giovedì 29 aprile 2021

Verso la tettonica delle placche

La teoria di Wegener della deriva dei continenti fu la scintilla che accese un nuovo modo di vedere la Terra che portò alcuni scienziati a cercare una spiegazione di come i continenti potessero muoversi. Robert Schwinner (1878-1953), un geologo e geofisico austriaco, aveva fatto rivivere una vecchia idea di von Humboldt secondo cui potrebbero esistere flussi di magma convettivi nel mantello e che i continenti stanno viaggiando loro in groppa. Il geologo e alpinista austriaco Otto Ampferer (1875-1947) ebbe un'idea simile e nel 1925 presentò il primo modello di correnti di convezione responsabili della deriva dei continenti (Fig.1). Già nel 1916 e, successivamente, nel 1928 il geologo olandese Frederik Molengraaf (1860-1942) identificò la dorsale medio atlantica come una struttura vulcanica e sostenne che poteva essere un luogo di espansione del fondo oceanico che stava separando i continenti su entrambi i lati dell'Atlantico. Ampferer seguì il suo esempio in un documento nel 1941 intitolato “Riflessioni sull’immagine del movimento dell’area atlantica”. Allo stesso modo, Arthur Holmes (1890-1965), un geologo britannico che si rese presto conto del grande potenziale della scoperta di Lord Rutherford del 1911 che la radioattività forniva un mezzo per misurare l'età dei minerali, aveva fornto una spiegazione per il motivo per cui i continenti potevano muoversi, ancora più avanzato delle teorie di Schwinner e Ampferer. Holmes suggerì che il calore intrappolato nel mantello terrestre causava correnti di convezione vaste e lente e che questa era la fonte di energia di cui Wegener aveva bisogno per far andare alla deriva i continenti. Nella prima edizione del suo libro Principles of Physical Geology, nel 1944, mostrò un disegno della convezione del mantello e scrisse: "Le correnti che scorrono orizzontalmente sotto la crosta porterebbero inevitabilmente i continenti con loro". Suggeriva anche che “le correnti (…) separano le due metà del continente originario, con conseguente costruzione di montagne dove le correnti scendono, e sviluppo del fondale oceanico sul sito della separazione, dove le correnti salgono". L'ultima affermazione si riferisce alle dorsali medio oceaniche; la loro scoperta fu un'altra pietra miliare nelle scienze della Terra che ha contribuito alla teoria della tettonica a placche, che ha progressivamente sostituito la teoria della deriva dei continenti. Ma quando, come e da chi è stata fatta la scoperta delle dorsali oceaniche?


Figura 1. Modello schematico che mostra le correnti di convezione responsabili della deriva dei continenti (Ampferer, 1925). Kontinentalscholle, continente; aufsteigende Strömung, corrente ascendente; absteigende Strömung, corrente discendente; Antrieb von innen, spinta dall'interno.

Nel 1850 Matthew Fontaine Maury (1806–1873), tenente della Marina degli Stati Uniti e oceanografo, ipotizzò una cresta nel mezzo dell'Oceano Atlantico mentre valutava i sondaggi acustici acquisiti con la nave di ricerca Dolphin. Presentò le sue scoperte in The Physical Geography of the Sea (1855, Fig. 2a). Pochi decenni dopo, la nave britannica HMS Challenger (1872–1876) partì per esplorare l'Oceano Atlantico. La prima carta batimetrica dell'intero Oceano Atlantico di Murray & Renard (1891), sintetizzata dai dati batimetrici acquisiti durante la spedizione HMS Challenger, rivela una struttura in mezzo all'oceano che può essere interpretata come una dorsale (Fig. 2b). Tuttavia, gli scarsi e rudimentali sondaggi acustici consentivano solo contorni generalizzati; doveva ancora essere realizzato un profilo più dettagliato della dorsale e del fondo oceanico. Per questo, bisogna tornare in Germania.

Fig. 2a. Prima mappa batimetrica, creata nel 1853 da Maury in collaborazione con la Marina degli Stati Uniti. 

Fig. 2b. Particolare dalla mappa del 1877 di Thomson basata sulle misurazioni della nave Challenger, che mostra la prima mappatura continua della dorsale medio-atlantica. 

Il chimico tedesco Fritz Haber (1868-1934), Premio Nobel per la chimica nel 1918 (ricevuto nel 1919) per il suo metodo per sintetizzare direttamente l’ammoniaca e paladino dell’uso dei gas tossici sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, suggerì che la Germania avrebbe potuto alleviare i suoi debiti dopo la guerra estraendo oro dall'acqua di mare. Questo suggerimento era basato sul presupposto che l'oro fosse contenuto nell'acqua di mare in concentrazioni di 5-10 mg per tonnellata. Haber fu quindi segretamente incaricato del progetto. Nel 1925, la nave da ricerca tedesca Meteor partì in gran segreto per esplorare sistematicamente l'Oceano Atlantico dalla regione antartica ai tropici del Nord Atlantico. Furono esaminati enormi volumi di acqua di mare per ottenere informazioni sulla chimica e la temperatura dell'acqua e si condussero circa 67.000 sondaggi acustici. Dopo due anni di ricerca, Haber dovette riscontrare che il campione della crociera del Meteor aveva un contenuto medio di oro di 0,008 mg per tonnellata di acqua di mare e che quindi aveva fallito, essendoci meno oro di quanto si pensasse in precedenza. Tuttavia, per eterogenesi dei fini, la spedizione ebbe il merito di identificare con grande dettaglio una lunga dorsale che corre lungo il centro dell'Oceano Atlantico come illustrato nella prima carta batimetrica dettagliata dell'Atlantico meridionale (pubblicata da Maurer & Stock nel 1933). La cresta identificata in seguito divenne nota come dorsale medio atlantica. Si tratta di una dorsale medio-oceanica, cioè una catena montuosa sul fondo degli oceani terrestri, una chiave importante per la teoria della tettonica delle placche.

Fig. 3 Mappatura batimetrica dell’Atlantico eseguita dalla nave tedesca Meteor tra il 1925 e il 1927.

Molte furono le ipotesi sull’origine delle dorsali medio oceaniche, fino a quando il geologo americano Harry Hess (1906-1969), che condusse un'ampia mappatura dei fondali marini durante la Seconda guerra mondiale, pubblicò nel 1962 un articolo innovativo intitolato History of Ocean Basins, in cui sviluppava l’idea di espansione del fondale marino, precursore della tettonica delle placche. Hess riprese l'intuizione di Molengraaf secondo cui il fondale marino si forma sulla dorsale medio-oceanica e si sposta orizzontalmente dalla sua cresta verso una fossa oceanica, dove è subdotto nel mantello. La convezione nel mantello è la forza trainante di questo processo. Un anno prima, Dietz (1961) aveva proposto un concetto riferito alla "diffusione della teoria dei fondali marini"; la sua argomentazione non era tuttavia necessariamente indipendente (poiché il manoscritto di Hess circolava nei circoli scientifici dal 1959) e non era così dettagliata come quella di Hess. 

Lo studio del paleomagnetismo, cioè del campo magnetico del passato, è possibile attraverso l’analisi di molte rocce, che conservano “cristallizzata” nei minerali metallici la magnetizzazione esistente al momento della loro formazione. La ricerca paleomagnetica portò alla scoperta che la magnetizzazione conservata nelle rocce antiche era in genere diversa da quella del campo geomagnetico attuale, come se il polo magnetico si fosse spostato nel tempo. Ma le misure effettuate su rocce della stessa età di continenti diversi indicavano diverse posizioni del polo magnetico. Se ne dedusse che i continenti si erano spostati, scivolando e/o ruotando sulla superficie terrestre. Inoltre, in molte rocce di età diversa, la direzione di magnetizzazione risulta opposta a quella attuale come se, al momento della loro formazione, il polo Nord e il polo Sud si fossero invertiti. In molte rocce antiche si rilevarono numerose inversioni polarità. Si concluse che nel corso del tempo il campo geomagnetico è passato alternativamente da normale (orientato con il polo Nord) a inverso (orientato con il Polo Sud). Dagli anni '50 in poi, gli oceani del mondo sono stati ampiamente studiati con l’ausilio dei magnetometri. Sono state identificate anomalie magnetiche disposte in schemi lineari sul fondo marino subparallelo rispetto alle dorsali che si espandono nell'oceano, prima sul fondo del mare al largo della California (Fig. 4) e successivamente in altri bacini oceanici. Lawrence Morley (in un articolo inizialmente rifiutato da Nature) e Vine & Matthews (1963) sono stati i primi a riconoscere la loro importanza per fornire una spiegazione per questo modello lineare, che si è sviluppato a causa di numerose inversioni del campo magnetico terrestre. In pratica, la crosta oceanica non si è formata tutta insieme, ma in tempi diversi, e risultò tanto più antica quanto più ci si allontanava dalle dorsali. Ogni banda magnetica è stata magnetizzata conservando la polarità presente quando quel pezzo di fondale oceanico si è formato nella valle centrale sull'asse della dorsale medio-oceanica (fig. 5).

Figura 4. Anomalie magnetiche al largo della costa occidentale del Nord America. Le linee tratteggiate indicano i centri di diffusione sulle dorsali oceaniche.


Figura 5. Il profilo magnetico osservato per il fondo marino attorno a una dorsale medio-oceanica concorda strettamente con il profilo previsto dall'ipotesi Vine – Matthews – Morley.

Alla luce di queste nuove scoperte, era in arrivo una migliore comprensione di come il meccanismo sembra funzionare. Alcuni scienziati erano ancora scettici riguardo all'ipotesi delle correnti di convezione come motore principale della diffusione del fondo marino, e invece preferivano un'espansione generale della Terra, ma una rivalutazione della teoria di Wegener della deriva dei continenti stava diventando sempre più necessaria e apprezzata per la spiegazione dei movimenti orizzontali della crosta.

Il primo approccio computazionale in paleogeografia fu presentato da Edward Bullard (1907-1980), Jim E. Everett e Alan G. Smith (1937-2017) nel loro famoso articolo The fit of the continents around the Atlantic (1965), che mostrava un adattamento geometrico molto accurato dei continenti circumatlantici utilizzando il primo computer EDSAC 2 dell'Università di Cambridge. Essi usarono il vero "confine del continente", cioè il margine continentale invece delle linee costiere (Fig. 6). Questo adattamento divenne noto come "Bullard fit" (adattamento di Bullard), sebbene gran parte del lavoro fosse svolto dai coautori. Anche se erano interessati solo all'approccio cinematico e non stessero discutendo il meccanismo con cui i continenti si sono divisi e gli oceani si sono formati, l’articolo di Bullard, Everett & Smith può essere visto come una transizione tra le teorie della deriva dei continenti e quella attuale della tettonica delle placche. 

Figura 6. Bullard fit. Un fathom (braccio) è un'unità di lunghezza per misurare la profondità utilizzata dalla marina inglese e americana, pari a 6 piedi (1,8288 m).

martedì 27 aprile 2021

Wegener e la nascita della teoria della deriva dei continenti



Nel gennaio 1911 il giovane meteorologo tedesco Alfred Wegener (1880–1930) scrisse a sua fidanzata Else Köppen (poi sposata nel 1913) riguardo a un'osservazione fatta dopo aver sfogliato per ore le pagine delle belle mappe dell’Andrees Allgemeiner Handatlas, l'importante opera cartografica pubblicata in diverse edizioni tedesche e straniere dal 1881 al 1937: “La costa orientale del Sud America non si inserisce precisamente nella costa occidentale dell'Africa così come se fossero stati collegati in passato? Ciò sembra ancora più vero, quando si guarda una mappa batigrafica dell'Oceano Atlantico e si confrontano non i bordi delle terre emerse continentali, ma i bordi delle piattaforme continentali con il mare profondo (Fig. 1). Devo dare seguito a questa idea"Non ci volle molto a Wegener per pensare seriamente a questa “scoperta”, perché, nell'autunno del 1911, lesse per caso una rassegna sommaria su scoperte paleontologiche simili in Africa e Brasile, che suggerivano che un tempo c'era stato un collegamento tra queste due continenti. Questa lettura portò il giovane scienziato a pensare a un'ipotesi che spiegava in modo alternativo queste osservazioni.


Figura 1 - Carta dei bordi delle piattaforme continentali riprodotta da Wegener nel 1912.

Il nucleo del concetto emergente, la disgregazione del paleo-continente Gondwana, era già delineato in una lettera del 6 novembre 1911 al futuro suocero, il noto meteorologo Wladimir Köppen (1846-1940): "Si può immaginare questo processo in due modi: 1) con lo sprofondamento del continente di collegamento oppure 2) con l’allargamento di una gigantesca spaccatura. Finora si è sempre considerato 1) e ignorato 2) perché è opinione comune che la posizione di tutte le terre sia invariabile. Nonostante questo, 1) contraddice il concetto moderno di isostasia e in generale la nostra immaginazione fisica. Un continente non può affondare, perché è più leggero di quello su cui galleggia, (...) allora perché dovremmo esitare a gettare a mare la vecchia opinione?"

Prevedendo almeno alcune delle accese controversie che sarebbero sorte dall'articolazione di tali punti di vista, Köppen avvertì Wegener, invano, di non avventurarsi in terre sconosciute, inserendosi nella discussione di questioni geologiche in quanto meteorologo e quindi come estraneo. Ignorando questo consiglio ben intenzionato, il 6 gennaio 1912 Wegener tenne una conferenza intitolata "Sviluppo delle caratteristiche principali della crosta terrestre (continenti e oceani) su una base geofisica" all'assemblea generale annuale della Geologische Vereinigung a Francoforte sul Meno, rendendo così pubblica per la prima volta la sua ipotesi di deriva dei continenti. 

Fu da allora che si considerò seriamente l’idea della mobilità laterale dei continenti come una teoria scientifica. Wegener ipotizzò che un tempo i continenti erano riuniti in un unico blocco. In seguito, essi si erano mossi dalla loro posizione iniziale, fino a raggiungere quella attuale. 


Figura 2. Vista schematica di una sezione della superficie terrestre fino al suo nucleo che indica che i continenti (Sal) galleggiano sulla crosta viscosa esterna (Sima), secondo il modello di deriva dei continenti di Alfred Wegener.

Poco dopo Wegener scrisse due articoli e inviò il minore, un breve riassunto, alla rivista Geologische Rundschau. Il principale era un dattiloscritto di 69 pagine che presentò al Petermanns Geographische Mitteilungen (PGM) pur temendo il verdetto che sarebbe stato giudicato troppo prolisso. Tuttavia, la rivista non chiese alcun taglio e pubblicò immediatamente il lungo articolo in tre numeri mensili consecutivi con il titolo laconico ma appropriato "L'origine dei continenti" a partire dall’uscita dell’aprile 1912, ancor prima della pubblicazione della sintesi sul Geologische Rundschau. Pertanto, una delle principali riviste geografiche dell'epoca poteva vantare l'onore di essere la prima a pubblicare l'ipotesi geologica tanto controversa della deriva dei continenti.

Come indicato nella sua lettera a Köppen, l'assunto fondamentale sia nel la conferenza di Wegener che nella sua descrizione contenuta nel documento del PGM, era incentrato sull’ipotesi  che i continenti sono costituiti da un insieme più leggero di elementi chiamato Sial (Wegener nel documento inaugurale lo chiamò Sal, come aveva già proposto Eduard Suess), acronimo di Silicio e Alluminio, con una densità compresa tra 2,5 e 2,7 g/cm3, che galleggiano isostaticamente su un più pesante insieme di elementi del mantello esterno del globo chiamato Sima, acronimo di Silicio e Magnesio, con una densità compresa tra 3 e 4 g/cm3 (Fig.2).

Insomma, le concomitanze geologiche, paleontologiche e paleoclimatiche tra Brasile e Africa non potevano essere spiegate con il naufragio fisico di un ponte di terra che si estendeva per migliaia di chilometri. L'unica seconda opzione rimasta, descritta nella lettera a Köppen, era la graduale disintegrazione e/o collisione dei continenti. Inoltre, l'immagine di enormi isole galleggianti alla deriva offriva anche una spiegazione sorprendentemente semplice per l'osservazione che la Scandinavia si era costantemente innalzata sopra il livello del mare sin dallo scioglimento dei suoi pesanti ghiacciai del Pleistocene.

In realtà, come abbiamo visto in precedenza, gran parte di ciò che Wegener propose non era completamente nuovo perché la sua idea era basata su osservazioni precedenti che erano nel frattempo state confortate da un'ampia gamma di nuove prove. Ad esempio, Wegener scrisse nel 1929: "La prima idea di deriva dei continenti mi venne per la prima volta nel lontano 1910, considerando la mappa del mondo, sotto l'impressione diretta prodotta dalla congruenza delle coste su entrambi i lati dell'Atlantico. All'inizio non ho prestato attenzione all'idea perché la consideravo improbabile. Nell'autunno del 1911 mi imbattei per caso in un rapporto sinottico in cui appresi per la prima volta prove paleontologiche di un ex ponte terrestre tra Brasile e Africa. Di conseguenza, ho intrapreso un primo esame della ricerca pertinente nei campi della geologia e della paleontologia, e questo ha fornito immediatamente un conforto così pesante che una convinzione della fondatezza dell'idea si è radicata nella mia mente". Wegener pubblicò l’idea fondamentale della “deriva dei continenti”, oltre che nei due articoli del 1912, nella prima edizione del suo libro Die Entstehung der Kontinente und Ozeane (L’origine dei continenti e degli oceani, 1915), seguita da tre edizioni riviste (1920, 1922 e 1929) ciascuna delle quali conteneva nuovi dati.

Uno dei concetti di base che convinsero Wegener a proporre la deriva dei continenti era l'idea di una grande massa continentale unitaria, costituita dalla maggior parte delle regioni continentali della Terra. Nella sua teoria, Wegener ipotizzò il supercontinente di Pangea (derivato da πᾶν-γαῖα, greco per “tutta la terra”) per spiegare le antiche somiglianze climatiche, le prove fossili e la somiglianza delle strutture rocciose tra l'Africa e il Sud America, nonché i contorni dei continenti, soprattutto le piattaforme continentali, che sembrano combaciare (Fig. 3). per supportare la sua teoria, Wegener utilizzò principalmente le seguenti prove geologiche: a) Tipi di roccia simili sono stati trovati nelle catene montuose su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico, ad esempio i monti Appalachi del nord-est del Nord America erano collegati alle Highlands scozzesi e quelli a sud di New York ai Pirenei. b) Fossili simili (o strettamente correlati) sono stati trovati su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico, il che implica che i continenti una volta erano uniti. c) Piante terrestri tropicali fossili sono state trovate nelle rocce che ora si trovano nelle regioni polari: nel 1912, la felce estinta Glossopteris fu trovata in Antartide durante la famosa e sfortunata spedizione antartica di Robert Falcon Scott tra il 1910 e il 1913.


Figura 3. Le ricostruzioni paleogeografiche del mondo di Alfred Wegener per tre periodi (tardo carbonifero, eocene e quaternario antico) secondo la teoria della deriva dei continenti (da Wegener, 1929). La mappa in alto mostra il supercontinente di Pangea. 


Come altre ipotesi rivoluzionarie, la proposta di Wegener conteneva alcuni errori e omissioni iniziali. Uno di questi errori era la sua ipotesi "che la crosta salica una volta coprisse l'intera superficie dell'intera terra" che solo dal processo "di lacerazione e fusione, di cui le singole fasi percepiamo come orogenesi, superficie e coerenza, gradualmente perse ma invece acquisito spessore [verticale]”. Tra le omissioni più importanti, bisogna menzionare l'incapacità di Wegener di nominare il potente motore necessario per azionare la deriva dei continenti. Oltre a limitarsi inizialmente agli effetti della "marea lunare sul globo", suggerì in qualche modo impotente di considerare preliminarmente "i movimenti dei continenti come risultati di correnti accidentali nel globo terrestre". Fu principalmente questo fallimento nel determinare la forza motrice necessaria per confermare la sua ipotesi che per lungo tempo presentò agli avversari di Wegener un tallone d'Achille pronto per essere infilzato da una freccia.  

Se Albrecht Penck (1858-1945), uno dei principali geomorfologi dell'epoca, dopo aver assistito a una conferenza tenuta da Wegener alla Società Geografica di Berlino il 21 febbraio 1921, ammise solo che una simile ricostruzione dei continenti aveva "qualcosa di seducente", pur  rimanendo fermo nella convinzione che la forma dei continenti in linea di principio fosse ottenuta mediante processi di contrazione e movimenti crostali verticali, la teoria della deriva dei continenti fu inizialmente ignorata (anche a causa della guerra) o addirittura ridicolizzata dalla comunità scientifica del tempo. La reazione in Germania fu molto viva. Le opinioni andavano dai rifiuti violenti ed emotivi di eminenti scienziati, che vedevano sfidate le loro teorie pubblicate in precedenza (ad esempio il geologo e paleontologo tedesco Wolfgang Soergel, quando divenne professore associato nel 1919 a Tubinga tenne una prolusione dal significativo titolo “La permanenza di continenti e oceani”), all'accettazione attiva di un nuovo entusiasmante concetto da testare nei vari campi della geologia. 

La reazione francese, ostacolata dalla barriera linguistica, rimase provinciale e sciovinista. Solo commenti scettici furono presentati contro quella che era considerata una teoria amatoriale di un dilettante. In realtà, nessuno in Francia, ad eccezione di pochi (tra i quali, come vedremo, spicca Boris Choubert) era pronto ad accettare la sfida. L'idea dei ponti continentali prevaleva. In Svizzera, dopo l'introduzione delle idee di Wegener da parte di Emile Argand durante la guerra, e nonostante i forti sentimenti antitedeschi, il concetto fu accettato rapidamente ed entusiasticamente come il miglior quadro per risolvere i problemi critici della tettonica alpina. Diversi famosi geologi austriaci avevano pubblicato teorie orogenetiche per le Alpi basate sulla teoria della contrazione e rifiutato il mobilismo di Wegener, ma in seguito, sotto l'influenza dei geologi svizzeri, mostrarono una parziale accettazione. Mentre i geologi olandesi, profondamente coinvolti nello studio dell'arcipelago indonesiano, accettarono con entusiasmo il mobilismo, poiché forniva una risposta ai loro problemi, gli scandinavi, favorevoli ma incapaci di interpretare la geologia precambriana con la teoria di Wegener, concentrarono i loro sforzi sugli studi astronomici e geodetici della deriva odierna nella regione artica. 

I geologi italiani ebbero un atteggiamento di iniziale diffidenza. Alcuni di loro, come Federico Sacco (che nel 1929 pose la teoria di Wegener tra le principali “aberrazioni” del suo tempo, accanto ai tacchi alti o al taglio alla maschietta allora di moda tra le signore) e l’istriano Silvio Vardabasso, assunsero un atteggiamento ostile, a causa dello stravolgimento dell’ipotesi fissista ampiamente accettata in quel periodo; altri, come Michele Gortani e Enrico Fossa Mancini, furono cautamente favorevoli alla teoria sin dagli anni ‘30.

In sintesi, la reazione nell'Europa continentale fu molto diversificata e dominata da un'associazione di motivazioni politiche, barriere linguistiche, specializzazioni degli esperti e regionalismo della geologia.

Gli americani furono particolarmente irremovibili; Bailey Willis (1944) la definì addirittura "ein Märchen" (una favola, in tedesco nell’originale titolo in inglese). Tra le diverse motivazioni, in primo luogo, Wegener non era un geologo di professione, il che ovviamente lo screditava agli occhi dei suoi avversari. In secondo luogo, i più influenti esperti di geologia a quel tempo avevano sede nell'emisfero settentrionale, mentre la maggior parte dei dati conclusivi proveniva dall'emisfero meridionale. In terzo luogo, Wegener pensava che la Pangea non si fosse disgregata fino all'epoca del Cenozoico, e i paleontologi trovarono difficile credere che movimenti orizzontali così importanti potessero essersi verificati in così poco tempo. Ultimo ma non meno importante, il problema maggiore restava la mancanza di prove dirette per i movimenti orizzontali dei continenti e la spiegazione necessaria per il meccanismo. Wegener pensava che la forza della rotazione terrestre fosse sufficiente a far muovere i continenti, ma i geofisici sapevano che le rocce sono troppo pesanti perché questo possa essere vero. Wegener pensava anche che i continenti si stessero muovendo attraverso la crosta simatica della Terra, come rompighiaccio che solcano il ghiaccio marino. I geologi obiettavano che le tracce di questo movimento attraverso la crosta oceanica avrebbero distorto i continenti oltre il riconoscimento e i geofisici non potevano pensare a una forza abbastanza forte da rendere i continenti in grado di solcare la crosta oceanica. 

Wegener non fu in grado di ottenere una cattedra regolare in nessuna delle università o dei licei in Germania perché, si diceva, era interessato a questioni che esulavano dalle sue competenze. L'Università di Graz in Austria fu infine più tollerante nei confronti delle controversie e, nel 1924, lo nominò professore di meteorologia e geofisica. Indipendentemente dalle controversie sopra menzionate, forse l'eredità più importante di Wegener è quella di aver introdotto l'idea della mobilità laterale dei continenti, ovvero di offrire alla comunità scientifica e al pubblico un cambio di paradigma dal fissismo al mobilismo. In modo preponderante, tuttavia, la maggior parte dei geologi affermati era convinta che i continenti della Terra fossero immobili e trascurarono l'approccio lungimirante di Wegener.

Uno dei più strenui sostenitori di Wegener fu il geologo sudafricano Alexander Logie du Toit (1878-1948). Nel 1923, du Toit ricevette una borsa di studio del Carnegie Institute per viaggiare in Sud America per testare la sua tesi secondo cui le formazioni rocciose in Sud Africa hanno le loro controparti in Brasile. i rilevamenti lo confermarono, convincendolo che i continenti africano e sudamericano una volta erano stati uniti e si sono allontanati (Fig. 4).  Egli pubblicò le sue osservazioni nella rivista della Carnegie Institution di Washington dal titolo A Geological Comparison of South America with South Africa (1927); in seguito sviluppò le sue idee in Our Wandering Continents: An Hypothesis of Continental Drifting (1937), ipotizzando che la Pangea di Wegener si sia rotta per la prima volta in due grandi masse continentali: Laurasia nell'emisfero settentrionale e Gondwana-Land (che du Toit impropriamente abbreviò in Gondwana) nell'emisfero meridionale. Laurasia e Gondwana-Land hanno poi continuato a separarsi nei vari continenti più piccoli che esistono oggi.

Figura 4. Ricostruzione del Gondwana per il Paleozoico secondo du Toit (1937). Lo spazio tra le varie porzioni era prevalentemente occupato da terre. Le linee brevi indicano il substrato pre- o proto-Cambriano. La punteggiatura delimita le regioni di compressione del tardo Cretaceo e terziario. In seguito, Smith e Hallam (1970) presentarono un adattamento al computer del contorno dei continenti meridionali che formavano il Gondwana-Land

Un altro grande sostenitore della teoria di Wegener della deriva dei continenti fu Boris Choubert (1906-1983), un geologo francese di origine russa. Fu il primo scienziato a presentare nel 1935 un adattamento geometrico molto accurato dei continenti circumatlantici utilizzando bordi continentali invece di linee costiere (Fig. 5a), molto simile al famoso “Bullard fit", ricostruito 30 anni dopo (Fig. 5b), a ulteriore dimostrazione che i continenti una volta erano strettamente uniti. Choubert interpretò le cinture precambriane e paleozoiche ("caledoniane" ed "erciniche") come il risultato dei movimenti orizzontali dei blocchi precambriani. 

Figura 5. Ricostruzioni paleogeografiche pre-permiane ("erciniche") dell’unione dei continenti circumatlantici. (a) Ricostruzione basata su una mappa batimetrica composita dell'Oceano Atlantico, scegliendo il bordo continentale invece della linea costiera come confini continentali rilevanti (Choubert, 1935). (b) Ricostruzione ottenuta adattando i margini continentali alla linea delle 500 braccia (circa 900 m) di profondità come approssimazione del bordo della piattaforma continentale (Bullard et al. 1965). Il cosiddetto "adattamento di Bullard" rappresenta il primo utilizzo di metodi numerici per generare un adattamento computerizzato dei continenti. Ristampato da Bullard, Everett e Smith, The fit of the continents around the Atlantic, Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1965.

Wegener aveva lanciato l’idea, sostenuta da alcune prove incontestabili, ma non era riuscito a chiarire quale fosse la causa del movimento orizzontale dei continenti. Per questo motivo non riuscì a vincere le ovvie resistenze dei conservatori. Solo l’emergere di nuove grandi scoperte in campo geologico, paleontologico, geomagnetico avrebbe fatto nascere una teoria mobilista più aggiornata, ma dovevano passare ancora alcuni decenni.


lunedì 26 aprile 2021

Un precursore italiano della “deriva dei continenti”

Il parmigiano Roberto Mantovani (1854-1933), spinto dalla madre vedova, aveva studiato al conservatorio, diplomandosi a vent’anni come maestro di violino. In una lettera autobiografica scrisse:

“Sono nato a Parma il 25 marzo 1854. Mio padre, Timoteo, morì sei mesi dopo. Mia madre, Luigia Ferrari, mi indirizzò agli studi, e all'età di 11 anni fui ammesso come convitto alla Regia Scuola di Musica, dove mi fu conferita la Laurea Honoris Causa, nell'agosto 1872. Avendo sempre preferito le scienze esatte e la letteratura alla musica, è stato con grande perseveranza che sono riuscito a completare da solo i miei studi e ad apprendere diverse lingue”.

Nel 1878 fece parte di un gruppo di orchestrali che raggiunse l'isola vulcanica della Réunion, colonia francese. Durante la sua permanenza sull'isola, Mantovani ebbe occasione di osservare le enormi fratture vulcaniche sulla riva dell'Oceano Indiano, vicino alla città di Saint Denis. Pensò allora che, su scala globale, tutti i continenti potrebbero aver subito gli stessi processi di disgiunzione dei fianchi vulcanici. Le fratture globali sono oggi gli oceani. 

Come insegnante di violino, Mantovani entrò in contatto con le più illustri famiglie dell’isola e nel 1880 sposò Anna Piet, figlia di un benestante farmacista, con la quale avrebbe generato sette figli. Dopo diversi anni dalle sue osservazioni, Mantovani pubblicò la sua ipotesi nel 1889 nel Bollettino della Societé des Sciences et des Arts di Saint Denis, dove divenne Console d'Italia. Scriveva: “Dalle mie osservazioni avevo notato che tutti i continenti e le isole dovevano aver costituito un unico blocco nel lontano passato. Come conseguenza del tutto naturale e incontestabile, la Terra, nel primo periodo della sua evoluzione, doveva essere molto più piccola di quanto non sia ora; il suo diametro, infatti, doveva essere un terzo di quello attuale. La pellicola superficiale della membrana della Terra si era spaccata a causa della forza di espansione del gas interno dal nucleo che allungava gradualmente ed estremamente lentamente la suddetta membrana. Di conseguenza, i continenti e le isole si sono necessariamente spostati”. 

In seguito alla crisi economica nell’isola a causa dell’apertura del Canale di Suez, cui si aggiunse un'epidemia, Mantovani lasciò il suo incarico per andare a vivere a Saint Servan, vicino al porto di Saint Malo, in Bretagna, dove continuò la sua attività di violinista, gestendo una scuola di musica. 

Non dimenticò la sua passione geologica e tenne conferenze pubbliche sull'idea di espansione planetaria. Presumeva che un continente chiuso coprisse l'intera superficie di una terra più piccola. Attraverso l'attività vulcanica, a causa dell'espansione termica, questo continente si era spezzato, così che i nuovi continenti si stavano allontanando l'uno dall'altro a causa dell'ulteriore espansione delle zone di rottura, dove ora si trovano gli oceani. Mantovani non era un mero precursore dell'idea di deriva dei continenti: le sue idee sull'espansione della Terra erano più generali rispetto a quelle successive di Wegener, che non teneva conto della possibilità di variazione del raggio terrestre.

Il suo articolo più famoso fu pubblicato nel 1909, nella popolare rivista Je m'instruis. La grande novità nel documento fu una mappatura della veduta del Pacifico: linee tratteggiate erano tracciate tra coppie di punti geografici che un tempo erano in contatto mentre oggi sono separati dall'enorme estensione del bacino dell’oceano. L'idea era che i punti corrispondenti fossero in contatto prima dell'espansione della Terra. L'allargamento di enormi fratture ha formato tutti gli oceani. 

In questa pubblicazione un ruolo fondamentale era svolto dall'epopea delle esplorazioni antartiche. Mantovani era convinto che il continente antartico avesse subito una caratteristica partizione. Mantovani consegnò le sue mappe all'esploratore polare francese Jean-Baptiste Charcot (1867-1936), sperando di ricevere una conferma della sua teoria attraverso l'osservazione diretta. 

 Le sue idee, insieme a una "ricostruzione della Pangea", suscitarono infine l'attenzione della Società geologica francese nel 1924. A Wegener fu consigliato di citarlo dal geologo e oceanografo Jacques Bourcart, nell’articolo Les origines de l'hypothèse de la dérive des continents scritto nello stesso anno per dimostrare che l'italiano aveva concezioni simili. Il nome di Mantovani compare nell'edizione del 1929 del libro di Wegener sulla deriva dei continenti. La citazione era:

"Nel 1909 Mantovani disegnò alcune mappe che illustrano le sue idee sugli spostamenti continentali. Le sue idee sono per alcuni aspetti diverse ma per altri sorprendentemente coincidenti con le mie. Ad esempio, questo era il caso dell'antico raggruppamento dei continenti meridionali intorno all'Africa australe".

Da questa frase di Wegener si ha l'impressione che Mantovani fosse un mero precursore dell'idea di deriva dei continenti: invece, le idee di Mantovani sull'espansione della Terra erano più generali rispetto a quelle di Wegener, che non teneva conto della possibilità di variazione del raggio terrestre.

Abbiamo dovuto aspettare gli anni Sessanta del Novecento per trovare lo stesso tipo di linee negli oceani Indiano e Atlantico, nella tettonica a placche, dopo la scoperta delle dorsali oceaniche. Ciò non è vero per l'Oceano Pacifico, perché in questo caso il movimento delle placche è inverso e l'oceano tende a chiudersi, non ad aprirsi. La sua mappa del Pacifico del 1909 è stata dimenticata, ma Roberto Mantovani è sicuramente da annoverare tra i (diversi) precursori di Wegener.

Nell’ultimo articolo di Mantovani, Troublante découverte: la terre grandit. Notice préliminaire sur la découverte de la dilatation planétaire, scritto nel 1930, che era dedicato “ai matematici, fisici, astronomi, geologi e a tutti coloro che sono interessati nei grandi enigmi dell’Universo” è percepibile un sentore di poesia nella conclusione: “Se vogliamo fare la proiezione del nostro globo su una superficie piana, con il Polo Nord come centro della proiezione, troviamo che, sotto l'effetto della dilatazione planetaria, le tre grandi masse continentali della Terra si sono aperte come il petali di un fiore, con il Polo Nord come peduncolo”.

domenica 25 aprile 2021

Giulio Bisconcini, matematico e antifascista

Giulio Bisconcini è una figura minore della matematica italiana; non ha fatto scoperte eclatanti né teorie divenute famose. Di lui in rete non si trovano immagini, se non quelle delle sue numerose pubblicazioni didattiche.



Fondamentalmente è stato un professore di scuola superiore, che ha collaborato tutta la vita alla didattica universitaria, prima allievo, e poi fidato collaboratore, di Tullio Levi Civita. Il suo nome è per lo più associato a quella luminosa iniziativa di Guido Castelnuovo, durante il periodo buio delle leggi razziali, conosciuta come l’Università clandestina. Quando gli studenti e i professori ebrei furono esclusi dalle scuole italiane di ogni ordine e grado, Castelnuovo si adoperò per istituire alcuni Corsi Integrativi di Cultura Matematica: di fatto erano corsi di livello universitario, per consentire ai giovani diplomati ebrei di proseguire gli studi scientifici. Giulio Bisconcini, che non era ebreo, prese parte a questa iniziativa come professore. Dotato di una straordinaria fibra morale, la sua vita si interseca in modo significativo alla grande storia e mostra come il restringersi del cappio fascista abbia colpito anche gli intellettuali meno conosciuti.

Note biografiche - Giulio Bisconcini nacque a Padova il 9 marzo 1880, primo di tre figli. Aveva nove anni quando suo padre morì, lasciando la famiglia in condizioni difficili. La madre provvide al mantenimento di Giulio e di suo fratello e sua sorella minori lavorando presso un caffè e una bottega di fabbro. Giulio studiò all’Istituto tecnico di Padova, dove conseguì la licenza nella sezione fisico-matematica nel luglio del 1897. S’iscrisse alla facoltà di scienze nella stessa città, per il corso d’ingegneria, ma al terzo anno passò a matematica, dove fu allievo di Tullio Levi Civita, che era al tempo un giovane professore incaricato, responsabile del corso di meccanica razionale all’Ateneo patavino.

Bisconcini fu uno studente molto brillante: conseguì il massimo dei voti in tutti gli esami e si laureò in Matematica con pieni voti e lode l’8 luglio del 1901, discutendo la tesi “Di una classificazione dei problemi dinamici”. Pochi mesi dopo fu chiamato a Roma come assistente alla cattedra di Algebra, Geometria analitica e Calcolo Infinitesimale, ruolo che mantenne fino al 1908. Nel 1907 fu abilitato alla libera docenza in Meccanica Razionale. Nello stesso anno concorse alla cattedra di Meccanica Razionale a Bologna, con esito negativo. Dopo il periodo di precariato, trovò una posizione stabile all’interno delle scuole superiori, divenendo nel 1908 professore straordinario di matematica e fisica negli istituti tecnici. 

Durante gli anni di assistentato all’Università di Roma, l’attività di ricerca scientifica di Giulio Bisconcini si concentrò soprattutto su problemi di meccanica razionale: la classificazione dei problemi dinamici, le vibrazioni di una lamina di una membrana e il problema a tre corpi. È proprio su quest'ultimo argomento che egli formulò nel 1906 il suo lavoro più̀ importante e più̀ citato: Sur le problème des trois corps: Trajectoires le long desquelles deux au moins des trois corps se choquent. Conditions qui entraînent un choc.

In questi studi, condotti per lo più̀ a Roma, Bisconcini continuò ad avere come punto di riferimento scientifico il suo maestro Tullio Levi Civita, che nel 1903 era stato nominato a Padova professore straordinario di Meccanica Razionale. L’attività di ricerca scientifica di Bisconcini non fu vasta e andò rapidamente riducendosi, con il passare degli anni, per dare spazio a una fervida attività didattica. Egli condusse tutta la sua vita professionale divisa tra l’insegnamento negli istituti tecnici (soprattutto, commerciali) e l’insegnamento all’università, come libero docente di Meccanica Razionale. Tullio Levi Civita, trasferitosi a Roma nel 1919 sulla cattedra di Analisi Superiore, passò a quella di Meccanica Razionale nel 1921. Fu così che, nei primi anni Venti, Bisconcini venne comandato all’ateneo romano come assistente alla cattedra di Levi Civita, sospendendo per un periodo l’insegnamento scolastico. Intanto era divenuto professore ordinario di Fisica e Matematica all’Istituto tecnico commerciale Duca degli Abruzzi (ruolo che mantenne fino al suo collocamento a riposo, nel 1942). Nel 1924 Bisconcini fu anche comandato al Regio Istituto Fisico di via Panisperna “per compiere studi di meccanica” e incaricato del corso di Analisi Matematica alla Scuola di Architettura. In questo periodo Bisconcini fu professore anche di alcuni futuri “ragazzi di via Panisperna”, come Ettore Majorana.


La collaborazione di Bisconcini con Levi Civita nell’insegnamento della meccanica razionale durò quasi vent’anni, fino alla drammatica espulsione del suo maestro dall’università, a seguito delle leggi razziali del 1938. È interessante notare la stima e la fiducia riposta da Levi Civita in questo insegnante di scuola che era stato suo allievo. Bisconcini fu autore di numerosi libri di testo per le scuole e per l’università. Tra questi, un libro di esercizi e complementi di meccanica razionale pubblicato nel 1927, concepito come complementare alle monumentali Lezioni di Meccanica Razionale di Tullio Levi Civita e Ugo Amaldi, che furono pubblicate in fascicoli proprio dal 1923 al 1927 e divennero un caposaldo della didattica della meccanica razionale.

Il manifesto fascista e la reazione democratica - Il 21 aprile, data tradizionalmente attribuita alla fondazione di Roma, aveva per il fascismo aveva un valore simbolico molto forte, tanto che nel 1924 fu dichiarata festività nazionale con il titolo di “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Fu naturale scegliere il Natale di Roma come la data per pubblicare, nel 1925, Il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali delle altre nazioni: un testo redatto da Giovanni Gentile e firmato da numerosi uomini di cultura, quali Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti e Gabriele D’Annunzio, che mirava a dare una veste teorico-dottrinale alla propaganda fascista. Fu pubblicato da numerosi giornali, in particolare Il Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Benito Mussolini nel 1914 e ormai vero e proprio organo di stampa del PNF. Nel manifesto di Gentile gli ideali fascisti venivano identificati con gli ideali patriottici e gli intellettuali stranieri erano invitati a non farsi influenzare dalla cattiva propaganda fatta all’estero dalla stampa di parte, ma a venire a vedere con i propri occhi come i valori fascisti stessero donando all’Italia un nuovo stato di ordine e di prosperità.

La risposta degli intellettuali antifascisti non tardò ad arrivare. A prendere l'iniziativa fu Giovanni Amendola, direttore del quotidiano Il Mondo, che invitò Benedetto Croce a redigere una lettera di replica in rappresentanza degli intellettuali non fascisti. Il contro-manifesto crociano venne significativamente pubblicato nel giorno della Festa dei Lavoratori, il 1° maggio 1925, sei giorni dopo l’uscita del manifesto fascista. A pubblicare la replica degli intellettuali non fascisti al manifesto di Giovanni Gentile furono, però, solo due quotidiani: Il Mondo e Il Popolo, giornale di stampo cattolico e antifascista, vicino al pensiero politico di Don Luigi Sturzo e del Partito Popolare Italiano. Tra i primi firmatari del Manifesto compaiono Guido De Ruggiero, Carlo Fadda, Matilde Serao, Leonida Tonelli. A queste prime firme se ne aggiunsero moltissime altre, pubblicate come addendum in successivi due numeri de Il Mondo, il 10 e il 22 maggio. Nel terzo gruppo di firmatari compare anche il nome di Giulio Bisconcini. Il Popolo, dopo il primo manifesto, non continuò a pubblicare i nomi dei firmatari. Pochi mesi dopo il giornale fu costretto a chiudere, ad appena due anni dalla sua fondazione. Riaprirà̀ soltanto dopo la caduta del regime fascista. Il Mondo resistette più̀ a lungo, ma chiuse l’anno successivo, con la morte di Giovanni Amendola, suo fondatore, assassinato dai fascisti nell’aprile del 1926.

La lettera di una “madre fascista” - Negli anni successivi, tutti i firmatari del contro-manifesto furono tenuti sotto osservazione dal regime, nell’intento di costruire una capillare strategia del consenso. In quest’atmosfera sinistra di progressiva perdita della libertà d’espressione si svolse un episodio significativo nella vita professionale di Giulio Bisconcini. Nell’autunno del 1928 giunse agli uffici del Ministero della Pubblica Istruzione la lettera di una “madre” anonima che lamentava il fatto che 

“Per l’esame di meccanica al secondo anno del biennio d’ingegneria presso la R. Università̀ di Roma, i giovani studenti per essere approvati dall’assistente Bisconcini, che quasi sempre s’impone allo stesso professore titolare Levi Civita, hanno dovuto presentarsi agli esami senza il distintivo fascista, che altrimenti si sarebbero preso l’odio del predetto assistente con grave pregiudizio dell’esame. [] Perché́ i nostri giovani, che con tanto entusiasmo portano al petto un distintivo così caro, devono sottomettersi a questo basso rancore antifascista? Ve ne sono purtroppo di questi professori indegni d’insegnare in un Ateneo che dovrebbe essere il centro dell’intellettualità̀ fascista, ve ne sono molti, ed anche di quelli che hanno sottoscritta la protesta degli intellettuali”.

Il riferimento ai firmatari del contro-manifesto doveva apparire, nelle intenzioni del mittente, come una prova a sostegno della propria accusa contro l’intellettuale non fascista Bisconcini. Nella sua lettera, la sedicente madre incalzava ulteriormente, gettando discredito sull’attività privata del docente: “È possibile che si permette ancora al suddetto assistente Bisconcini di dare lezioni private al prezzo di quaranta lire l’ora, il più delle volte neppure intere?”.

Con sospetta solerzia, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Belluzzo incaricò il Rettore dell’Università di Roma Federico Millosevich di indagare sul conto di Bisconcini. Egli aveva già̀ ricevuto lamentele riguardo a Bisconcini, come testimonia la lettera a Belluzzo datata 30 novembre 1928 in cui, pur ammettendo di non aver trovato () la certezza che il prof. Bisconcini perseguiti gli studenti che si presentano agli esami col distintivo fascista” sosteneva che il semplice sospetto era sufficiente a escluderlo dalle Commissioni d’esame e di laurea. Millosevich sottolineò anche che “non si possono fare obiezioni a che Bisconcini faccia lezioni private perché́, al contrario di come afferma la denunciante, non è più̀ assistente dell’università ma solo libero docente”.

Tra dicembre del 1928 e maggio 1929 furono numerosi i solleciti da parte del Ministero all’Università di Roma, perché́ le indagini fossero proseguite e ulteriormente approfondite. In particolare, nel fascicolo personale di Bisconcini conservato all’Archivio Centrale dello Stato, si trova un biglietto datato 18 febbraio 1929 dal Capo di Gabinetto del Ministero e indirizzato alla Direzione generale per l’Istruzione Superiore. Il testo riporta: “Si rinnova preghiera di far conoscere con sollecitudine il risultato delle indagini esperite nei riguardi del Prof. Giulio Bisconcini, libero docente presso l’Università di Roma, dovendosi fornire al riguardo precise informazioni a S. E. il Capo del Governo”. A interessarsi al caso era dunque Benito Mussolini in persona. Le prolungate indagini su Bisconcini non diedero l’esito auspicato nella lettera anonima: non fu possibile dimostrare che Bisconcini fosse più̀ severo agli esami con gli studenti fascisti che con gli altri.

L’università clandestina - La vicenda della denuncia a Bisconcini era indice di un clima politico sempre più autoritario e preludeva a un’azione ben più̀ profonda ed estesa da parte del governo sul mondo universitario, che era allo stesso tempo un luogo strategico per la propaganda fascista e il fronte della battaglia ideologica con gli intellettuali antifascisti. La volontà di controllo da parte del governo si espresse pienamente nel testo del nuovo giuramento imposto nel 1931 ai cattedratici nelle università. Accanto al giuramento di fedeltà al Re e ai suoi Reali successori, veniva aggiunto il giuramento al Regime Fascista, identificato con gli ideali della Patria. Furono soltanto dodici i professori che rifiutarono di giurare, tra i quali Vito Volterra.

Il peggio però doveva ancora arrivare, con l’emanazione delle leggi razziali, il 3 settembre 1938. Il Consiglio dei ministri deliberava l’esclusione dalle scuole italiane di tutti gli insegnanti e studenti ebrei. Allo stesso modo decadevano tutti i docenti universitari di ‘razza ebraica’. Veniva consentito di organizzare le scuole primarie e secondarie per studenti ebrei, sotto il controllo diretto di un commissario “ariano”. La formazione universitaria veniva invece preclusa: gli studenti ebrei che avevano già̀ intrapreso gli studi universitari erano autorizzati a finirli, ma nessun altro poteva iscriversi.

Il matematico Guido Castelnuovo cercava un modo per istituire dei corsi universitari per i giovani ebrei una volta diplomati, corsi che potessero essere formalmente riconosciuti da qualche ente o istituzione, nella speranza che, prima o poi, la situazione in Italia sarebbe finalmente cambiata. L’occasione, come ben raccontato da Emma Castelnuovo, si presentò nell’autunno del 1941 con la pubblicazione sul Journal de Genève di un’inserzione dell’Institut Technique Supérieur di Friburgo (Svizzera), che proponeva la possibilità̀ di istituire corsi ed esami anche a distanza. Guido Coen, organizzatore delle scuole secondarie ebraiche a Roma, mostrò l’inserzione a Guido Castelnuovo, che subito si attivò scrivendo al direttore dell’istituto svizzero, Guido Bonzanigo.

Il 1° dicembre 1941 i Corsi Integrativi di Cultura Matematica o “Scuola di Friburgo” ebbero inizio, con 25 allievi e dieci professori: Tra questi, tre erano professori non ebrei: Giulio Bisconcini, Nestore Cacciapuoti e Raffaele Lucaroni. 

Bisconcini insegnava ben tre materie: Analisi Matematica I, Analisi matematica II e Meccanica Razionale. I corsi furono tenuti per due anni (1941-42 e 1942-43) e alla fine della guerra gli esami furono riconosciuti dall’Università di Roma, che riaprì le porte agli studenti e ai professori ebrei.

Nel suo fascicolo personale all’Archivio Storico della Sapienza si trova una sua lettera al Rettore Caronia del 3 aprile 1946. Quest’ultimo gli aveva chiesto di rendere conto degli anni in cui non aveva esercitato la libera docenza, dato che, trascorso il quinto anno, l’abilitazione veniva a decadere. Dalla risposta di Bisconcini si apprende perché egli abbia cessato di esercitare l’insegnamento universitario nel 1938: “Essendo stato sottratto alla cattedra per ragioni razziali, quale grande maestro e scienziato di fama mondiale che mi onorava della sua stima, non mi sentii più di dare il mio contributo all’insegnamento”.

Giulio Bisconcini morì a Padova nel 1969.

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Questo articolo è il frutto di un mero lavoro di sintesi e di editing non concordato dell’originale Portrait of an antifascist: the mathematician Giulio Bisconcini scritto da Adele La Rana - Centro Fermi – Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, Roma; INFN Rome 1 Unit, pubblicato negli Atti del XXXVIII Convegno annuale SISFA – Messina 2018 (pp. 81-90). Spero che l’autrice mi perdoni. A mia attenuante invoco il fatto che volevo celebrare un coraggioso intellettuale antifascista proprio il giorno in cui si celebra l’Anniversario della Liberazione. Buon 25 Aprile a tutti, viva la Resistenza!




sabato 24 aprile 2021

La deriva dei continenti prima di Wegener

Basta osservare un planisfero o una carta dell’Oceano Atlantico per osservare come i margini dei continenti che vi si affacciano, soprattutto a Sud, sembrano combaciare come le tessere di un puzzle. Quando si impara (a me capitò alle medie) che la teoria della deriva dei continenti fu proposta da Alfred Wegener nel 1912, sorge subito la domanda: ma perché non ci hanno pensato prima? Sembra così evidente! Poi si scopre che il cammino della scienza non è così lineare e che, perché un’idea emerga e si affermi, è necessaria una concomitanza di fattori culturali, ideologici (compresi quelli religiosi), scientifici, tecnici che evidentemente prima non si era mai realizzata. Per esempio, l’osservazione della corrispondenza tra i margini geografici dell’America meridionale e dell’Africa occidentale poteva essere fatta solo dopo che erano diventate disponibili delle carte affidabili, almeno a grandi linee, delle loro coste e fossero note le rispettive latitudini.

In effetti, l’idea che i continenti non siano sempre stati fissi nelle loro posizioni attuali e che avrebbero potuto "andare alla deriva" era stata avanzata tre secoli prima che Alfred Wegener presentasse la sua teoria proprio da un esperto in materia. Il cartografo e geografo fiammingo Abraham Ortelius (1527–1598) discusse la leggenda di Atlantide di Platone nella terza edizione del suo Thesaurus Geographicus (1596). Ortelius suggerì che Platone avesse descritto un'antica separazione dei continenti, e usò questa interpretazione per spiegare la corrispondenza delle coste del Vecchio e del Nuovo Mondo. Egli ipotizzò che le Americhe sono state "strappate via dall'Europa e dall'Africa (...) da terremoti e alluvioni " e che "le vestigia della rottura si rivelano se qualcuno considera una mappa del mondo e guarda attentamente le coste dei tre [continenti]". Egli notò che la costa orientale del Sud America e la costa occidentale dell'Africa potevano combaciare perfettamente se fossero solo state più vicine o se l'Oceano Atlantico fosse chiuso. Riconobbe pure che i continenti si stavano muovendo, come si può vedere dalla sua dichiarazione “strappata dall'Europa e dall'Africa (...) da terremoti e inondazioni"

Ortelius usò per la sua idea una mappa del mondo, che pubblicò nel 1570 nel suo atlante Theatrum Orbis Terrarum, il primo atlante del mondo. Sfortunatamente, egli visse qualche secolo troppo presto e la sua idea innovativa non fu ulteriormente esplorata fino al XIX secolo.

Ci fu comunque un movimento continuo di idee riguardo alla precedente connessione geografica tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. Nel 1650, il geografo tedesco Bernhardus Varenius (1622–1650/51?) osservò nel suo libro Geographia Generalis che in passato l'America e l'Europa erano state un unico continente. Scrisse che in seguito l'America fu strappata dall'Europa e che gli indiani d'America erano quindi anche loro figli di Adamo. 

Altri notarono che le forme dei continenti sui lati opposti dell'Oceano Atlantico, in particolare Africa e Sud America, sembrano combaciare. Theodor Christoph Lilienthal (1717–1781), un teologo luterano di Königsberg, pensava di aver scoperto nella Bibbia la presunta conferma di una disgregazione dei continenti dopo il diluvio di Noè attraverso il quale si formò l'Oceano Atlantico. Egli fondò la sua idea, tra gli altri, sul versetto biblico 25 nel capitolo 10 della Genesi "Ad Eber nacquero due figli; il nome dell'uno fu Peleg, perché ai suoi giorni la terra fu divisa, e il nome di suo fratello fu Joktan". La parte più interessante è la seguente: “Plinio testimonia che un tempo molti paesi erano separati dal mare gli uni dagli altri. Ciò è probabile anche per il fatto che le coste opposte, sebbene separate l'una dall'altra dal mare, hanno un profilo corrispondente, in modo che si adatterebbero quasi insieme, come se fossero una accanto all'altra, ad esempio, la parte meridionale di America e Africa”.

Alexander von Humboldt (1769-1859), il celebre geografo prussiano (considerato uno dei due fondatori della moderna scienza della geografia, naturalista ed esploratore, e certamente uno dei più famosi scienziati del suo tempo, compendiò la sua vasta gamma di conoscenze nei diversi volumi del Kosmos: Nel volume 1, scrisse "Il nostro Oceano Atlantico porta tutti i tratti di una grande valle. È come se le inondazioni avessero diretto le loro scosse successivamente a nord-est, poi a nord-ovest e poi di nuovo a nord-est. Il parallelismo delle coste opposte a nord da 10° di latitudine sud, i loro angoli di avanzamento e ritirata, la convessità delle coste del Brasile opposte a quelle del Golfo di Guinea, la convessità dell'Africa sotto gli stessi paralleli di latitudine della profonda rientranza formato dal Golfo del Messico, tutti attestano questa visione apparentemente audace. In questa valle atlantica, come quasi ovunque nella configurazione di grandi masse di terra, la costa frastagliata e costellata di isole si trova di fronte a coste non frastagliate. È da tempo che ho rivolto l'attenzione alla circostanza quanto fosse notevole dal punto di vista geologico il confronto delle coste occidentali dell'Africa e del Sud America entro i tropici'.

Nel 1857 Richard Owen (1810-1890), professore di chimica e geologia a Nashville, Tennessee, USA, pubblicò l'idea che l'intero continente americano un tempo avesse formato uno strato superiore in cima alla parte occidentale del Vecchio Mondo e fosse scivolato via per aprire l'Oceano Atlantico. Scrisse (...) per portare le rocce ipogee dell'America e quelle del nord Europa a formare una curva regolare. (...) non dobbiamo solo portare i due continenti in contatto effettivo, ma dobbiamo far scorrere una parte del Nord America nell'Europa occidentale, la massa settentrionale del Sud America nel grande deserto sabbioso del Sahara, quando affondò (…) sotto le acque dell'oceano". Owen notò anche che "La crosta terrestre, così espansa e interrotta, separata, a volte verticalmente, interamente attraverso tutti i suoi strati depositati, a volte (...) mediante rimozione orizzontale di uno strato superiore, lasciando uno strato inferiore, o viceversa: questo può spiegare (…) varie peculiarità geografiche. Quando ripristiniamo le parti presumibilmente interrotte (…) poi troviamo formazioni geologiche, così come catene montuose geografiche, ecc., che si adattano alle loro posizioni originali”

Antonio Snider-Pellegrini (1802-1885), noto come Antonio Snider, un geografo e scienziato francese, propose nella sua La création et ses mystères dévoilés che tutti i continenti erano un tempo collegati insieme durante il tardo carbonifero e che l'Atlantico era stato squarciato durante il diluvio biblico. Tuttavia, nessuna delle teorie sopra menzionate ha trovato un pubblico nella comunità delle scienze della Terra.

Snider nel 1859 compilò due mappe descrivendo la sua versione di come i continenti africano e americano possano essersi combinati insieme prima di essere successivamente separati: (a) assunta configurazione dei continenti nel tardo periodo carbonifero e (b) la configurazione attuale. Queste mappe furono rese famose dalle pubblicazioni del geologo ginevrino Albert V. Carozzi, che le fece conoscere ai lettori di geologia negli anni '70 del Novecento come una delle prime teorie della deriva dei continenti.

Il geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914) era un esperto delle Alpi. Gradualmente sviluppò opinioni sulla connessione tra Africa ed Europa e giunse alla conclusione che le Alpi a nord erano una volta sul fondo di un oceano, di cui il Mediterraneo era un residuo. Suess è accreditato di aver scoperto la Tetide, che così chiamò nel 1893 dal nome della Titana Teti, figlia di Urano e Gaia e sorella e consorte di Oceano, l'antico dio greco dell'oceano. La sua altra importante scoperta fu che la flora di Glossopteris - un gruppo estinto di felci che si sviluppò durante il Permiano e si estinse alla fine del Triassico - era stata trovata in Sud America, Africa, India e Australia. La sua spiegazione era che le tre terre erano un tempo collegate a un supercontinente, che chiamò Gondwana-Land (proposto nel 1885). Si noti che il nome Gondwana era già stato introdotto nel vocabolario geologico nel 1872 dal geologo irlandese Henry Benedict Medlicott (1829-1905), quando era direttore del Geological Survey of India, per il sistema stratigrafico Gondwana dell'India.

Eduard Suess credeva che gli oceani inondassero gli spazi attualmente posti tra quelle terre quando questi affondarono. Pubblicò una sintesi completa delle sue idee in tre volumi in cinque parti tra il 1883 e il 1909, dal titolo Das Antlitz der Erde, uno dei testi fondamentali della geologia moderna. Suess coniò anche molti termini che oggi parte del vocabolario consolidato delle scienze della Terra (come ad esempio Monti Caledoniani, Panthalassa, biosfera, litosfera, idrosfera, eustasia, avamposto, entroterra, Horst e Graben).

Ultimo in ordine di tempo tra i principali precursori di Wegener fu il parmigiano Roberto Mantovani (1854 - 1933), geologo e violinista, che propose un modello di deriva dei continenti in cui un singolo supercontinente che copriva l’intero pianeta più piccolo si era rotto e i continenti erano stati spostati dall'espansione termica della Terra alimentata dal vulcanismo, ma di lui mi occuperò una prossima volta.

venerdì 23 aprile 2021

Catastrofismo o uniformitarismo?

La volontà di comprendere il volto mutevole della Terra risale a più di 2500 anni fa. Il filosofo Anassimandro di Mileto (inizi del VI secolo a.C.) propose una più ampia distribuzione degli oceani attraverso la terra in epoca preistorica sulla base dei suoi ritrovamenti di molluschi marini fossili nelle rocce. Il suo allievo Senofane di Colofone (c. 570–475 a.C.) ed Erodoto (c. 484–425 a.C.), lo storico di Alicarnasso, avevano idee simili. Aristotele (384‒322 a.C.) ipotizzò cambiamenti ritmici e molto lenti della distribuzione terra‒mare. Dopo qualche breve ripresa durante il Rinascimento, queste idee furono nuovamente oggetto di discussione nei secoli XVIII e XIX.

Scienziati come Jean-Baptiste Lamarck, Georges Cuvier, Charles Darwin e altri hanno suggerito che la vita era cambiata nel corso della storia della Terra e che nuove specie erano ripetutamente sorte e scomparse. La raccolta di fossili era pratica comune in questo periodo. Tuttavia, i collezionisti erano spesso perplessi sul perché un antico animale di origine ovviamente marina fosse stato trovato lontano dal mare e talvolta anche in cima a una montagna, oppure erano sorpresi di osservare che si potevano trovare fossili della stessa specie in continenti diversi. Uno dei principali ostacoli alla risposta a queste e ad altre domande è stato il presupposto che i continenti e gli oceani fossero stabili e immutabili, facendo affidamento su una visione "fissista" del mondo. Fino al XVIII secolo, la maggior parte degli europei pensava che uno o più diluvi di tipo biblico avessero avuto un ruolo importante nel plasmare la superficie terrestre. Questo modo di pensare era noto come "catastrofismo" e la geologia era basata sulla convinzione che tutti i cambiamenti sulla Terra fossero improvvisi e causati da una serie di catastrofi. Secondo questa teoria la Terra sarebbe stata interessata nel corso della sua lunga storia da eventi catastrofici, di breve durata, di carattere violento ed eccezionale. Ad esempio, Georges Cuvier intendeva spiegare in questo modo l'esistenza dei fossili, che egli per primo riconobbe come appartenenti a specie estinte, scomparse nel corso degli eventi catastrofici. Cuvier basò la sua teoria principalmente su due osservazioni: l'evidenza di estinzioni di massa e l'assenza di forme graduali tra una specie e l'altra.


Verso la metà del XIX secolo, tuttavia, il catastrofismo lasciò il posto al uniformitarismo, o attualismo, una nuova concezione basata sul principio di uniformità, proposto dallo scozzese James Hutton (1726 ‒1797). Questo principio è oggi ben noto tra i geologi e spesso espresso come "il presente è la chiave del passato". Hutton pubblicò le sue idee in Theory of the Earth (1788), e in altri testi. L’opera di Hutton è stata ampiamente resa popolare da John Playfair (1748-1819), scienziato e matematico scozzese, nel suo libro Illustrations of the Huttonian Theory of the Earth (1802). Le idee di Hutton furono ampiamente utilizzate e sviluppate, in particolare dal geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875) nel suo fondamentale testo in tre volumi Principles of Geology (1830-1833). Lyell sostenne in modo convincente l’uniformitarismo. Il lavoro di Lyell, a sua volta, influenzò fortemente Charles Darwin mentre elaborava la teoria dell'evoluzione (1859). L’attualismo moderno riconosce che la storia della Terra possa aver conosciuto sporadici eventi catastrofici, come quelli che portarono alle grandi estinzioni di massa alla fine del Permiano e del Cretacico, ma in un contesto generalmente caratterizzato da cambiamenti graduali, come i processi di erosione, trasporto e sedimentazione, oppure da eventi improvvisi (terremoti, eruzioni vulcaniche) non aventi le proprietà di un evento globale.


Con il tempo, gli scienziati hanno riconosciuto che la vecchia dottrina del "fissismo" che non permetteva grandi movimenti orizzontali dei continenti sulla superficie della Terra doveva essere sostituita dalla teoria del "mobilismo". Nel primo quarto del XX secolo, la teoria della deriva dei continenti è stata introdotta e successivamente sostituita dalla teoria della tettonica a placche. I processi tettonici delle placche sono responsabili dei cambiamenti nella geografia della Terra. Influenzano quasi tutti i processi geologici, ma ci sono voluti tempo e sforzi per convincere la comunità scientifica di questa teoria rivoluzionaria, fino alla fondamentale pubblicazione di J. Tuzo Wilson (1965), sulla quale avrò occasione di tornare. È comunque notevole quanto si sapesse già sul mutare della faccia della Terra secoli prima della tettonica a placche, nonostante il fatto che la maggior parte dei nostri attuali strumenti analitici o dei nostri modelli non fossero allora disponibili.