giovedì 29 agosto 2013

Epigrafi

Una via di Busseto
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SOTTO QVESTA PALMA DA COCCO
ADDÌ 26 BERNOCCOLO 1631 
LO SCIENZIATO PORTOGHESE PEDRO SOVZA DE CARVALHO 
INTVÌ LA LEGGE DI GRAVITAZIONE VNIVERSALE 
PRIMA DI NEWTON 
MA NON SOPRAVVISSE PER POTERLO ANNVNCIARE
LA CITTADINANZA DI PERNAMBVCO 
RICONOSCENTE POSE

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IN QVESTA CASA 
ADDÌ 2 DIOFANTO 1637 
IL MATEMATICO PIERR 
ESPOSE IL SVO TEORE
CHE NON DIMOSTRÒ 
PER MANCANZA DI SPA

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SOTTO QVESTA GRAVE PIETRA 
GIACE MARIO LOMAZZI 
† 6 – 12 – 1965 
MEDIOCRE TRADVTTORE 
DALL’INGLESE 

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SV QVESTO OMNIBVS A CAVALLI 
IN DIREZIONE DI CLAPHAM ROAD 
ADDÌ 19 BENZENE 1853 
IL CHIMICO TEDESCO AVGVST KEKVLÉ 
SOGNÒ VN BALLO RITMATO 
DI ATOMI DI CARBONIO 
APRENDO LA STRADA 
ALLA SWINGING LONDON 

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DA QVESTA FINESTRA 
AFFACCIATA SVLLA BRENTA 
GALILEO GALILEI 
PADRE DELLA SCIENZA 
VIDE CON IL TELESCOPIO 
LE CELESTI SFERE 
E STVDIÒ IL SACROBOSCO 
DI ISABELLA MASIERO 
GLORIA DI PADOVA 
ADDÌ 11 MONA 2002 
LO STVDIO POSE

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lunedì 26 agosto 2013

Nascita di un paradigma


Accese la luce ed entrò come tutte le sere nell'ufficio del laboratorio di fisica per le consuete pulizie. Raccolse tutte le carte che erano sparse disordinatamente sul pavimento prima di accendere la lucidatrice. Erano piene di formule astruse, strani simboli, freccette, parentesi di vario tipo. Dorothy si chiese come mai non appallottolassero i fogli da gettare e li ponessero nel cestino, come fanno in tutti gli uffici del mondo. Formò una piccola risma di quei fogli, con l’intento di buttarla poi tra le cartacce, appoggiandola sulla scrivania più vicina. Aprì la finestra e una folata di aria gelida rischiò di rendere vana la sua azione. Decise di fermare con alcune graffette il piccolo plico che aveva creato. Quando se ne andò chiuse la finestra, spense la luce e dimenticò le carte sulla scrivania. Il mattino seguente il professor Shorter, osservando quei fogli pieni di formule corrette ma inservibili, si accorse che la loro disposizione, determinata in modo del tutto casuale da Dorothy la sera prima, poteva avere un senso. Era nata la Teoria delle “Stringhe”. Mai buttar via le formule che si possono riciclare.

mercoledì 21 agosto 2013

Piero Camporesi e la tèchne della bottega


Ci sono autori di saggi che possiedono tali padronanza della lingua e amore della loro materia, che la loro lettura non dà solamente un piacere intellettuale, ma anche uno estetico, paragonabile a quello procurato dai più grandi romanzieri. Tra di essi annovero l’Angelo Maria Ripellino di Praga Magica, o l’Uberto Pestalozza di Eterno femminino mediterraneo, o il Roberto Calasso di Le nozze di Cadmo e Armonia. Piero Camporesi (1926–1997), il grande filologo, storico e antropologo, è tra questi. I suoi studi sono caratterizzati da una grande precisione scientifica e da una sapiente mescolanza di scrittura erudita e linguaggio delle fonti, utilizzati per ricostruire la società preindustriale attraverso una storia dei sensi degli uomini.

Camporesi ha infatti indagato in una serie di libri le condizioni materiali di vita della società dell'ancien régime, le relazioni dell’uomo preindustriale con i cibi e gli atti alimentari, le pratiche legate alla cura e alla salute del corpo, la concretezza laboriosa del mondo delle arti e dei mestieri, evidenziando l'apparato simbolico e le trasformazioni antropologiche connesse a un mondo materiale che ha influenzato profondamente l'immaginario collettivo ai primordi dell’età moderna.

Ne Le belle contrade (Garzanti, 1992), uno studio del paesaggio italiano che parte da ancor prima che maturasse l’idea stessa di paesaggio, Camporesi descrive il lavoro e il pensiero di tecnici, artigiani, ingegneri, “prattici”, ma anche pittori e architetti, individuando nelle attività pratiche e artistiche il necessario complemento a quella evoluzione delle idee, lenta e contrastata, che porterà alla nascita della scienza moderna, basata sul “cimento” e l’esperienza. Così descrive (alle pagine 20–21) la stagione splendida e irripetibile in cui il lavoro italiano, la tèchne della bottega, consentì la genesi del Rinascimento. Sua e nostra guida sono le parole di una figura di uomo pratico, per nulla portato all'astrazione filosofica o al sogno esoterico, ingiustamente poco nota e tralasciata dai programmi scolastici, quella del senese Vannoccio Biringuccio (1480–ca. 1539), autore dell’opera De la Pirotechnia, pubblicata nel 1540, il primo trattato sul mondo della metallurgia.

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Nelle officine degli artieri (anche le scuole e le botteghe pittoriche o d'altri mestieri - scultori, orafi, argentieri... - erano ad un tempo «studi e laboratori d'arte»), si rifletteva l'immagine di un'Italia alacre e produttiva, inventiva e industriosa, il prodigioso «specchio in che risplendeva tutta la bellezza de l'ingegno e '1 poter de l'arte». Questo era il paradiso-inferno degli artefici, il luogo nel quale si avverava l'esaltante epifania e l'incontro fecondo - tra il soffio dei mantici e le colate sfavillanti di liquefatti metalli - della «bellezza dell'ingegno» e del «poter de l'arte». Fioriva una stagione irripetibile in cui quel potere e quell'ingegno erano nelle mani di operosi «faticanti», artieri, artisti, artefici, artigiani, capomastri, dipintori, scultori, intagliatori, stuccatori, orafi, maestri di tutte le arti, inventori, costruttori, idraulici, gettitori, «inzignarii», architettori, legnaiuoli, maestri d'ascia e di pialla, liutai, armaioli che lavoravano con strumenti (le pialle, ad esempio) artisticamente rifiniti, belli come le armature milanesi che, sontuosamente cesellate, uscivano dalle mani dei Missaglia e dei Negroli: uomini inventivi e poliedrici che trasformavano, plasmavano, traducevano nel linguaggio dell'utile e del bello le pietre e i metalli estratti con grandi sudori da altri faticanti dalle cave e dalle miniere per soddisfare i bisogni di tutti e le «vanità» delle donne, lievito essenziale all'incremento dei consumi di lusso come quell'oro che esse straziavano (come diceva Biringuccio) «per loro adornamento», insieme all'ostentazione delle ricchezze che splendevano agli occhi di tutti sotto forma di magnificenza, di grandiosità, di sfarzo, in tutti quei modi ai quali può ricorrere la parata sfavillante della bellezza opulenta. Queste città di artieri e di lavoranti, di botteghe d'arte, soprattutto di arte applicata e «minore», erano strettamente legate al mondo delle miniere, delle cave, delle fonderie, delle fornaci, dei mantici, delle ruote idrauliche, dei pozzi, dei paranchi, dei magli, degli argani, a tutto l'imponente apparato che ruotava intorno alla res metallica, molto sviluppata in «questa nostra region de Italia... tutta piena di tante e altre eccellenzie che a luoghi abitabili può concedere il cielo... più che molte altre provincie copiosa e ricca, ancor che molte volte sia stata da varie nazioni depredata e lacerata come ancor ora ne li tempi nostri, da le ferine mani de le nazion barbare che, da circa 40 anni in qua, dentro ci sono entrate».Per rifornire le corti e i palazzi di tutte le «eccellenzie» possibili, per incrementare l'industria del lusso raffinato e il mercato dei beni durevoli era necessario anche un radicale rinnovamento culturale che, cancellate le chimere alchimistiche, dimenticato il «fabuloso lapis alchimico... e altre lor simil cose vane e senza fondamento», rimosse le «promesse di cose incomprensibili e vane», gettate le «lor fabulose scritture... ombre di mascare composte da certi romiti herbolari» e da «altra gente oziosa» e da «certi miserrimi alchimisti», moltiplicasse il numero dei «pratici investigatori» e dei filosofi delle «cose naturali intelligenti e pratici» che già con «industriosa advertenza» esploravano (servendosi, se necessario, della collaborazione dei pastori) vallate, pendii, cime perché «le matri di tutte le più stimate ricchezze e gli erari di tutti i tesori, son le montagne», al «ventre» delle quali è necessario arrivare perché laggiù «tal cose ascoste stanno»


In questa fertile atmosfera di utile cooperazione fra tutti i mestieri più disparati e le arti si andò formando anche il giovane Leon Battista Alberti (1404-1472) che pur appartenendo ad una ricca ed illustre famiglia, «non disdegnò, nonostante la sua condizione sociale, di dedicarsi all'arte e di imparare da tutti: "e da chiunque apprendeva volentieri ciò che pria non sapesse. Perfino a' fabbri, agli architetti, a' barcaroli, a' calzolai medesimi, e a' sarti chiedeva se avessero qualche util segreto per renderlo poi di pubblica utilità"»

Lo scenario del conflitto fra la mineralogia-chimica e l'alchimia tracciato da Biringuccio vedeva i «prattici per la sperienza approvata» schierarsi contro «nigromanti» e alchimisti; la fertile scienza dei metalli e del fuoco contro la fragile chimera delle occulte trasmutazioni, la pirotechnia e la res metallica contro il fornello dei maghi. Biringuccio - osserva B. Farrington - «era consapevole della sua originalità e si vantava di esser il solo ad avere pubblicato un'opera che non era fondata sopra altre opere ma sulla diretta esperienza della natura». Ed è vero, anche se è necessario sostituire a «pubblicato» «scritto», dal momento che passò a miglior vita qualche anno prima dell'uscita del suo capolavoro.



venerdì 16 agosto 2013

La successione di Vauban (altro che porcheria!)

Il nome di Sébastien Le Prestre, marchese di Vauban (1633-1707), spesso indicato semplicemente Vauban, suscita presso i nostri cugini transalpini una reazione positiva, come se fossero ancora protetti dalle imponenti piazzeforti alle quali è legato il suo nome: diresse 53 assedi, ristrutturò 300 piazzeforti e ne costruì 33 nuove. Generale, stratega, ingegnere militare, consigliere del Re, infine Maresciallo di Francia, Vauban è stato una delle figure più importanti del lungo e tormentato regno di Luigi XIV, il Re Sole. 

Organizzatore di uomini e mezzi, attento alle questioni di bilancio che comportava una macchina logistica enorme (l’esercito francese era passato da 60 mila uomini nel 1662 a 150 mila nel 1693), interessato ai problemi dell’economia generale del regno, Vauban si occupò di numeri e di calcoli pur non essendo un matematico di professione. Conosceva la geometria e la misura, ma anche ciò che egli chiamò le “mathématiques plus nécessaires”, la trigonometria, la meccanica, l’aritmetica, la cartografia, l’architettura e il disegno. Fu, se vogliamo, un matematico empirico e applicato, che acquisì con il tempo una competenza e una passione che manifestò anche al di fuori della sua vastissima produzione “professionale”, costituita in prevalenza di note e memorie indirizzate al Re e a Colbert, il suo potente ministro delle finanze, ma che comprende anche un Traité de l'attaque des places, che contiene le teorie scientifiche da lui elaborate per il fuoco di rimbalzo, il tiro verticale antiuomo e l'uso del metodo delle trincee parallele (in realtà concentriche) per avvicinare le fortificazioni nemiche riducendo al minimo le perdite e aumentando l’efficacia del fuoco di artiglieria. 

A partire dal 1689 cominciò a scrivere una serie di saggi con lo scopo di «conservare delle idee per quelli che verranno dopo di me», anche se alcune di esse le diffuse tra i contemporanei, essendo troppo forte la volontà di essere utile al suo paese. Chiamò questi scritti, raccolti in dodici volumi, Oisivetés, ou ramas de plusieurs sujets à ma façon, dove gli ozi del titolo vanno intesi come la piacevole attività di riposo di un intellettuale, che trova finalmente il tempo di occuparsi di ricordi e questioni che gli stanno a cuore. Ciò gli consentiva di sottrarre i 29 testi che compongono l’opera all'ufficialità derivante dalle sue funzioni pubbliche. Tra di essi troviamo alcune congetture, che mostrano il gusto di Vauban per l’esercizio mentale di risolvere problemi a grande scala, come il regno o il mondo intero. 

La più famosa di queste opere, scritta dopo le tre successive carestie degli anni 1692-94, porta il curioso titolo La cochonnerie, ou calcul estimatif pour connaître jusqu’où peut aller la production d’une truie pendant dix ans de temps (La porcheria, o calcolo stimato per conoscere fino a dove può giungere la produzione di una scrofa in un periodo di dieci anni), nella quale mostra la sua preoccupazione per i problemi di sussistenza dei contadini tormentati dalla fame, proponendo l’allevamento generalizzato del maiale. Vauban sostiene che una sola scrofa ha una prole tale che, in sole dodici generazioni «vi sarebbero così tanti [maiali] da nutrire l’Europa, e se ci si spinge ancora soltanto fino alla sedicesima, è certo che ce ne sarebbero così tanti da popolare tutta la terra». Di questo testo si è occupato recentemente il matematico Pierre de la Harpe, in un gustoso articolo comparso su Images des Maths, il portale di matematica del CNRS francese. 

Il ragionamento di Vauban è semplice e lineare. Per tener conto delle perdite dovute a malattie, incidenti, alla predazione dei lupi, valutata in 1/15 (conviene ricordare al lettore moderno che i maiali erano un tempo allevati allo stato brado e non in tristi allevamenti in batteria), Vauban stima prudentemente che ogni cucciolata sia composta da sei maialini, tre femmine, che interessano il seguito del calcolo, e tre maschi, di cui non si parlerà quasi più. Nel suo modello, una scrofa figlia la prima volta a due anni, quindi due volte all'anno per quattro anni, prima di diventare sterile a sette anni.

Così, il primo anno c’è 1 scrofa. Il secondo anno questa ha una cucciolata, per cui ci sono 3 nuove scrofe. Il terzo anno ci sono due parti della prima scrofa e uno per ciascuna delle sue figlie, che in totale danno 15 nuove scrofe. Il quarto anno un calcolo analogo fornisce 

(1 × 2 + 3 × 2 + 15 × 1) × 3 = 69

nuove scrofe (la prima ha due cucciolate, le 3 della prima generazione ne hanno 2, le 15 della seconda generazione ne hanno 1, il tutto moltiplicato per 3 scrofe ogni volta). I calcoli per il quinto e il sesto anno danno: 

(1 × 2 + 3 × 2 + 15 × 2 + 69 × 1) × 3 = 321

(1 × 2 + 3 × 2 + 15 × 2 + 69 × 2 + 321 × 1 ) × 3 = 1.491

Fin qui, il numero dei prodotti tra parentesi è aumentato ogni anno di uno. A partire dal settimo anno le generazioni più vecchie diventano sterili, per cui ci sono sempre 5 prodotti da addizionare tra parentesi. Dopo 7 anni il risultato è: 

( 3 × 2 + 15 × 2 + 69 × 2 + 321 × 2 + 1491× 1 ) × 3 = 6.921

i calcoli precedenti forniscono i primi 7 elementi di una successione che Vauban computa con precisione meticolosa fino all’undicesimo: 

1,    3,    15,    69,    321,   1.491,    6.921,   32.139,    149.229,    692.919,    3.217.437. 

Il che vuol dire che dopo undici anni ci sono più di tre milioni di scrofe, numero che va raddoppiato per tener conto di tutte le “dimenticanze” (maschi, cucciolate superiori a 6 maialini, madri, nonne, ecc. che sono contate una sola volta). 


Con una notazione più moderna, de la Harpe ha indicato con T(n) il numero delle scrofe nate nell’anno n. I numeri T(n) costituiscono una successione, definita come segue: T(n) = 0 se n è negativo o nullo, T(1) = 1, e

T(n) = 3T (n  1) + 6T (n  2) + 6T (n  3) + 6T (n ‒ 4) + 6T (n ‒ 5)

per n≥1. La successione cresce molto rapidamente e s’avvicina presto a una crescita esponenziale, con un tasso di crescita annuo del 464%. Con qualche piccolo calcolo si possono stimare gli ordini di grandezza per T(20) e T(30). Per T(20) si ottiene un valore vicino a 3×1012 e per T(30) un valore vicino a 1,5×1019! La successione di Vauban ora si trova nella On-Line Encyclopedia of Integer Sequences (OEIS), dove costituisce la sequenza A224749


Il lettore avrà notato che la successione di Vauban ricorda, per lo spirito che ne è alla base, quella assai più celebre di Fibonacci, nata ragionando sulle generazioni dei conigli invece che su quelle dei maiali. Il tasso di crescita della sequenza di Fibonacci è tuttavia del 162% al mese, più esattamente è il numero aureo ϕ = 1,61803..., ma i conigli, si sa, sono famosi per la loro fertilità. 


Abbandonato il tono scrupoloso del mero calcolo, Vauban si lascia andare alla fine del suo trattatello a una visione di cibo a sazietà per tutti, e ringrazia la provvidenza d’aver fornito il maiale di una tale fecondità e di una tale facilità di allevamento, precisando che «è di nutrizione così facile che ciascuno lo può allevare». Per l’autore, il maiale può salvare il villico dal pane secco, «non essendoci contadino, per quanto povero egli sia, che non possa allevare un maiale all'anno con le proprie risorse». E se ciò vale per i contadini, vale a maggior ragione per le truppe. 

La stima di Vauban è condotta per mezzo di calcoli semplici, per non dire semplicistici, che hanno attirato la critica di agronomi e matematici, ma è degna di nota perché si inserisce agli esordi della matematica economica. Un suo connazionale, l’agronomo Louis Liger, ci fornisce il punto di vista di un contemporaneo, e non sembra sia più cauto. Nell’opera La Nouvelle Maison rustique (1700-1701), egli fornisce consigli per le coltivazioni e l’allevamento. Nel capitolo dedicato al maiale, afferma che «la scrofa può produrre da un anno fino a sei; ha una gravidanza di cinque mesi e può avere due parti all’anno (…). La scrofa è un animale consigliabile per la sua fecondità, dando ogni volta 10, 12 fino a 15 maialini (…) Le si lasciano 8 o 9 figli per allevarli…». Ligier conferma la fecondità della scrofa fino al sesto anno, ma anticipa il primo parto alla fine del primo anno e, soprattutto, raddoppia il numero dei maialini di ogni cucciolata. Dubitiamo che le stime (al confronto prudenti) di Vauban derivino dall'osservazione pratica: di sicuro si tratta di un calcolo teorico molto lontano dalle reali condizioni d’allevamento nel regno di Francia agli inizi del Settecento, ma assai vicino a quelle che riteneva possibili se la ragione avesse potuto trionfare e non ci fossero stati gli inconvenienti «della mancanza di attenzioni e di intelligenza dei proprietari», causa principale di rese basse. 


Affermando utopicamente il primato della ragione anche nel settore della cochonnerie, Vauban anticipa in qualche modo l’incipiente Illuminismo. E l’introduzione della patata nell'allevamento dei suini gli darà quasi ragione.

mercoledì 14 agosto 2013

Carnevale della Matematica n. 64


Benvenuti all'edizione n. 64 del Carnevale della Matematica, che cade a ridosso del Ferragosto, vale a dire nel periodo dell’anno in cui molti blogger e lettori sono in vacanza. Per questo motivo ho preferito non suggerire alcun tema. 

Il 64 si fattorizza come 26, è il cubo di 4 e il quadrato di 8, così è il primo numero intero che è contemporaneamente un quadrato e un cubo perfetto. Esso è anche il numero più piccolo con esattamente sette divisori: 1, 2, 4, 8, 16, 32, oltre a se stesso. Poiché la somma dei divisori è 63 < 64, è un numero difettivo. Nel sistema binario è il numero più basso con sette cifre, 10000002, nel sistema esadecimale è 4016. E’ un numero dodecagonale e un numero triangolare centrato. Nella teoria dei numeri è anche altre cose, che a Ferragosto si possono tuttavia non citare. 

Fuori dalla matematica, per i chimici 64 è il numero atomico del Gadolinio, per gli astronomi l’oggetto M64 è una galassia chiamata Occhio Nero, di magnitudo 9.0, visibile in direzione della Chioma di Berenice, che possiede una caratteristica “macchia” di polvere interstellare vicino al nucleo. In genetica ci sono 43 = 64 diverse possibili combinazioni di codoni con una tripletta di tre nucleotidi: 61 di esse codificano un aminoacido, 3 un segnale di stop. Infine, 64 è anche il numero complessivo delle caselle di una scacchiera, e il numero degli esagrammi nell’I Ching


Veniamo adesso alla presentazione dei contributi. 

I link di MaddMaths! sono presentati come al solito da Roberto Natalini, che mi ha autorizzato a riprodurre l’immagine di Cédrat Villani (sic!), comparsa qui, per aprire questo Carnevale. L’autore è Leo Ortolani, un grande fumettista, “il più grande autore Marvel vivente” (detto da Andrea Piazzi, uno che se ne intende), che sta lavorando ad un progetto di un albo a fumetti sulla scienza. Chi ha apprezzato le storie di Rat-Man sa che non potrà perdere questo appuntamento. Ecco gli altri articoli comparsi sul sito: 
Iniziativa UMI: Mappa dei matematici italiani all'estero mostra i risultati di una lodevole iniziativa dell’'Unione Matematica Italiana, la quale, raccogliendo un suggerimento di Enrico Arbarello e Maurizio Cornalba, ha costruito una mappa interattiva della comunità matematica italiana all'estero. 
L'insieme fa la forza - Insiemistica "famigliare" è una recensione di Elena Toscano del libro L’insieme fa la forza di Anna Cerasoli, illustrato da Allegra Agliardi, recentemente pubblicato da Editoriale Scienza. Nel volume, uno degli “Albi illustrati” dell’editrice triestina specializzata in divulgazione scientifica per ragazzi, Anna Cerasoli propone ai più piccoli un esempio di insieme di cui certamente hanno fatto esperienza: la famiglia. Con abile strategia, l’autrice illustra i concetti logico-matematici dell’insiemistica (fino ai connettivi logici e alle Leggi di De Morgan!) tra le righe del brioso racconto, che ha per protagonista il topolino Tato, discendente del nobile casato dei Topinis de Topinibus. 
Il Teorema dei quattro colori, di Simone Costa, è un articolo che risponde alla domanda “Quanti colori sono necessari per colorare una mappa geografica delle regioni italiane, facendo in modo che due regioni confinanti non siano mai dello stesso colore?”. La risposta è data un noto teorema dimostrato con l’ausilio di potenti strumenti di calcolo. 
Alessandra Celletti è l’autrice di Da Keplero alle missioni spaziali, che disegna la storia della “meccanica celeste” dalle leggi di Keplero fino ai satelliti artificiali e all'astronautica, passando per le traiettorie di Hohmann e il problema dei tre corpi; l’articolo si conclude illustrando come si può sfruttare la teoria del caos per esplorare il sistema solare. 
Le segnalazioni da MaddMaths! si concludono con la presentazione del progetto che è risultato vincitore per la sezione Matematica del Concorso Nazionale "Affascinati dalla Scienza" del MIUR nel 2013, realizzato dagli studenti del triennio corso programmatori P/A e P/C dell'Istituto Tecnico Economico "G. Calò" di Francavilla Fontana (Br), coordinati dai professori Rosaria Trisolino e Cosimo Giuseppe Massaro: Affascinati dalla matematica, da spirali e frattali.


Leonardo Petrillo ha pubblicato due articoli davvero interessanti. Nel primo, che proviene dal suo blog Scienza e Musica, 0,99999999.... = 1, la dimostrazione basata sulla serie geometrica, si utilizza la serie geometrica convergente di ragione 1/10 per dimostrare al profano e all'inclita che il numero decimale illimitato periodico semplice 0,(9) equivale al numero intero 1. Il post prende spunto da un racconto pubblicato da Annarita Ruberto. 
Il secondo articolo è stato pubblicato sul meritorio blog collettivo Al tamburo riparato e si intitola Di tori e collane matematiche! ed è focalizzato su particolari forme matematiche: il toro e la collana di Antoine, presentate attraverso simpatiche immagini e video. Leonardo non ha resistito infine alla tentazione di regalare al lettore un'opera di Bach rappresentante un connubio perfetto tra musica sublime e matematica: le Variazioni Goldberg, che possiedono la particolarità di presentarsi alla stregua di una versione musicale del toro matematico.

Annarita Ruberto, che immagino in relax nello splendido Salento, segnala per questo appuntamento un contributo comparso su Matem@ticaMente, intitolato Spira Mirabilis, La Spirale Meravigliosa. Si tratta di un dialogo immaginario tra Il Maestro ed il suo discepolo Lucio sulla celebre spirale logaritmica, denominata anche spirale equiangolare o di Bernoulli o Spira Mirabilis. Il Maestro illustra a Lucio anche la spirale archimedea e quella aurea, con esempi tratti dal mondo naturale e belle immagini.

Da Con le Mele | e con le pere, Jean Morales ci segnala tre articoli. I fumetti di Calvin e Hobbes sono lo spunto per parlare di Matematica più alta e costruire triangoli prima e tre piramidi poi. Per costruire con la carta le piramidi, che messe insieme formano un cubo, c'è il pdf con lo sviluppo piano. Si chiede di contare le piramidi con certe proprietà, tra cui avere alcuni lati interi.
Una circonferenza all'angolo è un problemino di geometria conciso e rilassato, preceduto da una piccola digressione profondamente insensata (o insensatamente profonda). Un classico rinfresco estivo.
Ancora solidi, ancora cubi e piramidi rette, ancora sviluppi piani scaricabili o disegnabili con riga e compasso si trovano in Cubo senza un vertice, che ci chiede di approssimare il volume di un cubo troncato con un certo numero, da determinare, di cubetti.


Roberto Zanasi ha deciso di arricchire il suo blog Gli studenti di oggi e, di riflesso, questo Carnevale, con una serie di articoli, una saga, sul gioco del Nim. Nel precedente Carnevale sono comparse le prime tre puntate, nelle quali Roberto ha presentato il gioco, le sue regole, che cosa sono i giochi fuzzy e quelli uguali a zero. Come promesso, ora utilizza il Nim per alcune generalizzazioni sulla teoria dei giochi: 
Nim - 4. Nimeri: presentazione dell’aritmetica dei nimeri; 
Nim - 5. Somme di nimeri: la tabella della somma; 
Nim - 6. Lente progressioni: la tabella si allarga; 
Nim - 7. Manca qualcosa: la tabella si allarga ancora; 
Nim - 8. Tabella completa, ma non c’è ancora la regola; 
Nim - 9. Poker Nim: un nimero come l'insieme dei nimeri minori di esso; 
Nim - 10. Mex: il Minimal Excluded Rule
Nim - 12. Il Cavaliere Distratto: scomposizione in giochi più semplici; 
Nim - 14. La strategia vincente: rendere nullo il gioco.

Da Dropsea, Gianluigi Filippelli segnala due articoli per questo appuntamento. In Il momento angolare e la potenza della teoria dei gruppi, utilizzando  come punto di partenza un articolo uscito sul Journal of Mathematical Physics, Gianluigi racconta alcuni fondamenti della teoria dei gruppi e sottolinea la sua potenza come supporto allo studio degli osservabili. 
Con Giocare con la carta torna la serie dei Rompicapi di Alice, questa volta dedicata agli origami. Partendo dagli aeroplanini di carta, il post ci conduce lungo un breve percorso tra storia e matematica di un passatempo stimolante dagli straordinari potenziali didattici, utilizzato anche nella cosiddetta ricerca seria.


E i Rudi Matematici? Niente paura, ci sono anche questa volta. Cominciamo da Dai mosaici alle matrici, dove, ispirati dalle ricreazioni di Lucas, i tre figuri considerano semplici quadrati divisi da una diagonale in due triangoli colorati diversamente, ne esaminano le combinazioni e le disposizioni, li semplificano, li complementano, assegnano loro valori numerici, li fanno diventare matrici e pavimentano lo studio. 
Il secondo contributo si intitola Costruzioni complicate – Prima parte, piùppermenomeno, menopermenopiù. L’articolo ci conduce in un affascinante viaggio che parte dalla moltiplicazione di due interi positivi e. attraverso i numeri complessi, giunge prima a illustrare e definire il Campo Algebrico Completo e infine i quaternioni, spiegandoci e facendo vedere che il loro prodotto non è commutativo. Hamilton, commosso, ringrazia. 
Segue il post di soluzione de Il problema di Luglio (539) – Mappe per petrosi deserti (città e mezzi di trasporto), che contiene anche lo svelamento di un arcano poetico, dato che i versi pubblicati in rivista erano la traduzione di un gioco matematico rielaborato da una poesia vera e propria, scritta da John William Burgon, nel 1845. 
Il Re della Collina è infine l’illustrazione di un gioco con le carte che sta spopolando, pare, sui lidi marini bavaresi e austriaci. Il lettore accorto dovrà dimostrare di avere almeno capito le regole. 
Non concludo l’illustrazione dei contributi rudiani (rudopoietici?) senza aver segnalato l’uscita del numero 175 della nota rivista fondata lo scorso millennio: Rudi Mathematici 175, disponibile anche in versione e-pub.

Paolo Alessandrini, che scrive su Mister Palomar, continua la sua rassegna sospesa tra matematica e letteratura parlandoci delle Tigri blu, un racconto di Jorge Luis Borges in cui delle pietre indiane rifiutano di farsi contare comparendo e scomparendo in modo del tutto casuale e imprevedibile. Esse mettono in discussione l’esistenza stessa dell’aritmetica, perché addizioni e sottrazioni diventano operazioni del tutto prive di logica. L’autore sostiene che “Certi matematici affermano che tre più uno è una tautologia di quattro, un modo diverso di dire quattro. (...) Se tre più uno può fare due o può fare quattordici, la ragione è una follia”. Come spesso avviene nei post di Paolo, c'è spazio anche per due citazioni rock, dai Beatles ai Radiohead, e per un riferimento al celebre 2+2=5 di orwelliana memoria.


Come al solito copiosa la produzione di .mau., anche se lui sostiene che è “poca roba”. Cominciamo con una “pillola” comparsa su Il Post: Somme di quadrati, che tratta di alcune identità che hanno un profondo significato in algebra, da Brahmagupta fino ad Hamilton, Cayley e oltre, perché “la matematica è sempre troppo interconnessa”.
Sempre dal Post, per la serie delle parole matematiche, troviamo questa volta Parole matematiche: modulo, che ha la stessa origine di moda. Entrambe sono parole matematiche, ma il significato è ben diverso! (un consiglio: leggete i commenti, che c’è da imparare).
L’ultimo contributo dal giornale elettronico tratta di uno dei misteri poco gloriosi e gaudiosi della nostra esistenza: Perché l’altra corsia è sempre più veloce. Maurizio sostiene che è vero che l'altra corsia è più veloce per un tempo maggiore della nostra... ma questo non significa affatto che sia più veloce! Si tratta del paradosso di Redelmaier, ma considerare distanza e tempo non è proprio la stessa cosa…
Dalle Notiziole proviene l’altro articolo segnalato dal nostro fondatore, dal titolo evocativo Pari o dispari? Secondo la matematica, a fare bim-bum-bam si hanno le stesse probabilità di vittoria dell’avversario, ma noi umani tendiamo a non scegliere un numero davvero a caso: sfruttando questo fatto si potrebbe avere un leggero vantaggio.
Infine fornisco i link ai noti Quizzini della domenica, troppo brevi per essere riassunti.
Quizzino della domenica: Coriggetemi (2)!
Quizzino della domenica: Quadrati e cifre.
Quizzino della domenica: Catena di primi.
Quizzino della domenica: Goldbach alla rovescia.
Quizzino della domenica: Danza dei quadrati.

Concludo l’esposizione con gli articoli comparsi qui su Popinga. Heavy meta è una piccola storia del significato e dell’uso del prefisso greco meta-, che inizialmente significava “dopo” e, con il tempo è diventato “al di là”. Così, la Metafisica di Aristotele, che era soltanto il libro che veniva dopo la Fisica, divenne il libro che tratta gli enti posti al di là della fisica perché divini. Sul modello di Metafisica si sono coniati parole e concetti che indicano un superamento o un autoriferimento, da metalogica a metamatematica. Lo studio delle proprietà dei sistemi formali e il successo dei libri di Douglas Hofstadter hanno dato nuova linfa a questa antica parola. 
Questo è il titolo di questo racconto, che si trova diverse volte anche nel racconto stesso è una storia del 1982 dello scrittore e sinologo David J. Moser, interamente composta da frasi auto-referenziali. Douglas Hofstadter la pubblicò nella sua rubrica sullo Scientific American. Il racconto, deliziosamente noioso, comparve anche nella raccolta Metamagical Themas, in cui Hofstadter radunò gli articoli della rubrica. Mi sono divertito a tradurre il racconto e ho ottenuto da Moser il permesso di pubblicare la mia versione in italiano. 
Onori e disgrazie di Francesco Barozzi, matematico e mago: il 9 agosto 1537, da una nobile famiglia veneziana insediata a Creta, nasceva il matematico ed erudito Francesco Barozzi (latinizzato in Franciscus Barocius), una figura emblematica della cultura del Cinquecento, nella quale convissero la passione umanistica per la riscoperta della matematica degli antichi e la mentalità magica. Instancabile poligrafo, fu processato e condannato dall'inquisizione con l’accusa di aver provocato una tempesta con le arti proibite: da quel momento smise di scrivere. 


Il Carnevale, illustrato con immagini "steampunk", si conclude qui. Vi ricordo che sarà Roberto Zanasi su Gli studenti di oggi ad ospitare il prossimo Carnevale di settembre, il n. 65, con il tema “la navigazione".


lunedì 5 agosto 2013

Onori e disgrazie di Francesco Barozzi, matematico e mago


Agli inizi del Cinquecento l’isola di Creta (allora chiamata Candia) era veneziana da quasi tre secoli, dai tempi della quarta crociata, che aveva condotto all'infame distruzione di Costantinopoli dai parte dei latini nel 1204. Dopo quella data, un certo numero di famiglie patrizie veneziane aveva preso il controllo dell’isola, formando un’aristocrazia invisa alla popolazione locale (che si augurava gli ottomani, tanto per dire). 

Il 28 maggio 1453 Costantinopoli, il cui antico impero era oramai ridotto a poche terre vicine alla città, fu definitivamente presa dai Turchi. Ciò ebbe effetti grandissimi sullo sviluppo della cultura umanistica, perché molti degli studiosi bizantini che si dedicavano alla ricerca e alla pubblicazione degli antichi manoscritti greci fuggirono a Creta, che divenne il centro per la tradizione dell’antica sapienza greca verso l’Italia. Diversi studiosi greci giunsero attraverso l’isola nelle corti e nelle università della penisola, portando con sé manoscritti e idee. Attraverso di loro, l’Occidente riscopriva i grandi matematici dell’epoca alessandrina, il pensiero di Platone e dei filosofi neoplatonici, ma anche quello che viene definito come Corpus Hermeticum, l’insieme degli scritti di carattere magico e gnostico compilati da varie mani nei primi secoli dopo Cristo ed erroneamente attribuiti all'antico saggio egizio Ermete Trismegisto (“tre volte grande”), ritenuto di poco posteriore a Mosè e comunque vissuto assai prima dei grandi filosofi greci.

Il 9 agosto 1537, proprio da una nobile famiglia veneziana insediata a Candia, nasceva il matematico ed erudito Francesco Barozzi (latinizzato in Franciscus Barocius come usava allora), una figura emblematica della cultura del Cinquecento, nella quale convissero la passione umanistica per la riscoperta della matematica degli antichi e la mentalità magica. Il suo contributo all'evoluzione del pensiero scientifico si inquadra nel movimento rinascimentale dedito allo studio critico della scienza antica, compiuto attraverso la lettura e la traduzione di opere greche e latine nei manoscritti originali. La sua biografia, come quella di tanti matematici del suo tempo (ad esempio il Cardano, o il Della Porta), presenta aspetti che a prima vista appaiono contraddittori, pervasi, come vedremo, di mentalità astrologica ed ermetica. 

La realtà è che il cammino della scienza moderna, almeno nei suoi secoli iniziali, è stato tutt'altro che lineare, essendo la mentalità scientifica una delle componenti di un'incredibile accozzaglia di idee, concetti e teorie razionali, semi-razionali, moderatamente bizzarre o del tutto folli, che spesso convivano in una stessa figura di erudito o filosofo naturale. Non si spiegherebbe altrimenti il successo di alcuni testi magici, letti, consultati e citati per secoli, o di veri e propri fake politico-religiosi, come quello della misteriosa setta dei Rosa-Croce, che pure portarono all'evoluzione del pensiero scientifico accanto allo sviluppo di idee di tolleranza religiosa.

Il De occulta philosophia del mago tedesco Cornelio Agrippa di Nettesheim, che circolò come manoscritto dal 1510 e fu pubblicato nel 1533, fornisce un’interessante rassegna dell'intero campo della magia rinascimentale. L’opera, pur non essendo altro che una raccolta delle idee ermetiche, cabbalistiche e astrologiche che si erano sviluppate in Europa nei decenni precedenti e sebbene, nonostante il titolo, abbia ben poco di filosofico, ebbe un successo immediato e duraturo tra tutti i circoli eruditi, allora assai numerosi, che si rifacevano al pensiero magico. Essa è suddivisa in tre libri: il primo dedicato alla magia naturale, o magia del mondo elementare; il secondo alla magia celeste; il terzo infine alla magia cerimoniale.

L'universo va diviso, dice Agrippa, in tre mondi: quello elementare, quello celeste e quello intellettuale. Ciascuno di essi riceve influssi dal mondo che gli è direttamente superiore, in modo che la virtù del Creatore discende attraverso gli angeli nel mondo intellettuale, alle stelle del mondo celeste e da qui agli elementi e a tutte le cose che ne sono composte: animali, piante, metalli, pietre e così via. I maghi sono convinti che sia possibile ripercorrere all'inverso questo stesso processo e attirare le virtù del mondo superiore su di noi manipolando quelle inferiori: «Tale è infatti la concordanza del mondo che le cose celesti attraggono quelle a loro superiori e le cose naturali quelle sovrannaturali grazie alla virtù che circola in tutte le cose e alla partecipazione ad essa di tutte le specie». I maghi tentano di scoprire le virtù del mondo elementare attraverso la medicina e la filosofia naturale; quelle del mondo celeste per mezzo dell'astrologia e della matematica; quanto poi al mondo intellettuale, essi studiano i riti, le invocazioni, le cerimonie sacre delle varie religioni. Queste tre divisioni corrispondono alla ripartizione della filosofia in fisica, matematica e teologia. Soltanto la magia le comprende tutte tre. 


Il Libro II, dedicato alla magia celeste, è quello che più ci interessa. Secondo Agrippa, la matematica è estremamente necessaria alla magia poiché tutto ciò che viene prodotto mediante virtù naturali è regolato da numero, peso e misura. Attraverso la matematica si è in grado di realizzare portenti prima impensabili, e di dar forma a statue e figure capaci di muoversi e di parlare, perché la matematica è in grado di creare statue viventi, colmandole degli stessi poteri di quelle costruite tramite occulte virtù naturali. 

“Così, quando un mago è versato nella filosofia naturale e nella matematica e conosce le scienze che ne derivano, l’aritmetica, la musica, la geometria, l’ottica, l’astronomia e quelle che si esercitano a mezzo di pesi, di misure, di proporzioni, di giunzioni, nonché la meccanica, che è la risultante di tutte queste discipline, può compiere cose meravigliose che stupiscono gli uomini più colti”

Il libro si dilunga sulle virtù dei numeri, a partire dall'Uno che è il principio e la fine di tutte le cose e appartiene a Dio. Vengono considerati i numeri dal due al dodici, con i loro rispettivi significati e raggruppamenti particolari, poi le lettere dell'alfabeto ebraico, che hanno valori numerici dotati di grande efficacia ai fini della magia cabalistica. La parte dedicata ai numeri si conclude con l’esposizione dei quadrati magici, che sono in accordo con i numeri planetari ed hanno il potere di attirare l'influsso del pianeta a cui sono rispettivamente collegati (come non pensare al quadrato di Giove nella Melancolia I di Albrecht Dürer, del 1514, posto a temperare l'atmosfera saturnina del dipinto?)


Come si vede, la conoscenza matematica di Agrippa è assai limitata, e il suo trattato si limita a un’esposizione del valore simbolico dei numeri. Eppure l’idea che la matematica, la geometria e le scienze correlate, possono consentire al sapiente di agire sul mondo è il grande elemento di novità, che costituisce la rottura definitiva con le epoche precedenti. Questa idea, anticipata nelle opere ermetiche di Marsilio Ficino e in quelle cabalistiche di Pico della Mirandola, ancora confusa, di homo faber, aprì la strada al grande successo delle arti meccaniche nel Cinquecento, e contribuì ad indirizzare i “filosofi” del tempo verso lo studio della natura.

L’inglese John Dee, un mago rinascimentale assai più dotto di Agrippa, dalle conoscenze matematiche aggiornate alle più recenti acquisizioni del suo tempo (aveva studiato presso Frisius e Mercatore a Lovanio e aveva avuto modo di conoscere insigni matematici europei come Federico Commandino), nella Mathematicall Praeface alla traduzione dal greco in inglese degli Elementi di Euclide realizzata da Sir Henry Billingsley (1570), esprimeva le stesse idee: 

“Puoi ben capire, dagli Elementi di Euclide, che questa scienza è molto più vasta e comprende molto più che non la sola misurazione di pianure, e i suoi ulteriori scopi non sono da meno della misurazione della superficie terrestre. Dovrebbe dunque esserci un altro nome, per la nostra scienza matematica della grandezza, che non riguarda né zolle né torba, né colline né valli, né terra né cielo, e che è l'assoluta Megethologia [scienza della Grandezza Divina, ndr], che non striscia sul terreno, né si interessa di misurazioni, ma innalza il cuore sopra i cieli, con linee invisibili, e raggi immortali, si incontra con i riflessi della incomprensibile luce e perciò procura gioia e un'indicibile perfezione”. 

Ma torniamo al Barozzi. Il giovane Francesco fu mandato a studiare greco e latino a Padova. Più tardi frequentò lo Studio della stessa città, dove seguì i corsi di filosofia e matematica. Nel 1559 lesse matematica nello stesso ateneo, esponendo il celebre Tractatus de Sphaera di Giovanni Sacrobosco, con lo scopo di confutarne gli errori. Alla morte del padre ereditò una cospicua fortuna in danaro e in immobili a Rettimo, a Creta, ma decise di stabilirsi a Venezia, dove rimase tutta la vita, tranne qualche soggiorno nei suoi possedimenti insulari. 

Nel 1560 pubblicò a Padova la traduzione in latino dell’edizione del filosofo neoplatonico Proclo (V sec.) del primo libro degli Elementi di Euclide (Procli Diadochi Lycii in primum Euclidis elementorum librum…), dall'indubbio pregio di essere basata su fonti migliori e affidabili di quelle utilizzate in precedenza. Nello stesso anno uscì un suo Opusculum, (…) de medietate Mathematicarum, scritto in risposta alle opinioni espresse dall'umanista senese Alessandro Piccolomini sulla natura della certezza matematica. Per il Barozzi la certezza matematica deriva dalla natura delle sue prove, dal rigore sintattico delle sue dimostrazioni, pertanto non è inferiore alla verità che si ottiene dai ragionamenti della logica. Dal punto di vista dell’uomo, la certezza matematica, che è direttamente raggiungibile, è superiore anche a quella metafisica, sebbene quest’ultima sia superiore in termini assoluti perché deriva da Dio.


Autore assai prolifico, tradusse diverse opere dei matematici greci: Erone, Pappo (migliorando una traduzione del Commandino) e Archimede. La versione dell’opera di Erone sulle macchine da guerra, Heronis mechanici liber de machinis bellicis, pubblicata nel 1572, ebbe ad esempio una notevole risonanza. Nello stesso anno uscì Il nobilissimo et antiquissimo giuoco pythagoreo nominato rythmomachia cioè battaglia de consonantie de numeri, in lingua volgare a modo di parafresi composto, dedicato a un gioco matematico noto anche come “gioco dei filosofi”, già descritto in precedenza dal francese Boissière. 

Tra gli altri suoi numerosi libri, uno (Admirandum illud geometricum problema tredecim modis demonstratum quod docet duas lineas in eodem plano designare…, 1586) ha per soggetto il modo di tracciare gli asintoti; vi si descrive uno strumento, somigliante al compasso perfetto, che consente di disegnare non solo circonferenze, ma anche iperboli, parabole ed ellissi; vi si costruiscono, in diversi modi, gli asintoti dell'iperbole, una coppia d'iperboli aventi gli stessi asintoti, ed anche qualche curva di grado superiore, dotata di asintoto. Un altro importante testo è la Cosmographia (1585), dedicata alle mappe terrestri e contenente elementi di meteorologia e geografia fisica. In una lettera scritta al Clavio il 27 febbraio 1585, il Barozzi spiegava la sua intenzione di fornire dopo 29 anni una critica puntuale dell'opera De Sphaera mundi di Giovanni di Sacrobosco (ca. 1230), divulgata ancora fino sec. XVII, nonostante le sue evidenti lacune e imprecisioni. Tra gli 84 errori rimproverati all'astronomo inglese non c’è tuttavia il sistema tolemaico, e una nota a margine condanna come falsa l’opinione di Aristarco e Copernico.

Fin qui il Barozzi matematico e astronomo. Ma la sua parallela attività di poligrafo ermetico fu la causa dei suoi guai. Intorno al 1583 subì un primo processo, fu dichiarato colpevole e condannato a vivere per un certo periodo chiuso in un monastero. Non sappiamo quali fossero le accuse, ma sicuramente alcune sue opere potevano aver suscitato l’interesse dell’Inquisizione. Nel 1566 aveva dato alle stampe un Pronostico Universale di tutto il mondo, in cui forniva le profezie di Nostradamus per il quinquennio 1565-1570 e, nel 1577 aveva poi pubblicato gli Oracula Leonis, contenente le profezie attribuite all'imperatore bizantino Leone VI. 

Il 16 ottobre 1587 fu condotto di nuovo di fronte ai giudici dell’Inquisizione e condannato, questa volta per apostasia e sospicioni di heresia. Della sentenza esistono diverse copie, anche se gli atti del processo non sono stati conservati. Secondo i giudici, Francesco Barozzi aveva compiuto e insegnato al figlio, alla figlia e al genero Daniele Malipiero, processato e condannato con lui, varie superstizioni e divinazioni. Aveva evocato nel territorio di Rettimo uno spirito in forma di fanciulla, e gli aveva chiesto "le cose future et secrete”; aveva fabbricato un'immagine di stagno per filtri d'amore secondo le istruzioni di Cornelio Agrippa. Sempre a Candia, aveva cercato di far piovere con esorcismi, suffumigi e pentacoli "secondo l'arte insegnata da Cornelio Agrippa et da Pietro d'Abbano”, causando una tremenda tempesta; aveva abusato dei sacramenti per fabbricare sortilegi amorosi, e così via. Al nostro matematico mago si rimproverava: “Hai ancho confessato che essendo in Candia hai avuto conversatione con due sorelle maghe et strighe e che una di esse portava il Santissimo Sacramento consecrato alla greca cucito in una scarpa per andar invisibile, alle quali più volte hai fatto quesiti, et havuto risposta di cose future et secrette”


La sentenza lo condannò a fornire croci d’argento per l’equivalente di 50 ducati all'arcivescovo di Candia o al suo vicario e per altri 50 ducati al vescovo di Rettimo, a compiere una serie di penitenze e a restare incarcerato ad arbitrio del S. Uffizio. Non sappiamo se scontò effettivamente la pena detentiva, né quando eventualmente riottenne la libertà: degli ultimi vent'anni della sua vita mancano notizie. Di sicuro, da quella data smise di pubblicare, se si eccettua una nuova edizione della Cosmographia che uscì nel 1598. Secondo un suo biografo aveva pronta un’altra opera astronomica, Theoricae planetarum vel quintus liber, sive complementum Cosmographiae, che tuttavia non vide mai la luce e andò perduta. 

Francesco Barozzi morì a Venezia il 23 novembre 1604, probabilmente per un colpo apoplettico. Lasciò in eredità al nipote Iacopo una raccolta di manoscritti, poi arricchita dallo stesso Iacopo, che ne compilò un catalogo. Nel 1629 William Herbert, terzo conte di Pembroke e cancelliere dell'università di Oxford, noto per essere stato il protettore di William Shakespeare, acquistò la raccolta per 700 sterline e la donò alla Biblioteca Bodleiana della stessa Università, dove è tuttora conservata.