezzo del continente, rimanendo senza uscita e senza continuazione. Questo fatto è della più alta importanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sotto tutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergono verso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome di laghi. (…)
Che del resto le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni delle superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo che queste, nello sciogliersi appaiono circondate da una zona oscura, formante una specie di mare temporario. In tale epoca i canali delle regioni circostanti si fanno più neri e più larghi, ingrossando al punto da ridurre, in un certo momento, ad isole di poca estensione tutto le aree gialle comprese fra l'orlo della neve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa, se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimo di estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allora le larghezze dei canali, scompare il mare temporario, e le aree gialle riprendono l'estensione primitiva. (…) L'interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiam riferito, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fatto, e non solo di nome. La rete da essi formata probabilmente fu determinata in origine dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l'opera di esseri intelligenti; e malgrado l'apparenza quasi geometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dell'evoluzione del pianeta, appunto come sulla Terra il canale della Manica e quello di Mozambico (…)
Ma il fenomeno più sorprendente dei canali di Marte è la loro geminazione; la quale sembra prodursi principalmente nei mesi che precedono e in quelli che seguono la grande inondazione boreale, intorno alle epoche degli equinozi. In conseguenza di un rapido processo, che certamente dura pochissimi giorni, od anche forse solo poche ore, e del quale i particolari non si sono ancora potuti afferrare con sicurezza, un dato canale muta d'aspetto e d'un tratto si trova trasformato su tutta la sua lunghezza in due linee o strisce uniformi, per lo più parallele fra di loro, che corrono dritte ed uguali con tracciamento geometricamente tanto esatto, quanto suole esser presso di noi quello di due rotaje di ferrovia. Ma questo esatto andamento è il solo termine di rassomiglianza colle dette rotaje: perchè nelle dimensioni non vi è alcun paragone possibile, come del resto è facile immaginare. Le due linee seguono a un dipresso la direzione del primitivo canale, e terminano nei luoghi dov'esso terminava. L'una di esse spesso si sovrappone quanto più è possibile all'antica linea, l'altra essendo di nuovo tracciamento; ma anche in questo caso l'antica linea perde tutte le piccole irregolarità e curvature che poteva avere. Ma accade ancora, che ambe le linee geminate occupino dalle due parti dell'ex canale un terreno interamente nuovo. La distanza fra le due linee è diversa nelle diverse geminazioni, e da 600 chilometri e più scende fino all'ultimo limite, in cui due linee possono apparir separate nei grandi occhi telescopici, meno di 50 chilometri d'intervallo; la larghezza di ciascuna striscia per sè può variare dal limite di visibilità, che supponiamo 30 chilometri, fino a più di 100. Il colore delle due linee varia dal nero ad un rosso scialbo, che appena si distingue dal fondo giallo generale delle superficie continentali; l'intervallo è per lo più di questo giallo, ma in più casi è sembrato bianco. Le geminazioni poi non sono necessariamente legate ai soli canali, ma tendono anche prodursi sui laghi. Spesso si vede uno di questi trasformarsi in due brevi e larghe liste oscure fra loro parallele, tramezzate da una lista gialla. In questi casi naturalmente la geminazione è breve, e non esce dai limiti del lago primitivo.
Le geminazioni non si manifestano tutte insieme, ma arrivata la loro stagione cominciano a prodursi or qua, or là, isolate in modo irregolare, o almeno senza ordine facilmente riconoscibile. (…) Il loro singolare aspetto e l'esser disegnate con assoluta precisione geometrica, come se fossero lavori di riga o di compasso, ha indotto alcuni a ravvisare nelle medesime l'opera di esseri intelligenti, abitatori del pianeta. Io mi guarderò bene dal combattere questa supposizione, la quale nulla include d'impossibile. Notisi però che in ogni caso non potrebbero essere opere di carattere permanente, essendo certo, che una stessa geminazione può cambiare di aspetto e di misura da una stagione all'altra. Si possono tuttavia assumere opere tali, da cui una certa variabilità non sia esclusa, per esempio, lavori estesi di coltura e di irrigazione su larga scala. Aggiungerò ancora, che l'intervento di esseri intelligenti può spiegare l'apparenza geometrica delle geminazioni, ma non è punto necessario a tale intento. La geometria della Natura si manifesta in molti altri fatti, dai quali è esclusa l'idea di un lavoro artificiale qualunque (…)
Tutto quello che possiamo sperare è, che col tempo si diminuisca gradatamente l'indeterminazione del problema, dimostrando, se non quello che le geminazioni sono, almeno quello che non possono essere. Dobbiamo anche confidare un poco in ciò, che Galileo chiamava la cortesia della Natura, in grazia della quale talvolta da parte inaspettata sorge un raggio di luce ad illuminare argomenti prima creduti inaccessibili alle nostre speculazioni; di che un bell'esempio abbiamo nella chimica celeste. Speriamo adunque, e studiamo.
LA VITA SUL PIANETA MARTE (1895)
Semel in anno licet insanire
Nell'anno decorso 1894 il pianeta essendosi molto avvicinato alla Terra (siccome suol fare periodicamente ad intervalli di circa 26 mesi), si trovò a buona portata dei grandi telescopi astronomici; e così fu possibile di fare alcune osservazioni importanti. (…) Da che si è incominciato a studiar Marte con qualche attenzione, è questa la prima volta in cui è accaduto di osservare la completa dissoluzione delle sue nevi antartiche. Essa si può stimare avvenuta circa 55 giorni dopo il solstizio australe, cioè dopo l'epoca, in cui la massima intensità della radiazione solare si fece sentire in quella regione. Nel 1862, trovandosi il pianeta in una stagione identica, Lassell vide quelle medesime nevi ancora molto estese: 94 giorni dopo il solstizio australe il loro diametro non era minore di 500 chilometri. Nell'anno 1880 io le vidi ancora a Brera 144 giorni dopo il solstizio australe. Possiamo argomentare da questo, che in Marte, come sulla Terra, il corso delle stagioni non è perfettamente il medesimo in tutti gli anni, e che si danno colà, come presso di noi, estati più lunghe o più calde, ed altre più brevi o più fresche.
La rapida fusione di così ingenti quantità di neve non può essere senza conseguenze sulle condizioni idrografiche del pianeta. Sulla terra la fusione delle nevi artiche ed antartiche non può essere di molta conseguenza, prima perché le aree ghiacciate polari sono ambedue circondate dal medesimo mare, il quale, se cresce di livello per lo sciogliersi di una parte delle nevi artiche, d'altrettanto decresce pel contemporaneo coagularsi di nuove nevi antartiche. Una simil compensazione non può aver luogo su Marte in modo così semplice od immediato, essendo il maggior mare, che circonda il polo antartico, intieramente separato da quegli altri mari assai minori o piuttosto laghi, che stanno vicino al polo artico; siccome si può vedere dando uno sguardo alla carta di Marte qui unita. L'equilibrio nelle masse liquide dei due emisferi può stabilirsi soltanto per mezzo di deflusso attraverso ai continenti che occupano le regioni intermedie; e questa è la causa per cui all'alternato coagularsi e dissolversi dello nevi intorno ai due poli sono da attribuire in gran parte le mutazioni che si osservano nel sistema idraulico del pianeta. Mutazioni, che ai nostri telescopi son rese manifeste dalla modificata estensione dei mari, e dalla varietà d'aspetto di quelle strisce oscure che segnano le zone d'inondazione e di deflusso; le quali pertanto non senza un po' di ragione furon chiamate canali, quantunque tal nome si debba intendere in senso assai largo. Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le pioggie, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta. Non è un problema privo d'interesse quello di rendersi conto del modo, con cui può avvenire una tale diffusione.
Sulla terra le vicende delle stagioni si corrispondono nei due emisferi con effetti quasi intieramente simmetrici nella loro alternativa. I periodi di freddo e di caldo, di siccità e di pioggia si producono con fasi alternate, ma analoghe, ad intervalli di sei mesi, sotto paralleli di ugual latitudine ai due lati dell'equatore. (…) In Marte le cose sembrano proceder molto diversamente. Come dimostra uno sguardo dato alla carta, tutto o quasi tutto l'Oceano è concentrato intorno al polo australe, al quale per conseguenza, e alle circostanti regioni deve corrispondere una vasta depressione nel suolo solido del pianeta. Al contrario, dall'esser l'emisfero boreale quasi tutto occupato da un gran continente non interrotto, siamo indotti ragionevolmente a credere, che da quella parte si abbian le regioni più elevate, e che più alti di tutti siano i paesi circostanti al polo nord. Questa disposizione di cose fa si, che lo sciogliersi delle nevi polari può avere, pel clima e per la vita organica, conseguenze ben diverse, secondo che si tratta delle nevi australi o delle nevi boreali. È questo un punto, il quale merita di essere esaminato con qualche cura. (…)
L'effetto dello sciogliersi delle nevi australi è dunque di far uscire il mare dai suoi confini, e di produrre qua e là parziali inondazioni del medesimo sopra alcuni lembi del continente. Ora è molto dubbio, se un tal fenomeno possa riuscire di molto vantaggio per la vita organica, e sopratutto pei supposti abitatori del pianeta. (…) In nessun caso potrebbero quelle acque supplire alla coltivazione delle aree continentali, ed ai bisogni dell'agricoltura quale noi l'intendiamo.
Ben diverso è lo stato di cose che ci si presenta allo sciogliersi delle nevi boreali. Essendo queste collocate nel centro del continente, le masse liquide prodotte dalla liquefazione si diffondono sulla circonferenza della regione nevata, convertendo in mare temporaneo una larga zona del terreno circostante; e, correndo verso le regioni più basse, producono una gigantesca inondazione molto bene osservabile ai nostri telescopi. Tale inondazione si estende per molte e grosse ramificazioni sopra terre prima asciutte, formando presso il polo nord laghi molto estesi (…) Da tal regione inondata si diramano grosse strisce oscure, rappresentanti al nostro sguardo altrettante larghe correnti, per le quali le nevi liquefatte ritornano, o tendono almeno a ritornare verso la loro sede naturale che sta nell'altro emisfero, cioè verso le bassure australi occupate dall'Oceano.
Riflettiamo ora, che la neve è il prodotto di una distillazione atmosferica, nella quale l'acqua si riduce alla purezza quasi completa. Se ciò non fosse, l'evaporazione dei nostri mari condurrebbe alla formazione di pioggie d'acqua salata, e di nevi salate; dove tutti sanno, che l'acqua piovana caduta a traverso di una atmosfera non inquinata è acqua quasi assolutamente pura, come assolutamente pura o quasi è l'acqua delle nostre nevi. Adunque la grande inondazione boreale di Marte, risultando dallo scioglimento di nevi cadute in terreno prima asciutto, e non essendo mescolata alle acque di un Oceano, sarà libera da quei sali e da quelle mescolanze, da cui non si può dubitare che sia inquinato l'Oceano australe del pianeta. Ne possiamo concludere, che se nelle parti asciutte o continentali della superficie di Marte vi è vita organica, gli è esclusivamente o quasi esclusivamente allo sciogliersi delle nevi boreali che deve la sua esistenza: gli è dalla giusta e opportuna ripartizione delle acque venenti dal polo nord, che dipende il suo progresso e il suo sviluppo. E se in Marte esiste una popolazione di esseri ragionevoli capace di vincere la Natura e di costringerla a servire ai propri intenti, la regolata distribuzione di quelle acque sopra le regioni atte a coltura deve costituire il problema principale e la continua preoccupazione degli ingegneri e degli statisti.
Concediamo ora alla fantasia un più libero volo (…)
Comparando il globo della Terra con quello di Marte sotto il rispetto della loro costituzione meteorologica ed idrografica, subito ci appare manifesto, dalle cose dette di sopra, quanto il primo dei due sia meglio disposto per accogliere la vita organica e per favorirne lo sviluppo nelle sue forme superiori. (…) Assai più dure condizioni di esistenza ha fatto la Natura ai poveri Marziali. Dove rare sono le nuvole e mille le pioggie, ivi mancano certamente le fonti ed i corsi d'acqua. Tutto per loro sembra dipendere, come già si è accennato, dalla grande inondazione prodotta nello sciogliersi delle nevi polari boreali. La loro conservazione o la loro prosperità richiede ad ogni costo, che siano arrestate nella maggior quantità possibile, e trattenute per tutto il tempo necessario quelle acque, prima che vadano a perdersi nel mare australe; che se ne approfitti nel modo più efficace alla coltura di aree abbastanza vaste per assicurare durante un intero anno Marziale (23 mesi nostri) l'esistenza di tutto ciò che vive sul pianeta. Problema forse non tanto facile e non tanto semplice! perché la somma di acqua disponibile è al più quella che hanno formato le nevi boreali d'una sola invernata; quantità certamente assai grande, la quale però, ripartita sopra tutti i continenti, potrebbe presto diventare insufficiente, anche non tenendo conto delle perdite inevitabili per evaporazione, filtrazione, errori di distribuzione, ecc.
Bastan questi riflessi a persuaderci, che le molte strisce oscure, onde il pianeta è solcato per ogni verso, larghe talvolta quanto il Mar Adriatico od il Mar Rosso e quasi sempre assai più lunghe, non possono, malgrado il nome da noi loro assegnato di canali, rappresentare nella loro vera larghezza arterie di deflusso delle acque boreali. Se tali fossero, basterebbero a dar passo in poche ore a tutta quanta la grande inondazione. Non solo le acque non potrebbero esser impiegate a colture che richiedessero la durata di alcuni mesi, ma giungerebbero al mare e vi si perderebbero prima che un vantaggio qualunque se ne potesse trarre. Certo per le vie segnate da quelle strisce ha luogo un deflusso, ma non tutte intiere quelle strisce servono al deflusso. La loro larghezza è per tale scopo eccessiva, né a questo scopo corrisponde bene il loro variabile aspetto, e la loro geminazione. Ciò che noi vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi corsi d'acqua, come da alcuno fu creduto. L'ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla Terra]. Queste zone di vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un colore più cupo, dovuto, com'è da credere, al fatto stesso dell'inaffiatura (si sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l'asciutto e disseccato dal sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione; mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore dobbiamo d'or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie continentale di Marte ad esso appartengano (…)
La mente nostra non è avvezza a concepire tali grandiose opere come effetto di potenze comparabili a quella dell'uomo. Quando però dalla considerazione generale di questi fatti si scende allo studio minuto dei loro particolari, e sopratutto si ferma l'attenzione sopra le misteriose geminazioni e sulla straordinaria regolarità di forma ch'esse presentano, l'idea che qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può esser considerata come intieramente assurda. Anzi, al punto in cui siamo giunti, e data la verità delle cose sin qui esposte, tale supposizione perde quel carattere d'audacia che ci spaventava da principio, e diventa quasi una conseguenza necessaria. (…)
E passando ad un ordine più elevato d'idee, interessante sarà ricercare qual forma d'ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose, quale abbiamo descritto; se l'intreccio, anzi la comunità d'interessi, onde son fra loro inevitabilmente legati gli abitanti d'ogni valle, non rendano qui assai più pratica e più opportuna, che sulla Terra non sia, l'istituzione del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti qualche cosa di simile ad un colossale falanstero, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti. Bello altresì sarà indagare, se sia meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così grandioso, vario e complicato complesso d'affari: quali progressi debbano aver fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l'Idraulica e l'arte delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina, concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre: dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi abitanti d'un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l'avara Natura oppone ad ogni passo.
Marte paradiso dei socialisti? ecco dove era finito il PD.
RispondiEliminaEnrico, avevi dubbi? :-)
RispondiEliminaL'idea del federalismo mi pare di averla già udita...
RispondiEliminaMi sembrava un pò lungo e invece si legge d'un fiato!
Devo ricordarmi di segnalarlo a Stefano Sandrelli, prima di ritornare a Milano, e comunque ti lascio un grazie preventivo: ancora non lo so, ma magari mi sarà utile!
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