I tentativi del potere religioso di cristianizzare culture e idee diverse sovrapponendosi ad esse hanno quasi due millenni di storia. Basta pensare al processo di assorbimento di riti, luoghi e date importanti delle tradizioni precedenti l’evangelizzazione, spesso forzata, di molte regioni del mondo. Così oggi festeggiamo le ricorrenze dei Santi e dei Morti negli stessi giorni in cui i Galli celebravano il loro Samonios, celebriamo il Natale nella stessa data della festività di epoca imperiale del Sol Invictus, oppure ammiriamo chiese costruite sopra antichi templi romani o aztechi. Ogni aspetto della società deve essere cristianizzato, incluso nel piano divino, secondo la visione totalizzante della religione, salvo espellere come demoniaco ciò che non può essere ricondotto a questo progetto.
Rispetto al pensiero scientifico, che nella sua accezione moderna si è sviluppato almeno a partire da Francesco Bacone nel XVI secolo, il cristianesimo ha lungo vacillato tra indifferenza e diffidenza, fino a quando esso è diventato un elemento sociale e culturale fondamentale e perciò non più esorcizzabile. Se per gli illuministi l’ipotesi di Dio, come ebbe a dire Laplace, poteva non essere presa in considerazione, fu la forza delle loro idee e lo sviluppo correlato della scienza e delle tecnologia che costrinsero i credenti (non ancora i teologi!) a confrontarsi con l’oggettività e la democrazia prevalenti tra gli sperimentatori, tutti abbastanza insofferenti del principio di autorità insito nel pensiero religioso. Nell’800 in Inghilterra e Francia nacquero i primi tentativi di conciliare scienza e teologia, che coinvolsero scienziati importanti, in gran parte destinati ad acrobazie concettuali per conciliare l’inconciliabile: la fede in dogmi e verità rivelate e il quotidiano e faticoso tentativo di capire come funzionano le cose e il mondo, facendo affidamento sullo studio e l’esperienza.
L’opera di mistificazione continua ancor più ai giorni nostri, nei quali la religione ha, almeno in occidente, finito di essere il riferimento fondante delle società umane (è questo il senso della cosiddetta “morte di Dio”) e si regge più sulle complicità con il potere politico, economico e mediatico che sull’autentica testimonianza di fede di tanti uomini e donne, ai quali vanno il mio profondo rispetto e la mia accorata esortazione a non essere gli utili idioti del potere. Dal punto di vista ideologico la religione deve ogni giorno confrontarsi con una società sempre più secolarizzata, della quale la scienza e la tecnologia, pur tra mille contraddizioni, costituiscono il riferimento obbligato.
Per questa guerra delle idee, le armi e le strategie utilizzate dal potere religioso sono diverse, a seconda dei contesti e dei terreni di battaglia. Si va infatti dalla scelta della sfida in campo aperto, come avviene tra gli integralisti americani nei confronti dell’evoluzionismo, o tra i cattolici nel campo del controllo dei momenti di passaggio fondamentali della vita umana (concepimento, nascita, morte), alla scelta di tentare di conciliare scienza e religione, magari ricorrendo a qualche gioco di prestigio retorico per affermare la supremazia della seconda. Nasce così la figura del teologo scientifico, diffusa soprattutto tra gli evangelici anglo-americani, o del sedicente esperto di bioetica diffuso tra i cattolici, totalmente digiuno di bio- e convinto che l’unica etica esistente sia la sua. Esiste anche la figura dello scienziato credente, figura degna di rispetto finché nella sua attività riesce a tenere separati ricerca (e divulgazione) e le sue opinioni circa l’Aldilà, il che non sempre succede.
La figura dello scienziato credente non va confusa con quella dello scienziato militante religioso. In Italia assistiamo al potere mediatico e politico di chi, potendo contare sulle giuste amicizie, è riuscito a creare attorno a sé la leggenda dell’autorevole scienziato di Dio, fama accresciuta da un’incessante attività editoriale. Sì, sto parlando di Antonino Zichichi, che, tra le numerose sue imprese, è riuscito a scrivere un libro secondo il quale Galileo Galilei riuscì a essere uno dei padri della scienza moderna in quanto credente e cattolico, come se il processo da lui subito da parte dell’Inquisizione romana fosse una semplice multa per divieto di sosta, come se vent’anni prima non fosse stato bruciato vivo Giordano Bruno, come se non fosse mai esistito un Indice del libri proibiti nel quale finivano regolarmente (fino a cinquant’anni fa) tutte le opere scientifiche che contraddicevano in qualche modo i dogmi ecclesiastici. Straordinaria la faccia tosta di trasformare un “nonostante” in un “a causa di”.
Questa mia lunga introduzione, non certo usuale per la presentazione di un articolo scientifico, è giustificata dal fatto che quello di cui sto per parlare NON è un articolo scientifico, anche se l’ho trovato su ArXiv (e mi chiedo come possa esservi finito).
L’appropriazione di figure e scoperte del mondo della scienza ora si rivolge anche verso Albert Einstein e la relatività. Dello scienziato tedesco si è occupato recentemente Max L.E. Andrews, teologo della Liberty University di Lynchburg (Virginia), la più grande università confessionale americana, il quale ha recentemente pubblicato l’articolo Albert Einstein and Scientific Theology.
Prima di analizzarne i contenuti, spendo qualche parola sul contesto culturale in cui nasce un lavoro simile. La Liberty University è una università il cui sito porta in esergo il motto teo-sportivo “Training Champions for Christ since 1971”, che già offre motivi di riflessione. Fondata appunto nel 1971 dal pastore Jerry Falwell Sr., e oggi retta dal figlio, il pastore Jerry Falwell Jr., essa opera nei settori “business, counseling, criminal justice, education, nursing, Christian ministry and more”. Per una chiara esposizione dei principi ispiratori dell’ateneo, consiglio la lettura della pagina Doctrinal Statement. Ora, mi si potrà obiettare con illustri esempi che l’attività scientifica di un’università può essere del tutto indipendente dalle idee che la ispirano, ma questo non mi sembra il caso, visto che a scrivere è un teologo e che per le lectiones invitano personaggi come il candidato repubblicano Mitt Rodney.
L’articolo di Andrews si colloca nella corrente moderata del protestantesimo americano, in quanto sostiene che lo sviluppo scientifico degli ultimi secoli, basato sull’evidenza empirica e l’elaborazione teorica, ha sviluppato nuove visioni del mondo, con le quali la religione si è dovuta confrontare. Così, ad esempio, la chiesa cattolica ha accettato l’evoluzionismo e la cosmologia del Big Bang (Andrews ignora figure come quella del vicepresidente del CNR De Mattei, oppure la bizzarra idea di Zichichi secondo la quale l’evoluzionismo non può aspirare allo status di dottrina scientifica in quanto non è riconducibile a una trattazione matematica). Secondo l’autore, Albert Einstein ha avuto un impatto indelebile sul rapporto tra scienza e religione: la figura e le scoperte dello scienziato di Ulm hanno avvicinato i due ambiti e non hanno creato alcuna separazione; al di là delle sue idee personali in campo religioso, l’opera di Einstein avrebbe contribuito a rafforzare “l’armoniosa congiunzione tra scienza e religione”, che non può essere ignorata da scienziati e teologi.
Einstein qualche volta usò metafore religiose per sostenere le sue idee, come quando, per sottolineare la sua difficoltà ad accettare la casualità insita nella meccanica quantistica scrisse a Bohr che “Dio non gioca a dadi con l’universo”, ma la sua visione religiosa era molto personale. Criticò l’ateismo dichiarato di Bertrand Russell, sostenendo che “La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell'incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio”. In un articolo sul New York Times Magazine del 9 novembre 1930, scrisse che “È difficile spiegare questo sentimento [la religione cosmica] a qualcuno che ne è completamente privo, specialmente se non esiste nessuna raffigurazione antropomorfica che possa corrispondere. (…) L'esistenza di ognuno di noi viene percepita come una specie di prigione e ricerchiamo un'esperienza dell'universo come un singolo significante tutto. I geni religiosi di tutte le epoche si sono distinti per questo tipo di sentimento religioso, che non concepisce né dogma né Dio a immagine dell'uomo; e così non ci possono essere chiese i cui principali insegnamenti siano basati su questi principi”. Il padre della relatività tuttavia non mescolò mai le sue idee religiose con la sua attività scientifica, e Andrews è abbastanza accorto da ammetterlo. La sua tesi non è rozza e non vuole appropriarsi di Einstein come persona, ma delle sue idee come scienziato.
Per farlo, intavola una lunga discussione filosofica e ripercorre le tappe della nascita della teoria di Einstein per sostenere che l’assoluta separazione tra oggetto e soggetto della concezione prima meccanicista e poi positivista dell’universo è stata messa in crisi dalla relatività, che mette necessariamente in relazione il fenomeno osservato con l’osservatore. “In tutta l’opera di Einstein, l’universo meccanicista si dimostrò insoddisfacente. Ciò fu reso evidente dalla scoperta del campo elettromagnetico e dal fallimento della fisica newtoniana di spiegarlo con concetti meccanicisti. Poi ci fu la scoperta delle geometria quadridimensionale e, con essa, l’idea che le strutture geometriche della fisica newtoniana non potevano essere separate dai cambiamenti nello spazio e nel tempo che la teoria dei campi comportava. (…) Einstein utilizzò Newton e le equazioni differenziali di Maxwell nella teoria dei campi per sviluppare un tipo di razionalità chiamata invarianza matematica. L’invarianza matematica stabilì un’autentica ontologia nella quale il soggetto coglie le strutture oggettive e l’intrinseca intellegibilità dell’universo”.
“Le categorie di Einstein non sono una qualche forma di a priori kantiano, ma concetti che sono liberamente inventati e si devono giudicare in base alla loro utilità, alla loro capacità di promuovere l’intelligibilità del mondo, che dipende dall’osservatore. La differenza tra il suo pensiero e quello di Kant sta proprio in questo fatto: Einstein comprende le categorie come invenzioni libere invece che come inalterabili (condizionate dalla natura della comprensione). Einstein dichiara che in fisica il reale va considerato come un tipi di programma, al quale non si è obbligati a legarsi a priori”.
Capita l’antifona? Con quei cattivoni di Newton e Kant dio era stato cacciato dalla casa della fisica, con Einstein egli può rientrare dalla finestra della libera invenzione! Sconfitto il dualismo epistemico, Einstein ridarebbe fiato alla teologia scientifica, curioso ossimoro che si ripete nell’articolo di Andrews, il quale può così affermare senza ritegno che “Se il mondo è in realtà una creazione di Dio, allora esiste un terreno ontologico per un impegno teologico nelle scienze della natura. Non è un impegno arbitrario, che regredisce all’impegno newtoniano, ma è un dialogo naturale, basato sulla fede fondamentale che il Dio di cui parla la teologia cristiana è lo stesso Dio che creò il mondo che le scienze naturali investigano”.
Così l’autore può concludere che “L’influenza di Einstein sulla teologia naturale ha giocato un ruolo rivitalizzante fornendo dati matematici e fisici che supportano la conclusione metafisica che Dio esiste. L’impatto indelebile di Albert Einstein non ha separato la scienza dalla religione, al contrario, sembra che abbia fatto precisamente l’opposto”.
E anche Einstein è arruolato nell’Armata del Bene.
Max L. E. Andrews (2012). Albert Einstein and Scientific Theology - arXiv: 1205.4278v2