In un breve manoscritto non datato, intitolato “La verità sul caso e la controversia tra Sir Isaac Newton e il dottor Robert Hooke sulla priorità di quella nobile ipotesi del moto dei pianeti intorno al Sole come loro centro” (A True state of the Case and Controversy between Sr Isaak Newton and Dr Robert Hooke as the Priority of that Noble Hypothesis of Motion of ye Planets about ye Sun as their Centers), Hooke esponeva la sua ipotesi sulla fisica del moto orbitale e la sua teoria della gravitazione universale. Il memorandum di Hooke, che rimase inedito fino a dopo la sua morte, è assai accurato storicamente, e contraddice le numerose critiche dei suoi contemporanei e degli storici della scienza sul fatto che egli avesse sempre rivendicato per sé più meriti di quanto effettivamente gli competessero.
In effetti, per sostenere la sua priorità, Hooke citava alla lettera da diversi documenti esistenti:
− la trascrizione della sua conferenza sui "Movimenti Planetari come Problema Meccanico", tenuta presso la Royal Society il 23 maggio 1666;
− la sua monografia di 28 pagine intitolata "Un tentativo di provare il moto della Terra tramite osservazioni" (An Attempt to prove the motion of the Earth by Observations), pubblicata nel 1674;
− la sua lunga corrispondenza con Newton dell’autunno del 1679.
Tuttavia, Hooke non faceva menzione del suo importante studio sul moto orbitale per il moto di una forza centrale, basato sull’applicazione dei suoi principi fisici, ritrovato nel secolo scorso in un manoscritto datato settembre 1685 è mai pubblicato dall’autore.
Come si può vedere, la costruzione geometrica di Hooke (sopra) è praticamente la stessa di quella descritta da Newton (sotto), in relazione con la sua prova della legge delle aree di Keplero contenuta nel De Motu, una breve nota che Newton inviò alla Royal Society nel 1684, che poi ampliò nella sua monumentale opera, i Principia.
Nel suo scritto, Hooke riferisce che già nel 1666 egli aveva ipotizzato che il moto dei pianeti intorno al Sole può essere interpretato come “la trasformazione di un moto rettilineo (inerziale) in una curva, per l’effetto dell’intervento di un principio attrattivo”, l’attrazione gravitazionale della nostra stella. Egli sosteneva questa nuova visione fisica con un’analogia meccanica, vale a dire il moto di un doppio pendolo conico, che dimostrò sperimentalmente facendolo pendere dal soffitto della sala dove parlò ai membri della Royal Society.
Egli analizzò anche matematicamente il moto del pendolo, dimostrando che la forza netta diretta verso l’asse del pendolo cresceva linearmente [e non con legge quadratica] con la distanza, riconoscendo che essa “sembra comportarsi diversamente nell’attrazione del sole...”
Nella sua monografia del 1674, che contiene il testo della sua prima conferenza tenuta al Gresham College di Londra nel 1670, Hooke ribadiva i suoi principi fisici sull’origine del moto curvilineo per l’azione di una forza attrattiva, e in seguito annunciava la sua “supposizione” della legge di gravitazione universale, cioè che:
“Assolutamente tutti i corpi celesti possiedono un’attrazione o un potere di gravitazione verso i loro stessi centri, per cui essi attraggono non solo le loro stesse parti e le trattengono dal volar lontano da loro, come si può vedere che fa la Terra, ma essi attraggono anche tutti gli altri corpi celesti che sono nella sfera della loro attività”.
Per quanto è dato sapere, questa affermazione è la prima ipotesi mai pubblicata che la forza di gravità che attrae gli oggetti verso la superficie della Terra agisce anche tra i corpi celesti.
Hooke elaborò la sua teoria supponendo che:
“(…) non solo il Sole e la Luna hanno un’influenza sul corpo e il movimento della Terra e la Terra su di essi, ma che anche Mercurio, Venere, Marte, Saturno e Giove, con i loro poteri attrattivi, hanno un’influenza considerevole sul suo moto, come nella stessa maniera il corrispondente potere attrattivo della Terra ha una considerevole influenza anche su ciascuno dei loro movimenti”.
A dire il vero, un resoconto della monografia di Hooke del 1674 che introduceva l’idea della gravitazione universale era comparso su The Philosophical Transactions, Vol. IX, 101, 12, (1674), e quattro numeri più tardi erano stati pubblicati estratti di diverse lettere che contenevano commenti, tra le quali uno di Huygens. Evidentemente, dopo la pubblicazione dei Principia nel 1687, la priorità di Hooke nel proporre la gravitazione universale era stata dimenticata.
Nella prima edizione dei Principia, l’ipotesi di Hooke sulla gravitazione universale non era citata, mentre nella seconda (1713), Newton lasciò che il suo editore, Roger Cotes, ammettesse nella prefazione
“che la forza di gravità sia in tutti i corpi universalmente, altri lo hanno sospettato o immaginato, ma Newton è stato il primo e unico capace di dimostrarlo dai fenomeni e di renderlo un solido fondamento delle sue brillanti teorie”.
Anche questa piccola concessione ad “altri” fu tolta nella terza e definitiva edizione dell’opera (1726). Apparentemente, dopo aver sentito delle rivendicazioni sulla priorità di Hooke, Newton eliminò molti riferimenti a Hooke nelle prime bozze del testo. In una lettera a Halley, Newton si lamentava che:
“Egli [Hooke] non sapeva come metterci mano. Adesso non è invece molto elegante? I matematici che scoprono, risolvono e fanno tutto il lavoro devono accontentarsi di essere nient’altro che degli aridi calcolatori e uomini di fatica, e un altro che non fa niente, ma pretende, si accaparra tutte le cose e spazza via tutta la scoperta così come quelli che lo dovevano seguire e quelli che lo hanno preceduto”.
Nel suo memorandum, Hooke non sosteneva di sapere come la forza gravitazionale varia con la distanza, supponendo solamente “che questi poteri attrattivi sono tanto più potenti nell’agire quanto più vicino il corpo è portato al loro stesso centro”. Proponeva invece che questa dipendenza fosse determinata sperimentalmente, e ipotizzò che essa “assisterà fortemente l’Astronomo a ridurre tutti i moti celesti a una certa regola, che dubito potrà mai essere trovata senza di essa”. Infine, Hooke ricordava di aver comunicato i suoi principi del moto orbitale in una corrispondenza con Newton. In una lettera del 24 novembre 1679, egli chiese esplicitamente a Newton
“(…) se come grande favore potreste gentilmente farmi sapere le vostre obiezioni contro la mia Ipotesi o opinione, se mi faceste conoscere i vostri pensieri su questa composizione di moti celesti dei pianeti dal moto diretto per la tangente e un moto attrattivo verso il corpo centrale”.
Hooke nota che “in risposta a ciò, Newton pretende di non conoscere l’ipotesi”, riferendosi alla risposta di Newton del 28 novembre, che sosteneva
“(…) forse siete più propenso a credermi quando vi dico che non ho ricevuto in precedenza la vostra ultima lettera piuttosto che sentire [che ricordo] della vostra ipotesi di comporre i moti celesti dei pianeti da un moto diretto per la tangente alla curva (…)”.
Nella stessa lettera, tuttavia, Newton osservava “sono lieto di sentire che questa notevole scoperta che avete fatto del parallasse annuale della Terra è confermata dalle osservazioni del signor Flamsteed”. Poiché Hooke non aveva fatto menzione del proprio ruolo in questa presunta scoperta, questa osservazione indica che Newton già conosceva la monografia di Hooke del 1674, in cui questi aveva pubblicato le sue osservazioni, che aveva erroneamente interpretato come dovute al parallasse annuale della Terra. Ma nella monografia Hooke aveva anche enunciato i suoi principi sulla dinamica orbitale, che Newton “pretendeva” di non aver mai sentito.
Rimane aperta la questione su quanto Newton possa aver appreso dalla sua corrispondenza con Hooke del 1679. La prima bozza di Newton, il Waste book, indica che già nel 1664 egli stesse studiando il moto circolare uniforme per l’azione di una serie di impulsi su un corpo in movimento diretti verso il centro dell’orbita circolare. È pertanto sbagliato sostenere, come hanno fatto diversi storici della scienza, che Newton abbia appreso da Hooke quest’idea sul moto orbitale.
È tuttavia sorprendente che, nella sua lettera a Hooke del 28 novembre, Newton sostenesse di non essere a conoscenza che Hooke aveva avuto idee simili sul moto orbitale, perché Newton aveva letto la sua monografia del 1674. Nel suo memorandum, Hooke rammentava che nella sua lettera di risposta aveva ricordato a Newton che
“(…) potrei aggiungere molte altre considerazioni che sono in accordo con la mia teoria dei moti circolari composti da un moto diretto e da uno attrattivo verso un centro”.
In seguito, nella sua corrispondenza del 1686 con Halley riguardante ciò che aveva sentito sulle pretese di priorità di Hooke, Newton si concentrò principalmente sulla scoperta della dipendenza della forza gravitazionale dall’inverso del quadrato della distanza, omettendo di citare la prima formulazione di Hooke dei principi della dinamica orbitale e la teoria della gravitazione universale.
Secondo David Gregory, che visitò Newton a Cambridge nel 1694,
“(…) vidi un manoscritto [scritto] prima del 1669 (…) dove sono stesi tutti i fondamenti della sua filosofia: in particolare la gravità della Luna verso la Terra, e dei pianeti verso il Sole. E effettivamente tutte queste sono poi anche soggette al calcolo (…)”.
Il manoscritto, che si trova tra le carte ancora esistenti di Newton, indica che nel 1669 Newton era andato molto più in là che Hooke, avendo riscoperto la relazione matematica per l’accelerazione radiale o forza centrale nel caso di un moto circolare uniforme, che era stata scoperta in precedenza da Christiaan Huygens, ma non pubblicata fino al 1673, quando fu pubblicato l’Horologium Oscillatorium. Newton applicò questa relazione al moto planetario e, ritenendo che essa soddisfaceva la legge armonica di Keplero, scoprì che
“Le forze di allontanamento dal Sole sono reciprocamente come i quadrati della distanza da esso”.
Newton ipotizzò che tale dipendenza dalla distanza si applicava anche alla forza di attrazione della Luna sulla Terra, che tentò di identificare con la forza gravitazionale che agisce sui corpi sulla superficie terrestre. Tuttavia, a causa di un errore nel valore del raggio terrestre che aveva utilizzato nei calcoli, fu portato a pensare erroneamente che la dipendenza dall’inverso del quadrato non fosse accurata per la gravità terrestre.
In effetti, fu solo quando scoprì il suo errore intorno al 1685, applicando al suo calcolo il valore del raggio terrestre corretto da Jean Picard, che Newton provò che la dipendenza è valida sulla superficie di qualsiasi corpo sferico. Nella sua corrispondenza con Halley del 1686, nella quale rigettava le accuse di Hooke sulla dipendenza dall’inverso del quadrato, egli scriveva che
“Il signor Hooke, senza conoscere ciò che ho trovato sin dalle lettere che mi inviò, non può sapere altro che la proporzione è duplicata approssimativamente a grandi distanze dal centro, e può solo avere indovinato ciò che ho calcolato accuratamente, e immagina per sbaglio di estendere quella proporzione fino al vero e proprio centro”.
Newton utilizzò più volte il verbo “indovinare” per sottolineare che Hooke non aveva fornito alcuna prova matematica della sua ipotesi “che l’attrazione è sempre in una proporzione duplicata reciprocamente alla distanza dal centro”, come Hooke gli aveva scritto. In una lettera a Halley, Newton segnalava che:
"nella teoria sono chiaramente davanti al signor Hooke. Infatti egli, circa un anno dopo [1673], nel suo tentativo di provare il moto della Terra, dichiarò di non aver ancora verificato sperimentalmente il modo in cui la gravità diminuiva, cioè non sapeva come ricavarlo dai fenomeni, e pertanto raccomandava che altri proseguissero il lavoro”.
Newton affermava inoltre che Hooke aveva esteso la proporzione dell’inverso del quadrato all’interno della Terra. Al contrario, Hooke aveva correttamente indicato che all’interno della Terra la forza di gravità varia linearmente con la distanza dal centro, sostenendo che
“Immagino piuttosto che, quanto più il corpo si avvicina al Centro, tanto meno sarà sottoposto all’attrazione – possibilmente qualcosa come la gravitazione di un pendolo o un corpo mosso in una sfera concava dove la forza decresce continuamente tanto più vicino il corpo si avvicina a un moto orizzontale (…)”
Il 13 dicembre 1679 Newton scrisse un’importante lettera a Hooke, nella quale si può vedere che a quella data aveva raggiunto una profonda comprensione della fisica del moto causato da una forza centrale, e fornisce la prova che aveva sviluppato un metodo matematico approssimato molto efficace per calcolare le orbite per diverse forze centrali. La lettera contiene un diagramma (sotto) che mostra la traiettoria di un corpo sotto l’azione di una forza centrale di grandezza costante. Hooke rispose immediatamente che
"Il vostro calcolo della curva di un corpo attratto da una forza uguale a tutte le distanze dal centro, come quello di una palla che rotola in un cono concavo rovesciato, è corretto, e i due apogei [i punti più lontani dal centro di forza] non si uniranno per circa un terzo di una rivoluzione”.
Hooke deve essere stato molto sorpreso che Newton fosse in grado di calcolare una traiettoria che precedentemente egli aveva osservato in uno dei suoi esperimenti meccanici per comprendere il moto orbitale. Nel testo della lettera a Hooke, Newton discuteva anche i cambiamenti dell’orbita quando la forza cresce al diminuire della distanza dal centro o, con le sue parole,
“Così ritengo che possa essere se la gravità fosse la stessa a tutte le distanze dal centro. Ma se si suppone più grande vicino al centro, il punto O [più vicino al centro C] può cadere sulla linea CD o nell’angolo DCE o negli altri angoli che seguono, o anche da nessuna parte. Perché l’aumento della gravità nella discesa si può supporre tale che il corpo discenderà continuamente con un infinito numero di rivoluzioni a spirale fino ad attraversare il centro con un moto trascendentalmente rapido”.
Pur non avendo identificato nella lettera la legge responsabile di tale caduta “con un infinito numero di rivoluzioni a spirale”, nel 1684 tornò sull’argomento in una nota a margine di una delle prime bozze dei Principia. In questa aggiunta egli rivelava che questa forza dipende inversamente dal cubo della distanza radiale. Questa nota, tuttavia, non fu inclusa nella copia finale dell'opera, ed è stata generalmente ignorata in passato. Quindi è evidente che al tempo della sua corrispondenza con Hooke, Newton aveva già sviluppato un metodo piuttosto sofisticato per calcolare il moto orbitale intorno a forze centrali.
Il metodo di Newton era basato sull’osservazione che, per forze centrali, la componente della forza normale all’orbita determina il suo raggio di curvatura in base alla formula di Huygens-Newton per il moto circolare, purché sia nota là velocità. Newton indicò questo legame in una criptica nota nel suo diario del 1664:
“Se il corpo B si muove su un’ellisse, allora la sua forza in ciascun punto (se è dato il suo moto [velocità]) si può trovare con la circonferenza tangente di uguale curvatura con quel punto dell’ellisse”.
Ma in questo approccio della curvatura è difficile vedere che la legge di Keplero delle aree (conservazione del momento angolare) è una conseguenza dell’azione di forze centrali. Newton scoprì questo fondamentale legame, che diventò una pietra angolare dei suoi Principia (proposizione 1 nel Libro 1) solo dopo la sua corrispondenza con Hooke. Per provare questo teorema, Newton doveva inizialmente rendere discreta la forza centrale continua con una serie di impulsi, e poi applicare al moto orbitale generale i principi sostenuti per lungo tempo da Hooke, che li aveva illustrati a Newton in una lettera del 1679 come “componenti il moto diretto con una curvatura verso il centro di forza”.
Sebbene in precedenza Newton avesse applicato tale scomposizione al moto circolare uniforme, evidentemente l’impulso a considerarla in generale giunse da Hooke, ma Newton negò con forza di mai saputo nulla da lui, ammettendo solamente che:
“(...) La sua correzione della mia Spirale favorì la mia scoperta del Teorema con il quale in seguito ho esaminato l’ellissi; tuttavia non gli sono debitore di alcuna luce in questa questione, tranne che per la diversione che mi ha dato dagli altri miei studi (...)”
Senza l'intervento di Hooke nel 1679 è tuttavia probabile che Newton avrebbe continuato i suoi “altri studi” [alchimia e teologia] privandoci della sua meravigliosa costruzione matematica e fisica.