«Viviamo su una placida isola d'ignoranza in mezzo a neri mari d'infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d'insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura.»
(Howard Phillips Lovecraft, Il richiamo di Cthulhu)
Nel 1928 fu pubblicato un manoscritto redatto dal defunto Francis Wayland Thurston, in cui si riportavano le conclusioni di un’indagine sconvolgente. Le sue testimonianze, considerate assieme a quelle riportate dal Dr. William Dyer dopo la sua spedizione del 1930-31 sul continente antartico, disegnano un quadro incredibile, secondo il quale nelle profondità del Pacifico meridionale abita una razza dormiente di antichi mostri ciclopici.
Sia il testo di Thurston sia quello di Dyer furono accolti con grande incredulità. I resoconti delle avventure di Dyer in Antartide sono stati archiviati come allucinazioni indotte da un edema cerebrale dovuto all'altitudine. Il manoscritto di Thurston è stato spesso interpretato come l’opera creativa di una mente paranoica in preda a qualche tragico delirio. Egli trascorse l’anno prima della sua morte (e della pubblicazione del suo manoscritto) vittima di un’ossessione maniacale che lo esaurì mentalmente e fisicamente.
Non è cosa strana che queste due persone abbiano raccontato storie simili. Entrambi, come risulta evidente dai rispettivi resoconti, conoscevano bene il culto di Cthulhu. Se vogliamo credere che i due fossero davvero allucinati, è certo che la conoscenza della mitologia di questo culto sia servita come alimento per le loro fantasie. Per di più, le due storie considerate assieme si avvalorano a vicenda. Uno scettico potrebbe giustamente concludere che, poiché entrambe le illusioni si svilupparono dalla stessa fonte, è naturale che esse si giustificassero reciprocamente. Inoltre, Dyer era professore di geologia alla Miskatonic University, a quei tempi rifugio di accademici occultisti. Non è infine irragionevole chiedersi se Dyer conoscesse direttamente gli scritti di Thurston prima di partire per la sua fatidica spedizione.
Tra le cose di interesse raccolte da Thurston a sostegno della sua tesi è degna di nota la testimonianza di Gustaf Johansen, un marinaio norvegese che raccontò la sorte della Emma, una goletta neozelandese. Johansen era il capitano in seconda della nave, ed è stato descritto dal Sydney Bulletin come uomo sobrio e di una qualche intelligenza.
Johansen descrisse una vicenda, capitata tra il 22 marzo e il 12 aprile 1925, nella quale egli e il suo equipaggio scoprirono un’isola non segnata sulle mappe, dove tutti tranne lui incontrarono la morte. La perdita della Emma e la scomparsa del suo equipaggio sono ben documentati, e gli studiosi che hanno studiato il documento di Johansen hanno confermato che fu scritto di suo pugno. Per questo possiamo essere certi dell’affidabilità dei documenti di Thurston.
Ciò nonostante, anche se il documento è vero, quanto lo sono le parole che vi sono scritte? Da una parte, i dettagli della sua esperienza sono veramente straordinari e incredibili, e, nel momento del suo salvataggio, Johansen era fuori di senno. D’altra parte, molte circostanze associate all'evento diedero alla storia un certo grado di credibilità. Nel presente articolo si sostiene che la scienza moderna può dare una spiegazione delle descrizioni apparentemente insensate del marinaio, che potrebbe essersi imbattuto in una regione di curvatura anomala dello spazio-tempo. La geometria dello spazio-tempo possiede infatti tutte le proprietà che, esaminate singolarmente, possono spiegare l’enigmatica esperienza di Johansen e giustificare le sue parole.
Nel raccontare le sue avventure sull'isola, Johansen rileva diverse volte le spaventose caratteristiche geometriche del posto. Thurston le descrive come non-euclidee. Di solito, il suo uso del termine è interpretato come riferito all'architettura degli edifici , ma questa interpretazione ortodossa potrebbe essere sbagliata. Nessuno infatti definirebbe anche il più ardito progetto architettonico come angosciante o ciclopico. L’interpretazione ortodossa ritiene che Johansen stia descrivendo un’architettura che può essere disegnata con linee curve su un piano. È invece più corretto pensare a linee rette su una superficie curva: non sono le pareti degli edifici dell’isola a possedere curvatura, ma lo spazio stesso.
Se le straordinarie esperienze di Johansen sono davvero dovute alla curvatura dello spazio-tempo, allora in quale modo è curvato? Un dettaglio della sintesi di Thurston ci fornisce un’informazione fondamentale:
... Johansen giura che [Parker] fu inghiottito da un angolo di muratura che non avrebbe dovuto essere in quel posto; un angolo che era acuto, ma si comportava come se fosse ottuso.
È evidente che Johansen descrive un evento nel quale il suo compagno è passato tra una trave rettilinea (o una colonna o una parete) e il terreno (o qualche altra superficie sufficientemente piana). La sua sorpresa è determinata dall'ampio spazio tra la trave e il terreno. Siccome è ragionevole supporre che le rispettive superfici abbiano solo piccole curvature intrinseche, l’anomalia non risiede nelle pareti, ma piuttosto nella natura dello spazio del luogo, che possiede esso stesso una curvatura.
Siamo abituati a uno spazio privo di curvatura: le relazioni e le leggi che descrivono linee, superfici e volumi sono quelle stabilite da Euclide molti secoli fa, per questo uno spazio piatto è detto euclideo. Al contrario, le leggi geometriche che riguardano linee, aree e volumi in uno spazio curvo sono definite non-euclidee.
Nella geometria euclidea, con curvatura assente (Ω0 = 1) l’area triangolare compresa tra due rette che si intersecano secondo un angolo acuto ϑ sarà Apiatta = ½ ℓ2 tan(ϑ), dove ℓ è la lunghezza del segmento alla base del triangolo (secondo Euclide, le due rette si incontrano in un solo punto e uno solo).
Invece, nella geometria ellittica, con curvatura costante positiva (Ω0 > 1), come avviene ad esempio sulla superficie di una sfera, le rette si comportano localmente come cerchi massimi sulla sfera. Così, due rette qualsiasi sono destinate a incontrarsi in due punti, e l’area del triangolo tra tali due linee deve soddisfare Aellittica < ½ ℓ2 tan(ϑ). Se lo spazio sull'isola di Johansen avesse una curvatura ellittica, la sua sorpresa si sarebbe riferita al piccolo spazio tra la trave e il terreno a parità di angolo di intersezione, mentre è avvenuto il contrario.
La terza geometria spaziale possibile è detta iperbolica, con curvatura costante negativa (Ω0 < 1), come avviene sulla superficie di una sella. In tale situazione, le linee rette locali giacciono come iperboli sulla sella. Nella geometria iperbolica, due linee che si intersecano in un punto si allontanano con ragione maggiore di quanto farebbero nella geometria euclidea. L’area compresa tra due di queste linee deve soddisfare Aiperbolica > ½ ℓ2 tan(ϑ). È proprio questo il caso che si verificato sull'isola di Johansen: l’area tra la trave e il terreno, più grande del previsto, è giustificata da una geometria iperbolica.
La curvatura dello spazio-tempo ha molte conseguenze ben conosciute. La più comune di esse è poeticamente descritta come lente gravitazionale. Un esempio di questo effetto nell'esperienza di Johansen è contenuto in una citazione (dal compendio di Thurston):
Una porta colossale … essi non sapevano decidere se essa era piana come una botola o obliqua come la porta esterna di una cantina… la geometria del posto era tutta sbagliata. Non si poteva essere sicuri che il mare e il suolo erano orizzontali, quindi la posizione relativa di ogni cosa sembrava spettralmente variabile… tutte le regole della materia e della prospettiva sembravano sconvolte.
Da questa descrizione risulta chiaro che i raggi luminosi, che ci aspetta siano rettilinei, sono curvati in modi inattesi. Mentre vagano sull'isola, i marinai vedono il mondo esterno (e altri oggetti distanti sopra l’isola) come attraverso una grande boccia per pesci. Così, l’orizzonte non è più diritto, e il sole e la luna fluttuano disordinatamente nel cielo a seconda della posizione dell’osservatore. Il fatto è sufficiente a portare alla pazzia un esperto in navigazione. L’ipotesi che è lo spazio-tempo stesso a essere curvo (e non invece la forma degli edifici) consente di decifrare l’enigma della grande porta.
Allora Donovan la toccò delicatamente intorno al bordo, premendo ogni punto separatamente man mano che procedeva. Egli si arrampicò interminabilmente sulla grottesca modanatura di pietra – a dire il vero la si chiamerebbe chiamata arrampicata se la cosa non fosse stata dopo tutto orizzontale – e gli uomini si chiedevano se nell'universo fosse esistita una porta tanto grande come quella.
La porta, ispezionata accuratamente da vicino, sembrava piatta in ogni punto della sua superficie. Tuttavia, guardata da più lontano, e confrontata con gli oggetti posti alla sua periferia, essa presentava un quadro incoerente riguardo alla sua curvatura e alla sua dimensione. Questo fatto, inquietante per un marinaio, può trovare una giustificazione nel campo della geometria spazio-dimensionale. Estratte dal loro contesto avventuroso, queste parole sembrano descrivere assai bene il fenomeno di lente gravitazionale, in cui l’immagine di oggetti situati al di là di una regione incurvata diventerà deformata e distorta in quanto la gravità incurva le traiettorie dei raggi luminosi.
In uno spazio-tempo curvo, i raggi luminosi non viaggiano lungo traiettorie rettilinee, e di conseguenza il campo visuale non è più uno strumento affidabile per descrivere le posizioni relative degli oggetti o l’appiattimento di un oggetto esteso.
Gli effetti descritti da Johansen fanno pensare alla presenza di un’anomalia spazio-temporale sull'isola, alla quale comunemente ci si riferisce con il termine di bolla. La sua esistenza presuppone uno spazio-tempo che consiste di due regioni: una regione sferica interna con curvatura spaziale iperbolica e una regione piatta esterna, con una zona di transizione più o meno regolare. Questa bolla evolve nel tempo fino a un raggio massimo che vale:
dove il parametro b determina come la bolla sia estesa nel tempo e W determina la larghezza massima della bolla nello spazio. L’evoluzione della bolla spazio-temporale può essere descritta come segue. Al tempo t = −W/b, la bolla di curvatura si espande dal punto r = 0 e continua l’espansione fino a che raggiunge il suo raggio massimo r = W al tempo t = 0. Il raggio della bolla poi inizia a contrarsi, e si restringe al punto r = 0 al tempo t = W/b.
Volendo assegnare un valore numerico ai parametri utilizzati, utilizziamo b = 1/40, che dà alla bolla la forma di uno sferoide allungato nello spazio-tempo e W = 5, che stabilisce che il massimo raggio della bolla si collochi alle coordinate r = 5.
Si può ritenere che forse una bolla di curvatura simile a questa abbia avvolto l’isola non cartografata di Johansen. Non è chiaro dalla sua descrizione a quale stadio dell’evoluzione della bolla egli l’abbia incontrata, se e a quale velocità la bolla si stava espandendo o contraendo. Non è neppure chiaro quanto fosse grande, o il grado in cui l’interno fosse spazialmente curvato.
Per dimostrare come siano possibili esperienze come quelle riferite da Johansen, chiediamoci come apparirebbe il mondo esterno a un osservatore posto all'interno dello spazio curvo. Consideriamo il caso rappresentato in figura.
Sull'isola, posta al centro di una bolla spazio-temporale, l’osservatore A è posto al raggio r = 1 e si trova a ovest del centro della bolla. L’osservatore B si trova invece a 30° nord-ovest dal centro. Utilizzando il calcolo numerico, generalizzeremo gli effettivi panorami visti dagli osservatori A e B e per l’osservatore posto a r = 2 lungo gli stessi raggi luminosi di A e B. In questo modo potremo dimostrare che l’effetto della lente cambierà man mano che ci si muove dal centro dell’isola. Per aumentare i riferimenti, ci sono tre oggetti geometrici posti sull'isola: un grande monolite (a nord-ovest), una grande sfera (a nord-est) e un alto cono, più vicino agli osservatori. Il cono si trova vicino agli osservatori e la sua immagine subirà una piccola deformazione, mentre tutti gli altri oggetti, che sono lontani, subiranno in pieno l’effetto della geometria dello spazio-tempo. Oltre la costa si trova l’oceano, sopra il quale si trova una nave (a sud-est). Nel cielo ci sono alcune nuvole. Sopra l’orizzonte di 5° il sole sta sorgendo a est, mentre la luna piena è posta a ovest, anch'essa di 5° sopra l’orizzonte.
Nella prima illustrazione sono mostrati i panorami visuali da A e da un raggio più ampio. In (a) è mostrato quello in assenza di bolla spazio-temporale, senza lente gravitazionale, in (b) quello visto in A e in (c) quello visto da una posizione più vicina alla linea di costa. Le direzioni cardinali sono illustrate. Si noti come sia accentuato l’effetto della lente al procedere verso la costa.
Nella seconda illustrazione sono mostrati i panorami visuali da B e da un raggio più ampio, con le stesse modalità.
Un enigmatico dettaglio dell’avventura di Johansen riguarda il come egli sia potuto sopravvivere nel periodo tra lo sbarco sull'isola e il suo salvataggio. La sintesi di Thurston sostiene che la Emma raggiunse l’isola il 22 marzo. Johansen, rimasto solo, ripartì solo dopo la tempesta del 2 aprile e, dopo un viaggio da incubo, fu recuperato il giorno 12 in uno stato di estrema agitazione. Secondo la cronaca dei fatti, egli sarebbe sopravvissuto per un periodi di 10-15 giorni in uno stato di estrema allucinazione che gli impedì di bere, mangiare e prendere sonno. Tutto ciò sarebbe impossibile, a meno di ipotizzare che egli potrebbe aver sperimentato una dilatazione del tempo. Uno degli effetti della curvatura dello spazio-tempo è infatti che, detto semplicemente, nella bolla il tempo scorre più lentamente. È ragionevole pensare che, mentre nel mondo esterno passarono due settimane, Johansen possa aver vissuto solo una manciata di ore o giorni nel corso della sua bizzarra avventura.
Le leggi della fisica relativistica ci dicono che il tempo all'esterno della bolla scorre in modo esponenzialmente più veloce che al suo interno. Ciò può significare che eoni innumerevoli all'esterno della bolla corrispondano a pochi momenti all'interno di essa.
A questo punto bisogna affrontare il rischio di avventurarsi in terreni scientificamente infidi per cercare di spiegare l’ultima questione irrisolta. Secondo uno dei concetti fondamentali del culto di Cthulhu, la ciclopica e mostruosa divinità ottopode risiede in una città posta negli abissi dell’oceano, in attesa di tornare a riprendersi il potere che fu profetizzato. Il mito descrive l’entità come né viva né morta. Naturalmente (meccanica quantistica e gatti a parte), l’idea può apparire priva di senno. Tuttavia, con un vocabolario più sofisticato, si potrebbe dire che Cthulhu è in uno stato in cui non avverte il passare del tempo, al centro stesso della bolla spazio-temporale, la cui origine può derivare solo dalla presenza di materia dalle caratteristiche totalmente aliene da ciò che la scienza umana conosce.
NOTA: Il testo originale è ispirato alla terza parte del racconto
Il richiamo di Cthulhu (1928) di Howard Phillips Lovecraft. Di proprietà fisiche anomale nel Pacifico meridionale mi sono occupato anche in
La scienza nel Monte Analogo, a proposito del capolavoro di René Daumal.
Benjamin K. Tippett (2012). Possible Bubbles of Spacetime Curvature in the South Pacific ArXiv: 1210.8144 arXiv: 1210.8144v1