sabato 25 settembre 2021

Harold Urey e la scoperta del deuterio

 


Isotopia

La teoria atomica di John Dalton del 1803 aveva unito l’idea antica dell’atomo con il concetto di Antoine Lavoisier di elemento chimico: ogni elemento corrispondeva a un diverso tipo di atomo, e atomi diversi avevano pesi atomici differenti. Più di un secolo dopo Dalton, divenne evidente che un particolare elemento poteva presentare atomi con proprietà chimiche simili ma pesi atomici diversi, cioè era costituito da isotopi diversi. Il nuovo campo della chimica nucleare riguardava l’identificazione e la separazione degli isotopi; pochi anni più tardi, gli scienziati di Berkeley sarebbero stati i primi a trasformare l’isotopo di un elemento nell’isotopo di un elemento del tutto nuovo. Un moderno dizionario (qui il Treccani) potrebbe spiegare il concetto in questo modo: “iṡòtopo s. m. [dall’ingl. isotope (comp. di iso- e gr. τόπος «luogo»)]: In chimica fisica, nome con cui vengono indicati atomi appartenenti allo stesso elemento, con uguale numero di protoni e uguali proprietà chimiche ma che, possedendo un diverso numero di neutroni, hanno differente peso atomico, cioè massa diversa, e sono quindi fisicamente diversi tra loro”. Questa spiegazione sembra incomprensibile se vista dagli anni ‘20 del Novecento: il nome “isotopo” fu proposto da Frederick Soddy nel 1913, ma il neutrone non fu scoperto che nel 1932 da James Chadwick. Soddy definì i diversi isotopi semplicemente come atomi che presentano pesi atomici diversi ma sono identici chimicamente.

Molti elementi si presentano in più forme isotopiche. Dei 92 elementi naturalmente presenti sulla Terra, solo 21 sono monotopici. Il resto è composto da più isotopi, molti dei quali sono stabili o decadono in tempi così straordinariamente lunghi da poter essere considerati effettivamente stabili per applicazioni appropriate. Ad esempio, il cloro che si trova in natura, che ha un peso atomico misurato di circa 35,5, è una miscela di due isotopi, 35Cl con peso atomico 35 e 37Cl con peso atomico 37, in un rapporto rispettivamente di circa 3 a 1. Per altri elementi, come ad esempio l’idrogeno, il cui isotopo più abbondante 1H costituisce quasi tutta la sostanza presente in natura (99,98%), era difficile determinare persino se esistessero altri isotopi. Le differenze chimiche tra gli isotopi dello stesso elemento sono solitamente piccole, perché il numero di protoni è chimicamente molto più importante di quello dei neutroni. Per il cloro, ad esempio, l’aumento relativo del peso atomico da 35Cl a 37Cl è solo di circa il 5%, e le conseguenze chimiche di tale piccola differenza sono solitamente insignificanti. Ma, per l’idrogeno, la differenza tra il peso atomico dell’isotopo più abbondante, con peso atomico 1, e quello di un (allora ipotetico) isotopo con peso atomico 2 sarebbe del 100% e ci si aspettava che l’effetto chimico sarebbe stato significativo. Per l’idrogeno, scoprire un nuovo isotopo sarebbe stato quasi come scoprire un nuovo elemento. Soddy, infatti, non pensava che l’isotopo più pesante dell’idrogeno si adattasse alla sua definizione di isotopo. Dopo la scoperta del neutrone, gli isotopi furono definiti come specie atomiche aventi lo stesso numero di protoni nei loro nuclei ma diverso numero di neutroni. Ma Soddy si atteneva all'inseparabilità chimica come criterio per gli isotopi e quindi rifiutò di riconoscere il deuterio come isotopo dell'idrogeno. Per Soddy, il deuterio era una specie di idrogeno, con diverso peso atomico, ma non un isotopo dell'idrogeno.

Ci furono diverse congetture sull’esistenza di un isotopo più pesante dell’idrogeno a partire dal 1928. Si dice che il grande chimico termodinamico Gilbert N. Lewis fosse interessato all’esistenza di un tale possibile isotopo già alla fine degli anni ‘20. Durante una conferenza a Berkeley, Raymond Birge, presidente del dipartimento di fisica, fece cenno al fatto che stava ottenendo valori contraddittori per il peso atomico dell’idrogeno a seconda della sua origine. Disse che l’idrogeno preparato dall’acqua in una cella elettrolitica che era stata usata nel dipartimento di fisica per anni sembrava più pesante che l’idrogeno di altre fonti. Lewis si chiese se potesse esistere un isotopo pesante dell’idrogeno che era stato concentrato nel tempo dai ripetuti processi di distillazione. Chiese a Simon Freed, che all’epoca era un docente a Berkeley, di confrontare la densità dell’acqua della distilleria di Birge con quella di normale acqua distillata. Quando Freed chiese a Lewis con quale accuratezza dovesse misurare la densità, Lewis rispose: “Oh, quattro decimali dovrebbero bastare”. Non era per nulla abbastanza. Se Freed avesse proseguito fino a cinque decimali, avrebbe potuto trovare la prova dell’esistenza dell’idrogeno pesante.

Ferdinand G. Brickwedde, uno dei collaboratori di Urey nella scoperta dell’idrogeno pesante, descrisse con questo aneddoto l’interesse di quegli anni per gli isotopi dell’idrogeno:

"Ricordo una conversazione nel 1929 con Urey e Joel Hildebrand, uno stimato professore di chimica a Berkeley, durante una corsa in taxi tra il loro hotel e il centro conferenze per un incontro scientifico a cui stavamo partecipando a Washington. Quando Urey chiese a Hildebrand cosa ci fosse di nuovo nella ricerca a Berkeley, Hildebrand rispose che William Giauque e Herrick Johnston avevano appena scoperto che l'ossigeno ha isotopi con peso atomico 17 e 18 [oltre all’isotopo più comune con peso atomico 16], e che l'isotopo di peso 18 era più abbondante. Il loro articolo sarebbe apparso a breve sul Journal of the American Chemical Society. Poi Hildebrand aggiunse: "Non avrebbero potuto trovare isotopi in un elemento più importante". Urey rispose: "No, a meno che non sia l’idrogeno".”

La scoperta del deuterio da parte di Urey è una storia dell'uso fruttuoso dei primi modelli nucleari e termodinamici. Ma è anche una storia di opportunità perse ed errori, alcuni particolarmente interessanti per il ruolo cruciale e positivo che hanno avuto nella scoperta. Uno sguardo alla natura del lavoro teorico e sperimentale che ha portato alla scoperta dell'idrogeno di massa 2 rivela molto sul modo in cui la fisica e la chimica venivano fatte quasi un secolo fa.

Urey

Era il giorno del Ringraziamento del 1931 quando Harold Clayton Urey (1893-1981) trovò la prova definitiva di un isotopo pesante dell'idrogeno. Egli arrivò tardi a pranzo, dove lo attendevano la moglie e alcuni ospiti. Si scusò dicendo “Bene, Frieda, ce l’abbiamo fatta”

Urey era nato in una fattoria dell'Indiana nel 1893 e durante l'infanzia si trasferì con la sua famiglia in una fattoria nel Montana. Dopo essersi diplomato al liceo, insegnò per tre anni nelle scuole pubbliche; poi entrò alla Montana State University per studiare zoologia e chimica. Aveva pochi soldi, e durante l'anno accademico dormiva e studiava in una tenda. In estate lavorava per posare binari ferroviari nel nord-ovest. Urey si laureò nel 1917: c'era bisogno di chimici nello sforzo bellico e subito trovò lavoro a Filadelfia in una fabbrica di esplosivi. Dopo la guerra, insegnò chimica per due anni alla Montana State University e nel 1921 entrò all'Università della California a Berkeley come studente di dottorato in chimica, lavorando sotto la guida di Gilbert N. Lewis. Già da studente, Urey era un pioniere nel calcolo delle proprietà termodinamiche ricavate dai dati spettroscopici. Conseguì il dottorato di ricerca nel 1923 e trascorse l'anno accademico successivo all’'Istituto di Fisica di Niels Bohr a Copenaghen. Dopo Copenaghen, Urey entrò a far parte della Johns Hopkins University. Mentre era alla Hopkins, fu coautore con Arthur E. Ruark del classico Atoms, Molecules and Quanta, che fu il primo libro di testo completo sulla struttura atomica scritto in inglese.

Il lavoro di Urey collegava chimica e fisica. Nel 1929 fu nominato professore associato di chimica alla Columbia University e dal 1933 al 1940 fu il fondatore e redattore del Journal of Chemical Physics, pubblicazione dell'American Institute of Physics. Nel 1934, solo tre anni dopo la scoperta del deuterio, Urey ricevette il premio Nobel per la chimica.

Nel 1913, Arthur B. Lamb e Richard Edwin Lee, lavorando alla New York University, avevano pubblicato una misurazione molto precisa della densità dell'acqua pura. Le loro misurazioni erano sensibili a 2 x 10-7 g/cm3. Vari campioni di acqua, che erano stati accuratamente preparati utilizzando le migliori tecniche di purificazione e controlli di temperatura, variavano in densità fino a 8 x 10-7 g/cm3. I due conclusero che l'acqua pura non possiede una densità unica. Oggi sappiamo che l'acqua varia nella composizione isotopica e che campioni di acqua con composizioni isotopiche diverse hanno pressioni di vapore diverse, rendendo la distillazione un processo di frazionamento. L'indagine Lamb-Lee è interessante perché fu il primo studio riportato in cui una differenza isotopica nelle proprietà era chiaramente evidente. L'esistenza degli isotopi fu proposta indipendentemente da Frederick Soddy, in Inghilterra, e da Kasimir Fajans, in Germania, nel 1913: meno di due decenni dopo, al momento della scoperta del deuterio, gli isotopi erano un attivo campo di ricerca, che avviò il rapido sviluppo della fisica nucleare.  Si cercavano risposte a domande sull’esistenza degli isotopi e cosa determinasse il loro numero, le loro abbondanze relative e masse.

Urey, insieme ad altri, costruì grafici degli isotopi conosciuti per mostrare le relazioni che influiscono sulla loro esistenza. In figura c’è uno dei grafici di Urey. All'epoca, il neutrone non era stato scoperto: lo sarebbe stato l'anno dopo il deuterio. Il grafico si basava sulla teoria che i nuclei atomici fossero composti da protoni, tracciati qui in ordinate, ed elettroni nucleari, tracciati in ascisse: il numero di protoni era il numero di massa nucleare e il numero di elettroni nucleari era il numero di protoni meno il numero atomico dell'elemento. Nel diagramma di Urey, i cerchi pieni rappresentano i nuclei da 1H a 30Si che erano noti prima del 1931. I cerchi aperti rappresentano nuclei sconosciuti prima del 1931. Lo schema di linee sfalsate del grafico, quando esteso fino a 1H, suggeriva a Urey che gli atomi 2H, 3H e 5He potevano esistere perché erano necessari per completare la struttura.


Urey aveva appeso una copia di questo grafico a una parete del suo laboratorio. L'isotopo elio-5 non esiste e la linea sfalsata non fornisce un posto per l'isotopo elio-3, che è stato scoperto in seguito. Il diagramma ora è solo di interesse storico, ma è stato un incentivo per Urey a cercare un isotopo pesante dell'idrogeno.

Esperimenti e calcoli

Nel 1931, l'anno della scoperta del deuterio, Raymond T. Birge, professore di fisica a Berkeley, e Donald H. Menzel, professore di astrofisica al Lick Observatory, pubblicarono una lettera all'editore di Physical Review. sulle abbondanze relative degli isotopi dell'ossigeno in relazione ai due sistemi di pesi atomici allora in uso: il sistema fisico e il sistema chimico. I pesi atomici nel sistema fisico erano determinati con lo spettrografo di massa e erano basati imponendo il peso atomico dell'isotopo 16O esattamente a 16. Nel sistema chimico, i pesi atomici erano determinati con tecniche di massa e i valori erano basati imponendo a 16 il peso atomico della miscela naturale degli isotopi di ossigeno, 16O, 17O e 18O. Quindi i pesi atomici di un singolo isotopo o elemento sulle due scale dovevano differire, dovendo essere maggiori con il sistema fisico. 

Tuttavia, nel 1931, i pesi atomici dell'idrogeno sulle due scale erano gli stessi all'interno degli errori sperimentali dichiarati. Il valore chimico era 1,00777 + 0,00002. Il valore spettrografico di massa, determinato da Francis William Aston del Cavendish Laboratory a Cambridge (Nobel per la chimica nel 1922 per i suoi lavori in spettrografia), era di 1,00778 + 0,00015. Birge e Menzel sottolinearono che la quasi coincidenza di questi due pesi atomici portava alla conclusione che l'idrogeno normale è una miscela di isotopi: 1H ad alta concentrazione e un isotopo pesante a bassa concentrazione. Il peso atomico non era più alto sulla scala fisica perché le tecniche di spettroscopia di massa individuavano solo l'isotopo leggero. All'isotopo pesante diedero il simbolo 2H, forse per la prima volta in letteratura. Supponendo che il peso atomico dell'idrogeno pesante fosse 2, Birge e Menzel calcolarono la sua abbondanza relativa dalla presunta equivalenza dei pesi atomici dell'idrogeno sulla scala fisica e la normale miscela di isotopi dell'idrogeno sulla scala chimica. Ottennero 1/4500 per l'abbondanza di 2H rispetto a 1H.

Un paio di giorni dopo aver ricevuto il numero del 1° luglio 1931 della Physical Review, Urey propose e pianificò un'indagine per determinare se un isotopo pesante dell'idrogeno esisteva davvero. Urey e George Murphy, lavorando alla Columbia University, identificarono l'idrogeno e il suo isotopo spettroscopicamente, usando le linee della serie Balmer, che descrivono le righe dello spettro dell'atomo di idrogeno. La serie di Balmer è caratterizzata dalle transizioni elettroniche da n ≥ 3 a n = 2. Questi passaggi sono indicati ciascuno da una lettera greca: la transizione 3→2 è associata alla lettera α, la 4→2 alla β e così via. Poiché storicamente queste righe sono state le prime ad essere identificate, il loro nome è formato dalla lettera H, il simbolo dell'idrogeno, seguita dalla lettera greca associata alla transizione.


Lo spettro atomico era ottenuto con una lampada di Wood a scarica elettrica fatta funzionare nel cosiddetto stadio nero, la configurazione di corrente e pressione che eccita maggiormente lo spettro atomico dell'idrogeno rispetto al suo spettro molecolare. Le lunghezze d'onda del vuoto delle righe dell’idrogeno pesante furono calcolate utilizzando la formula della serie di Balmer:

dove R è la costante di Rydberg per l’idrogeno, uguale a 1,097 x 107 m-1; p = 2 e n = 3, 4, 5, ...


Le linee α di Balmer dell'idrogeno leggero e di quello pesante erano separate da 1,8 Å, le linee β da 1,3 Å e le linee γ da 1,2 Å. Le concentrazioni di 2H relative a 1H furono determinate confrontando i tempi necessari per produrre linee di 1H e 2H di uguale densità fotografica. I tempi di esposizione per H-β e H-γ erano di circa 1 secondo.


Urey e Murphy trovarono linee molto deboli nelle posizioni calcolate per 2H-β, 2H-γ e 2H -δ, a causa della bassa concentrazione di deuterio nell'idrogeno normale. C'era la possibilità che le nuove righe provenissero da impurità, o che fossero righe fantasma derivanti dal relativamente intenso spettro di Balmer dell'idrogeno.

Urey decise di non precipitarsi alla stampa per rivendicare la priorità in questa scoperta; pensò fosse meglio rimandare la pubblicazione fino a quando non avesse avuto prove conclusive che le "nuove" righe spettrali attribuite all'isotopo pesante fossero autentiche e non impurità o righe fantasma. Questa sicurezza poteva essere ottenuta aumentando la concentrazione di 2H nell'idrogeno che riempiva la lampada di Wood, cercando un aumento di intensità delle linee di Balmer di 2H rispetto a quelle dell'idrogeno leggero.

Attraverso calcoli di meccanica statistica e basandosi sulla teoria di Peter Debye dei solidi (l'equivalente nello stato solido della legge di Planck sulla radiazione di corpo nero), Urey pensò che la distillazione dell’idrogeno liquido avrebbe arricchito la concentrazione dell’isotopo pesante. Egli si aspettava che l’idrogeno normale sarebbe evaporato più rapidamente, lasciando un eccesso dell’isotopo pesante nella fase liquida. Ma per ottenere una piccola quantità di idrogeno pesante liquido, calcolò che avrebbe dovuto partire con una quantità di idrogeno liquido di almeno 5-6 litri, che doveva evaporare più del 99,9% per dare almeno 2 cm3 da analizzare.

Urey contattò Brickwedde presso il National Bureau of Standards di Washington, invitandolo a unirsi alla ricerca.  All'epoca, nel 1931, c'erano solo due laboratori negli Stati Uniti in cui l'idrogeno liquido era disponibile in quantità di 5 o 6 litri. Uno era il National Bureau of Standards e l'altro era il laboratorio di William Francis Giauque all'Università della California a Berkeley. Distillando idrogeno liquido, Brickwedde preparò i campioni in cui poter identificare l'isotopo pesante. Il primo dei campioni inaspettatamente non ne mostrava una concentrazione più elevata. Si rifecero le distillazioni, e questa volta i campioni mostrarono aumenti di 6 o 7 volte nelle intensità delle linee di Balmer del deuterio. Su questa base, si sarebbe potuto concludere che le righe nel normale spettro dell'idrogeno attribuite all’idrogeno pesante erano davvero righe di 2H, ma la prova conclusiva fu la scoperta che l'immagine fotografica della linea di Balmer 2H-α, quella più intensa, era un doppietto parzialmente diviso, come previsto dalla teoria per lo spettro della serie di Balmer. La presenza di picchi satellite indica infatti la presenza di isotopi minoritari dei vari elementi. 

I due fisici della Columbia cercarono anche l’isotopo H-3 (trizio), ma senza esito. Sebbene “nessuna prova per H3 è stata finora trovata, (...) si può tuttavia ancora pensare che questa specie nucleare esista”. Questo isotopo radioattivo con due neutroni e massa 3 sarebbe stato prodotto nel 1934 da Rutherford.

Dalle misurazioni delle intensità relative delle linee della serie di Balmer, Urey stimò che c'era un atomo pesante per 4500 atomi leggeri nell'idrogeno normale. Misure successive mostrarono che il valore era più vicino a 1/7000 (oggi si indica 1/6420).

In seguito, fu chiaro perché il primo idrogeno distillato inviato a Urey non mostrava l'aumento previsto della concentrazione di 2H, e forse persino una piccola diminuzione. La spiegazione arrivò con la scoperta del metodo elettrolitico per separare 1H e 2H, suggerito da Edward W. Washburn, capo chimico del National Bureau of Standards, e verificato sperimentalmente da Washburn e Urey subito dopo la pubblicazione dell’articolo dell'aprile 1932.

Quando Urey considerò metodi diversi per concentrare 2H, incluse il metodo elettrolitico e ne discusse con Victor LaMer, un collega della Columbia e un'autorità mondiale in elettrochimica, che però lo dissuase, pensando che le differenze nelle concentrazioni di equilibrio degli isotopi agli elettrodi di una cella a temperatura ambiente erano molto piccole e quindi un frazionamento degli isotopi sarebbe stato trascurabile.

Washburn vedeva la situazione in modo diverso. Indicò la grande differenza relativa nei pesi atomici degli isotopi dell'idrogeno, molto più grande per gli isotopi dell'idrogeno che per gli isotopi di qualsiasi altro elemento. Quindi, pensava Washburn, gli isotopi dell'idrogeno potevano comportarsi in modo diverso da quelli degli altri elementi.

Washburn aveva ragione: gli isotopi dell'idrogeno vengono separati con relativa facilità mediante elettrolisi, ma ciò fu compreso solo dopo la scoperta dell’isotopo pesante.

L'idrogeno che era stato liquefatto e distillato per Urey era generato elettroliticamente. Prima di preparare il primo campione per Urey, il generatore elettrolitico fu completamente smontato, pulito e riempito con una soluzione di idrossido di sodio appena preparata. Poiché 2H si concentra nell'elettrolita nel generatore, il primo idrogeno gassoso ad essere scaricato ne era carente. La sua concentrazione nell'idrogeno sviluppato era circa un sesto di quella nell'elettrolita, e quindi circa un sesto della concentrazione normale nell'idrogeno. Man mano che l’elettrolisi progrediva veniva aggiunta acqua per sostituire quella consumata. La concentrazione di normale nell'elettrolita aumentava fino al punto in cui la velocità con cui 2H lasciava il generatore bilanciava la velocità con cui era arrivato nell'acqua aggiunta. Quindi, dopo che il generatore elettrolitico era stato in uso per un po' di tempo, c'era un equilibrio dinamico; perciò l'idrogeno preparato dal generatore per il secondo e terzo campione per Urey aveva approssimativamente la normale concentrazione di 2H. 

Urey diede il nome di “deuterio” (D) all’isotopo di massa 2. Non si usava dare il nome agli isotopi, ma l’isotopo pesante dell’idrogeno, che ci aspettava fosse abbastanza diverso chimicamente dall’idrogeno leggero a causa della sua massa doppia, sarebbe stato un’eccezione (per fortuna non fu chiamato deuzio, in analogia con pròzio e trizio!).

Dopo la scoperta del deuterio, Urey affrontò un problema molto pratico nel comunicarlo, caratteristico dello stato della ricerca prima della Seconda guerra mondiale. La ricerca di Urey alla Columbia, e quella al National Bureau of Standards furono condotte senza il sostegno di alcun sussidio governativo per la ricerca. Si diceva che le ricerche in quel periodo si facessero con spago e ceralacca; fu infatti compiuta per lo più con apparecchi fatti in casa. La politica del governo degli Stati Uniti di sovvenzioni a sostegno della ricerca risale a un'epoca successiva, dopo la Seconda Guerra mondiale.

Prima della guerra era un problema reperire fondi per le trasferte alle riunioni scientifiche. Fu solo a fatica che Brickwedde e Urey riuscirono a raccogliere i fondi necessari per recarsi alla riunione dell'American Physical Society del dicembre 1931 alla Tulane University, dove avevano in programma di presentare il documento che riportava la scoperta del deuterio. Nei mesi successivi pubblicarono maggiori dettagli in una lettera all'editore e un articolo completo sulla Physical Review.

Errori fortunati

Quattro anni dopo la scoperta del deuterio, Francis Aston riportò un errore nel suo precedente valore spettrografico di massa di 1,00778 per il peso atomico di 1H sulla scala fisica, il valore usato da Birge e Menzel nel loro articolo del 1931. Il valore rivisto sulla scala fisica era 1,00813, che corrisponde a 1,0078 sulla scala chimica, in accordo con il valore allora attuale per il peso atomico dell'idrogeno (1,00777) sulla scala chimica. Non c'era quindi bisogno o posto per un isotopo pesante dell'idrogeno. La conclusione di Birge e Menzel era pertanto sbagliata. In effetti, sulla base del valore rivisto di Aston, Birge e Menzel sarebbero stati obbligati a concludere che, semmai, esisteva un isotopo dell'idrogeno più leggero, non più pesante.

La previsione di Birge e Menzel di un isotopo pesante dell'idrogeno si basava su due valori errati per il peso atomico dell'idrogeno, vale a dire il valore spettrografico di massa di Aston e il valore chimico, che avrebbe dovuto essere anche maggiore. L'errore sperimentale nella determinazione dei pesi atomici superava la differenza dei pesi atomici sulle due scale.

Urey non ne era a conoscenza quando progettava il suo esperimento. Non lo fu fino al 1935, quando il suo discorso di accettazione del premio Nobel fu la prova che Aston aveva pubblicato il suo valore rivisto. Urey aggiunse quanto segue alla sua lectio di ricevimento del Nobel:

“Addendum - Da quando è stata scritta [questa lezione Nobel], Aston ha rivisto il suo peso atomico spettrografico di massa dell'idrogeno da 1,0078 a 1,0081. Con questa massa per l'idrogeno, l'argomento di Birge e Menzel non è valido. Tuttavia, preferisco lasciare che l'argomento di questo paragrafo resti, anche se ora sembra errato, perché questa previsione è stata importante nella scoperta del deuterio. Senza di esso è probabile che non lo avremmo ricercato e la scoperta del deuterio potrebbe essere stata ritardata di molto tempo”.

Questo fatto, un’importante scoperta basata su dati non corretti, è più comune di quanto si è soliti pensare: Gilbert Lewis fece notare una volta che Dalton aveva basato la sua teoria atomica del 1803 sulla proporzione definita tra gli elementi, e che i dati sperimentali che lo avevano convinto della natura generale della legge riguardavano gli ossidi di azoto. Ebbene, alcuni dei suoi esperimenti su questi composti erano completamente sbagliati e indicavano una forte predisposizione verso la conclusione che poi raggiunse. Adesso parleremmo di bias cognitivo. 

Inutile dire che Urey e i suoi colleghi erano molto contenti che fosse stato commesso un errore di questo tipo. Aston disse che non sapeva quale fosse la morale di tutto questo. Difficilmente consigliava alle persone di sbagliare intenzionalmente, e pensava che, forse, l'unica cosa da fare era continuare a lavorare.

Dopo la scoperta

I premi Nobel per la fisica e la chimica vengono assegnati per il lavoro, sperimentale o teorico, che ha apportato un cambiamento significativo nel lavoro in corso e nel pensiero scientifico. L'annuncio che Urey era stato scelto come vincitore del 1934 in chimica arrivò meno di tre anni dopo la scoperta del deuterio. Questo premio insolitamente precoce seguiva una spettacolare corsa nella ricerca relativa al deuterio. Nel primo biennio successivo alla scoperta, furono pubblicati più di cento articoli di ricerca relativi al deuterio e ai suoi composti chimici, compresa l'acqua pesante. E ce ne furono più di cento in più nell'anno successivo, il 1934.

L'uso del deuterio come tracciante ha permesso di seguire il corso delle reazioni chimiche che coinvolgono l'idrogeno. Ciò è stato particolarmente fruttuoso nelle indagini su processi fisiologici complessi e nella chimica medica.

Inoltre, la scoperta dell'idrogeno pesante ha fornito un nuovo proiettile, il deuterone, o deutone (nucleo del deuterio), per esperimenti di bombardamento nucleare. Il deuterone si è dimostrato notevolmente efficiente nel disintegrare un certo numero di nuclei leggeri in modi nuovi. Poiché il deuterone, con un protone e un neutrone, è il nucleo più semplice, gli studi della sua struttura e della sua interazione protone-neutrone hanno assunto un'importanza fondamentale per la fisica nucleare. 

Dopo la scoperta del deuterio, Urey presiedette la Federazione universitaria per la democrazia e la libertà intellettuale. Sostenne la causa repubblicana durante la guerra civile spagnola, fu uno dei primi oppositori del nazismo tedesco e aiutò gli scienziati rifugiati, incluso Enrico Fermi, aiutandoli a trovare lavoro negli Stati Uniti e a adattarsi alla vita in un nuovo paese.

Quando scoppiò la Seconda guerra mondiale in Europa nel 1939, Urey era riconosciuto come un esperto mondiale di separazione degli isotopi. Fino ad allora la separazione aveva coinvolto solo gli elementi leggeri. Nel 1939 e nel 1940, Urey pubblicò due articoli sulla separazione degli isotopi più pesanti. Urey coordinò tutti la ricerca americana sulla separazione degli isotopi, compreso lo sforzo per produrre acqua pesante, che poteva utilizzata come moderatore di neutroni nei reattori nucleari.

Nel maggio 1941, Urey fu nominato membro del Committee on Uranium, che sovrintendeva al progetto sull'uranio come parte del Comitato di Ricerca della Difesa Nazionale (NDRC). Lo stesso anno guidò una missione diplomatica in Inghilterra per stabilire una cooperazione per lo sviluppo della bomba atomica. Nel maggio 1943, mentre il Progetto Manhattan prendeva slancio, divenne capo dei Substitute Alloy Materials Laboratories (SAM Laboratories) alla Columbia, responsabili dello studio e produzione dell'acqua pesante e di quasi tutti i processi di arricchimento degli isotopi.

Dopo la guerra, Urey non continuò le sue ricerche prebelliche sugli isotopi. Tuttavia, applicando le conoscenze acquisite con l'idrogeno e l'ossigeno, aprì la strada alla ricerca paleoclimatica. In seguito, Urey contribuì a sviluppare il campo della cosmochimica e a lui si deve il conio del termine. Il suo lavoro sull'ossigeno-18 lo portò a sviluppare teorie sull'abbondanza degli elementi chimici sulla Terra e sulla loro abbondanza ed evoluzione nelle stelle. Urey ipotizzò che l'atmosfera terrestre primitiva fosse composta da ammoniaca, metano e idrogeno. Uno dei suoi studenti laureati a Chicago, Stanley L. Miller, mostrò nell'esperimento Miller-Urey (1952) che, se una tale miscela viene esposta a scintille elettriche e all'acqua, può interagire per produrre amminoacidi, comunemente considerati i mattoni della vita.


Nel 1958 raggiunse l'età pensionabile all'Università di Chicago, ma accettò un posto di professore presso la nuova Università della California a San Diego (UCSD) e si trasferì a La Jolla. Successivamente fu nominato professore emerito dal 1970 al 1981. 

Alla fine degli anni '50 e all'inizio degli anni '60, la scienza spaziale divenne un argomento di ricerca sulla scia del lancio dello Sputnik. Urey contribuì a persuadere la NASA a rendere prioritarie le sonde senza equipaggio da inviare sulla Luna. Quando l’Apollo 11 restituì campioni di roccia lunare, Urey li esaminò: essi supportavano la sua tesi secondo cui la Luna e la Terra hanno un'origine comune. Mentre era alla UCSD, Urey pubblicò 105 articoli scientifici, 47 dei quali su argomenti lunari. Morì a La Jolla il 5 gennaio 1981.

 

martedì 21 settembre 2021

Alla scoperta delle particelle atomiche

 


Un fisico è il modo che ha l'atomo di sapere qualche cosa sugli atomi

Le indagini per scoprire la struttura interna dell'atomo iniziarono con la scoperta dell'elettrone da parte del fisico inglese J. J. Thomson nel 1897. Thomson dimostrò che i raggi catodici non erano una sorta di fenomeno indefinito che si verificava in un "etere" ancor più vago, ma erano in realtà composti da particelle estremamente piccole e cariche negativamente, perché erano respinte dall'elettrodo negativo di un tubo di scarica (tubo di Crookes). Thomson chiamò queste cariche negative "corpuscoli". Il lavoro di Thomson fu pubblicato nell'edizione di marzo del 1904 del Philosophical Magazine. Per i corpuscoli di Thomson si riprese poi il nome di elettrone proposto nel 1891 dall’irlandese George Stoney quando introdusse il concetto puramente matematico di "unità di carica fondamentale". Nel suo articolo, Thomson, dimostrò che gli elettroni erano molto più piccoli dell’atomo, ne erano dei costituenti e, quindi, che l’atomo non era la particella fondamentale della materia (l’atomo, che significa “non divisibile”, era divisibile).

Thomson propose per l'atomo un modello continuo: esso era visto come una nube di carica positiva che compensava la carica negativa degli elettroni, i quali erano disposti al suo interno in modo quasi casuale, come i canditi nel tipico dolce natalizio britannico, il plum pudding, o come anche l'uvetta nel panettone. Da ciò, si indica usualmente il modello atomico di Thomson come “modello a panettone”. È importante notare che, in questa rappresentazione, gli elettroni, seppur disposti casualmente, non sono statici. La loro carica esatta (per i tempi) fu misurata nel 1909 da Robert Millikan e Harvey Fletcher.



Il fisico giapponese Hantaro Nagaoka rifiutò il modello di Thomson sulla base del fatto che le cariche opposte sono impenetrabili. Nel 1904 propose un modello planetario alternativo dell'atomo, in cui un centro carico positivamente è circondato da un numero di elettroni rotanti, alla maniera di Saturno e dei suoi anelli. Tuttavia, molti dettagli del modello non erano corretti. In particolare, gli anelli elettricamente carichi sarebbero instabili a causa della perturbazione repulsiva. Lo stesso Nagaoka abbandonò il modello nel 1908.


Nello stesso periodo, anche le scoperte relative al fenomeno della radioattività avevano iniziato a dare impulso alla ricerca atomica. Nel 1896, il francese Antoine Becquerel individuò le forme base di radioattività, che Ernest Rutherford, allora uno studente di Thomson, chiamò alfa e beta. Nello stesso anno, i coniugi Marie e Pierre Curie iniziarono a lavorare sull'emissione di radiazioni da parte dell'uranio e del torio. I Curie presto annunciarono le loro scoperte fondamentali sulla radioattività naturale di radio e polonio. Nel 1900, Becquerel poté comunicare che le particelle beta e gli elettroni erano la stessa cosa.



L’importanza di chiamarsi Ernest

Nel primo decennio del XX secolo, Ernest Rutherford (1871-1937), iniziò a riunire tutte queste informazioni in un insieme coerente. Rutherford era figlio di una famiglia di contadini inglesi emigrati in Nuova Zelanda. Talento precoce, nel 1895 aveva ottenuto una borsa di ricerca per recarsi in Inghilterra presso il Cavendish Laboratory dell’Università di Cambridge, che allora era diretto da J.J. Thomson, con il quale contribuì alla scoperta dell'elettrone. 

Nel 1903, propose che la radioattività fosse causata dalla rottura degli atomi. Frederick Soddy (Nobel per la chimica nel 1921), insieme a Rutherford, scoprì che il torio radioattivo si trasformava in radio. Al momento della scoperta, ricordò in seguito Soddy, gridò: "Rutherford, questa è trasmutazione!" Rutherford ribatté di scatto, "Per l'amor di Dio, Soddy, non chiamarla trasmutazione. Ci faranno saltare la testa come alchimisti!" Rutherford e Soddy stavano osservando la trasmutazione naturale di un elemento in un altro mediante il decadimento radioattivo di tipo alfa. I due scoprirono poi che un campione di torio di qualsiasi dimensione impiegava invariabilmente lo stesso tempo per il decadimento radioattivo di metà della sua massa: la sua "emivita" (11 minuti e mezzo in questo caso). Sempre nel 1903, Rutherford considerò un tipo di radiazione emessa dal radio, scoperta dal francese Paul Villard tre anni prima, e si rese conto che essa doveva rappresentare qualcosa di diverso dai raggi alfa e beta, a causa del maggiore potere di penetrazione. Rutherford diede a questo terzo tipo di radiazione il nome di raggio gamma. Tutti e tre i termini di Rutherford sono oggi di uso standard.

Alla fine del 1907, Rutherford e Thomas Royds poterono dimostrare che le particelle alfa erano atomi di elio ionizzati, e probabilmente nuclei di elio. Il Premio Nobel per la Chimica del 1908 gli fu assegnato "per le sue indagini sulla disintegrazione degli elementi e sulla chimica delle sostanze radioattive".

Nel 1911, insieme al fisico tedesco Hans Geiger, per qualche settimana suo ospite a Cambridge, e al neozelandese Ernest Marsden, studente di dottorato di quest’ultimo, postulò che gli elettroni orbitano attorno al nucleo di un atomo, proprio come i pianeti orbitano attorno al sole. Studiando la deflessione (cambio di traiettoria) delle particelle alpha, Rutherford ipotizzò la presenza, all'interno dell'atomo, di una forte concentrazione di materia in un volume molto piccolo, ovvero il nucleo, circa 100.000 volte più piccolo dell'atomo stesso, facendo risultare l'atomo essenzialmente vuoto. Nell'articolo The Scattering of α and β Particles by Matter and the Structure of the Atom (La diffusione di particelle α e β e la struttura dell'atomo), Rutherford rigettò definitivamente il modello atomico di Thomson, poiché secondo quel modello né le particelle con carica negativa, ossia gli elettroni, né la distribuzione di carica positiva che doveva contenerli sarebbero stati in grado di produrre deflessioni così marcate. Nacque così il modello atomico che da Rutherford prende il nome. 



L’esperimento era abbastanza semplice: Geiger e Marsden bombardarono una sottile lamina d’oro con dei raggi alfa provenienti da una sorgente radioattiva. Dal lato opposto rispetto al punto di collisione, osservarono la distribuzione delle particelle alfa che avevano attraversato la lamina e andavano a colpire uno schermo fluorescente. Una parte delle particelle era deviata, da cui dedussero l’esistenza, al centro dell’atomo, di un nucleo di carica positiva. Se l’atomo fosse stato omogeneo, nessuna particella sarebbe stata deflessa.


Fu il danese Niels Bohr a combinare i concetti atomici di Rutherford con la teoria quantistica di Max Planck per produrre il primo modello moderno dell'atomo. Nel 1913, Bohr dimostrò che gli elettroni si muovono attorno al nucleo con carica positiva di un atomo in certi "gusci" di energia discreta e che la radiazione viene emessa o assorbita quando un elettrone si sposta da un guscio all'altro. L'anno successivo, l’inglese Henry Moseley, bombardando diversi elementi chimici con elettroni ad alta energia e misurando la lunghezza d'onda e le frequenze dei raggi X risultanti, dimostrò che ogni elemento poteva essere identificato dal suo unico "numero atomico", in quanto ogni elemento emette raggi X a una frequenza unica. Osservò anche che poteva ottenere una retta tracciando in un grafico la radice quadrata della frequenza dei raggi X in funzione dei numeri atomici degli elementi.

La seconda particella atomica fondamentale, il protone, fu identificata da Rutherford in alcuni esperimenti condotti a partire dal 1917 e i cui risultati vennero diffusi in un articolo nel 1919. Questi esperimenti iniziarono dopo che Rutherford aveva notato che, quando le particelle alfa venivano sparate nell'aria (composta principalmente da azoto), i suoi rivelatori a scintillazione mostravano le tracce dei tipici nuclei di idrogeno come prodotto. Allora aveva preso un materiale emettitore di particelle alfa (nuclei di elio) e lo aveva sistemato vicino a un contenitore pieno di azoto. Analizzando l’emissione del contenuto, si accorse che le particelle α erano capaci di produrre nuclei di idrogeno dopo aver bombardato l’azoto. Rutherford ipotizzò che le particelle alfa avessero semplicemente eliminato un protone dall'azoto, trasformandolo in carbonio.

Il 24 agosto del 1920, durante il congresso della British Association for the Advancement of Science a Cardiff, egli commentò: “Dobbiamo concludere che l'atomo di azoto si è disintegrato sotto la forza intensa sviluppata in una collisione ravvicinata con una particella alfa veloce, e che l’atomo di idrogeno che si è liberato forma una parte costituente del nucleo dell’azoto”. Il nucleo dell'idrogeno aveva, dunque, un ruolo fondamentale all'interno dei nuclei di ogni elemento atomico, motivo per cui Rutherford propose l'uso di un nome apposito. La sua proposta di protone (proton) venne accettata dalla comunità scientifica. 

Nel 1919 Rutherford era succeduto a J. J. Thomson come direttore del Cavendish Laboratory. Nella sua conferenza d’onore (“lezione Bakeriana”) alla Royal Society di Londra del 3 giugno 1920, descrisse lo stato delle conoscenze del momento sui nuclei atomici. Suggerì che esistesse, all’interno del nucleo atomico, una combinazione stretta tra elettroni e protoni. All'epoca si riteneva infatti che il nucleo fosse costituito da protoni ed elettroni, quindi il nucleo di azoto, ad esempio, con un numero di massa di 14, si presumeva contenesse 14 protoni e 7 elettroni (di massa trascurabile). Ciò sembrava dare le giuste massa e carica (il concetto di spin e di esclusione erano di là da venire). La memoria cominciava con la trattazione degli angoli di deviazione nell’esperimento di diffusione delle particelle α con nuclei di altri elementi, in cui si discuteva la differenza tra ciò che si era osservato e le predizioni attraverso la legge di Coulomb di repulsione tra particelle cariche. Successivamente mostrò come, dai risultati, fosse possibile dedurre un valore per le dimensioni del nucleo (circa 10−4 m).

Considerò, inoltre, il processo di trasmutazione dell’azoto e chiese al fisico e matematico di Cambridge Patrick Blackett di utilizzare una camera a nebbia, di cui era esperto, per trovare tracce visibili di questa disintegrazione. La camera a nebbia è un semplice rilevatore di particelle utilizzato per visualizzare il passaggio di radiazioni ionizzanti. Essa era costituita da un ambiente sigillato contenente un vapore supersaturo di acqua o alcool. Una particella con carica energetica (ad esempio, una particella alfa o beta) interagiva con la miscela gassosa spostando gli elettroni dalle molecole di gas tramite forze elettrostatiche durante le collisioni, provocando una scia di particelle di gas ionizzato. Gli ioni risultanti agivano come centri di condensazione attorno ai quali si formava una scia simile a nebbia di piccole goccioline se la miscela di gas era nel punto di condensazione. Queste goccioline erano visibili come una traccia a "nuvola" che persisteva per diversi secondi mentre le goccioline cadevano attraverso il vapore. Queste tracce avevano forme caratteristiche. Ad esempio, una traccia di particelle alfa era spessa e diritta, mentre una traccia di elettroni era sottile e mostrava più evidenze di deviazioni da collisioni.


Blackett scattò 23.000 fotografie che mostravano 415.000 tracce di particelle ionizzate. Otto di queste si biforcavano, mostrando che la combinazione atomo di azoto-particella alfa aveva formato un atomo di fluoro, che poi si era disintegrato in un isotopo di ossigeno 17 (e non di carbonio come inizialmente ipotizzato da Rutherford), un protone e un fotone. Blackett pubblicò i risultati dei suoi esperimenti nel 1925. La trasmutazione avveniva secondo la reazione nucleare descritta qui sotto (la notazione utilizzata fa riferimento a quella moderna, non ancora utilizzata dai fisici di quell’epoca): 


Blackett realizzò così la prima reazione nucleare provocata artificialmente, trovando che i nuclei di azoto catturano le particelle alfa ed emettono un protone ad altissima velocità trasformandosi infine nell'isotopo stabile dell'ossigeno di numero di massa 17. Rutherford riconobbe "che il nucleo può aumentare piuttosto che diminuire di massa come risultato di collisioni in cui viene espulso il protone".

Rutherford dedicò l’ultima parte della conferenza londinese alla struttura del nucleo, spiegando che il nucleo di un atomo è caratterizzato dal “numero di massa” A, numero intero più vicino al rapporto fra la massa dell’atomo e quella dell’atomo di idrogeno, e dal “numero atomico” Z, corrispondente al numero di elettroni. Si conoscevano allora solo elettroni, di massa trascurabile e carica elettrica unitaria negativa, e protoni, di carica unitaria positiva, per cui un nucleo caratterizzato dai numeri A e Z era necessariamente descritto come composto da A protoni, che fornivano la massa, e da AーZ elettroni, in modo da ridurre a Z unità la carica elettrica positiva dell’atomo. Rutherford considerò che, essendo l’atomo neutro di idrogeno assunto come nucleo di carica unitaria con un elettrone strettamente associato, fosse possibile l’esistenza di un atomo neutro con A=1 e Z=0, dato dall’unione di un elettrone con un protone. Ipotizzò, inoltre, che potesse esistere anche una sorta di coppia neutra, con un nucleo con A=2 e Z=1: un isotopo pesante dell’idrogeno. Considerò in dettaglio le “nuove” proprietà che questo atomo avrebbe dovuto avere, ovvero un campo esterno praticamente nullo, eccetto a distanze molto piccole, quindi vicine al nucleo, e che conseguentemente poteva muoversi attraverso la materia.

Se un atomo del genere fosse stato possibile, ci si aspettava che sarebbe stato prodotto, probabilmente in piccole quantità, nella scarica elettrica attraverso l’idrogeno, dove sono presenti sia l’elettrone che il nucleo di idrogeno. L’esistenza di questo atomo sembrava necessaria nella spiegazione della struttura dei nuclei più pesanti.


Hypotheses fingo

La spinta iniziale per l’introduzione del neutrone quale componente del nucleo atomico si deve sempre a Rutherford, che, nel tentativo di spiegare i fatti contraddittori nelle proprietà dell’atomo, che allora si pensava composto solo da protoni ed elettroni, propose l’esistenza nel nucleo atomico di un’altra particella, di carica nulla e massa leggermente superiore a quella del protone. Queste particelle, aumentando le forze nucleari attrattive, avrebbero potuto compensare l'effetto repulsivo delle cariche elettriche positive dei protoni, impedendo così ai nuclei degli atomi pesanti di disintegrarsi. 

 Partendo da questa ipotesi, James Chadwick, che dal 1921 era vicedirettore del Cavendish, intraprese una serie di esperimenti a lungo infruttuosi per verificare la presenza di tale particella nucleare. Chadwick (1891-1974) aveva studiato alla Victoria University di Manchester con Rutherford fino a quando ottenne il Master of Science nel 1913. Lo stesso anno, gli fu assegnata una borsa di studio per la ricerca. Scelse di studiare la radiazione beta sotto Hans Geiger a Berlino. Utilizzando il contatore recentemente sviluppato da Geiger, Chadwick fu in grado di dimostrare che la radiazione beta produce uno spettro continuo e non linee discrete come si pensava. Era in Germania quando scoppiò la Prima Guerra mondiale e trascorse i successivi quattro anni nel campo di internamento di Ruhleben presso Berlino.

Dopo la guerra, Chadwick seguì Rutherford al Cavendish Laboratory, dove conseguì il dottorato nel giugno 1921. Fu per oltre un decennio assistente direttore della ricerca di Rutherford presso il Cavendish Laboratory, quando era uno dei centri più importanti al mondo per lo studio della fisica. Seguendo l’idea di Rutherford, Chadwick tentò di bombardare il berillio con particelle α, particelle β e con raggi γ, usando il metodo degli scintillatori per rivelare gli effetti, ma non trovò nulla. La natura delle forze dentro al nucleo rimase misteriosa, ma si sviluppò un nuovo modello fenomenologico del potenziale nucleare. Crebbero anche gli esperimenti in cui rimaneva inspiegato il comportamento degli elettroni nucleari, che, in combinazione con la metà dei protoni nucleari, consentivano di tenere conto in via teorica sia della massa isotopica che del numero atomico. 

A una conferenza a Cambridge sulle particelle beta e sui raggi gamma nel 1928, Chadwick incontrò di nuovo Geiger, sotto il quale aveva studiato prima della guerra. Geiger aveva portato con sé un nuovo modello del suo contatore, che era stato migliorato dal suo studente di post-dottorato Walther Müller. Il nuovo contatore Geiger-Müller costituiva un miglioramento importante rispetto alle tecniche di scintillazione allora in uso a Cambridge, che si basavano sull'occhio umano per l'osservazione. Il suo principale svantaggio era che rilevava le radiazioni alfa, beta e gamma, ma il radio, che il laboratorio Cavendish normalmente usava nei suoi esperimenti, emetteva tutti e tre i tipi di radiazione, ed era quindi inadatto a ciò che Chadwick aveva in mente. Invece il polonio è un emettitore alfa e Lise Meitner, su invito di Geiger, ne procurò a Chadwick circa 2 millicurie (circa 0,5 μg) dalla Germania.

 Rutherford perse in questo periodo interesse rispetto al problema degli elettroni nel nucleo. Tra il 1925 e il 1930 fu presidente della Royal Society e in seguito presidente dell'Academic Assistance Council che aiutò quasi mille rifugiati universitari dalla Germania. Fu nominato all'Ordine al Merito nel 1925 e nominato Pari come Barone Rutherford di Cambridge nel 1931, titolo che si estinse nel 1937 con la sua morte, dovuta a un’ernia intestinale.


Bothe e Becker

Nel 1930 a Berlino fu compiuto il primo passo concreto verso la scoperta del neutrone: il fisico e matematico berlinese Walther Bothe osservò che esiste una radiazione penetrante che riesce a passare attraverso uno spessore di 200 mm di piombo. 

Walther Bothe (1891-1957) aveva studiato dal 1908 al 1912 all'Università di Berlino, dove fu allievo di Max Planck, conseguendo il dottorato poco prima dello scoppio della Prima Guerra mondiale. Dal 1913 al 1930 lavorò presso il Physikalisch-Technische Reichsanstalt nella stessa città, divenendo Professore Straordinario nell'Università. Nel 1930 fu nominato Professore di Fisica e Direttore dell'Istituto di Fisica dell'Università di Giessen. 

Insieme a Geiger, la cui influenza determinò gran parte del suo lavoro scientifico, pubblicò, nel 1924, il metodo della coincidenza tra reti di contatori Geiger, che selezionano particelle che si muovono in una data direzione; il metodo può essere utilizzato, ad esempio, per misurare la distribuzione angolare dei raggi cosmici. Bothe applicò questo metodo allo studio dell'effetto Compton e ad altri problemi di fisica. Insieme, lui e Geiger studiarono la diffusione a piccoli angoli dei raggi luminosi e Bothe stabilì le basi dei metodi moderni per l'analisi dei processi di dispersione. Dal 1923 al 1926 Bothe si concentrò in particolare sulla teoria corpuscolare della luce. Nel 1927 chiarì ulteriormente, mediante il suo metodo, le idee sui quanti di luce e l'interferenza.

Nel 1930 Bothe, in collaborazione con il suo studente Herbert Becker, bombardò il berillio di massa 9 (e anche boro e litio) con raggi alfa derivati ​​dal polonio, e ottenne una nuova forma di radiazione ancora più penetrante dei raggi gamma più duri derivati ​​dal radio

Essi, infatti, stavano studiando l’irraggiamento di alcuni elementi leggeri da parte delle particelle α, dotate di grande energia, emesse da una sorgente di polonio. In questa reazione, le particelle α spesso interagiscono con i nuclei bersaglio producendo un protone e un raggio γ, come aveva scoperto Rutherford quando aveva studiato l’emissione di particelle alfa dall’azoto. 

La strumentazione dell’esperimento consisteva in un contatore Geiger, un recipiente di metallo su cui appoggiare la sorgente di polonio in una posizione fissata, e un’asta verticale, alla cui estremità inferiore era attaccato un sottile strato delle sostanze che dovevano essere irradiate, ognuna messa in modo da coprire 120° del disco. Grazie alla rotazione dell’asta era possibile scegliere quale sostanza inserire tra la sorgente e la parte inferiore del recipiente, ovvero quale irraggiare con le particelle α. Gli strati delle sostanze erano sufficientemente spessi da fermare le particelle α incidenti e gli spessori della parete del contatore e del recipiente riuscivano ad assorbire i raggi X emessi dagli atomi delle sostanze irradiate. Tutto l’apparato era protetto dalla radiazione ambientale attraverso un cilindro di piombo. La tecnica sperimentale prevedeva che, bombardando una sostanza con particelle α emesse da una sorgente radioattiva, si formassero un fotone e un protone. Osservarono, invece, che con nuclei di berillio, boro e litio veniva emessa una radiazione sconosciuta e in special modo il primo tra questi elementi dava un effetto particolarmente marcato.


Bothe e Becker fecero più prove: posero degli strati di 1 o 2 cm di piombo, tra il recipiente e il contatore, ridussero l’energia delle particelle α incidenti e interposero fogli di argento tra la sorgente e lo strato di berillio, infine per una variazione più fine introdussero aria ad una pressione conveniente dentro il recipiente di metallo. Per ogni prova calcolarono la curva e il coefficiente di assorbimento. Poterono così comparare le curve prodotte senza e con lo strato di piombo e notarono che la radiazione emessa nel secondo caso aveva un’energia maggiore di quella delle particelle α incidenti e dell’energia dei raggi γ emessi da qualsiasi ordinaria sostanza radioattiva. Le diedero il nome di “seconda radiazione”. La differenza dalla “prima” era che non veniva emesso il protone, ma una sorta di radiazione energetica neutra: poteva infatti penetrare fogli di metallo, ma non venire deflessa da un campo magnetico come le altre particelle cariche elettricamente. L’unica cosa conosciuta fino a quel momento che potesse avere queste caratteristiche era la radiazione γ, così fu naturale l’interpretazione che i risultati mostrassero la mancanza di protoni come prova dell’emissione di raggi γ di straordinaria energia.

Per la sua scoperta del metodo della coincidenza e per le scoperte successivamente ottenute, che posero le basi della spettroscopia nucleare, Bothe fu insignito, insieme a Max Born, del Premio Nobel per la Fisica per il 1954.

A Heidelberg, Bothe riuscì, dopo molte difficoltà, a ottenere il denaro necessario per costruire un ciclotrone. Lavorò, durante la Seconda guerra mondiale del 1939-1945, alla teoria della diffusione dei neutroni e alle misurazioni ad essi relative. Alla fine della guerra, quando l’Istituto fu rilevato per altri scopi, Bothe tornò al Dipartimento di Fisica dell'Università, dove insegnò fino a quando la malattia che lo aveva invalidato per diversi anni lo costrinse a restringere il campo di applicazione del suo lavoro. Riuscì, tuttavia, a supervisionare il lavoro dell'Istituto di Fisica nel Max Planck Institute e continuò a farlo fino alla sua morte a Heidelberg, l'8 febbraio 1957.

Dopo questo passo compiuto in Germania, si aprivano due differenti linee di ricerca: cercare di spiegare l’assorbimento di una particella α da parte di un nucleo di berillio e della successiva emissione di un fotone di energia così elevata, oppure usare la sorgente Po-Be per studiare l’interazione radiazione-materia ad energia intermedia tra quella dei raggi γ ordinari e quella dei raggi cosmici.

Il primo approccio fu indagato al laboratorio Cavendish, a Cambridge, da Henry Webster. Trovò, nel caso del berillio (e del boro), che il processo responsabile per l’emissione del fotone ad alte energie dovesse essere la cattura della particella α da parte del nucleo di berillio (o del boro) che emetteva un surplus di energia come radiazione. All’inizio del 1932 fece un’altra importante osservazione: vide che la radiazione emessa dal berillio nella stessa direzione delle particelle α incidenti è molto più penetrante di quella emessa nella direzione opposta. Mise in dubbio che la radiazione Po-Be fosse costituita da raggi γ. Fece nuovi esperimenti con una camera a nebbia, ma senza risultati significativi, probabilmente perché non aveva apparati sperimentali adatti.


Curie e Joliot

Il secondo approccio, cioè quello che si poneva il problema di studiare l’interazione tra radiazione e materia ad energie intermedie, fu seguito a Parigi da Irène Curie e Frédéric Joliot. 



Irène Curie (1896-1957) era la figlia primogenita di Pierre e Marie Curie, Durante la Prima Guerra mondiale, insieme con la madre Marie, prestò servizio presso gli ospedali da campo istituiti dalla madre, assistendola nell'esecuzione di lastre ai raggi X per i feriti. La tecnologia ancora immatura le espose però a grandi dosi di radiazioni. Terminata la guerra, Irène tornò a Parigi a studiare all'Istituto del Radio (Istituto Curie), fondato dai suoi genitori, ottenendo il dottorato in scienze nel 1925. Lì conobbe il fisico Frédéric Joliot (1900-1958) che sposò nell’ottobre 1926, dal quale ebbe due figli, divenuti anche loro scienziati, Hélène Langevin-Joliot (1927), fisica nucleare, e Pierre Joliot (1932), biochimico. 

Irène Curie, studiando l'assorbimento della radiazione secondaria da berillio e litio, scoprì essa che attraversava i materiali ancora più facilmente di quanto stimato inizialmente da Bothe, in quanto passava oltre uno strato di piombo tre volte più spesso di quello in grado di assorbire i raggi più penetranti emessi dagli elementi radioattivi. Frédéric Joliot studiò contemporaneamente la radiazione emessa dal boro bombardato da particelle α del polonio, arrivando a una conclusione analoga. Per spiegare questo effetto, entrambi ipotizzarono energie molto elevate di tali raggi γ.

Due anni dopo, i Joliot-Curie osservarono, misurando insieme la ionizzazione prodotta da tale "radiazione del berillio" secondaria in una camera con una sottile finestra di alluminio, che la ionizzazione nella camera aumentava quando mettevano materia contenente idrogeno (ad esempio paraffina) davanti alla fenditura. L'effetto sembrava essere dovuto all'espulsione di protoni con velocità fino a un massimo di quasi il 10% della velocità della luce. 

Curie e Joliot pensarono che i protoni con alta energia potessero produrre una sorta di trasmutazione: per cercare una risposta, allora, idearono un esperimento in cui posero sottili strati di vari materiali in contatto con la parte alta della camera di ionizzazione, consistente in un foglio di alluminio. Infatti, l’energia, quindi la velocità, dei protoni poteva essere dedotta determinando lo spessore di un foglio di metallo posto davanti all’apparato e quanto veniva penetrato dai protoni prima di fermarsi, oppure misurando quante coppie di ioni si creavano in un contatore Geiger. 

La strumentazione sperimentale usata dai coniugi consisteva in un recipiente contenente il polonio che emetteva le particelle α, una camera di ionizzazione come rivelatore, collegata ad un voltametro di Hoffmann. I due trovarono così che l’energia dei supposti raggi γ emessi era di 0.6 MeV per il litio, 15-20 MeV per il berillio e 11 MeV per il boro. 

Questi ultimi due valori erano più elevati rispetto a quelli trovati da Bothe e Becker. Joliot e Curie sostennero allora che il processo responsabile dell’emissione dei raggi γ di seconda radiazione non poteva essere una diffusione anelastica (un urto in cui le particelle vengono diffuse con una frequenza più alta o più bassa di quella originaria) a così alte energie, per cui il processo doveva essere il decadimento ipotizzato precedentemente. L’11 gennaio del 1932 Jean-Baptiste Perrin presentò all’Académie des Sciences l’articolo dei coniugi, in cui essi riportavano la possibilità che i raggi y ad alte energie potessero forse produrre qualche trasmutazione: infatti videro che con certi materiali (C, Al, Cu, Ag, Pb) non erano visibili cambiamenti, mentre con sostanze idrogenate, come la paraffina, si notava un incremento nella corrente di ionizzazione di un fattore due a causa dell’espulsione di protoni ad alte energie. Questi protoni vennero chiamati “terza radiazione”. Grazie a questo risultato calcolarono l’energia che dovevano avere i raggi gamma sui vari elementi per poter causare la radiazione, attraverso l’esperimento con il foglio di alluminio. Trovarono che il processo non poteva essere, definitivamente, uno scattering anelastico (un urto), ma proprio un processo di assorbimento della particella α. Secondo Curie e Joliot, doveva avvenire una sorta di trasmutazione con le sostanze idrogenate. Notarono che i protoni venivano emessi anche dall’acqua utilizzata come sostanza idrogenata nell’esperimento.



Per conoscere la natura di questa “terza radiazione” emessa dalle sostanze idrogenate tentarono inizialmente di defletterla con un campo magnetico, senza risultati apprezzabili. Successivamente misurarono l’assorbimento di essa nell’argento e nell’alluminio e conclusero che questa ulteriore radiazione era un’espulsione di protoni la cui energia, determinata approssimativamente, era di 4.5 MeV per il berillio e di 2 MeV per il boro. Per spiegare la produzione di protoni dai raggi γ, osservarono che l’effetto assomigliava all’effetto Compton (urto tra un fotone e un elettrone). Ipotizzando che essi venissero espulsi a causa dei raggi γ sulla paraffina, applicarono ai protoni le relazioni dell’effetto Compton per risalire all’energia minima necessaria per produrre protoni. Trovarono che i raggi γ emessi dal Be (e dal B) dovevano aver energia almeno di 50 (e di 35) MeV. Tale calcolo dell’energia minima risultava in contrasto sia con il valore misurato direttamente da Bothe, sia con la energia delle onde α emesse dal polonio da cui si originava il tutto (circa 5.25 MeV). Tutto ciò spinse i coniugi Joliot a ipotizzare di avere scoperto una nuova forma di interazione tra la radiazione e la materia, diversa dall’effetto Compton. Infatti, pensavano di aver trovato una radiazione in grado di espellere protoni dalla paraffina, ma che energeticamente non era giustificabile con l’effetto ipotizzato: se quella radiazione fosse stata costituita da raggi γ, questi non avrebbero mai avuto l’energia in grado di espellere protoni dalla materia. Con i raggi γ sono possibili effetti Compton, ma questo effetto riguarda gli elettroni, mentre un protone è circa 2000 volte più pesante, per cui l’energia dei raggi γ e la sezione d’urto sono totalmente inefficaci. Secondo Leonardo Sciascia, quando Ettore Majorana venne a conoscenza degli esperimenti dei Joliot-Curie, disse a Segré e Amaldi: “Che sciocchi, hanno scoperto il protone neutro [neutrone] e non se ne sono accorti”.


Provaci ancora, James!

Dall’altra parte della Manica, Chadwick venne a conoscenza dei risultati di Joliot e Curie, e pensò che anche in questo caso si trovasse la prova che nell’emissione del berillio erano presenti particelle neutre. Ripeté allora gli esperimenti dei due coniugi francesi. Concentrandosi sullo studio del carattere dell’emissione ad alta energia del berillio, diresse questa radiazione verso altri materiali: idrogeno, azoto, argo, aria. In ognuna di queste sostanze la radiazione del berillio provocava l’espulsione di protoni dal nucleo.

Ora, se la radiazione del berillio fosse stata una forma di emissione di raggi y, l’energia di questi protoni sarebbe stata facilmente calcolabile per mezzo dell’effetto Compton. I calcoli teorici ottenuti da Chadwick erano però in completo disaccordo con la misura dell’energia dei protoni ricavata sperimentalmente. I suoi esperimenti al Cavendish Laboratory si basavano su una camera di ionizzazione collegata a un amplificatore, che a sua volta era collegato a un oscilloscopio. Si trattava di un semplice apparato, che consisteva in un cilindro contenente una sorgente di polonio e un bersaglio di berillio. Le particelle ionizzanti, entrando nella camera, avrebbero fatto fluttuare la traccia luminosa dell’oscilloscopio, che era registrata in continuazione su carta fotografica. La sorgente delle radiazioni era costituita da un disco di metallo placcato con del polonio e da un disco di berillio puro, entrambi posti in un recipiente sottovuoto; le particelle spostate finivano in una piccola camera di ionizzazione dove potevano essere rilevate l’oscilloscopio. 

Chadwick notò che, quando la sorgente era posta a grande distanza dalla camera, la media delle oscillazioni era di sette all’ora. Quando la sorgente veniva posta a pochi centimetri, la media aumentava a più di 200 oscillazioni all’ora (le oscillazioni erano provocate dagli atomi dell’aria presente nella camera, messi in movimento dalla radiazione). 

La frapposizione di alcuni fogli di piombo tra la camera e la sorgente non aveva alcun effetto sulla media delle oscillazioni, fatto che dimostrava la natura ad alta penetrazione della radiazione. Sostituendo i fogli di piombo con dei fogli di paraffina la media delle oscillazioni raddoppiava. Chadwick constatò che questo raddoppio era dovuto all’espulsione di protoni dalla paraffina, proprio come nell’esperimento dei Joliot-Curie. 


Dopo aver ripetuto e migliorato gli esperimenti, nel febbraio 1932, dopo solo circa due settimane di sperimentazione, Chadwick inviò una lettera a Nature intitolata Possible Existence of a Neutron (Possibile esistenza di un neutrone). Comunicò le sue scoperte in dettaglio in un articolo inviato a maggio ai Proceedings of the Royal Society, intitolato meno dubbiosamente The Existence of a Neutron. Chadwick suppose che esistesse una particella materiale neutra di massa molto vicina a quella del protone e prese in considerazione urti elastici tra particelle con stesso ordine di grandezza di energia e massa, facendo quindi collisioni classiche frontali tra particelle. Così scriveva. “Sono state esaminate le proprietà della radiazione penetrante emessa dal berillio (e dal boro) quando è bombardato dalle particelle α di polonio. Si è concluso che la radiazione non consiste in una radiazione gamma, come si è supposto finora, ma di neutroni, particelle di massa 1, e carica 0. Si sono fornite prove che la massa sia tra 1.005 e 1.008 [volte quella del protone, considerata uguale a 1]. Questo suggerisce che il neutrone consista di un protone e un elettrone in stretta combinazione; l’energia di legame è di circa da 1 a 2 ×106 eV. Da esperimenti sul passaggio dei neutroni attraverso la materia, viene discussa la frequenza delle loro collisioni con gli elettroni”.

Uno dei suoi argomenti era il seguente: se il berillio emette raggi γ, allora la reazione osservata sarebbe:

Chadwick osservò “che il difetto di massa del 13C è noto con sufficiente accuratezza da mostrare che l'energia emessa dal fotone in questo processo non può essere maggiore di circa 14×106 volt”.

"È difficile rendere un tale quanto responsabile degli effetti osservati". Chadwick concludeva: “Le difficoltà scompaiono, tuttavia, se si assume che la radiazione sia costituita da particelle di massa 1 e carica 0, o neutroni. Infatti, se la reazione è

c'è molta energia rimasta per il neutrone (n)”, dove n era il simbolo della nuova particella, con carica neutra (0). Nella sua interpretazione considerò che fosse prodotto 12C e non 13C.


“The new frontiers of the nouvelle vague”

Gli Joliot-Curie non si convinsero subito. Fecero ulteriori esperimenti, ma conclusero piuttosto rapidamente che questi esperimenti "forniscono un nuovo supporto per l'ipotesi del neutrone". In particolare, studiarono un'altra reazione nucleare che produce azoto (N):

e scoprirono che l'energia massima dei neutroni calcolata secondo questo schema di reazione concordava con l'energia misurata dei protoni espulsi quando erano colpiti dai neutroni. Inoltre, anche l'emissione di elettroni secondari di alta energia osservata era coerente con l'ipotesi del neutrone. Aggiunsero, tuttavia, che la radiazione era complessa e che oltre ai neutroni erano presenti raggi γ.

In effetti, le interpretazioni dei primissimi esperimenti erano complesse poiché l'elenco delle incognite era lungo. Sappiamo che neutroni, quanti e protoni di diversa energia, quindi con proprietà diverse, potrebbero essere trovati contemporaneamente in tali esperimenti. Inoltre, diversi tipi di rivelatori utilizzati negli esperimenti di Bothe, dei Curie di Chadwick e di altri che seguirono (compreso quello eseguito dall’italiano Franco Rasetti subito dopo il primo articolo di Chadwick) sembravano essere selettivamente sensibili a diversi tipi di radiazioni.

Nel 1934 Irène e Frédéric Joliot-Curie fecero la scoperta che li avrebbe portati entrambi al Nobel per la chimica l’anno successivo: isolarono alcuni elementi radioattivi naturali, e riuscirono a effettuare la trasmutazione di alcuni elementi (quali boro, alluminio e magnesio) in isotopi radioattivi sintetici. Questa scoperta era successivamente destinata a spianare la strada allo sviluppo della sintesi di radioisotopi, che sarebbero risultati di importante applicazione in ambiti quale quello medico.

Nel 1935 Joliot lasciò l'Istituto Curie per insegnare al Collège de France lavorando sulle reazioni a catena e sulla costruzione di un reattore nucleare basato sulla fissione per generare energia attraverso l'uso di uranio e acqua pesante. Joliot fu uno degli scienziati menzionati nella lettera Einstein-Szilárd inviata a Franklin Roosevelt come uno dei maggiori studiosi delle reazioni a catena. 

Nel periodo dell'invasione nazista della Francia nel 1940, Joliot nascose tutta la documentazione del lavoro svolto consegnandola facendola pervenire in Inghilterra. Durante l'occupazione, prese attivamente parte alla resistenza. Dopo la Liberazione, Frédéric Joliot divenne il primo Alto Commissario per l'Energia Atomica della Francia. Nel 1948 sovrintese la costruzione del primo reattore nucleare francese. Convinto comunista, venne sollevato dai suoi incarichi nel 1950 per ragioni politiche. Pur mantenendo la sua cattedra al Collège de France, alla morte di sua moglie nel 1956 ne rilevò il ruolo di direttore di Fisica Nucleare alla Sorbona. 

Irène morì di leucemia, causata dalla forte e prolungata esposizione a radiazioni ionizzanti dovuta al suo lavoro, il 17 marzo 1956 a Parigi. Due anni dopo per le stesse cause morì anche suo marito.

Niels Bohr e Werner Heisenberg si chiesero se il neutrone potesse essere una particella nucleare fondamentale come il protone e l'elettrone, piuttosto che una coppia protone-elettrone. Heisenberg dimostrò che il neutrone era meglio descritto come una nuova particella nucleare, ma la sua esatta natura rimaneva poco chiara. Alla fine, lo stesso Chadwick e Goldhaber provarono che la massa del neutrone era troppo grande per essere una coppia protone-elettrone.

Diversi scienziati rivedettero completamente l'intero panorama della ricerca nel campo della fisica nucleare. Pertanto, diversi autori, incluso Chadwick, presumevano che i neutroni fossero costituenti del nucleo. Il fisico e accademico sovietico Dmitry Yvanenko suggerì che i nuclei atomici consistessero solo di protoni e neutroni, non di protoni ed elettroni come nel precedente modello suggerito da Rutherford, che coinvolgeva elettroni “intranucleari”. Quasi contemporaneamente a Yvanenko, Werner Heisenberg e, l'anno successivo, Ettore Majorana ed Eugene Wigner applicarono la meccanica quantistica al nucleo e conclusero che questa scoperta semplificava enormemente la teoria del nucleo atomico; la forte interazione tra protoni e neutroni assicura la struttura nucleare e la stabilità. In breve, rimodellarono la teoria nucleare. 

Per la sua scoperta del neutrone, Chadwick ricevette il Premio Nobel per la Fisica nel 1935. Lasciò il Cavendish Laboratory nel 1935 per diventare professore di fisica all'Università di Liverpool, dove ristrutturò un laboratorio antiquato e, installando un ciclotrone, ne fece un importante centro per lo studio della fisica nucleare. Durante la Seconda Guerra mondiale entrò a far parte della Missione britannica presso il progetto Manhattan, e lavorò al Los Alamos Laboratory e a Washington. Per i suoi successi, Chadwick ricevette il titolo di cavaliere il 1° gennaio 1945. Nel luglio 1945, assistette al test nucleare Trinity. Successivamente, fu consulente scientifico britannico presso la Commissione per l'energia atomica delle Nazioni Unite. Si ritirò nel 1959. Morì nel sonno il 24 luglio 1974.

La sua scoperta ha permesso di produrre elementi più pesanti dell'uranio in laboratorio mediante la cattura di neutroni lenti seguita dal decadimento beta. A differenza delle particelle alfa cariche positivamente, che vengono respinte dalle forze elettriche presenti nei nuclei di altri atomi, i neutroni non hanno bisogno di superare alcuna barriera di Coulomb, e possono quindi penetrare ed entrare nei nuclei anche degli elementi più pesanti, come l'uranio. Ciò ispirò Enrico Fermi a studiare le reazioni nucleari provocate dalle collisioni di nuclei con neutroni lenti, lavoro per il quale avrebbe ricevuto il Premio Nobel nel 1938, ma questa è un’altra storia, e la racconterò un’altra volta.