Contributo alla statistica
Su cento persone;
che ne sanno sempre più degli altri
– cinquantadue;
insicuri a ogni passo
– quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
– ben quarantanove;
buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
– quattro, be’, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
– diciotto
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
– settantasette;
dotati per le felicità,
– al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
– di sicuro più della metà;
crudeli,
se costretti dalle circostanze
– è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
– non molti di più
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
– quaranta
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
– ottantatré
prima o poi;
degni di compassione
– novantanove
mortali
– cento su cento.
Numero al momento invariato.
Da Chwila (Attimo), 2002
Microcosmo
Quando si cominciò a usare il microscopio,
il terrore si fece sentire e continua ancora.
La vita prima era abbastanza folle
nelle sue forme e dimensioni.
Produceva dunque anche esseri piccini,
moscerini, vermetti,
ma almeno li si vedeva
a occhio nudo.
Ed ecco, all’improvviso, sotto il vetrino,
diversi fino all’esagerazione
e già così esigui
che quanto occupano con se stessi nello spazio
solo per pietà si può chiamare posto.
Il vetrino non li comprime affatto,
senza ostacoli si duplicano e triplicano sotto
in completa scioltezza e alla rinfusa.
Dire che ce n’è molti – è dire poco
quanto più potente è il microscopio,
tanto più con zelo e precisione sono multipli.
Non hanno neanche visceri decenti.
Non sanno cosa siano sesso, infanzia, vecchiaia.
Forse non sanno neanche se esistono – o no.
Eppure decidono della nostra vita e morte.
Alcuni si irrigidiscono nell’immobilità di un attimo,
benché non si sappia cosa sia per loro l’attimo.
Essendo così minuti
forse anche il durare per loro
è adeguatamente sminuzzato.
Un granello portato dal vento al confronto è
una meteora che viene dagli abissi del cosmo,
e l’impronta digitale – un vasto labirinto
dove potersi radunare
per le loro sorde parate,
le loro cieche iliadi e upanişad.
È già tanto che volevo scriverne,
ma l’argomento è difficile,
rinviato a dopo di continuo
e, credo, degno d’un miglior poeta,
più di me stupito del mondo.
Ma il tempo incalza. Scrivo.
Da Tutaj (Qui), 2009
Foramine (*)
Be’, metti, per esempio, le foramine.
Vivevano qui, perché c’erano, e viceversa.
Come potevano, visto che potevano e in che modo.
Al plurale, perché al plurale,
anche se ciascuna separatamente,
nel proprio, perchè nel proprio
guscio di calcare.
A strati, poiché a strati
il tempo poi le riassumeva,
senza entrare nei dettagli,
perché nei dettagli c’è pietà.
Ed ecco davanti a me
due viste in una:
necropoli penosa
degli eterni riposi,
ossia
incantevoli rocce bianche, emerse dal mare,
dal mare azzurro,
rocce, che sono qui, poiché ci sono.
(*) I foraminiferi
Da Tutaj (Qui), 2009
Adelphi ai primi di giugno ha inviato alle librerie, con il titolo La gioia di scrivere, la raccolta di tutte le poesie pubblicate da Wisława Szymborska tra il 1945 e il 2009, curata da Pietro Marchesani. Se non avete mai comprato un libro di poesie, o se ritenete che la poesia non vi piaccia fino ad evidenza contraria, è giunta l’occasione di spendere 19 € per quasi 800 pagine di vera gioia di leggere, anche quando commuove o fa pensare.
Finora ho riprodotto le seguenti poesie della Szymborska:
Il grande pi greco in Stramberie poetiche attorno al pi greco (10 gennaio 2009);
La cipolla e Autotomia in L’acuta leggerezza di Wislawa Szymborska (25 febbraio 2009)
Su cento persone;
che ne sanno sempre più degli altri
– cinquantadue;
insicuri a ogni passo
– quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
– ben quarantanove;
buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
– quattro, be’, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
– diciotto
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
– settantasette;
dotati per le felicità,
– al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
– di sicuro più della metà;
crudeli,
se costretti dalle circostanze
– è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
– non molti di più
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
– quaranta
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
– ottantatré
prima o poi;
degni di compassione
– novantanove
mortali
– cento su cento.
Numero al momento invariato.
Da Chwila (Attimo), 2002
Microcosmo
Quando si cominciò a usare il microscopio,
il terrore si fece sentire e continua ancora.
La vita prima era abbastanza folle
nelle sue forme e dimensioni.
Produceva dunque anche esseri piccini,
moscerini, vermetti,
ma almeno li si vedeva
a occhio nudo.
Ed ecco, all’improvviso, sotto il vetrino,
diversi fino all’esagerazione
e già così esigui
che quanto occupano con se stessi nello spazio
solo per pietà si può chiamare posto.
Il vetrino non li comprime affatto,
senza ostacoli si duplicano e triplicano sotto
in completa scioltezza e alla rinfusa.
Dire che ce n’è molti – è dire poco
quanto più potente è il microscopio,
tanto più con zelo e precisione sono multipli.
Non hanno neanche visceri decenti.
Non sanno cosa siano sesso, infanzia, vecchiaia.
Forse non sanno neanche se esistono – o no.
Eppure decidono della nostra vita e morte.
Alcuni si irrigidiscono nell’immobilità di un attimo,
benché non si sappia cosa sia per loro l’attimo.
Essendo così minuti
forse anche il durare per loro
è adeguatamente sminuzzato.
Un granello portato dal vento al confronto è
una meteora che viene dagli abissi del cosmo,
e l’impronta digitale – un vasto labirinto
dove potersi radunare
per le loro sorde parate,
le loro cieche iliadi e upanişad.
È già tanto che volevo scriverne,
ma l’argomento è difficile,
rinviato a dopo di continuo
e, credo, degno d’un miglior poeta,
più di me stupito del mondo.
Ma il tempo incalza. Scrivo.
Da Tutaj (Qui), 2009
Foramine (*)
Be’, metti, per esempio, le foramine.
Vivevano qui, perché c’erano, e viceversa.
Come potevano, visto che potevano e in che modo.
Al plurale, perché al plurale,
anche se ciascuna separatamente,
nel proprio, perchè nel proprio
guscio di calcare.
A strati, poiché a strati
il tempo poi le riassumeva,
senza entrare nei dettagli,
perché nei dettagli c’è pietà.
Ed ecco davanti a me
due viste in una:
necropoli penosa
degli eterni riposi,
ossia
incantevoli rocce bianche, emerse dal mare,
dal mare azzurro,
rocce, che sono qui, poiché ci sono.
(*) I foraminiferi
Da Tutaj (Qui), 2009
Adelphi ai primi di giugno ha inviato alle librerie, con il titolo La gioia di scrivere, la raccolta di tutte le poesie pubblicate da Wisława Szymborska tra il 1945 e il 2009, curata da Pietro Marchesani. Se non avete mai comprato un libro di poesie, o se ritenete che la poesia non vi piaccia fino ad evidenza contraria, è giunta l’occasione di spendere 19 € per quasi 800 pagine di vera gioia di leggere, anche quando commuove o fa pensare.
Finora ho riprodotto le seguenti poesie della Szymborska:
Il grande pi greco in Stramberie poetiche attorno al pi greco (10 gennaio 2009);
La cipolla e Autotomia in L’acuta leggerezza di Wislawa Szymborska (25 febbraio 2009)
Grazie, di cuore.
RispondiEliminaMolto interessante, Pop. Non avevo letto niente di questa autrice. Grazie. Seguirò il tuo consiglio.
RispondiEliminaCiao.
annarita
Wislawa Szymborska io la conosco un po' grazie a te, o Popinga.
RispondiEliminaPeccato che io ignori il polacco, mi piacerebbe leggere le sue poesie in lingua originale, e soprattutto peccato che io non abbia il suo numero di telefono, mi piacerebbe corteggiarla. L'ammalierei col mio alito di cipolla, un ortaggio a lei gradito.
Colapesce
Oh, Colapesce, la raccolta di Adelphi ha il testo polacco a fronte. Il suo numero non lo mollo a nessuno: fa una zuppa di cipolle e oloturie da favola.
RispondiEliminale cipolle sì ma non mi piacciono le oloturie
RispondiElimina(vedi http://ilventodellest.blogspot.com/2008/10/holoyhuria.html)