martedì 29 settembre 2015

Il poema algebrico di Ibn al-Yāsamīn

L’epoca più luminosa della dominazione araba in Occidente fu quella degli Almohadi (1146-1248), che vide l’unificazione in uno stato potente dell’Africa nord-occidentale e della parte meridionale della penisola iberica, al-Andalus. Durante questo periodo continuò la tradizione di studio del pensiero classico avviato in precedenza e fiorirono l’architettura, la filosofia (basti pensare alle figure di Averroé e dell’ebreo Mosé Maimonide) e la matematica, anche se ci sono giunte solo poche opere o commentari relativi a quattro autori: Abū ‘l-Qāsim al-Qurashī (m. 1184), Abu Bakr al-Hassar (attivo intorno al 1175), Ibn al-Yāsamīn (m. 1204) e Ibn Mun’im al-Abdari (m. 1228).


Interessante è soprattutto il terzo di questi matematici, Ibn al-Yāsamīn, che nacque probabilmente a Fes, in Marocco. Secondo i suoi biografi, sua madre, che di nome faceva Yāsamīn (fiore di gelsomino) era nera (tratto che egli ereditò) e suo padre era un berbero. Versato in molte discipline, si affermò inizialmente come giurista e documentalista, poi come matematico (logica, geometria, astronomia, astrologia e soprattutto aritmetica e calcolo), essendo pure un poeta di talento. Si sa che visse per un certo periodo a Siviglia, dove probabilmente si perfezionò in matematica, e poi tornò nel Maghreb stabilendosi a Marrakesh, capitale della parte africana dell’impero degli Almohadi, dove morì nel 1204, assassinato sulla porta di casa. 

Le fonti contemporanee nulla dicono riguardo a un’opera in prosa di Ibn al-Yāsamīn, intitolata Talqīh al-afkār bi rushūm hurūf al-ghubār (“Fecondazione degli spiriti con i simboli delle cifre di polvere”, dove queste ultime sono le antenate di quelle che oggi chiamiamo cifre arabe), riscoperta solo nel secolo scorso. Quest’opera, consistente di più di 200 fogli, nelle intenzioni dell’autore, era concepita come un manuale per principianti, in cui era riunito l’essenziale di ciò che si doveva sapere dell’aritmetica degli interi, delle frazioni e delle radici quadrate. Secondo la prassi medievale, erano presentati diversi problemi di cui si forniva la soluzione con diversi metodi: numerici, doppia falsa posizione, algebrici. C’era anche un capitolo sulla geometria, in particolare sul calcolo delle aree. La sua importanza risiede sia nella natura degli argomenti trattati sia in quella degli strumenti matematici utilizzati.

La fama di Ibn al-Yāsamīn è però legata a un breve poema didattico di 54 versi, intitolato Urjūza fī l-jabr wa l-muqābala (Poema sul completamento e il bilanciamento), che ebbe larga diffusione sia in Occidente che nell’Oriente musulmano. Il biografo Ibn al-Abbār dice che, intorno al 1190-91, egli lo recitò, insegnò e commentò per qualche tempo prima di traferirsi a Marrakesh. Fu probabilmente il successo di quest’opera che lo incoraggiò a scriverne un altro di 55 versi sulle radici quadrate, e un terzo di soli 8 versi nel quale esponeva un metodo di doppia falsa posizione (regula falsi) per determinare grandezze proporzionali. Purtroppo queste opere non ci sono giunte e le fonti sono scarse. 

I poemi didattici facevano parte di un nuovo genere di manuali, i mukhtaṣarāt (compendi), che potevano essere anche in prosa. Si trattava di testi molto concisi, che condensavano delle conoscenze in frasi facili da tenere a mente, contenenti la terminologia e le regole utili. Il loro scopo iniziale era di aiutare gli studenti alla fine di un particolare corso di studi a ricordare termini e regole da usare direttamente per la risoluzione dei problemi. In seguito, al pubblico degli specialisti si aggiunse quello degli intellettuali in genere, desiderosi di apprendere in modo rapido i rudimenti di una disciplina, al punto che essi divennero più diffusi delle opere più dettagliate e tecniche. Un ruolo fondamentale era affidato all’apprendimento a memoria, in cui la comprensione era spesso assente e che richiedeva spiegazioni più dettagliate. Di esse si occupavano gli insegnanti che, dopo aver fatto recitare un passo del testo, lo spiegavano in lunghi commentari. L’importanza di questi compendi incominciò a essere contestata alla fine del ‘400, quando lo storico magrebino Ibn Khaldūn li giudicò pericolosi per una sana pedagogia utile a un reale apprendimento. 

L’urjūza di Ibn al-Yāsamīn è organizzato secondo uno schema piuttosto comune: dopo le preghiere e i ringraziamenti, il poeta matematico introduce dapprima la terminologia algebrica, seguita dagli algoritmi di risoluzione delle equazioni canoniche, dalle regole di calcolo delle espressioni algebriche e infine da una preghiera conclusiva. 

Il poema si colloca in una tradizione algebrica araba consolidata. L’autore non cita alcun predecessore, ma, nel Talqīḥ al-afkār segnala che egli non si è dilungato sugli irrazionali perché questa parte è sviluppata ampiamente nei libri di algebra, segno che i testi algebrici dell’oriente musulmano erano conosciuti nell’al-Andalus

Si conoscono oggi almeno 13 commentari al testo di Ibn al-Yāsamīn, dei quali molti sono stati pubblicati. In un commentario molto elaborato è arricchito dagli apporti di algebristi arabi orientali e occidentali, Ibn al-Hā’im constata che l’urjūza, imparato a memoria, necessita di spiegazioni e illustrazioni dettagliate. In effetti la trattazione è molto concisa, ed è evidente che si propone più come strumento di ripasso per chi è già informato della materia che come opera di divulgazione per i non addetti. Il poema ha continuato a essere insegnato fino al XVII secolo al Cairo ed è stato commentato fino al 1863.


Traduzione e spiegazione del Urjūza fī l-jabr wa l-muqābala 

 Nel prologo, al-Yasamin ringrazia e nomina il suo maestro, presso il quale aveva studiato a Siviglia, e chiarisce lo scopo dell’opera, vale a dire fornire un compendio dell'algebra in versi rajaz. Il metro rajaz della poesia araba consiste di versi composti da 24 sillabe, divisi in due emistichi di 12, con una cesura a metà. I due emistichi rimano tra loro. Ogni emistichio contiene tre piedi simili, di quattro sillabe ciascuno. La terza sillaba non è accentata, le altre sì: “dum-dum-di-dum”. Nella metrica classica corrisponde all’epitrito terzo.

1. Sia lode a Dio per tutto ciò che ha ispirato / e offerto come insegnamenti e spiegazioni. / 
2. Che le molteplici benedizioni di Dio siano accordate eternamente al Profeta Maometto. / 
3. I miei ringraziamenti (vadano) al brillante, intelligente ed erudito / Muhammad Ibn Qāsim nostro maestro. / 
4. Egli ha chiarito ciò che poneva un problema, / e reso comprensibili e facili le sconcertanti sottigliezze. / 
5. Che Dio lo ricompensi per questo / e lo retribuisca nell’Aldilà. / 
6. Incaricato da colui che ha bisogno d’essere aiutato, / e da chi non vedo alcun modo di contrariare, / 7. Di chiarire l’algebra con una presentazione / sotto forma di qualche frase in versi, / 
8. Disposte in versi rajaz, / dai ricchi significati e i termini concisi. / 
9. Per quanto non abbia mai smesso di cercare di evitarlo, / non ho potuto far altro che mettermi all’opera; / 
10. (L’ho recitato, scusandomi, / perché il lettore perdoni ogni mancanza). / 


La terminologia algebrica illustrata nei quattro versi successivi è la stessa già utilizzata da al-Khwârizmî nel IX secolo, e che ritroveremo in Occidente presso Fibonacci e in tutto il periodo della cosiddetta “algebra retorica”. Al-jidhr (la radice) è l’incognita x, al-māl (il bene) è il quadrato dell’incognita, x2, e al-cadad al-muṭlaq (il numero assoluto) è la costante, che non dipende né dall’incognita né dal suo quadrato. Ibn al-Yāsamīn precisa che al-jidhr (la radice) e al-shay’ (l’incognita, la cosa) sono sinonimi. La parola kaab (il cubo), cioè la terza potenza dell’incognita, x3, è utilizzata solo al verso 46.

11. L’algebra si fonda su tre (specie): i beni (quadrati), i numeri, poi le radici (cose) / 
12. Il bene è ogni numero al quadrato, / e la sua radice uno dei suoi lati. / 
13. Il numero assoluto non ha alcun rapporto / con il quadrato e la radice. Comprendi ciò e giungi (alla meta). / 
14. Cosa e radice sono sinonimi, / esattamente come padre e genitore. /

Il nucleo centrale del poema illustra le sei equazioni canoniche. All'inizio della sua opera al-Khwārizmī distingueva sei tipi canonici o normali di equazione, che egli presentava come nello schema riportato sotto, che corrisponde, in notazioni moderne, alle equazioni in cui a, b, c indicano numeri interi positivi:

I. I quadrati sono uguali alle radici:                                  ax2 = bx 
II. I quadrati sono uguali a un numero:                            ax2 =
III. Le radici sono uguali a un numero:                            ax = c
IV. I quadrati e le radici sono uguali a un numero:          ax2+bx = c
V. I quadrati e i numeri sono uguali alle radici:               ax2+c = bx
VI. Le radici e i numeri sono uguali ai quadrati:              bx+c = ax2

Anche Ibn al-Yāsamīn distingue sei tipi di equazioni, distinte in due categorie: le tre equazioni semplici (cioè un monomio uguale a un monomio, vv. 17-22) e le tre equazioni composte (un binomio uguale a un monomio, vv. 23-39). Gli algoritmi di risoluzione di tutti i tipi di equazioni (semplici o composte) sono quelli di al-Khwārizmī, ma, mentre il matematico persiano utilizzava degli esempi numerici, Ibn al-Yāsamīn, come al-Karājī, descrive la procedura in termini generali.

15. Certe (specie) uguagliano un numero, / composto da altri, o isolato. / 
16. Ne risultano sei (tipi di equazioni), di cui la metà è composta / e (l’altra) metà è semplice, (tutte) ordinate. / 
17. Secondo l’uso corrente, il primo (tipo di equazioni) corrisponde a / dei beni (quadrati) che eguagliano delle radici. / 
18. E quando uguagliano dei numeri, / è (il tipo di equazioni) che segue. Comprendi ciò che stai cercando. / 
19. E poiché tu uguagli un numero a delle radici, / tu ottieni il tipo seguente, secondo ciò che è stato stabilito. / 
20. Dividi per i beni, se esistono; / ma, se sono assenti, dividi per le radici. / 
21. Sono quelle le equazioni semplici; / la loro soluzione è una radice, tranne che per l’equazione intermedia. / 
22. In questo caso, la soluzione è un bene, / e ciò tenuto conto della natura del problema. / 

Le risoluzioni delle equazioni semplici di cui ai vv. 20-22 sono:




23. Sappi, con la guida di Dio, che il numero / è isolato nella prima equazione composta. /
24. E, ugualmente, nel secondo tipo (di equazione), hanno lasciate sole le radici / e isolati i beni nel tipo che segue. /
25. Eleva al quadrato la metà delle cose, / e, con attenzione, aggiungi il risultato ai numeri. /
26. Della somma ottenuta, estraine la radice, / poi, sottraine la (detta) metà. Il suo segreto è così svelato. /
27. Il resto (della sottrazione) è la radice del bene. / questo è il quarto tipo (di equazione). /

La risoluzione del primo tipo di equazione composta (ax2+bx = c, vv. 25-27) è:


28. Dell’altra, dal quadrato sottrai il numero. / La radice del resto sarà utile in seguito. /  
29. Tagliala della metà delle sue radici. / Ma puoi anche scegliere di sommarla. / 
30. In un caso è la radice d’un bene per difetto, / e, nell’altro, la radice d’un bene per eccesso. / 
31. Se il quadrato è uguale al numero, / allora la metà (delle radici) senza diminuzione è la sua radice. 
32. E se esso è superato dal numero, / ti renderai conto che non c’è soluzione. / 

La risoluzione del secondo tipo di equazione composta (ax2 +cbx, vv. 28-32) è:


Se (b/2)2 > c (vv. 29-30) ci sono due soluzioni:
radice per difetto
radice per eccesso

Se (b/2) 2 = c (v. 31), la soluzione è:
Se (b/2) 2 < c (v. 32), l’equazione non ha soluzioni. 

33. Siccome abbiamo terminato la risoluzione del quinto tipo, / spieghiamo la soluzione del sesto. / 34. Ai tuoi numeri, aggiungi il quadrato, / e di tutta la loro somma, estrai la radice. / 
35. Al risultato ottenuto, aggiungi la metà (delle radici): / ottieni la radice che cerchi. / 

La risoluzione del terzo tipo di equazione composta (bx+c = ax2, vv. 34-35) è:


Quando affronta la normalizzazione delle equazioni quadratiche, ad esempio il passaggio dall’equazione ax2 +bx=c all’equazione x2+b’x=c’, Ibn al-Yāsamīn propone due metodi, il primo dei quali utilizza la divisione per il numero dei beni, mentre il secondo utilizza il concetto di radice ausiliaria. I versi 36-37 sono dedicati alla normalizzazione classica. Un numero sconosciuto è in eccesso se il suo coefficiente è maggiore di 1; la frazione è incompleta se è minore di 1 (propria). Per portare il numero in eccesso all’unità si dividono tutti i membri delle equazione per il coefficiente di x2

ax2 +bx= →  x2 +bx/a = c/a    

quando≠ 1.

36. Riduci i beni in eccesso / e restaura le sue frazioni incomplete, / 
37. Per ricondurre tutti (i beni) a un bene unico, /e tieni conto di quest’ultimo nei calcoli rimanenti. /

Il metodo della radice ausiliaria, esposto nei versi 38-39, consiste nel moltiplicare il coefficiente a per il coefficiente c, ottenendo ca. Si cerca poi la radice (positiva) X0 dell’equazione ausiliaria X2 +bX = ca, designata come nadhīr al-jidhr (radice ausiliaria). La radice cercata xo si ottiene dividendo X0 per a, cioè x0 = X0/a

38. Oppure, moltiplica i beni per i numeri / e procedi, come in precedenza, / 
39. Dividendo la radice ausiliaria ottenuta / per il numero dei beni. Ne risulta la tua soluzione. / 



I versi 40 e 41 sono dedicati alle due operazioni di completamento e bilanciamento, quelle che hanno dato il titolo alla classica opera di al-Khwārizmī e anche a questo poema. Al-jabr (il completamento) in termini moderni designa l’operazione di eliminare le quantità negative che compaiono in uno dei membri dell’equazione aggiungendo l’opposto a entrambi i membri, mentre al-muqābala (il bilanciamento) è l’operazione di riduzione dei termini simili dello stesso grado. 

40. Ogni volta che introduci una sottrazione in un problema, / rendila abbondante nell’altro membro dell’uguaglianza; / 
41. Terminato il completamento, confronta / sottraendo ciascuna specie dal suo simile. / 

Dodici versi (vv. 42-53) sono infine riservati all’introduzione di vari termini dell’aritmetica delle incognite: le posizioni, il rango, il genere e la specie. La brevità del testo non consente al poeta di fornire delle definizioni formali: egli indica soltanto il contesto in cui il termine compare. Ad esempio, i termini genere e specie significano, in termini moderni, che due monomi, come axn e bxn, hanno la stessa incognita e lo stesso grado. 

42. Infine mi accingo a discutere delle posizioni, / in modo conciso, ma globale. / 
43. La radice viene per prima, seguita dal bene. / segue il cubo, che è autonomo. / 
44. A partire dai precedenti, si organizzano allo stesso modo / (le posizioni), qualsiasi sia il loro rango, e indefinitamente. / 

Riguardo alle posizioni, la radice è al primo posto, il bene (quadrato) al secondo, il cubo al terzo è così via. Si tratta quindi del grado del monomio.

45. Nelle moltiplicazioni, considera le posizioni (dei fattori), / tu conoscerai così il rango del loro prodotto. / 
46. (Segna) tre per ogni cubo ripetuto, / e due per il quadrato ogni volta che capita. / 
47. (E per ciascuna radice, conta precisamente uno. / i numeri non hanno alcun rango conosciuto). / 
48. Se moltiplichi un numero per una specie, / il risultato è, senza dubbio, quella stessa specie. / 
49. Nella divisione di due specie (dello stesso rango), / il quoziente è un numero, senza smentita. / 
50. Nella divisione di una specie per una di rango inferiore, / il quoziente si ottiene per differenza dei due ranghi. / 
51. (Per rango) voglio dire la sua posizione. / Il risultato della divisione (per una specie di rango superiore) resta l’enunciato iniziale. / 

Il rango di una specie è il numero associato alla sua posizione, in termini moderni il suo esponente. Il rango della radice (x) è 1, quella del bene (x2) è 2, quella cubo (x3) è 3, quella del bene-bene è (x2 x2) è 4, quella del bene-cubo (x2 x3) è 5, quella del cubo-cubo (x3 x3) o del bene-bene-bene (x2 x2 x2) è 6, ecc., secondo le regole per il prodotto (o la divisione) di potenze con la stessa base. Un numero assoluto non ha rango, cioè ha rango 0. Il verso 51 significa che se si vuole dividere ad esempio un quadrato per un cubo, il risultato si dirà “un quadrato diviso un cubo”, non essendo conosciuti gli esponenti negativi.

Nei versi 52-53 Ibn al-Yāsamīn espone la regola dei segni: se due quantità sono entrambe maggiori o minori di zero, il loro prodotto sarà positivo. Se invece sono di natura contraria (segni opposti), il risultato del prodotto sarà minore di zero.

52. La moltiplicazione del sovrabbondante o dell’incompleto / per un termine della stessa natura, appare sovrabbondante all’esaminatore. / 
53. La sua moltiplicazione per un termine di natura contraria è incompleta. / Capisci ciò. Che Dio ti guidi. / 

54. Infine, che le benedizioni di Dio e il suo saluto / siano sul Profeta così a lungo che l’oscurità si allontani. / 


Fonte principale: Mahdi Abdeljaouad, «Ibn al-Yāsamīn et son poème algébrique», Images des Mathématiques, CNRS, 2015

domenica 6 settembre 2015

Le curve ellittiche e il gruppo E(Q)

Le curve ellittiche non rappresentano delle ellissi, ma si chiamano così perché sono descritte da equazioni cubiche, simili a quelle usate un tempo per il calcolo dei perimetri delle ellissi e delle lunghezze delle orbite dei pianeti. Esse sono curve algebriche di grado 3 nel piano proiettivo (dove non esistono rette parallele) complesso (dove tutte le equazioni corrispondenti alle curve “sono accettabili” e le curve possiedono sempre dei punti). Infatti il piano proiettivo complesso è ottenuto completando il piano usuale (reale) con punti “all’infinito” e punti a coordinate complesse; esso contiene il piano usuale. Per le curve ellittiche l'insieme dei punti (x; y) soddisfa l'equazione f (x; y) = 0, più un punto O, detto “punto all'infinito" o punto zero.

Ogni curva ellittica può essere scritta come la curva algebrica piana definita da un’equazione la cui forma semplificata (forma normale di Weiestrass) è:

y2 = x3 + ax + b

La quantità Δ= 4a3 + 27b è la discriminante della equazione ellittica. Se Δ≠0 la curva ellittica ha 3 radici distinte (reali o complesse). Se Δ=0 la curva ellittica è singolare, cioè presenta punti di singolarità. Ebbene, la curva deve essere nonsingolare, cioè non deve avere cuspidi o nodi (in ogni punto deve essere definita in modo univoco la sua tangente). Il numero delle radici determina la forma della curva, che comunque è sempre simmetrica rispetto all’asse x

Vediamo qualche esempio: Per y2 = x3x(Δ= –4), con 3 radici, si avrà:


Per y2 = x3 + x + 1; (Δ= +31), con una radice, si avrà:


Per y2 = x3; (Δ=0) si ottiene una “parabola cuspidata di Newton”, con una singolarità (cuspide), in cui non esistono tangenti: non è una curva ellittica nonsingolare.



Nel piano (proiettivo) ogni retta interseca la cubica in tre punti, contati con “molteplicità” (la secante ha in comune con la curva tre punti distinti; la tangente ha due punti per la tangenza più un terzo punto; la tangente in un punto di flesso ha tre punti coincidenti). 

L’interesse per le curve ellittiche nacque nel 1901, quando Henri Poincarè dimostrò che ad ogni curva ellittica è associato un particolare gruppo. Gli elementi del gruppo sono i punti della curva che hanno per coordinate dei numeri razionali. Indichiamo con E(Q) l’insieme della curva i cui elementi (x,y)∈ Q, ai quali dobbiamo aggiungere il punto all’infinito che giace su tutte le rette verticali. Affinché E(Q) sia un gruppo è necessario definire un operazione somma. 

In effetti è possibile addizionare i punti della curva ellittica come si fa per i numeri interi. Scegliamo due punti P e Q sulla curva e tracciamo la retta che passa per entrambi. Essa interseca la curva in un terzo punto R. Tracciamo ora la retta che passa per R e il punto O posto all’infinito. Questa seconda retta individua il punto R’, che è la somma di P+Q. E’ chiaro che P+Q=Q+P (vale la proprietà commutativa dell’addizione).


Se P≡Q, tracciamo la tangente nel punto, che incontra la curva nel punto R. Come fatto in precedenza, tracciamo poi la retta verticale che passa per R e il punto O posto all’infinito. Questa seconda retta individua il punto R’, che è la somma di P+P, perciò R’=2P.


Se si somma P a Q=(–P), la retta che li congiunge è perpendicolare all’asse, quindi “manda” al punto O, che è la somma. Si ottiene R’=P+(–P)=O.


Avendo definito l’addizione, possiamo dire che (E(Q),+) è un gruppo abeliano.

Le curve ellittiche sono molto importanti in crittografia e soprattutto nella teoria dei numeri, dove costituiscono uno dei campi privilegiati della ricerca attuale. Esse furono utilizzate da Andrew Wiles per la dimostrazione del cosiddetto “ultimo teorema di Fermat”, di cui è meglio parlare un’altra volta, perché non può essere contenuta nel margine troppo stretto di questa pagina.

venerdì 4 settembre 2015

Una sequenza che inganna

Disegniamo n punti su una circonferenza, in modo che, tracciando tutte le corde che collegano ogni coppia di punti, non ci siano all’interno punti comuni a più di due corde. In quante regioni viene suddiviso il cerchio? Vediamo. 

Per n=1 si ottiene una sola regione: 


Per n=2 si ottengono r= 2 regioni: 


Per n=3 si ottengono r= 4 regioni: 













Per n=4 si ottengono r= 8 regioni: 


Per n=5 si ottengono r=16 regioni: 


Capito come funziona? Sicuri? Perché se, avete ricavato che n punti danno luogo a r = 2n-1 regioni, avete sbagliato! 

Proviamo per n=6 e contiamo quante sono le regioni: sono 31, non 32! 


L’ipotesi che la relazione sia r = 2n-1 è da scartare. In realtà la spiegazione corretta, di questo che è noto come problema del cerchio di Moser, è un pochino più raffinata: r è la somma dei primi 5 termini della riga n del triangolo di Tartaglia dei coefficienti binomiali.


I valori di r costituiscono la serie OEIS A000127

Formalmente il numero delle regioni r si calcola con la relazione: 


dove  è il coefficiente binomiale. 

Questo problema ha un grande valore didattico, perché mostra come prove limitate (magari anche con l’ausilio della potenza di calcolo dei computer) possano portare a risultati non corretti. Ecco perché in matematica si cerca sempre di trovare un prova generale di ogni teorema.