lunedì 21 settembre 2009

Letteratura combinatoria 5: ramificazioni di Borges

Herbert Quain è morto a Roscommon; ho visto senza sorpresa che il Supplemento letterario del «Times» gli dedica appena una mezza colonna di pietà necrologica, in cui non v'è epiteto laudativo che non sia corretto (o seriamente redarguito) da un avverbio. Lo «Spectator», da parte sua, è certo meno laconico, e forse più cordiale, ma paragona il primo libro di Quain - The God of the Labyrinth - a uno di Agatha Christie, e gli altri a quelli di Gertrude Stein: accostamenti che nessuno giudicherà inevitabili, e che non avrebbero rallegrato il defunto. Questo, del resto, mai si credette geniale: neppure nelle notti peripatetiche di conversazione letteraria, (…)

Ho riferito un tratto di modestia di Herbert Quain; naturalmente, questa modestia non esaurisce tutto il suo pensiero. Flaubert e Henry James ci hanno abituato a supporre che le opere d'arte siano infrequenti, e di esecuzione laboriosa; il secolo XVI (ricordiamo il Viaggio del Parnaso, ricordiamo il destino di Shakespeare), non condivideva questa sconsolata opinione. Né la condivideva Herbert Quain. Giudicava che la buona letteratura è piuttosto comune, e che non v'è quasi dialogo casuale, conversazione udita per la strada, che non la raggiunga. Giudicava anche che il fatto estetico non può prescindere da qualche elemento di stupore, e che stupirsi a memoria è difficile. Deplorava con sorridente sincerità «la servile e ostinata conservazione» di libri preteriti... Non so se la sua vaga teoria si giustifichi; so che i suoi libri aspirano troppo alla sorpresa.

Deploro di aver prestato a una signora, irreversibilmente, il primo che pubblicò. Ho già detto che si tratta d'un romanzo poliziesco, The God of thè Labyrinth; posso aggiungere che l'editore lo mise in vendita negli ultimi giorni del novembre 1933. (…) A distanza di sette anni, m'è impossibile recuperare i dettagli dell'azione; ma eccone il piano generale, quale l'impoveriscono (quale lo purificano) le lacune della mia memoria. V'è un indecifrabile assassinio nelle pagine iniziali, una lenta discussione nelle intermedie, una soluzione nelle ultime. Poi, risolto ormai l'enigma, v'è un paragrafo vasto e retrospettivo che contiene questa frase: «Tutti credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale». Questa frase lascia capire che la soluzione è erronea. Il lettore, inquieto, rivede i capitoli sospetti e scopre un'altra soluzione, la vera. Il lettore di questo libro singolare è più perspicace del detective.

Ancora più eterodosso è il «romanzo regressivo, ramificato» April March, la cui terza (e unica) parte è del 1936. Nel giudicare questo romanzo dobbiamo ricordare che si tratta d'un gioco, e che l'autore non lo considerò mai diversamente. «Rivendico per quest'opera - l'udii affermare - i tratti essenziali di ogni gioco: la simmetria, le leggi arbitrarie, il tedio». Lo stesso titolo non è che un debole calembour, non significa Marcia d'aprile, ma letteralmente Aprile marzo. Alcuni hanno avvertito in quelle pagine un'eco della dottrina di Dunne; la prefazione di Quain preferisce evocare il mondo alla rovescia di Bradley, in cui la morte precede la nascita e la ferita il colpo (…). I mondi che propone April March non sono regressivi: è regressiva la maniera di raccontarne la storia. Regressiva e ramificata, come ho già detto. L'opera comprende tredici capitoli. Il primo riferisce l'ambiguo dialogo di alcuni sconosciuti su una banchina. Il secondo riferisce gli avvenimenti della vigilia del primo. Il terzo, anch'esso retrogrado, riferisce gli avvenimenti di un'altra possibile vigilia del primo; il quarto, quelli di un'altra. Ciascuna di queste tre vigilie (che rigorosamente si escludono) si ramifica in altre tre, d'indole molto diversa. Il corpo dell'opera consta poi di nove racconti; ogni racconto, di tre lunghi capitoli. (Il primo capitolo, naturalmente, è comune a tutti i racconti). Di questi racconti, uno è di carattere simbolico; un altro, soprannaturale; un altro, poliziesco; un altro, psicologo; un altro, comunista; un altro, anticomunista; ecc. Uno schema, forse, aiuterà a comprendere la struttura:

Può ripetersi di questa struttura ciò che disse Schopenhauer delle dodici categorie kantiane: che tutto sacrificano a un furore simmetrico. Com'era prevedibile, alcuno dei nove racconti è indegno di Quain. Il migliore non è quello che immaginò originariamente, l’x4, è quello di natura fantastica, l’x9. Altri sono imbruttiti da scherzi insipidi e da pseudo-precisazioni inutili. Chi li leggesse nell'ordine cronologico (per esempio: x3, y, z) perderebbe il sapore peculiare dello strano libro. Due racconti – l’x7 e l’x8 - hanno poco valore di per sé, ma acquistano efficacia se giustapposti... Ricorderò anche che Quain, avendo già pubblicato Aprii March, si pentì dell'ordine ternario e auspicò che, tra i suoi futuri imitatori, gli uomini scegliessero il binario

e i demiurghi e gli dèi l'infinito: infinite storie, infinitamente ramificate.

(da: Jorge Luis Borges, Esame dell’opera di Herbert Quain, contenuto in Finzioni 1935-1944, Einaudi, 1995, traduzione di Franco Lucentini)


12 commenti:

  1. Ma vale copiare di brutto senza nemmeno parafrasare?
    O mi sfugge qualcosa, sai la voce che ha messo in giro recentemente Enrico...
    Perpluto.

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  2. Gli schemi li ho fatti io con LaTex, ma poi il codice HTML mi dava errore e allora ho dovuto trasformare le anteprime in immagini e inserirle. In amore vale tutto: di Borges ho letto quasi tutto e non lo parafraso per rispetto.

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  3. Pop, hai fatto bene a non parafrasare Borges. Un'operazione che sarebbe stata probabilmente azzardata, con tutto il rispetto per la tua sensibilità e capacità.

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  4. Ti rendi conto che un semplice racconto di Borges ne prefigura altri cento? C'è il capitolo rivelatore alla luce del quale, quasi come se mutassero le lettere sulla pagina, il significato di tutta la storia muta. Splendida idea per un romanzo o racconto. Oppure il mondo alla rovescia di Bradley, blandamente rievocato nel film Il curioso caso di Benjamin Button.
    Ho come la sensazione che Borges avesse idee per mille romanzi ma che preferisse accennarvi come a cose già scritte, ricreare la vita abituale su basi erronee, su false attribuzioni. Un mondo inventato ma possibile, al quale non solo dare credito ma sul quale anche dissertarvi finemente.
    E' Borges, il veggente.
    Bye

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  5. @ paopasc
    Mi hai fatto tornare in mente Centuria di Giorgio Manganelli. Ha come sottotitolo "cento piccoli romanzi fiume" e in realtà ricordavo solo questo sottotitolo. Ma è del '79 e l'ho letto appena uscito.

    Sono OT? cerrrto! per farmi perdonare (o rincarare la dose) questo è il link http://www.italialibri.net/opere/?=Centuria&id=386

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  6. @ tutti
    Posso coinvolgervi in un'opera combinatoria collettiva à la Perec?

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  7. @juhan
    se, e solamente se, non ricordo male, a Manganelli si deve un'ottima traduzione dei racconti di Poe, quei volumetti blu, mi sembra fossero tre, di non ricordo più quale editore, mi son senz'altro rimasti negli scatoloni...
    bye

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  8. Paopasc: scrivere raccontini basati su tabelle di contraintes riguardanti i protagonisti (lui e lei), l'azione, il luogo, lo stile (così c'è anche un po' di Queneau), ecc.

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  9. @ paopasc
    Se vuoi domenica pomeriggio vengo ad(1) aiutarti a svuotare gli scatoloni. Io sono bravissimo a tirare fuori tutto, meno a rimettere a posto, cosa che nel tempo ha contribuito a incrementare la diceria "che sono capace solo a fare casino", sostenuta, spiace a dirlo ma è la vera verità, soprattutto dalle donne.
    ______________
    1. ogni tanto mi scappa la "d" eufonica

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  10. Pop, per me va bene! purchè queste contraintes non siano troppo...restrittive! ;)
    bye

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  11. Va bene, ho bisogno di qualche giorno per preparare l'articolo e, soprattutto, per trasformare in html o in immagini le tabelle di Word.

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