Nel gennaio 1911 il giovane meteorologo tedesco Alfred Wegener (1880–1930) scrisse a sua fidanzata Else Köppen (poi sposata nel 1913) riguardo a un'osservazione fatta dopo aver sfogliato per ore le pagine delle belle mappe dell’Andrees Allgemeiner Handatlas, l'importante opera cartografica pubblicata in diverse edizioni tedesche e straniere dal 1881 al 1937: “La costa orientale del Sud America non si inserisce precisamente nella costa occidentale dell'Africa così come se fossero stati collegati in passato? Ciò sembra ancora più vero, quando si guarda una mappa batigrafica dell'Oceano Atlantico e si confrontano non i bordi delle terre emerse continentali, ma i bordi delle piattaforme continentali con il mare profondo (Fig. 1). Devo dare seguito a questa idea". Non ci volle molto a Wegener per pensare seriamente a questa “scoperta”, perché, nell'autunno del 1911, lesse per caso una rassegna sommaria su scoperte paleontologiche simili in Africa e Brasile, che suggerivano che un tempo c'era stato un collegamento tra queste due continenti. Questa lettura portò il giovane scienziato a pensare a un'ipotesi che spiegava in modo alternativo queste osservazioni.
Figura 1 - Carta dei bordi delle piattaforme continentali riprodotta da Wegener nel 1912. |
Prevedendo almeno alcune delle accese controversie che sarebbero sorte dall'articolazione di tali punti di vista, Köppen avvertì Wegener, invano, di non avventurarsi in terre sconosciute, inserendosi nella discussione di questioni geologiche in quanto meteorologo e quindi come estraneo. Ignorando questo consiglio ben intenzionato, il 6 gennaio 1912 Wegener tenne una conferenza intitolata "Sviluppo delle caratteristiche principali della crosta terrestre (continenti e oceani) su una base geofisica" all'assemblea generale annuale della Geologische Vereinigung a Francoforte sul Meno, rendendo così pubblica per la prima volta la sua ipotesi di deriva dei continenti.
Fu da allora che si considerò seriamente l’idea della mobilità laterale dei continenti come una teoria scientifica. Wegener ipotizzò che un tempo i continenti erano riuniti in un unico blocco. In seguito, essi si erano mossi dalla loro posizione iniziale, fino a raggiungere quella attuale.
Figura 2. Vista schematica di una sezione della superficie terrestre fino al suo nucleo che indica che i continenti (Sal) galleggiano sulla crosta viscosa esterna (Sima), secondo il modello di deriva dei continenti di Alfred Wegener. |
Poco dopo Wegener scrisse due articoli e inviò il minore, un breve riassunto, alla rivista Geologische Rundschau. Il principale era un dattiloscritto di 69 pagine che presentò al Petermanns Geographische Mitteilungen (PGM) pur temendo il verdetto che sarebbe stato giudicato troppo prolisso. Tuttavia, la rivista non chiese alcun taglio e pubblicò immediatamente il lungo articolo in tre numeri mensili consecutivi con il titolo laconico ma appropriato "L'origine dei continenti" a partire dall’uscita dell’aprile 1912, ancor prima della pubblicazione della sintesi sul Geologische Rundschau. Pertanto, una delle principali riviste geografiche dell'epoca poteva vantare l'onore di essere la prima a pubblicare l'ipotesi geologica tanto controversa della deriva dei continenti.
Come indicato nella sua lettera a Köppen, l'assunto fondamentale sia nel la conferenza di Wegener che nella sua descrizione contenuta nel documento del PGM, era incentrato sull’ipotesi che i continenti sono costituiti da un insieme più leggero di elementi chiamato Sial (Wegener nel documento inaugurale lo chiamò Sal, come aveva già proposto Eduard Suess), acronimo di Silicio e Alluminio, con una densità compresa tra 2,5 e 2,7 g/cm3, che galleggiano isostaticamente su un più pesante insieme di elementi del mantello esterno del globo chiamato Sima, acronimo di Silicio e Magnesio, con una densità compresa tra 3 e 4 g/cm3 (Fig.2).
Insomma, le concomitanze geologiche, paleontologiche e paleoclimatiche tra Brasile e Africa non potevano essere spiegate con il naufragio fisico di un ponte di terra che si estendeva per migliaia di chilometri. L'unica seconda opzione rimasta, descritta nella lettera a Köppen, era la graduale disintegrazione e/o collisione dei continenti. Inoltre, l'immagine di enormi isole galleggianti alla deriva offriva anche una spiegazione sorprendentemente semplice per l'osservazione che la Scandinavia si era costantemente innalzata sopra il livello del mare sin dallo scioglimento dei suoi pesanti ghiacciai del Pleistocene.
In realtà, come abbiamo visto in precedenza, gran parte di ciò che Wegener propose non era completamente nuovo perché la sua idea era basata su osservazioni precedenti che erano nel frattempo state confortate da un'ampia gamma di nuove prove. Ad esempio, Wegener scrisse nel 1929: "La prima idea di deriva dei continenti mi venne per la prima volta nel lontano 1910, considerando la mappa del mondo, sotto l'impressione diretta prodotta dalla congruenza delle coste su entrambi i lati dell'Atlantico. All'inizio non ho prestato attenzione all'idea perché la consideravo improbabile. Nell'autunno del 1911 mi imbattei per caso in un rapporto sinottico in cui appresi per la prima volta prove paleontologiche di un ex ponte terrestre tra Brasile e Africa. Di conseguenza, ho intrapreso un primo esame della ricerca pertinente nei campi della geologia e della paleontologia, e questo ha fornito immediatamente un conforto così pesante che una convinzione della fondatezza dell'idea si è radicata nella mia mente". Wegener pubblicò l’idea fondamentale della “deriva dei continenti”, oltre che nei due articoli del 1912, nella prima edizione del suo libro Die Entstehung der Kontinente und Ozeane (L’origine dei continenti e degli oceani, 1915), seguita da tre edizioni riviste (1920, 1922 e 1929) ciascuna delle quali conteneva nuovi dati.
Uno dei concetti di base che convinsero Wegener a proporre la deriva dei continenti era l'idea di una grande massa continentale unitaria, costituita dalla maggior parte delle regioni continentali della Terra. Nella sua teoria, Wegener ipotizzò il supercontinente di Pangea (derivato da πᾶν-γαῖα, greco per “tutta la terra”) per spiegare le antiche somiglianze climatiche, le prove fossili e la somiglianza delle strutture rocciose tra l'Africa e il Sud America, nonché i contorni dei continenti, soprattutto le piattaforme continentali, che sembrano combaciare (Fig. 3). per supportare la sua teoria, Wegener utilizzò principalmente le seguenti prove geologiche: a) Tipi di roccia simili sono stati trovati nelle catene montuose su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico, ad esempio i monti Appalachi del nord-est del Nord America erano collegati alle Highlands scozzesi e quelli a sud di New York ai Pirenei. b) Fossili simili (o strettamente correlati) sono stati trovati su entrambi i lati dell'Oceano Atlantico, il che implica che i continenti una volta erano uniti. c) Piante terrestri tropicali fossili sono state trovate nelle rocce che ora si trovano nelle regioni polari: nel 1912, la felce estinta Glossopteris fu trovata in Antartide durante la famosa e sfortunata spedizione antartica di Robert Falcon Scott tra il 1910 e il 1913.
Se Albrecht Penck (1858-1945), uno dei principali geomorfologi dell'epoca, dopo aver assistito a una conferenza tenuta da Wegener alla Società Geografica di Berlino il 21 febbraio 1921, ammise solo che una simile ricostruzione dei continenti aveva "qualcosa di seducente", pur rimanendo fermo nella convinzione che la forma dei continenti in linea di principio fosse ottenuta mediante processi di contrazione e movimenti crostali verticali, la teoria della deriva dei continenti fu inizialmente ignorata (anche a causa della guerra) o addirittura ridicolizzata dalla comunità scientifica del tempo. La reazione in Germania fu molto viva. Le opinioni andavano dai rifiuti violenti ed emotivi di eminenti scienziati, che vedevano sfidate le loro teorie pubblicate in precedenza (ad esempio il geologo e paleontologo tedesco Wolfgang Soergel, quando divenne professore associato nel 1919 a Tubinga tenne una prolusione dal significativo titolo “La permanenza di continenti e oceani”), all'accettazione attiva di un nuovo entusiasmante concetto da testare nei vari campi della geologia.
La reazione francese, ostacolata dalla barriera linguistica, rimase provinciale e sciovinista. Solo commenti scettici furono presentati contro quella che era considerata una teoria amatoriale di un dilettante. In realtà, nessuno in Francia, ad eccezione di pochi (tra i quali, come vedremo, spicca Boris Choubert) era pronto ad accettare la sfida. L'idea dei ponti continentali prevaleva. In Svizzera, dopo l'introduzione delle idee di Wegener da parte di Emile Argand durante la guerra, e nonostante i forti sentimenti antitedeschi, il concetto fu accettato rapidamente ed entusiasticamente come il miglior quadro per risolvere i problemi critici della tettonica alpina. Diversi famosi geologi austriaci avevano pubblicato teorie orogenetiche per le Alpi basate sulla teoria della contrazione e rifiutato il mobilismo di Wegener, ma in seguito, sotto l'influenza dei geologi svizzeri, mostrarono una parziale accettazione. Mentre i geologi olandesi, profondamente coinvolti nello studio dell'arcipelago indonesiano, accettarono con entusiasmo il mobilismo, poiché forniva una risposta ai loro problemi, gli scandinavi, favorevoli ma incapaci di interpretare la geologia precambriana con la teoria di Wegener, concentrarono i loro sforzi sugli studi astronomici e geodetici della deriva odierna nella regione artica.
I geologi italiani ebbero un
atteggiamento di iniziale diffidenza. Alcuni di loro, come Federico Sacco (che
nel 1929 pose la teoria di Wegener tra le principali “aberrazioni” del suo
tempo, accanto ai tacchi alti o al taglio alla maschietta allora di moda tra le
signore) e l’istriano Silvio Vardabasso, assunsero un atteggiamento ostile, a
causa dello stravolgimento dell’ipotesi fissista ampiamente accettata in quel
periodo; altri, come Michele Gortani e Enrico Fossa Mancini, furono cautamente
favorevoli alla teoria sin dagli anni ‘30.
In sintesi, la reazione nell'Europa continentale fu molto diversificata e dominata da un'associazione di motivazioni politiche, barriere linguistiche, specializzazioni degli esperti e regionalismo della geologia.
Gli americani furono particolarmente irremovibili; Bailey Willis (1944) la definì addirittura "ein Märchen" (una favola, in tedesco nell’originale titolo in inglese). Tra le diverse motivazioni, in primo luogo, Wegener non era un geologo di professione, il che ovviamente lo screditava agli occhi dei suoi avversari. In secondo luogo, i più influenti esperti di geologia a quel tempo avevano sede nell'emisfero settentrionale, mentre la maggior parte dei dati conclusivi proveniva dall'emisfero meridionale. In terzo luogo, Wegener pensava che la Pangea non si fosse disgregata fino all'epoca del Cenozoico, e i paleontologi trovarono difficile credere che movimenti orizzontali così importanti potessero essersi verificati in così poco tempo. Ultimo ma non meno importante, il problema maggiore restava la mancanza di prove dirette per i movimenti orizzontali dei continenti e la spiegazione necessaria per il meccanismo. Wegener pensava che la forza della rotazione terrestre fosse sufficiente a far muovere i continenti, ma i geofisici sapevano che le rocce sono troppo pesanti perché questo possa essere vero. Wegener pensava anche che i continenti si stessero muovendo attraverso la crosta simatica della Terra, come rompighiaccio che solcano il ghiaccio marino. I geologi obiettavano che le tracce di questo movimento attraverso la crosta oceanica avrebbero distorto i continenti oltre il riconoscimento e i geofisici non potevano pensare a una forza abbastanza forte da rendere i continenti in grado di solcare la crosta oceanica.
Wegener non fu in grado di ottenere una cattedra regolare in nessuna delle università o dei licei in Germania perché, si diceva, era interessato a questioni che esulavano dalle sue competenze. L'Università di Graz in Austria fu infine più tollerante nei confronti delle controversie e, nel 1924, lo nominò professore di meteorologia e geofisica. Indipendentemente dalle controversie sopra menzionate, forse l'eredità più importante di Wegener è quella di aver introdotto l'idea della mobilità laterale dei continenti, ovvero di offrire alla comunità scientifica e al pubblico un cambio di paradigma dal fissismo al mobilismo. In modo preponderante, tuttavia, la maggior parte dei geologi affermati era convinta che i continenti della Terra fossero immobili e trascurarono l'approccio lungimirante di Wegener.
Uno dei più strenui sostenitori di Wegener fu il geologo sudafricano Alexander Logie du Toit (1878-1948). Nel 1923, du Toit ricevette una borsa di studio del Carnegie Institute per viaggiare in Sud America per testare la sua tesi secondo cui le formazioni rocciose in Sud Africa hanno le loro controparti in Brasile. i rilevamenti lo confermarono, convincendolo che i continenti africano e sudamericano una volta erano stati uniti e si sono allontanati (Fig. 4). Egli pubblicò le sue osservazioni nella rivista della Carnegie Institution di Washington dal titolo A Geological Comparison of South America with South Africa (1927); in seguito sviluppò le sue idee in Our Wandering Continents: An Hypothesis of Continental Drifting (1937), ipotizzando che la Pangea di Wegener si sia rotta per la prima volta in due grandi masse continentali: Laurasia nell'emisfero settentrionale e Gondwana-Land (che du Toit impropriamente abbreviò in Gondwana) nell'emisfero meridionale. Laurasia e Gondwana-Land hanno poi continuato a separarsi nei vari continenti più piccoli che esistono oggi.
Un altro grande sostenitore della teoria di Wegener della deriva dei continenti fu Boris Choubert (1906-1983), un geologo francese di origine russa. Fu il primo scienziato a presentare nel 1935 un adattamento geometrico molto accurato dei continenti circumatlantici utilizzando bordi continentali invece di linee costiere (Fig. 5a), molto simile al famoso “Bullard fit", ricostruito 30 anni dopo (Fig. 5b), a ulteriore dimostrazione che i continenti una volta erano strettamente uniti. Choubert interpretò le cinture precambriane e paleozoiche ("caledoniane" ed "erciniche") come il risultato dei movimenti orizzontali dei blocchi precambriani.
Figura 5. Ricostruzioni paleogeografiche pre-permiane
("erciniche") dell’unione dei continenti circumatlantici. (a)
Ricostruzione basata su una mappa batimetrica composita dell'Oceano Atlantico,
scegliendo il bordo continentale invece della linea costiera come confini
continentali rilevanti (Choubert, 1935). (b) Ricostruzione ottenuta adattando i
margini continentali alla linea delle 500 braccia (circa 900 m) di profondità
come approssimazione del bordo della piattaforma continentale (Bullard et al. 1965).
Il cosiddetto "adattamento di Bullard" rappresenta il primo utilizzo
di metodi numerici per generare un adattamento computerizzato dei continenti. Ristampato da Bullard, Everett e Smith, The
fit of the continents around the Atlantic, Philosophical Transactions of
the Royal Society of London, 1965.
Wegener aveva lanciato
l’idea, sostenuta da alcune prove incontestabili, ma non era riuscito a
chiarire quale fosse la causa del movimento orizzontale dei continenti. Per
questo motivo non riuscì a vincere le ovvie resistenze dei conservatori. Solo
l’emergere di nuove grandi scoperte in campo geologico, paleontologico,
geomagnetico avrebbe fatto nascere una teoria mobilista più aggiornata, ma
dovevano passare ancora alcuni decenni.
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