domenica 25 aprile 2021

Giulio Bisconcini, matematico e antifascista

Giulio Bisconcini è una figura minore della matematica italiana; non ha fatto scoperte eclatanti né teorie divenute famose. Di lui in rete non si trovano immagini, se non quelle delle sue numerose pubblicazioni didattiche.



Fondamentalmente è stato un professore di scuola superiore, che ha collaborato tutta la vita alla didattica universitaria, prima allievo, e poi fidato collaboratore, di Tullio Levi Civita. Il suo nome è per lo più associato a quella luminosa iniziativa di Guido Castelnuovo, durante il periodo buio delle leggi razziali, conosciuta come l’Università clandestina. Quando gli studenti e i professori ebrei furono esclusi dalle scuole italiane di ogni ordine e grado, Castelnuovo si adoperò per istituire alcuni Corsi Integrativi di Cultura Matematica: di fatto erano corsi di livello universitario, per consentire ai giovani diplomati ebrei di proseguire gli studi scientifici. Giulio Bisconcini, che non era ebreo, prese parte a questa iniziativa come professore. Dotato di una straordinaria fibra morale, la sua vita si interseca in modo significativo alla grande storia e mostra come il restringersi del cappio fascista abbia colpito anche gli intellettuali meno conosciuti.

Note biografiche - Giulio Bisconcini nacque a Padova il 9 marzo 1880, primo di tre figli. Aveva nove anni quando suo padre morì, lasciando la famiglia in condizioni difficili. La madre provvide al mantenimento di Giulio e di suo fratello e sua sorella minori lavorando presso un caffè e una bottega di fabbro. Giulio studiò all’Istituto tecnico di Padova, dove conseguì la licenza nella sezione fisico-matematica nel luglio del 1897. S’iscrisse alla facoltà di scienze nella stessa città, per il corso d’ingegneria, ma al terzo anno passò a matematica, dove fu allievo di Tullio Levi Civita, che era al tempo un giovane professore incaricato, responsabile del corso di meccanica razionale all’Ateneo patavino.

Bisconcini fu uno studente molto brillante: conseguì il massimo dei voti in tutti gli esami e si laureò in Matematica con pieni voti e lode l’8 luglio del 1901, discutendo la tesi “Di una classificazione dei problemi dinamici”. Pochi mesi dopo fu chiamato a Roma come assistente alla cattedra di Algebra, Geometria analitica e Calcolo Infinitesimale, ruolo che mantenne fino al 1908. Nel 1907 fu abilitato alla libera docenza in Meccanica Razionale. Nello stesso anno concorse alla cattedra di Meccanica Razionale a Bologna, con esito negativo. Dopo il periodo di precariato, trovò una posizione stabile all’interno delle scuole superiori, divenendo nel 1908 professore straordinario di matematica e fisica negli istituti tecnici. 

Durante gli anni di assistentato all’Università di Roma, l’attività di ricerca scientifica di Giulio Bisconcini si concentrò soprattutto su problemi di meccanica razionale: la classificazione dei problemi dinamici, le vibrazioni di una lamina di una membrana e il problema a tre corpi. È proprio su quest'ultimo argomento che egli formulò nel 1906 il suo lavoro più̀ importante e più̀ citato: Sur le problème des trois corps: Trajectoires le long desquelles deux au moins des trois corps se choquent. Conditions qui entraînent un choc.

In questi studi, condotti per lo più̀ a Roma, Bisconcini continuò ad avere come punto di riferimento scientifico il suo maestro Tullio Levi Civita, che nel 1903 era stato nominato a Padova professore straordinario di Meccanica Razionale. L’attività di ricerca scientifica di Bisconcini non fu vasta e andò rapidamente riducendosi, con il passare degli anni, per dare spazio a una fervida attività didattica. Egli condusse tutta la sua vita professionale divisa tra l’insegnamento negli istituti tecnici (soprattutto, commerciali) e l’insegnamento all’università, come libero docente di Meccanica Razionale. Tullio Levi Civita, trasferitosi a Roma nel 1919 sulla cattedra di Analisi Superiore, passò a quella di Meccanica Razionale nel 1921. Fu così che, nei primi anni Venti, Bisconcini venne comandato all’ateneo romano come assistente alla cattedra di Levi Civita, sospendendo per un periodo l’insegnamento scolastico. Intanto era divenuto professore ordinario di Fisica e Matematica all’Istituto tecnico commerciale Duca degli Abruzzi (ruolo che mantenne fino al suo collocamento a riposo, nel 1942). Nel 1924 Bisconcini fu anche comandato al Regio Istituto Fisico di via Panisperna “per compiere studi di meccanica” e incaricato del corso di Analisi Matematica alla Scuola di Architettura. In questo periodo Bisconcini fu professore anche di alcuni futuri “ragazzi di via Panisperna”, come Ettore Majorana.


La collaborazione di Bisconcini con Levi Civita nell’insegnamento della meccanica razionale durò quasi vent’anni, fino alla drammatica espulsione del suo maestro dall’università, a seguito delle leggi razziali del 1938. È interessante notare la stima e la fiducia riposta da Levi Civita in questo insegnante di scuola che era stato suo allievo. Bisconcini fu autore di numerosi libri di testo per le scuole e per l’università. Tra questi, un libro di esercizi e complementi di meccanica razionale pubblicato nel 1927, concepito come complementare alle monumentali Lezioni di Meccanica Razionale di Tullio Levi Civita e Ugo Amaldi, che furono pubblicate in fascicoli proprio dal 1923 al 1927 e divennero un caposaldo della didattica della meccanica razionale.

Il manifesto fascista e la reazione democratica - Il 21 aprile, data tradizionalmente attribuita alla fondazione di Roma, aveva per il fascismo aveva un valore simbolico molto forte, tanto che nel 1924 fu dichiarata festività nazionale con il titolo di “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Fu naturale scegliere il Natale di Roma come la data per pubblicare, nel 1925, Il Manifesto degli intellettuali fascisti agli intellettuali delle altre nazioni: un testo redatto da Giovanni Gentile e firmato da numerosi uomini di cultura, quali Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti e Gabriele D’Annunzio, che mirava a dare una veste teorico-dottrinale alla propaganda fascista. Fu pubblicato da numerosi giornali, in particolare Il Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Benito Mussolini nel 1914 e ormai vero e proprio organo di stampa del PNF. Nel manifesto di Gentile gli ideali fascisti venivano identificati con gli ideali patriottici e gli intellettuali stranieri erano invitati a non farsi influenzare dalla cattiva propaganda fatta all’estero dalla stampa di parte, ma a venire a vedere con i propri occhi come i valori fascisti stessero donando all’Italia un nuovo stato di ordine e di prosperità.

La risposta degli intellettuali antifascisti non tardò ad arrivare. A prendere l'iniziativa fu Giovanni Amendola, direttore del quotidiano Il Mondo, che invitò Benedetto Croce a redigere una lettera di replica in rappresentanza degli intellettuali non fascisti. Il contro-manifesto crociano venne significativamente pubblicato nel giorno della Festa dei Lavoratori, il 1° maggio 1925, sei giorni dopo l’uscita del manifesto fascista. A pubblicare la replica degli intellettuali non fascisti al manifesto di Giovanni Gentile furono, però, solo due quotidiani: Il Mondo e Il Popolo, giornale di stampo cattolico e antifascista, vicino al pensiero politico di Don Luigi Sturzo e del Partito Popolare Italiano. Tra i primi firmatari del Manifesto compaiono Guido De Ruggiero, Carlo Fadda, Matilde Serao, Leonida Tonelli. A queste prime firme se ne aggiunsero moltissime altre, pubblicate come addendum in successivi due numeri de Il Mondo, il 10 e il 22 maggio. Nel terzo gruppo di firmatari compare anche il nome di Giulio Bisconcini. Il Popolo, dopo il primo manifesto, non continuò a pubblicare i nomi dei firmatari. Pochi mesi dopo il giornale fu costretto a chiudere, ad appena due anni dalla sua fondazione. Riaprirà̀ soltanto dopo la caduta del regime fascista. Il Mondo resistette più̀ a lungo, ma chiuse l’anno successivo, con la morte di Giovanni Amendola, suo fondatore, assassinato dai fascisti nell’aprile del 1926.

La lettera di una “madre fascista” - Negli anni successivi, tutti i firmatari del contro-manifesto furono tenuti sotto osservazione dal regime, nell’intento di costruire una capillare strategia del consenso. In quest’atmosfera sinistra di progressiva perdita della libertà d’espressione si svolse un episodio significativo nella vita professionale di Giulio Bisconcini. Nell’autunno del 1928 giunse agli uffici del Ministero della Pubblica Istruzione la lettera di una “madre” anonima che lamentava il fatto che 

“Per l’esame di meccanica al secondo anno del biennio d’ingegneria presso la R. Università̀ di Roma, i giovani studenti per essere approvati dall’assistente Bisconcini, che quasi sempre s’impone allo stesso professore titolare Levi Civita, hanno dovuto presentarsi agli esami senza il distintivo fascista, che altrimenti si sarebbero preso l’odio del predetto assistente con grave pregiudizio dell’esame. [] Perché́ i nostri giovani, che con tanto entusiasmo portano al petto un distintivo così caro, devono sottomettersi a questo basso rancore antifascista? Ve ne sono purtroppo di questi professori indegni d’insegnare in un Ateneo che dovrebbe essere il centro dell’intellettualità̀ fascista, ve ne sono molti, ed anche di quelli che hanno sottoscritta la protesta degli intellettuali”.

Il riferimento ai firmatari del contro-manifesto doveva apparire, nelle intenzioni del mittente, come una prova a sostegno della propria accusa contro l’intellettuale non fascista Bisconcini. Nella sua lettera, la sedicente madre incalzava ulteriormente, gettando discredito sull’attività privata del docente: “È possibile che si permette ancora al suddetto assistente Bisconcini di dare lezioni private al prezzo di quaranta lire l’ora, il più delle volte neppure intere?”.

Con sospetta solerzia, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Belluzzo incaricò il Rettore dell’Università di Roma Federico Millosevich di indagare sul conto di Bisconcini. Egli aveva già̀ ricevuto lamentele riguardo a Bisconcini, come testimonia la lettera a Belluzzo datata 30 novembre 1928 in cui, pur ammettendo di non aver trovato () la certezza che il prof. Bisconcini perseguiti gli studenti che si presentano agli esami col distintivo fascista” sosteneva che il semplice sospetto era sufficiente a escluderlo dalle Commissioni d’esame e di laurea. Millosevich sottolineò anche che “non si possono fare obiezioni a che Bisconcini faccia lezioni private perché́, al contrario di come afferma la denunciante, non è più̀ assistente dell’università ma solo libero docente”.

Tra dicembre del 1928 e maggio 1929 furono numerosi i solleciti da parte del Ministero all’Università di Roma, perché́ le indagini fossero proseguite e ulteriormente approfondite. In particolare, nel fascicolo personale di Bisconcini conservato all’Archivio Centrale dello Stato, si trova un biglietto datato 18 febbraio 1929 dal Capo di Gabinetto del Ministero e indirizzato alla Direzione generale per l’Istruzione Superiore. Il testo riporta: “Si rinnova preghiera di far conoscere con sollecitudine il risultato delle indagini esperite nei riguardi del Prof. Giulio Bisconcini, libero docente presso l’Università di Roma, dovendosi fornire al riguardo precise informazioni a S. E. il Capo del Governo”. A interessarsi al caso era dunque Benito Mussolini in persona. Le prolungate indagini su Bisconcini non diedero l’esito auspicato nella lettera anonima: non fu possibile dimostrare che Bisconcini fosse più̀ severo agli esami con gli studenti fascisti che con gli altri.

L’università clandestina - La vicenda della denuncia a Bisconcini era indice di un clima politico sempre più autoritario e preludeva a un’azione ben più̀ profonda ed estesa da parte del governo sul mondo universitario, che era allo stesso tempo un luogo strategico per la propaganda fascista e il fronte della battaglia ideologica con gli intellettuali antifascisti. La volontà di controllo da parte del governo si espresse pienamente nel testo del nuovo giuramento imposto nel 1931 ai cattedratici nelle università. Accanto al giuramento di fedeltà al Re e ai suoi Reali successori, veniva aggiunto il giuramento al Regime Fascista, identificato con gli ideali della Patria. Furono soltanto dodici i professori che rifiutarono di giurare, tra i quali Vito Volterra.

Il peggio però doveva ancora arrivare, con l’emanazione delle leggi razziali, il 3 settembre 1938. Il Consiglio dei ministri deliberava l’esclusione dalle scuole italiane di tutti gli insegnanti e studenti ebrei. Allo stesso modo decadevano tutti i docenti universitari di ‘razza ebraica’. Veniva consentito di organizzare le scuole primarie e secondarie per studenti ebrei, sotto il controllo diretto di un commissario “ariano”. La formazione universitaria veniva invece preclusa: gli studenti ebrei che avevano già̀ intrapreso gli studi universitari erano autorizzati a finirli, ma nessun altro poteva iscriversi.

Il matematico Guido Castelnuovo cercava un modo per istituire dei corsi universitari per i giovani ebrei una volta diplomati, corsi che potessero essere formalmente riconosciuti da qualche ente o istituzione, nella speranza che, prima o poi, la situazione in Italia sarebbe finalmente cambiata. L’occasione, come ben raccontato da Emma Castelnuovo, si presentò nell’autunno del 1941 con la pubblicazione sul Journal de Genève di un’inserzione dell’Institut Technique Supérieur di Friburgo (Svizzera), che proponeva la possibilità̀ di istituire corsi ed esami anche a distanza. Guido Coen, organizzatore delle scuole secondarie ebraiche a Roma, mostrò l’inserzione a Guido Castelnuovo, che subito si attivò scrivendo al direttore dell’istituto svizzero, Guido Bonzanigo.

Il 1° dicembre 1941 i Corsi Integrativi di Cultura Matematica o “Scuola di Friburgo” ebbero inizio, con 25 allievi e dieci professori: Tra questi, tre erano professori non ebrei: Giulio Bisconcini, Nestore Cacciapuoti e Raffaele Lucaroni. 

Bisconcini insegnava ben tre materie: Analisi Matematica I, Analisi matematica II e Meccanica Razionale. I corsi furono tenuti per due anni (1941-42 e 1942-43) e alla fine della guerra gli esami furono riconosciuti dall’Università di Roma, che riaprì le porte agli studenti e ai professori ebrei.

Nel suo fascicolo personale all’Archivio Storico della Sapienza si trova una sua lettera al Rettore Caronia del 3 aprile 1946. Quest’ultimo gli aveva chiesto di rendere conto degli anni in cui non aveva esercitato la libera docenza, dato che, trascorso il quinto anno, l’abilitazione veniva a decadere. Dalla risposta di Bisconcini si apprende perché egli abbia cessato di esercitare l’insegnamento universitario nel 1938: “Essendo stato sottratto alla cattedra per ragioni razziali, quale grande maestro e scienziato di fama mondiale che mi onorava della sua stima, non mi sentii più di dare il mio contributo all’insegnamento”.

Giulio Bisconcini morì a Padova nel 1969.

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Questo articolo è il frutto di un mero lavoro di sintesi e di editing non concordato dell’originale Portrait of an antifascist: the mathematician Giulio Bisconcini scritto da Adele La Rana - Centro Fermi – Museo Storico della Fisica e Centro Studi e Ricerche “Enrico Fermi”, Roma; INFN Rome 1 Unit, pubblicato negli Atti del XXXVIII Convegno annuale SISFA – Messina 2018 (pp. 81-90). Spero che l’autrice mi perdoni. A mia attenuante invoco il fatto che volevo celebrare un coraggioso intellettuale antifascista proprio il giorno in cui si celebra l’Anniversario della Liberazione. Buon 25 Aprile a tutti, viva la Resistenza!




2 commenti:

  1. Confesso che di Bisconcini conoscevo il nome, ma non la storia. Grazie!

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  2. Buongiorno grazie.....
    in questo articolo ho trovato riscontro ad alcune informazioni.
    Sarebbe fantastico poter contattare tutti i discendenti di questo Eroe e dei suoi collaboratori per dare il giusto valore a coloro che resero possibile questo miracolo.❤️

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