martedì 29 giugno 2021

Jonas Moore (matematica e cura della sciatica)


Jonas Moore (1627-1679) iniziò all'età di 13 anni lo studio della matematica, fortemente influenzato dalle opere di William Oughtred. Nel 1647 divenne tutore di matematica del duca di York, fratello del futuro re Carlo II, ma non mantenne a lungo questo incarico, poiché fu rimosso a causa dei disordini della guerra civile che funestavano l’Inghilterra. Solo due anni dopo Carlo I fu giustiziato e suo figlio fu proclamato Carlo II dagli scozzesi a dispetto degli inglesi. Carlo II fu sconfitto da Cromwell nel 1650 e dal 1651 fu esiliato in Francia.


Dopo aver perso il suo posto di precettore del Duca di York (il cui padre Carlo I era ancora re in quel momento), Moore si recò a Londra dove sperava di guadagnarsi da vivere come insegnante privato di matematica, ma trovò difficile trovare un numero sufficiente di allievi. Fortunatamente fu nominato geometra nel 1649, con il compito di lavorare al prosciugamento definitivo delle Fens, una regione paludosa nell'Inghilterra orientale tra Lincoln e Cambridge. Moore si fece una buona reputazione e presto fu incaricato di altre opere di rilevamento. Nello stesso periodo pubblicò un libro di testo di matematica, Arithmetick (1650).

Il Parlamento della Convenzione del 1660 dichiarò la restaurazione del Re e dei Lord. Carlo II tornò a Londra e Moore pubblicò di nuovo la sua Arithmetick insieme a A New Contemplation Geometrical, sulle ellissi e le sezioni coniche. La dedica del testo ripubblicato mostra chiaramente che Moore voleva ottenere il favore del nuovo regime.

Nel 1663 Moore fu inviato a Tangeri per condurre un rilevamento e riferire sulle fortificazioni della città. Qui fu coinvolto nell'ambizioso progetto di costruire un'imponente muraglia portuale. Ricevette il titolo di Cavaliere nel 1669 e fu nominato ispettore generale dell'artiglieria.

Moore non è particolarmente famoso come matematico, a parte il merito storico di essere stato il primo ad usare la notazione cot. È piuttosto ricordato il suo impegno organizzativo per la matematica e l'astronomia, particolarmente i suoi sforzi per istituire il Royal Observatory a Greenwich e per sostenere l’astronomo John Flamsteed, che nel 1674 invitò a Londra fornendogli, a proprie spese, un sestante di sette piedi impiegato nelle osservazioni fino al 1688 e due orologi, usati da Flamsteed nel suo lavoro per la determinazione della longitudine.

Moore, insieme allo scrittore Samuel Pepys, fondò la Royal Mathematical School all'interno del Christ's Hospital. Questa Scuola nacque con lo scopo di formare i ragazzi alle tecniche di navigazione affinché potessero servire la Marina Reale. Moore divenne rettore della scuola e, insieme a Peter Perkins, un insegnante della stessa istituzione, scrisse un'opera didattica, A New system of the Mathematicks, ma morì nel 1679, prima che il testo potesse essere pubblicato (uscì nel 1681).


Il poligrafo e pettegolo John Aubrey descrive Moore nelle sue Brief Lives (1693) come:

“... uno dei gentiluomini più affermati del suo tempo: un buon matematico e un bravo ragazzo. ... era alto e molto grasso, pelle magra, biondo, occhi grigi chiari”,

ma, soprattutto, aggiunge una breve e secca nota che forse ha tramandato il ricordo di Moore meglio di tanti necrologi:

“Sir Jonas More. Sciatica: he cured it, by boyling his buttock”.

“Sir Jonas More. Sciatica: la curò bollendosi una chiappa”.

domenica 27 giugno 2021

Il Cosmotheoros di Huygens e la vita extraterrestre


Durante gli ultimi anni della sua vita, Christiaan Huygens (1629-1695), uno dei padri fondatori della fisica e dell'astronomia moderne, lavorò a un "trattato filosofico", il Cosmotheoros, indirizzato al fratello Constantijn, che conteneva le sue speculazioni sulla costituzione dell'universo e sull'abitabilità dei pianeti così come potevano essere dedotte dalle sue osservazioni e da quelle di altri astronomi. Cosmotheoros significa qualcosa come osservatore del cosmo; κόσμος è il mondo o l'universo, in particolare, se visto come un sistema ordinato e armonioso, mentre θεωρός significa spettatore, una parola che ha originato sia “teoria” che “teatro”. Si trattò del primo lavoro del genere basato su conoscenze scientifiche recenti piuttosto che su congetture filosofiche o argomentazioni religiose. Alcune delle sue idee ora sembrano bizzarre o ingenue, ma sotto altri aspetti Huygens era ammirevolmente illuminato.


Sebbene inizialmente avesse pianificato di scrivere quest'opera in francese, in seguito decise di pubblicarla invece in latino, lingua franca degli intellettuali dell’epoca. Huygens terminò il suo manoscritto nel gennaio 1695 e scrisse a Constantijn di aver trovato anche un editore. Il 4 marzo scrisse a Constantijn che le prime pagine erano già state stampate ma che lo stampatore non era andato oltre. Tuttavia, la salute di Christiaan si stava rapidamente deteriorando e l'8 luglio morì. Nel suo testamento, redatto il 23 marzo, aveva chiesto al fratello Constantijn di pubblicare l'opera solo dopo la sua morte, temendo la censura di «coloro la cui ignoranza o zelo è troppo grande».

Sfortunatamente, i doveri di Constantijn come segretario del re olandese d’Inghilterra, Guglielmo III d’Orange, richiedevano spesso la sua presenza a Londra e la stampa del libro procedeva lentamente. Anche Constantijn morì (il 12 novembre 1697) prima che fosse terminato e le ultime fasi della stampa furono supervisionate da Burchard de Volder, professore di matematica e fisica di Leida.


Poco dopo la pubblicazione dell'edizione latina del Cosmotheoros da parte dell'editore dell'Aia Adriaan Moetjens (1698), apparvero traduzioni in inglese (1698) e in olandese (1699). Negli anni successivi apparvero anche le versioni in francese (1702), tedesco (1703) e russo (1717).

Naturalmente i filosofi avevano sempre pensato all'esistenza della vita oltre la Terra. Aristotele lo escluse, credendo che la Terra fosse unica e che gli altri corpi celesti fossero pure entità geometriche. Ma gli atomisti, tra cui Democrito ed Epicuro, accettarono la nozione di una pluralità di mondi, un po' sull'analogia delle particelle di materia di vario genere esistenti in mezzo al vuoto. I pensatori medievali ripresero questo dibattito, ma poterono solo aggiungervi le proprie preoccupazioni sulle implicazioni di un punto di vista o dell'altro per la dottrina della chiesa, il che non produsse nulla per promuoverlo.

La rivelazione che nel sistema solare c'erano ancora più corpi di quelli conosciuti fin dall'antichità, avvenuta con la scoperta da parte di Galileo di quattro lune di Giove nel 1610, aggiunse una nuova dimensione inaspettata alla discussione. E quando Huygens scoprì il primo satellite di un altro pianeta, Saturno, nel 1655, l'equilibrio della discussione sembrò cambiare di nuovo.


Huygens raggiunse la fama per la scoperta del primo satellite di Saturno (poi chiamato Titano) e dell'anello del pianeta (in seguito si vide che erano più anelli) e come creatore del primo accurato orologio a pendolo. Inventò anche numerosi altri dispositivi, tra cui una "lanterna magica", una sorta di proiettore di diapositive primitivo, e diede importanti contributi alla matematica, in particolare nei campi della geometria e della probabilità, e introdusse formule matematiche come mezzo per esprimere la relazione tra quantità come velocità e massa nei problemi di fisica.

Christiaan Huygens fu un bambino precoce: costruiva piccole macchine e si divertiva a risolvere enigmi matematici, tanto che la gente cominciò a chiamarlo "l'Archimede olandese". Rifiutò la vita di cortigiano e diplomatico perseguita dal padre e dai fratelli, e presto si distinse in fisica, matematica e astronomia. Dopo le sue scoperte su Saturno e gli orologi, i suoi esperimenti con oggetti in movimento lo portarono alla conclusione che tutto il movimento è solo relativo (idea che in seguito guadagnò l'ammirazione di Einstein). Negli anni '70 del Seicento, ideò una teoria della luce basata sulle onde che era sostanzialmente corretta, ma fu trascurata per quasi 150 anni fino a quando non fu confermata dagli esperimenti.

Come molti intellettuali, Huygens non era certo un nazionalista. Cercò di adattare i suoi orologi a pendolo con l'obiettivo di poter calcolare la longitudine in mare in collaborazione con inventori scozzesi. Scambiò idee sulla pompa ad aria utilizzata per studiare le proprietà del vuoto con l'irlandese Robert Boyle. Si trovò coinvolto in una brutta disputa con l'inglese Robert Hooke sull'invenzione della spirale del bilanciere per regolare il cronometraggio degli orologi portatili. Confrontò i progetti di telescopi e le osservazioni planetarie con il polacco Johannes Hevelius e l'italiano Giovanni Domenico Cassini. Insegnò matematica al giovane filosofo tedesco Gottfried Leibniz (prima che lo studente superasse il maestro e inventasse il Calculus).

Nel 1663, Huygens divenne il primo straniero ad essere ammesso nella Royal Society. Più significativamente, fu determinante nel fondare nello stesso periodo l'Accademia francese delle scienze, rendendolo "il leader riconosciuto della scienza europea", secondo un suo biografo.

La scoperta dell'anello di Saturno da parte di Huygens nel 1656 richiese anni di paziente osservazione del pianeta utilizzando un telescopio di sua progettazione (per il quale Christiaan e suo fratello Constantijn rettificarono persino le lenti). Durante questo periodo, la forma apparente del pianeta era cambiata, portando a molte interpretazioni della sua forma. Fu la potente ottica di Huygens, insieme al suo senso matematicamente informato di ciò che era fisicamente più probabile, che lo condusse alla corretta interpretazione.


Le sue prime speculazioni sulla vita sui pianeti risalgono a questo periodo. Scrivendo dell'anello nel suo trattato su Saturno, aggiunse con apparente indifferenza una frase sugli “effetti che l'anello che li circonda deve avere su coloro che lo abitano”. Dalle successive lettere al fratello, sembra che Christiaan discusse liberamente tali questioni con Constantijn mentre erano insieme al telescopio, anche se ci vollero altri quarant'anni prima che i suoi pensieri apparissero sulla stampa.

A quel tempo, Cassini aveva individuato altre quattro lune di Saturno oltre al Titano di Huygens e alle quattro "stelle medicee" che Galileo aveva scoperto in orbita attorno a Giove nel 1610. Il sistema solare cominciava a sembrare molto diverso da quello inteso dagli antichi greci o anche da astronomi di una o due generazioni prima, come Galileo o Keplero.

Sebbene gli atomisti avessero anticipato che c'era una pluralità di mondi sia all'interno del sistema solare sia forse al di là di esso, erano divisi sulla questione di come fossero questi mondi. Accettavano che alcuni potessero essere abitati da creature viventi di vario genere, mentre altri potevano essere privi di vita e di acqua. Pitagora, ad esempio, credeva che la luna fosse abitata da animali più grandi e piante più belle di quelle sulla Terra, mentre altri sostenevano che era sterile.

Gli studiosi medievali si sentivano in dovere di considerare questi argomenti nel contesto della creazione di Dio. Nel 1318-9, Guglielmo di Ockham tenne conferenze a Oxford affermando la sua convinzione che "Dio potrebbe rendere un altro mondo migliore di questo e distinto in specie da esso". Ma le sue idee suscitarono tale opposizione che non gli fu concessa la laurea. Un secolo dopo, Nicola Cusano si spinse oltre, supponendo che almeno qualche specie altrove sarebbe stata superiore all'uomo, ma che tuttavia tutte dovevano la loro origine a “Dio, che è centro e circonferenza di tutte le regioni stellari”.

Due grandi rivelazioni, entrambe così vaste nelle loro implicazioni che impiegarono più di un secolo a penetrarvi, diedero un nuovo impulso a queste speculazioni nel XVI secolo. La prima fu la teoria eliocentrica del sistema solare di Copernico, che declassò la Terra a uno status pari a quello degli altri pianeti. La seconda è stata la scoperta europea delle Americhe, che ampliò le idee sulla diversità delle specie che ci si potrebbe aspettare di trovare su nuovi mondi.

Questi sconvolgimenti concettuali scatenarono un’ondata di letteratura fantasiosa sulla vita su altri mondi che non dipendeva né dalle ortodossie scolastiche né da osservazioni astronomiche aggiornate. L'avvento del telescopio portò a una messa a fuoco più nitida di queste congetture. La scoperta che la Luna non era una sfera pura, ma segnata da catene montuose come la Terra, incoraggiò il religioso e matematico John Wilkins, ad esempio, a dedurre in The Discovery of a World in the Moone (1638) che anche lassù vi potevano essere abitanti.

Keplero credeva che tutti i tipi di corpi celesti - pianeti, lune e persino soli - potessero avere abitanti, sulla base di osservazioni astronomiche simili. Andò oltre gli autori precedenti usando la sua conoscenza delle leggi fisiche (presumibilmente operanti universalmente) per considerare la forma che questi esseri potrebbero assumere. Sulla Luna avrebbero “un corpo e una durezza di temperamento di gran lunga più grandi del nostro”, scrisse, a causa della lunghezza dei giorni e delle temperature estreme.

Nel Somnium, prototipo di novella di fantascienza (il titolo significa “Il Sogno”) in cui il protagonista viene rapito dai demoni e portato sulla Luna, Keplero si dilungò sulla natura degli abitanti della Luna, dividendoli in due gruppi a seconda di chi viveva nel lato oscuro o nel lato illuminato. Questi ultimi considerano naturalmente la Terra come la loro Luna, e Keplero diede un'impressione scientificamente informata di come apparirebbe la Terra dal suo satellite. Tuttavia, Somnium non è una piacevole lettura, preoccupato com'è principalmente del confronto dei periodi orbitali e di altre variabili astronomiche sui due corpi celesti.


Il principale stimolo all'azione di Huygens fu probabilmente un'altra opera, Entretiens sur la pluralité des mondes, dello scrittore Bernard le Bovier de Fontenelle, pubblicata nel 1686. Esso si sviluppava nella forma di un dialogo tra un'ingenua marchesa e un saggio filosofo. Scritto in francese semplice, in modo da attrarre coloro che non avevano alcuna conoscenza scientifica, e in particolare le lettrici, offriva un'introduzione alle attuali teorie astronomiche, nonché una visione giocosa della vita sulla Luna, sui pianeti e sulle stelle oltre il nostro sistema solare.


Sebbene non sia stato concepito come l'opera di Fontenelle, il Cosmotheoros è la sua corrispondenza in termini letterari, essendo, secondo lo scrittore di scienze Philip Ball, anche il "primo tentativo di esaminare in modo scientifico rigoroso la vita su altri mondi, senza andar contro le Scritture”. La serietà d'intenti di Huygens è evidente dal fatto che considerava l'opera come un solo volume di un mai realizzato “libro dei pianeti”. Scriveva in latino per attrarre un pubblico colto (e il fatto che sia stato rapidamente tradotto nelle lingue parlate mostra che raggiunse ben oltre questo pubblico di destinazione).

Parte dello scopo di Huygens era confutare lo studioso gesuita tedesco Athanasius Kircher, che aveva pubblicato il suo dialogo mistico sui viaggi spaziali, Itinerarium exstaticum, nel 1656, che Huygens aveva letto notando che ometteva tutto ciò che egli riteneva probabile sugli altri pianeti, mentre includeva “una gran massa di cose oziose e irragionevoli”. Huygens aveva più considerazione per altri autori. Citò Nicola da Cusa, Tycho Brahe, Giordano Bruno e Keplero, sebbene essi, a suo avviso, avessero osato troppo poco riguardo alle forme che la vita extraterrestre avrebbe potuto assumere.


Huygens sviluppò la sua argomentazione ragionando in base alla probabilità. Cominciò: “Un Uomo che è dell'Opinione di Copernico, che questa nostra Terra è un Pianeta, portata in giro e illuminata dal Sole, come il resto dei Pianeti, non può non pensare a volte, che non è improbabile che il resto dei Pianeti ha (...) forse anche i suoi Abitanti.” La frase chiave qui è “non improbabile”, rifacendosi alle sue ricerche sulle probabilità statistiche. Perché, come avvertiva i suoi lettori: “Non posso pretendere di asserire nulla come positivamente vero (perché è possibile), ma solo avanzare una probabile Ipotesi, la cui verità ciascuno è libero di esaminare".

Ad esempio, pensava che fosse molto improbabile che ci fosse un'atmosfera sulla Luna, e così escluse il tipo di vita lì immaginato da Keplero e Wilkins. Ma approvò l'idea della vita sui pianeti all'interno del nostro sistema solare e nei sistemi solari che circondano altre stelle. Così argomentava, ad esempio, riguardo a Giove e Saturno:

“Se il loro Globo è diviso come il nostro, tra Mare e Terra, evidente com'è, (da dove altro potrebbero venire tutti quei vapori di Giove?) abbiamo ottime ragioni per concedergli l'Arte della Navigazione. [...] Specialmente considerando i grandi vantaggi che Giove e Saturno hanno per navigare, nell'avere tante Lune per dirigere il loro corso, con la cui guida possono facilmente raggiungere la conoscenza, di cui non siamo padroni, della Longitudine dei luoghi. E quale gran quantità di altre cose segue da questa ipotesi? Se hanno navi, devono avere vele e ancore, funi, carrucole e timoni, che sono di particolare utilità nel dirigere la rotta di una nave contro il vento e nel navigare in modi diversi con la stessa burrasca”.

Il nostro pianeta è solo uno dei tanti, e non gode di alcuna considerazione speciale se non dal fatto accidentale che ci capita di essere i suoi abitanti. Questo principio può essere facilmente generalizzato. Quindi, il nostro Sole non è che una stella tra molte altre, e se il nostro Sole ha un sistema planetario, l'assunto ragionevole è che debba essere così perché tali sistemi sono comuni, e quindi si trovano comunemente anche altrove:

“Perché allora perché ognuna di queste stelle o soli non può avere un seguito così grande come il nostro Sole, di pianeti, con le loro lune, per servirli? Non c'è una ragione evidente per cui non dovrebbero. Perché immaginiamo di essere posti alla stessa distanza dal Sole e dalle stelle fisse; non dovremmo quindi percepire alcuna differenza tra loro”.

I suoi pensieri sulla probabile natura di ciascun pianeta erano basati su ciò che si poteva apprendere su di essi attraverso un telescopio. Sosteneva che se si potesse dimostrare che un pianeta è simile alla Terra, allora aumenterebbero notevolmente le possibilità che lo fossero anche degli altri, una logica che guida ancora la ricerca di intelligenza extraterrestre. Usando le prove che aveva della distinzione di un pianeta da un altro - in termini di dimensioni, distanza dal Sole, lunghezza dei giorni e aspetto - fu in grado di arricchire la visione della vita extraterrestre che presentava ai suoi lettori.

Le idee di Huygens su piante e animali si basavano su proiezioni ragionevoli di ciò che allora si sapeva esistere sulla Terra, recentemente ampliate dalle notizie di specie esotiche riportate in Europa dalle navi degli esploratori. Meravigliandosi della ricchezza e dell'idoneità delle specie "così esattamente adattate" alla vita sulla Terra, sostenne che non dobbiamo negare questa abbondanza ad altri pianeti:

“Ora, se concedessimo ai Pianeti nient’altro che vasti deserti, ceppi e pietre senza vita e inanimati, e li privassimo di tutte quelle Creature che più chiaramente mostrano il loro Divino Architetto, li dovremmo collocare sotto la Terra in bellezza e dignità; una cosa che nessuna ragione permetterà”.

Huygens trovava assurdo pensare che corpi celesti così vasti fossero stati messi lì dal creatore semplicemente per permetterci di "sbirciare attraverso un telescopio".

Che forma potrebbe prendere questa vita? Basandosi sulle nuove informazioni che le specie americane sono diverse, ma abbastanza simili a quelle del Vecchio Mondo, Huygens presumeva una somiglianza generale con le specie terrestri. Ma tenne in considerazione le diverse condizioni fisiche che possono prevalere su altri pianeti. L'atmosfera potrebbe essere più densa, ad esempio, il che si adatterebbe a una maggiore varietà di creature volanti. Anche la gravità potrebbe essere diversa, anche se non fornisce stime della forza gravitazionale comparata su ciascuno dei pianeti, e in ogni caso respingeva l'idea di una semplice correlazione tra le dimensioni di un pianeta e la scala della sua flora e fauna.

Sorprendentemente, suggeriva che esseri intelligenti [i Planetari] potrebbero non essere uomini, ma altri tipi di "Creature dotate di Ragione". Alcuni pianeti, infatti, potrebbero essere in grado di ospitare diverse specie di "Creature razionali in possesso di diversi gradi di Ragione e Senso":

“La ragione [dei Planetari] deve essere esattamente la stessa, e procedere allo stesso modo per lavorare come la nostra, e che ciò che è vero in una parte sarà vero per l'intero Universo; sicché tutta la differenza deve risiedere nei gradi di conoscenza, che saranno proporzionali al genio e alla capacità degli abitanti”.

La natura della ragione e della moralità sarebbe la stessa che sulla Terra. Queste creature sarebbero socievoli e avrebbero case per ripararle dalle intemperie. Huygens era meno sicuro sul loro aspetto. Voleva indicare che potrebbero non essere umanoidi, eppure, disse, sicuramente devono avere mani e piedi e stare in piedi. La sua visione della loro biologia si basava sui requisiti che impongono queste menti simili, primo fra tutti la capacità di manipolare:

“… bisogna per forza dar loro le mani, o qualche altro membro, come conveniente per tutti quegli usi, invece di [mani] [...] senza il loro aiuto e assistenza gli uomini non potrebbero mai arrivare al miglioramento delle loro menti nella Conoscenza naturale”.

Quali "altri membri" potrebbero esserci che servono per scopi simili?

“Diamo loro una proboscide di elefante? È vero, queste Bestie [. . .] possono compiere tali mirabili imprese con essa, che non è stata chiamata molto impropriamente la loro Mano, sebbene in effetti non sia altro che un Naso un po' più lungo dell'ordinario. Né gli uccelli mostrano meno arte e tecnica nell'uso dei loro becchi per prendere il loro cibo e [costruire] la meravigliosa architettura dei loro nidi”.


Tuttavia, forse per mancanza di immaginazione, Huygens trovava la mano umana molto più eccellente. Sembrava troppo desideroso di dotare i suoi esseri alieni di una postura simile a quella umana, per motivi abbastanza poco convincenti:

“La statura e la forma degli uomini [sono] così opportunamente adattate ai loro usi definiti, che non è senza [...] probabilità che i Planetari abbiano Occhi e Volto dritti, come noi, per la più comoda e facile Contemplazione e Osservazione delle Stelle”.

Huygens si affrettava a sottolineare che ciò non comporta...

“… che devono avere la nostra stessa forma. Perché c'è una tale infinita varietà possibile di Figure da immaginare, che [la loro anatomia e fisiologia] può essere ben distinta e diversa dalla nostra. Con che calore e convenienza alcune Creature sono vestite di Lana, e con che finezza altre sono addobbate e adornate di Piume?”

Huygens considerava persino i crostacei...

“... la cui carne è come all'interno delle loro ossa. E se i Planetari dovessero essere tali? O no, dirà qualcuno, sarebbe uno spettacolo orribile [...] Non mi commuoverei affatto della loro brutta forma, se non fosse che così sarebbero privati ​​di quel rapido e facile movimento delle loro Mani e delle Dita, che è così utile e necessario per loro”.


È la funzionalità e la versatilità delle mani o di organi manipolatori simili che interessa principalmente a Huygens. Il nostro giudizio estetico soggettivo non dovrebbe entrarci.

Huygens rifiutava l'idea, allora popolare, che gli alieni senzienti debbano assomigliare esattamente a noi perché Dio li avrebbe fatti anche loro a sua immagine, come ha fatto noi, il che implica che tutti i figli di Dio devono assomigliarsi. Egli era invece del parere che l'"immagine" in cui gli esseri umani sono simili a Dio non dovrebbe essere presa nel senso letterale di apparenza esteriore, ma in quello di disporre di doti divine come la ragione, la moralità e il senso di giustizia.

Consentire che altri pianeti potessero essere abitati era di per sé una proposta audace da una prospettiva religiosa, poiché i Planetari erano eternamente condannati, in assenza di un patto con Dio mediato da Cristo, a meno che il sacrificio sul nostro pianeta non si estendesse a tutta la vita intelligente nell'universo. In alternativa, i mondi alieni avrebbero ricevuto ciascuno la propria incarnazione di Cristo. Per noi, questa non è forse un'idea terribilmente grottesca, anche se è vero che è un'altra diminuzione dell'importanza cosmica degli eventi sul pianeta Terra. Tuttavia, nel XVI secolo, poteva esserci un solo Cristo (Unus est Filius Dei...). Nonostante il suo atteggiamento lungimirante, Huygens ammette di...

“… non potere senza orrore e impazienza sopportare qualsiasi altra figura per l'abitazione di un'Anima ragionevole. Perché quando rappresento alla mia immaginazione o ai miei occhi una creatura simile a un uomo in ogni cosa, ma che ha un collo quattro volte più lungo e un grande disco rotondo, occhi cinque o sei volte più grandi e più distanti, non posso guardare su non senza la massima avversione, anche se allo stesso tempo non posso dare conto della mia Antipatia”.


Cresciuti come siamo su immagini di fantascienza, potremmo essere riluttanti a condividere questa avversione, o forse Huygens ha semplicemente immaginato più acutamente e più sinceramente l'orrore che comporterebbe effettivamente incontrare tali alieni "nella carne". In epoca tardo-medievale, l'immaginario fantastico era evocato nella rappresentazione degli abitanti dell'inferno, e creature quasi umane sfigurate da tratti grotteschi, del tipo immaginato qui da Huygens, erano un punto fermo dei racconti di paesi lontani o di alto mare; questa immagine è rimasta notevolmente simile, poiché si è spostata gradualmente dall'inferno e dagli abitanti di Terrae Incognitae agli extraterrestri.


Huygens poi rivolgeva la sua attenzione all'intelligenza e alla tecnologia. I suoi esseri planetari avrebbero sicuramente la scienza, e in particolare l'astronomia, poiché si diceva che questo studio fosse sorto come conseguenza della paura delle eclissi, che si sarebbero verificate anche su altri pianeti. Avrebbero senza dubbio alcune delle nostre invenzioni, “eppure che le abbiano tutte non è credibile”. In particolare, Huygens non poteva credere che possedessero telescopi, poiché considerava così belli quelli che aveva usato lui stesso che altre intelligenze non sarebbero state in grado di eguagliarli. Invece, attribuiva agli abitanti dei pianeti una vista naturale di gran lunga superiore alla nostra.

Nel 1600 Giordano Bruno era stato messo al rogo in Campo de' Fiori a Roma dall'Inquisizione per molte eresie, compresa la sua insistenza sulla pluralità dei mondi potenzialmente abitati. Un secolo dopo, Huygens era al sicuro da un simile destino. Tuttavia, cercò di prevenire qualsiasi critica da parte della chiesa, precisando che il cielo e la terra a cui si fa riferimento nelle Scritture devono applicarsi alla totalità dell'universo e non esclusivamente al pianeta Terra. Rifiutò di concedere all'uomo un posto speciale nella Creazione.

Il Cosmotheoros godette di un lungo periodo di popolarità durante il diciottesimo secolo e le idee di Huygens sulla vita sui pianeti e in altri sistemi solari divennero importanti per Immanuel Kant nella Storia naturale universale e teoria dei cieli del 1755. La scoperta di Urano da parte di William Herschel nel 1781 vide un'ulteriore ondata di interesse, ma da allora in poi gli astronomi iniziarono a evitare l'argomento, e l'opinione successiva fu meno interessata all’opera più speculativa di Huygens.

Recentemente, tuttavia, il Cosmotheoros è stato rivalutato dagli storici della scienza, i quali riconoscono che è stato in primo luogo l'abbraccio dell'incertezza di Huygens a dargli la licenza per esplorare l'argomento. Questa non era affatto una tendenza condivisa da tutti ai tempi di Huygens.

Oggi si può vedere una grande qualità di Huygens nella volontà di farsi guidare da considerazioni probabilistiche, in particolare dal principio di indifferenza (o di ragione insufficiente: insufficiente, cioè, per assumere qualcosa di diverso dall'equiprobabilità). Per non cadere nell'errore di argomentare per ignoranza, dobbiamo assicurarci che i vari risultati o opzioni siano sullo stesso piano, ed è ciò che Huygens cercò accuratamente di fare nelle sue speculazioni. Dopo aver stabilito i fondamenti matematici della probabilità, nessuno era in una posizione migliore per estendere i suoi precetti alla riflessione sulle questioni della scienza. Se non c'è motivo di preferire un'ipotesi alle alternative, è sufficiente attribuire la stessa probabilità a tutte. Farlo non era una resa all'irrazionalità, ma un modo per aprire nuove porte al pensiero creativo. Come scrisse nel Cosmotheoros: “è una Gloria arrivare alla Probabilità, e la ricerca stessa ricompensa le pene. Ma ci sono molti gradi di probabile, alcuni più vicini alla verità di altri, nella cui determinazione sta l'esercizio principale del nostro giudizio”.

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Hugh Aldersey-Williams, The Uncertain Heavens: Christiaan Huygens’ Ideas of Extraterrestrial Life, Public Domain Review Essays, 2020


mercoledì 23 giugno 2021

La Stupidità Artificiale (AS)


Michael Falk insegna letteratura del diciottesimo secolo all'Università del Kent. Il suo interesse per l'intelligenza artificiale è duplice. Come umanista digitale, utilizza l'elaborazione del linguaggio naturale e l'apprendimento automatico per studiare i modelli linguistici nei testi letterari. Come studioso di letteratura, il suo interesse principale è come il sé, la mente e l'intelletto sono rappresentati nella letteratura. In un recente articolo pubblicato su ArXiv, Falk indaga, nell’ambito del dibattito sull’Intelligenza Artificiale (AI), l’emergere di un pericolo poco indagato dagli esperti, l'ascesa della Stupidità Artificiale (AS). Sulla base di una lunga tradizione letteraria, Falk dipinge un quadro filosofico per analizzare la stupidità degli agenti artificiali, dimostrando che i moderni sistemi intelligenti possono essere visti soffrire di "stupidità di giudizio".


La Sindrome di Frankenstein
- Abbondano le storie di IA che superano gli umani in compiti cognitivi: esse vengono utilizzate per dimostrare che la super-intelligenza è possibile e probabilmente imminente. Ad esempio, nel 2016 il sistema AlphaGo di DeepMind ha sconfitto 4-1 Lee Sedol, un gran maestro coreano di Go, usando mosse rischiose che "hanno sfidato millenni di intuizione umana". Secondo alcuni è la prova che le macchine hanno già raggiunto un'autentica "intuizione" e "creatività". Il dibattito sull'Intelligenza Artificiale è distorto dalla sindrome di Frankenstein, cioè la paura che l'IA diventi sovrumana e sfugga al nostro controllo. La sindrome è radicata in un mito culturale antico e persistente. Ci sono lunghe tradizioni di testi sugli "automi", ma due secoli fa queste tradizioni presero una nuova direzione con la pubblicazione di Frankenstein di Mary Shelley. Il mostro di Frankenstein era un nuovo tipo di automa, per due ragioni: (1) Era radicato nella scienza moderna, in particolare nelle nuove scienze della chimica e dell'elettricità, che avevano rivelato forze naturali abbastanza strane da sfidare la coscienza, e tuttavia anche abbastanza controllabili da guidare i progressi tecnologici della rivoluzione industriale. (2) Era dotato di intelligenza cosciente, di "ragione", "sensazioni", "percezioni" e "passioni". In effetti, la sua intelligenza era sovrumana, al punto che anche l'essere umano più intelligente della storia, Victor Frankenstein, non era in grado di contrastarlo.

Il mostro di Frankenstein può essere descritto come la prima super mente elettrica che vive su un substrato chimico. Il suo arrivo ha cambiato radicalmente i termini del rapporto degli esseri umani con gli automi da loro creati: per la prima volta c'era un automa la cui intelligenza avrebbe reso impossibile il controllo e che poteva concepibilmente essere fabbricato in un prossimo futuro da un processo scientifico. Questo essere spaventoso divenne rapidamente un potente mito.

La stupidità artificiale (AS) - Mentre la paura del mostro di Frankenstein dominava la discussione, un diverso tipo di agente artificiale ha colonizzato costantemente ogni aspetto della vita umana. Piloti automatici che mantengono gli aerei in rotta, ma privano i piloti umani della possibilità di intervenire sui sistemi del velivolo, correttori automatici estremamente irritanti, pubblicità mirate invadenti, assistenti domestici insipidi come Siri e Alexa.

Può sembrare strano descrivere i moderni sistemi intelligenti come "stupidi". Se un filtro antispam è in grado di distinguere accuratamente le e-mail reali dallo spam e impara costantemente a superare in astuzia gli spammer umani che cercano di ingannarlo, è sicuramente "intelligente" in un certo senso? In effetti, molti teorici contemporanei dell'IA chiamerebbero questo filtro antispam una "intelligenza ristretta", perché può svolgere solo un compito particolare. Anche all'interno dei loro ristretti ambiti di competenza, tuttavia, è possibile sostenere che i moderni sistemi intelligenti sono ancora stupidi. Questi agenti artificiali sono regolarmente indicati come IA a causa delle loro notevoli capacità cognitive, ma la loro intelligenza apparente è anche una sorta di Stupidità Artificiale. Prima che l'attenzione possa essere indirizzata verso la AS, è però necessario specificare il concetto stesso di "stupidità".

Kant distingue due tipi di stupidità: stupidità di "comprensione" e stupidità di "giudizio". La stupidità di comprensione è quando mancano i concetti necessari per dare un senso a una situazione. A questo si può rimediare attraverso l'apprendimento. La stupidità di giudizio è quando di possiedono i concetti necessari, ma si applicano male. Spesso si applicano in modo troppo rigoroso o si usano al di fuori del loro dominio, come, ad esempio quando il sistema di riconoscimento facciale di Facebook rileva un "volto" che è in realtà un'immagine sulla maglietta di qualcuno. Più comprensione ho, più concetti conosco e più possibilità ho di esibire stupidità di giudizio. È in questo senso che una persona più intelligente può rivelarsi più stupida. Una fonte di confusione è che intelligenza e stupidità sembrano escludersi a vicenda, ma in realtà una maggiore intelligenza può portare a una maggiore stupidità.

La stupidità di giudizio si traduce in "errori", che si verificano quando si giudica la situazione utilizzando il sistema di concetti sbagliato. È abbastanza facile vedere che in termini kantiani, un "lapsus" è un mero errore di comprensione, mentre un errore tradisce un giudizio difettoso. Gli esperti commettono errori particolarmente pericolosi perché di solito danno diagnosi intelligenti, anche quando sono sbagliate. Se diagnosticano erroneamente una malattia o la condizione di un nucleo atomico, la loro superiore capacità di razionalizzare le proprie azioni può rivelarsi un errore fatale. È chiaro che l'intelligenza non è una difesa contro la stupidità e può persino peggiorare le cose.

La cosa più preoccupante è che in questi casi il sistema non ammette di essere confuso, ma afferma invece con sicurezza una risposta assurda. Il problema non è che l'intelligenza del sistema sia ristretta, ma che il sistema non ha idea di quanto sia ristretta la sua intelligenza. Per quanto riguarda GoogLeNet, un potente programma di riconoscimento delle immagini che, quando è stato testato su 150.000 immagini che non aveva mai visto prima, è stato in grado di identificare ciò che era raffigurato il 93,33% delle volte, pare proprio che l'apparente intelligenza del sistema deriva dalla sua capacità di comprensione, ma che manca di autentici poteri di giudizio. In effetti bastano alcuni accorgimenti per trarlo in inganno. Esso conosce solo un numero grande ma finito di cose nell'universo, che non sono altro che particolari disposizioni di pixel colorati, e ogni immagine è una disposizione di una di quelle cose. È inquietante sapere che i cugini più poveri di GoogLeNet vengono utilizzati per identificare le persone negli aeroporti o sui luoghi di un crimine. 

Chiaramente una AS come GoogLeNet non si ribellerà mai ai suoi padroni umani, e ancora nessuno sa come "infrangere la barriera del significato" e progettare un'IA che sappia effettivamente che esiste un universo complesso là fuori. Quando si dice che una AS ottiene "prestazioni sovrumane" in un dominio o nell'altro, ciò non dimostra che la super-intelligenza si sta avvicinando. Escludendo rigorosamente ogni immaginazione e riferimento al mondo complesso al di là di sé stesso, una AS ben progettata è in grado di concentrare tutte le sue capacità sullo sviluppo di un particolare insieme di concetti, che sono adatti a un particolare dominio. Nella morsa della sindrome di Frankenstein, si potrebbe essere tentati di trarre conforto dal fatto che l'intelligenza artificiale più intelligente oggi è profondamente stupida. Ma questo sarebbe sciocco. Kant afferma che la stupidità del giudizio è il tipo più rischioso. Cosa c'è di così pericoloso, allora, se il rischio di una rivolta super intelligente è fuori discussione?

I pericoli delle cose stupide - Il problema della Stupidità Artificiale è stato riconosciuto da secoli da grandi scrittori e poeti. La regina delle fate di Edmund Spenser (1590-96), I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (1726) e L’uomo della sabbia (1816) e Die Automate (1814) di E.T.A. Hoffmann presentano tutti macchine stupide che riescono a contrastare gli obiettivi umani anche se non hanno la capacità di opporsi o superare in astuzia i loro creatori. Anche quando una AS è assolutamente obbediente, essa espone comunque gli esseri umani ai rischi di sostituzione, oppressione e seduzione.


Sostituzione - In ogni libro della Faerie Queene di Spenser, un diverso cavaliere è al centro della scena, a rappresentare una diversa virtù di corte. Il libro V presenta Sir Artegall, il cavaliere di giustizia. Come tutti i cavalieri di Spenser, Artegall ha un aiutante che lo aiuta a realizzare la sua caratteristica virtù. Sorprendentemente, il compagno di Artegall è un robot:

His name was Talus, made of yron mould,
Immoueable, resistlesse, without end.
Who in his hand an yron flale did hould,
With which he thresht out falsehood, and did truth unfold.

Il suo nome era Talus, fatto di matrice di ferro,
Immobile, irresistibile, senza fine.
Che nella sua mano un flagello di ferro teneva,
Con il quale sradicava la menzogna e svelava la verità.

Talus è un invincibile uomo di ferro che punisce i trasgressori con il suo flagello di ferro "irresisibile". Come GoogLeNet, è progettato per ottimizzare una singola funzione: scopre la menzogna e svela la verità. È quindi “senza fine” in due sensi: non cessa mai di ottimizzare quell'unica funzione; e, più sottilmente, gli manca un senso cosciente di scopo o "fine". Come GoogLeNet, applica semplicemente la stessa formula a ogni circostanza. In effetti questa stupidità di giudizio è ciò che lo rende un utile assistente del Cavaliere di Giustizia. Talus è "immobile". La sua unica attività è quella di schiantare i trasgressori.

A differenza di Talus, Artegall non si concentra esclusivamente su 'giusto' e 'sbagliato', ma ammorbidisce il 'rigore' della legge secondo i criteri di 'equità' e 'coscienza'. Talus manca della qualità umana della "misericordia", che "è grande" come la giustizia, perciò richiede un controllo costante. Quando Talus e Artegall sbarcano nel regno di 'Iere' (cioè l’Irlanda), Artegall deve impedirgli di spazzare via tutti gli abitanti.

A prima vista, questa relazione sembra funzionare, perché Talus è assolutamente obbediente. Ma il controllo richiede sforzo e il giudizio richiede conoscenza. Affidandosi a Talus come suo strumento, Artegall diventa sempre più pigro e distaccato, e permette al suo servitore di commettere brutalità che lui stesso non avrebbe mai fatto. Quando catturano la corrotta Munera, ad esempio, Artegall "considera" la sua "difficoltà", ma tuttavia lascia che Talus le tagli mani d’oro e piedi d’argento e li inchiodi come avvertimento per i futuri malfattori. Affidandosi a una AS, Artegall stesso diventa più stupido. Si protegge dalla realtà, spegne la sua coscienza e permette a un robot di sostituirlo.


Oppressione - Jonathan Swift aveva poca fiducia nell'umanità, "la razza più perniciosa di piccoli odiosi parassiti di cui la natura abbia mai sofferto lo strisciare sulla superficie della terra". Era quindi indifferente alle macchine che corrompono gli umani. Quello che temeva era che gli umani corrotti avrebbero usato male le loro macchine.

Nel libro III dei suoi viaggi, Gulliver visita l'Accademia di Lagado, dove incontra un Professore pionieristico in quello che ora si chiamerebbe language modelling. Il Professore ha costruito un calcolatore meccanico in grado di comporre opere di “Filosofia, Poesia, Politica, Diritto, Matematica e Teologia”:

“Era una specie di telaio di venti piedi quadrati, sul quale erano disposti moltissimi pezzetti di legno simili a dadi, di cui alcuni erano alquanto più grossi; e tutti erano legati insieme per mezzo di fili sottili. Ogni faccia di ciascun dado portava un pezzo di carta, su cui stava scritta una parola; sicché sul telaio si trovavano tutte le parole della loro lingua nei differenti modi, tempi e declinazioni, ma mescolate alla rinfusa. Il professore mi avvertì che stava per mettere in moto la macchina: a un suo cenno, infatti, ciascun allievo prese in mano un manubrio di ferro (ve ne sono quaranta fissati lungo il telaio). Essi, facendolo girare, cambiarono totalmente la disposizione dei dadi, e perciò delle parole corrispondenti. Allora il professore ordinò a trentasei dei suoi scolari di leggere le frasi che ne risultavano, via via che le parole apparivano sul telaio; e quando avessero trovato tre o quattro parole che avessero l'apparenza d'una frase, di dettarle agli altri quattro giovinetti, che facevano da segretari”.

Invece di insegnare ai suoi studenti a pensare, il Professore li rende schiavi di questa AS combinatoria. Gli studenti alimentano il computer, come i data miner che estraggono le informazioni per i data center di oggi. Quindi giudicano l'output del computer, come l'esercito globale di tecnici che leggono le trascrizioni di Siri o Alexa per verificare che l'AS abbia risposto correttamente. Il vero scopo del Professore è quello di estinguere il pensiero umano. Mira a scrivere libri "senza la minima assistenza di genio o studio" e vuole che il regno installi 500 delle sue macchine. Ciò richiederebbe 20.000 persone per azionare le manopole, e ridurrebbe alla fame chissà quanti autori. Sebbene in superficie questa AS possa sembrare meno minacciosa di un dispositivo semovente come Talus, le sue conseguenze sono in realtà peggiori. Come un software moderno, la macchina di Swift non è in grado di agire da sola. Per esistere richiede schiavi umani.

Per gli scienziati di Lagado, la tecnologia viene prima delle persone. Se una nuova medicina fa ammalare il paziente, danno la colpa alla "perversità" del paziente o a qualche piccolo errore con gli ingredienti. Gli scienziati sopravvalutano le loro invenzioni, minimizzano la complessità della natura e svalutano l'intelligenza e l'autonomia degli individui.



Seduzione - Le stupidità artificiali in Swift e Spenser sono monotone e meccaniche, ma, come mostra E.T.A. Hoffmann, la AS può essere anche affascinante e seduttiva. Come Mary Shelley, Hoffmann fu uno scrittore gotico molto capace, ma nel suo L’uomo della sabbia (1816) e in Die Automate (1814), la scienza è meno avanzata e i rischi sono più subdoli. In Der Sandmann, il giovane studente Nathanael si innamora appassionatamente di una ragazza meccanica, Olimpia. All’inizio è attratto dal suo “viso di meravigliosa fattezza” e dal corpo “di bellezza paradisiaca”. Ciò che tuttavia lo seduce è la sua conversazione: 

“... non aveva mai avuto un ascoltatore così splendido prima. Non lavorava a maglia, né ricamava, non guardava fuori dalla finestra, non dava da mangiare a un uccellino domestico, non giocava con un cagnolino o un gatto preferito, non giocherellava con piccoli pezzi di carta o qualunque cosa avesse in mano, non costringeva uno sbadiglio in una tosse affettata - insomma - per ore guardava negli occhi il suo amante, fermamente, con uno sguardo fisso, senza dondolarsi o dimenarsi, e sempre più pieno di vita si fece il suo sguardo”.

La bellezza di Olimpia è impeccabile e sembra assolutamente sottomessa e devota. Olimpia lavora così efficacemente sulla debolezza di Nathanael, al punto che, una volta innamoratosi di lei, il giovane trova quasi impossibile percepire che è un automa, anche quando i suoi amici lo prendono in giro per amare un "manichino di cera" o un "burattino di legno". È proprio la stupidità di Olimpia che la rende così seducente, dal momento che non è in grado di fare nulla che possa disturbare le sue fantasie.

In Die Automate, il Turco Parlante seduce le persone in un modo diverso, creando un'aria di mistero. Il Turco Parlante è un indovino, che sussurra risposte oracolari alle domande della gente. Quando alle persone viene mostrato il funzionamento interno del turco, sono sconcertate. All'interno c'è un "sistema abile di molti ingranaggi", che sembra non avere "nessuna influenza sul discorso dell'automa" e tuttavia non lascia spazio per nascondere un operatore umano. Sebbene per la maggior parte del tempo, le risposte del Turco siano "secche", "crudamente umoristiche" o "insignificanti e vuote", a volte sembra avere una "intuizione mistica" sul futuro di chi fa la domanda, ma solo quando la risposta è interpretata dal punto di vista dell'interrogante. Ciò che rende il Turco avvincente sono il mistero e i pregiudizi di conferma. Incapaci di spiegare il suo funzionamento interno e sorprese dal fatto che alcune delle sue previsioni si avverino, le persone sono affascinate.


Per Hoffmann, gli umani hanno una tendenza innata ad antropomorfizzare le cose senza vita. Una AS ben progettata può sfruttare questo fatto giocando sui pregiudizi cognitivi, con risultati distruttivi. Nathanael si getta da una torre quando scopre che Olimpia è un automa. Il finale di Die Automate è ambiguo, ma un'interpretazione è che il giovane Ferdinand sia portato alla pazzia dall'apparente intuizione del Turco e ha l’allucinazione che la sua profezia si sia avverata. Questi tipi di seduzione sono oggi diffusi nel mondo della AS. Ad esempio, quando nel 2011 il sistema Watson di IBM vinse a Jeopardy! un quiz televisivo che consiste in una gara di cultura generale tra i vari concorrenti, l'evento è stato accuratamente organizzato per far sembrare che Watson stesse partecipando attivamente. Negli anni successivi, IBM ha continuamente indicato la sua intera attività di intelligenza artificiale come "Watson". Allo stesso modo, Amazon, Google e Microsoft camuffano da umani i loro assistenti virtuali, dotandoli di voci attraenti e semplici battute. L'arte della AS è un'impresa miliardaria e gli avvertimenti di Hoffmann sono più che mai pertinenti.

Usi della stupidità - Man mano che le AS proliferano e si integrano nella società, gli esseri umani sono destinati a essere sostituiti, oppressi o sedotti? Almeno due scrittori la pensano diversamente. Secondo Laurence Sterne e Joseph Furphy, la AS può effettivamente aumentare l'intelligenza umana agendo come una mappa o una pipa. Scrivendo al culmine dell'Illuminismo europeo, Sterne pensava che il "meccanismo" potesse elevare l'intelletto razionale dell'umanità. Girovagando per le aree semi-desertiche e più remote del continente australiano alla vigilia del ventesimo secolo, Furphy pensava che anche un semplice espediente potesse aprire l'immaginazione sulle distese epiche della realtà.


Mappe - Nel capolavoro di Sterne, Tristram Shandy, il protagonista ci informa della difficoltà dello zio Toby, soldato in pensione, a spiegare alle persone il suo ruolo nell'assedio di Namur e la terminologia delle fortificazioni:

“Le sue perplessità originavano dagli insormontabili ostacoli che incontrava, narrando l’episodio, nel chiarire ai suoi ascoltatori le esatte differenze e distinzioni tra scarpa e controscarpa, spalto e camminamento, mezzaluna e rivellino, senza di che non avrebbe potuto far capire pienamente dove egli fosse è che cosa vi facesse”. [traduzione di Antonio Meo]

Il problema è che in realtà lo zio Toby è originale, ma intelligente. Con la sua profonda comprensione della guerra d'assedio, è in grado di esprimere un giudizio oggettivo sul corso della battaglia. Ma i suoi ascoltatori non possono seguire. Ciò di cui ha bisogno è un dispositivo che memorizzi, elabori e rappresenti le informazioni sulla battaglia in modo intelligibile.

All'inizio Toby soddisfa il suo bisogno procurandosi una mappa di Namur, con l'aiuto della quale è in grado di "tenere il suo discorso con sufficiente perspicuità". La mappa fornisce una rappresentazione della battaglia, indicando la forma, la struttura e la disposizione delle fortificazioni, in modo che gli ascoltatori di Toby non si perdano in un deserto di gergo. Come ogni buona rappresentazione, la mappa aiuta Toby a "tenere traccia di eventi complessi" e fornisce un punto di riferimento condiviso per tutti nella conversazione, fungendo da "strumento per la comunicazione sociale". La mappa stessa è stupida, ma aumenta la comprensione, permettendo agli ascoltatori di giudicare una situazione per loro inizialmente complessa.

Toby sviluppa presto il desiderio di aumentare la propria capacità di comunicazione. Vuole modellare l'intero corso della guerra di successione spagnola, compito troppo complicato anche per il suo colto intelletto. La sua scrivania è troppo piccola per il suo fine e le sue mappe cartacee sono troppo fini, così lui e il suo servitore Trim si trasferiscono in campagna, dove prendono il controllo del campo da bocce di famiglia. Lì costruiscono modelli in scala di tutte le grandi battaglie d'Europa mentre li leggono sul giornale. Non solo il campo da bocce è più grande di qualsiasi mappa, consentendo una risoluzione più elevata e un numero maggiore di battaglie, ma è anche più malleabile. Esso è letteralmente un software, con il giusto equilibrio tra persistenza e malleabilità. 

La moderna AS lotta per combinare le virtù del campo da bocce di zio Toby: dimensioni, intelligibilità e malleabilità. Le AS sono sempre più utilizzate nel supporto decisionale, aiutando i giudici a concedere la cauzione o i banchieri a concedere finanziamenti. I sistemi di deep learning più recenti come GoogLeNet possono incorporare enormi quantità di dati aggiornati, tuttavia non possono spiegare i loro risultati a un utente umano. Sembra, quindi, che Laurence Sterne abbia identificato il problema dell'"IA spiegabile" (Explainable AI) già intorno al 1760.


Pipe - Una pipa da tabacco può sembrare una strana metafora per una macchina intelligente, ma d'altra parte, il romanzo da cui deriva questa metafora è davvero uno strano romanzo. Such is Life di Joseph Furphy è stato pubblicato a Sydney nel 1901 e in Australia è considerato un capolavoro modernista. Si tratta di un resoconto immaginario della vita degli abitanti delle zone rurali, inclusi conducenti di buoi, occupanti abusivi e viaggiatori itineranti. Il libro dà l'impressione di raccogliere una serie di storie vagamente intrecciate delle varie persone incontrate dal narratore mentre viaggia per la campagna. Le persone che incontra intorno ai falò trasmettono notizie e pettegolezzi e raccontano storie, così che a volte il lettore può dedurre informazioni mettendo insieme queste storie di seconda mano con l'azione della narrazione. È narrato da Tom Collins, un abile bugiardo, che vaga per la zona fluviale del Nuovo Galles del Sud a metà degli anni 1880. Ogni volta che Collins pensa a un problema, accende quasi sempre la pipa, come ricorda nel capitolo 2:

“Ma la pipa, essendo ora padrona della posizione, ha dolcemente sedotto la mia mente a una considerazione più ampia, semplicemente facendo del lavoratore stagionale errante un comodo trampolino di lancio per il suo volo nelle regioni della morale più ampia. Questo è il suo hobby, preso, probabilmente, da qualche società degli Illuminati tedeschi, dove era diventata una specie di batteria, o accumulatore, di quelle verità che i ministri del Vangelo non possono permettersi di predicare”.

Sebbene la pipa diventi il ​​"maestro" di Collins, l'effetto non è quello di offuscare la sua intelligenza, ma piuttosto di espanderla. Mentre le AS seducenti come Olimpia esacerbano le debolezze cognitive, la pipa amplifica i punti di forza cognitivi. Amplifica il quadro di riferimento di Collins, introducendo nella sua mente idee "tedesche" (cioè filosofiche) dalla sua "batteria o accumulatore". Mentre il campo da bocce dello zio Toby forniva una rappresentazione manipolabile per aiutare il ragionamento, la pipa induce un certo stato d'animo contemplativo, "sganciando" la mente e conduce chi la usa lungo una catena di associazioni. Laddove le mappe incoraggiano un ragionamento più rigoroso e consapevole, le pipe incoraggiano la meditazione riflessiva e inconscia.


Poiché la maggior parte delle AS moderne sono addestrate sui dati, producono ottimi "batterie o accumulatori" come la pipa da tabacco di Collins. Si considerino modelli di linguaggio generativo come il computer di Swift o il GPT-2 di Open AI. Tali modelli esaminano ampi corpus di testi scritti dall'uomo e accumulano conoscenze su come vengono usate le parole. Quindi usano questa conoscenza accumulata per generare un testo coerente. È la loro stupidità che li rende così utili come pipe, perché riproducono abitudini di pensiero e di parola che gli uomini intelligenti nascondono.

Conclusione - Frankenstein fu una straordinaria impresa dell’immaginazione, e non c'è da meravigliarsi se il romanzo di Mary Shelley ha generato un mito persistente. Le AS di oggi soffrono della stupidità del giudizio, che è molto più pericolosa. Rimane nell'interesse di alcune aziende e intellettuali alimentare la sindrome di Frankenstein esagerando l'intelligenza degli agenti artificiali, ma come Spenser, Swift e Hoffmann hanno anticipato molto tempo fa, tale comportamento mette a rischio la società. Naturalmente, alcuni nella comunità dell'IA riconoscono i limiti della AS e il crescente movimento di "IA spiegabile" suggerisce che le speranze di Sterne e Furphy stanno diventando più diffuse. L'intelligenza artificiale rimane il centro dell'attenzione, lo standard di successo e l'oggetto della paura. Tuttavia, se fosse abbracciata la tradizione sulla AS, essa potrebbe curare la sindrome di Frankenstein e rivelare i rischi e le possibilità di un problema sempre più urgente. E sottolineare la continua importanza dell'immaginazione letteraria in una società sempre più automatizzata.

Michael Falk, Artificial Stupidity, arXiv:2007.03616v1 [cs.CY, cs.AI]

mercoledì 16 giugno 2021

Coleridge e Davy, la chimica e la poesia


Nell’ultimo decennio del Settecento, la fiorente Rivoluzione Industriale, con la crescita della popolazione in Inghilterra, aumentò la necessità di ricerca scientifica per far avanzare i vari settori dell’economia; ad esempio, la chimica avrebbe sostenuto il miglioramento della tecnologia e dell'agricoltura e la botanica di quello dell'approvvigionamento alimentare. I poeti romantici furono testimoni di questa trasformazione ed erano anche interessati alla pratica scientifica come mezzo di miglioramento della società; la scienza aveva il potere di cambiare la società, come la voce di un poeta che indirizzava direttamente alle persone le visioni per un mondo migliore. Da questo punto di vista, il rapporto tra scienza e poesia per i romantici inglesi non era di diffidenza, ma di reciprocità, e esse potevano interagire tra loro, se non associarsi.

Joseph Priestley (1733-1804), famoso uomo di scienza e predicatore eterodosso, scopritore dell'ossigeno, fu anche un veemente oratore che sostenne la causa della Rivoluzione francese. È noto che alcuni poeti nutrivano una profonda simpatia per Priestley. A loro parere, lo scopo fondamentale dei famosi esperimenti di Priestley sull'aria era la rivelazione del principio della vita: "respiro", o combustione, o "fuoco" si traduceva nel "mettere le ali alle [sue] opere teologiche più sublimi". Samuel Taylor Coleridge (1772‑1834) gli dedicò un sonetto, che fu pubblicato nel Morning Chronicle nel 1794 e si concludeva descrivendolo come una specie di santo scientifico: “Meek Nature slowly lifts her matron veil / To smile with fondness on her gazing Son! (La natura mite solleva lentamente il suo velo da matrona / per sorridere affettuosamente a suo Figlio che la fissa!).

Priestley riteneva che la scienza e la religione fossero in definitiva una cosa sola e collegava la sua visione scientifica dell'aria con il potere di Dio. Affermò che la nozione di "immateriale" nel senso moderno poteva essere riformulata nei termini di materiale nel pensiero antico, al fine di supportare la propria teoria materialistica. Scriveva che “ciò che gli antichi intendevano per essere immateriale, era solo un tipo più fine di ciò che ora dovremmo chiamare materia; qualcosa come l'aria o il respiro, che prima fornisce un nome all'anima, o qualcosa come il fuoco o la fiamma, che probabilmente è stato suggerito dal calore del corpo vivente”. Coleridge non poteva accettare il materialismo di Priestley, sebbene ammirasse i suoi risultati scientifici. Per Coleridge, la scienza era un campo stimolante attraverso il quale poteva indagare la comunicazione tra lo spirituale e il materiale, e forniva un mezzo per migliorare le condizioni sociali, sostenendo la fede nel progresso dell'umanità.

Thomas Beddoes (1760-1808), medico laureato a Oxford, chimico, scrittore scientifico e veemente sostenitore della causa della Rivoluzione francese, era uno dei seguaci scientifici di Priestley e fece la sua pratica medica sulla base delle ricerche sull'aria. Recensendo un articolo di Beddoes nella sua effimera rivista, The Watchman, pubblicata per solo dieci numeri nel 1796, Coleridge proclamò il merito sociale della sua pratica medica e lo definì un vero patriota perché aveva presentato un piano per migliorare la dieta del popolo in Inghilterra. Accettando l'idea di Priestley, Beddoes sosteneva che "arie fittizie potrebbero essere vantaggiosamente introdotte nella pratica della medicina". Aveva reso pubblico il suo progetto di istituire un istituto medico, ritenendo che “una piccola istituzione appropriata avrebbe condotto a questo scopo più che una pratica occasionale e dispersa in vent'anni”. Il progetto di Beddoes fu inizialmente considerato difficile da realizzare, considerate le sue idee giacobine. Nel 1798, Beddoes riuscì tuttavia a fondare la Pneumatic Institution for Relieving Diseases by Medical Airs, a Clifton, presso Bristol, sostenuta da finanziatori principalmente dalle Midlands e da Birmingham. Era concepito come un centro medico, con annesso un ospedale dove si tentava di curare con i gas i pazienti le cui patologie erano ritenute incurabili, come la paralisi o la tubercolosi. Nelle città industriali in crescita, c'erano persone disposte a sostenere lo sviluppo di scienze pratiche, educazione e benessere, e uno degli effetti della consapevolezza culturale che avevano prodotto fu il sostegno finanziario che fu ufficialmente offerto nel 1798 a Beddoes dalla agiata famiglia Wedgwood, cioè Josiah Wedgwood, fondatore della nota azienda di ceramica e suo figlio Thomas, scienziato e inventore.

Del circolo di Bristol facevano parte, oltre a Coleridge, l’altro poeta e scrittore Robert Southey e il giovane Humphry Davy (1778-1829). Dopo un breve apprendistato come farmacista, Davy iniziò la sua carriera come uomo di scienza proprio all’Istituto Pneumatico, mentre Coleridge e Southey iniziarono la loro carriera letteraria.

Coleridge conobbe per la prima volta William Wordsworth a Bristol. I due incominciarono a frequentarsi nel Somerset, dove Coleridge si era stabilito nel 1797 in un effimero tentativo di cambiare vita e dedicarsi all’agricoltura. Fu in quel periodo che i due iniziarono il progetto delle Lyrical Ballads, pubblicate nel 1798, che sono considerate la pietra di fondazione del movimento romantico inglese. Quando i due Wedgwood, suoi amici, gli offrirono un assegno annuo per dedicarsi completamente alla letteratura, Coleridge partì per la Germania con Wordsworth, per “completare la sue educazione”. Tornò dopo un anno, deluso anche da questa esperienza. Iniziò a collaborare con il Morning Post di Londra e tornò a frequentare il circolo di Bristol.

Alla Pneumatic Institution, Humphry Davy in qualità di assistente di Beddoes, iniziò a sperimentare l'inalazione di protossido di azoto, o "gas esilarante", scoperto da Priestley nel 1772, che si credeva alleviasse il dolore e curasse malattie senza speranza. Davy registrò gli effetti del gas, osservando le persone che lo avevano provato, tra cui Coleridge. Davy scrisse che, dopo averlo inspirato quattro volte, Coleridge sentiva che "le sensazioni erano molto piacevoli, non così intense o apparentemente locali, ma di un piacere più puro di quanto avesse mai provato prima". L'inalazione di protossido di azoto, sebbene il suo effetto medico non fosse chiaramente noto, creava una sorta di sensazione di benessere indescrivibile a parole. Il gas, appena somministrato alle persone allo scopo di liberarle dai dolori, emancipava anche i loro sentimenti da quelli ordinari, lasciandoli alla ricerca di nuovi termini per esprimere la loro insolita esperienza.

Nel suo libro Researches, Chemical and Philosophical, Chiefly Concerning Nitrous Oxide, pubblicato nel 1800, Davy rilevò che esso attenua considerevolmente la sensazione del dolore, anche quando chi lo assume è ancora semi-cosciente, consigliando il suo utilizzo nella pratica medica. Purtroppo, benché Davy avesse scoperto le sue proprietà anestetiche, passarono altri 44 anni prima che esso fosse utilizzato dapprima nelle estrazioni dentarie e poi nella piccola chirurgia.


Davy fu molto coraggioso, e anche un po’ incosciente, a respirare il gas esilarante quando molti temevano che fosse letale, anche se c’è da dire che egli riporta nel testo la cronaca di suoi esperimenti altrettanto azzardati con il monossido di carbonio, l’ossigeno, l’idrogeno e altri gas. La sua euforica relazione agli effetti della sostanza – “mi ha fatto danzare come un pazzo per il laboratorio, e da allora ha tenuto acceso il mio stato d’animo” – sembrava promettere grandi cose. Beddoes pensava che il protossido d’azoto potesse offrire il mezzo con il quale “l’uomo può, talvolta, arrivare a comandare le cause del dolore e del piacere, con un dominio tanto assoluto quanto quello che ora esercita sugli animali domestici e sugli altri strumenti del suo comodo”. Nel suo libro, Davy più o meno diceva le stesse cose: “Poiché l’ossido nitroso nella sua azione estensiva sembra capace di distruggere il dolore fisico, esso può probabilmente essere usato con profitto durante le operazioni chirurgiche nelle quali non si ha una grande perdita di sangue”. Il problema era che, in quell’epoca, si attribuiva poco interesse al concetto di anestesia, poiché si riteneva che il dolore fosse una parte importante della chirurgia, se non altro perché dimostrava che il paziente era ancora vivo. È impressionante considerare quanti pazienti avrebbero potuto essere risparmiati da inutili sofferenze nei successivi quattro decenni se Davy avesse proseguito lungo questa strada.

Tra il maggio e il luglio del 1800, Davy inalò regolarmente protossido d’azoto. Più tardi parlò della sua esperienza come di un intenso piacere. Sembrava che la creatività fosse potenziata: egli descrisse ciò che definì “emozioni sublimi legate a idee molto lucide” e sperimentò fantasticherie di “immaginazione visiva” che occupavano la sua mente prima del sonno. Successivamente al luglio 1800, Davy abbandonò la sua “abituale pratica di inalazione” anche se continuava “a respirare occasionalmente il gas”, talvolta per “il mero piacere”. Davy aveva nuovi interessi, come la pila di Volta, che avrebbe poi usato per separare sali attraverso quella che oggi viene chiamata elettrolisi. Con alcune batterie in serie isolò il potassio e il sodio,poi calcio, stronzio, bario, magnesio, boro e alluminio. Studiò anche le energie coinvolte nella separazione di questi sali, perciò è considerato uno dei padri dell'elettrochimica moderna.

Altri nella cerchia di Davy a Bristol, così come i pazienti dell’ospedale, provarono il gas con risultati simili. Gli effetti del composto furono sperimentati da Robert Southey il quale, in una lettera indirizzata al fratello, scrisse che “Davy ha inventato un nuovo piacere per il quale il linguaggio non ha nome”. James Webbe Tobin, membro del circolo e futuro abolizionista della schiavitù, paragonò l’esperienza a quella della “rappresentazione di una scena eroica sul palcoscenico, o alla lettura di un sublime passaggio poetico, quando le circostanze contribuiscono a risvegliare i più sottili sentimenti dell’anima”. In tutte queste testimonianze, il gas esilarante sembra abbia fornito una particolare ricettività alle qualità più alte della musica, della poesia e del teatro. 

Tutte queste presunte qualità decretarono il successo del gas, che in effetti era una nuova droga, tra le classi sociali elevate, in cerca di euforia e deboli allucinazioni. Dal 1799 iniziarono i "laughing gas parties", festini a base di gas esilarante che fortunatamente non diventarono un fenomeno allarmante per la scarsa disponibilità della sostanza.


Esistono alcune analogie linguistiche tra l'esperimento dell'inalazione di protossido di azoto e lo scopo alla base della prima edizione delle Lyrical Ballads, pubblicate per la prima volta in forma anonima a Bristol nel 1798. La premessa delle Lyrical Ballads suggerisce che il volume di poesie è una trasformazione poetica di ciò che era stato implicitamente attribuito alla cura medica sperimentale condotta presso l'Istituto Pneumatico. Affermava infatti: “La maggior parte delle seguenti poesie sono da considerarsi esperimenti. Sono stati scritti principalmente allo scopo di accertare fino a che punto il linguaggio della conversazione nelle classi medie e basse della società è adattato agli scopi del piacere poetico”. L'autore usa il termine "esperimento" per descrivere il contenuto del volume e indica nel “piacere poetico” delle opere contenute. I lettori delle Lyrical Ballads che erano in sintonia con le passioni e i personaggi descritti dovevano provare piacere e liberarsi dalla sofferenza causata dal loro precedente distacco dalle vere passioni umane, anche quando leggevano ciò che era tradizionalmente chiamato "poesia".


Quando la seconda edizione delle Lyrical Ballads fu pubblicata nel 1801, Humphry Davy era stato invitato come docente della neonata Royal Institution di Londra. Fu a Londra che ricevette una richiesta dai proprietari delle miniere di carbone nel nord-est dell'Inghilterra e realizzò una lampada di sicurezza per i minatori. Esistevano già altre lampade progettate in quegli anni, ma la più conosciuta è proprio la "lampada Davy". L'avvento della nuova era della poesia rappresentata dalla pubblicazione delle Lyrical Ballads avviene dunque contemporaneamente all'emergere di nuove ricerche scientifiche istituzionalizzate. La preistoria della Royal Institution suggerisce che la professionalità della scienza fosse legata al benessere sociale e che la diffusione della conoscenza scientifica fosse supportata da esigenze educative. Il suo primo presidente, George Finch, ne illustrò il progetto dicendo che essa era nata per "diffondere la conoscenza e facilitare l'introduzione generale di utili invenzioni meccaniche e miglioramenti; e per insegnare, tramite corsi di letture filosofiche ed esperimenti, l'applicazione della scienza alla vita comune”. Sir Benjamin Thompson, il conte Rumford, che era lui stesso un uomo di scienza, raccomandò lezioni sui seguenti argomenti: "calore, combustibile, combustione, abbigliamento, ventilazione, refrigerazione, vegetazione, concimi, digestione, concia, fabbricazione del sapone, sbiancamento e tintura”.

Dato questo contesto, le lezioni di Davy nel 1802 alla Royal Institution comprendevano molti argomenti ed esperimenti chimici correlati. Folle affascinate dal suo carisma seguivano le conferenze, che erano dei veri e propri spettacoli, in cui Davy illustrava le ultime scoperte fisiche e chimiche con esperimenti dal vivo. Il pubblico non era solo composto da colleghi scienziati, ma anche da poeti, appassionati e signore raffinate. Coleridge si informò sulle lezioni di Davy e successivamente ne frequentò molte. Era la prima volta che Coleridge osservava Davy nell'aula magna della Royal Institution. L'edificio era stato completato nel febbraio del 1801 ed era il primo teatro destinato a conferenze scientifiche in Inghilterra. La grandezza dell'edificio di nuova costruzione colpì Coleridge, che scrisse nei suoi taccuini che “Se tutti gli aristocratici [fossero] qui, con quanta facilità Davy potrebbe avvelenarli tutti”. Il radicalismo di Coleridge, tuttavia, era piuttosto irrilevante quando si pensava alla situazione in cui Davy conduceva le sue ricerche e teneva conferenze. L'educazione scientifica era uno degli scopi dell'Istituzione, che comprendevano indagini sulle applicazioni pratiche delle conoscenze scientifiche utili per il miglioramento dei prodotti e delle loro applicazioni. La ricerca scientifica di Davy aveva seguito gli interessi dei ricchi, la maggior parte dei quali erano proprietari terrieri, e quella era un'epoca in cui le preoccupazioni per la produttività agricola e gli interessi filantropici nella povertà rurale erano condivise. Queste richieste divennero presto più pressanti a causa della situazione politica del blocco continentale voluto da Napoleone per mettere in ginocchio l’economia britannica.


Quando assisteva alle lezioni di Davy nel 1802, Coleridge era uno dei principali redattori del Morning Post. Notò che vedeva “La forza del sentimento connessa con la vividezza dell'idea”. Leggere gli appunti di Coleridge sulle conferenze di Davy rende bene l’idea del clima intellettuale dell'epoca, in cui un poeta e giornalista contemporaneo poteva essere affascinato da esperimenti su ossigeno, ossidi, idrogeno, azoto, zolfo, carbonio e vari altri elementi o composti. Introducendo la natura caratteristica dell'ossigeno gassoso, Davy faceva emettere scintille di luce una dopo l'altra, fatto che Coleridge registrava affascinato, soffermandosi sui vari fenomeni della combustione.

Considerando i numerosi riferimenti alle applicazioni pratiche della conoscenza chimica nelle sue note, tuttavia, ciò di cui Coleridge fu maggiormente testimone, anche se non del tutto consapevolmente, fu probabilmente la richiesta di fondo dell'utilità sociale delle ricerche scientifiche. Ad esempio, gli esperimenti di Davy sull'idrogeno, isolato per la prima volta da Henry Cavendish nel 1776, fecero nascere l'idea della pistola a idrogeno. Se l'aria contiene un'alta densità di idrogeno, Coleridge osservò che "esplode... con una vendetta". Ne consegue che la gente arrivò a pensare che fosse possibile applicare il gas idrogeno come una forma di polvere da sparo per un cannone: "Tieni il cannone sopra la bottiglia contenente gas idrogeno - applicaci una fiala di Leida - bang!". La fattibilità di quest'arma era dubbia, ma questa osservazione indica che era ancora l'età della polvere da sparo e l'esercito britannico cercava armi efficaci per vincere le battaglie, e sarebbe stato sicuramente utile per loro se la loro polvere da sparo fosse stata fornita gratuitamente dall'aria. Davy dimostrò anche che l'idrogeno è più leggero dell'aria comune; "Quindi", scrive Coleridge, "Gas idrogeno impiegato per i palloni". Il metodo per fare il sapone fu spiegato nella lezione sulla soda, o carbonato di sodio, che, osserva Coleridge, è "ottenuto dalle ceneri di alghe", reso "puro dal trattamento con calce e alcool" e "combinato con olio forma i saponi”. Il riferimento di Davy alla "sbiancante muriatica" e il suo suggerimento sul suo uso pratico sembrano attrarre Coleridge che era un topo di biblioteca: "Inchiostro da scrittura comune facilmente distrutto dal gas muriatico ossigenato", mentre "Inchiostro da stampa non alterato affatto dal gas - quindi impiegabile nello sbiancamento di stampe e libri antichi”.

Davy identificò l’alluminio nel 1808, ma aveva già osservato la natura caratteristica dei suoi composti, che a quel tempo erano legati all'industria della ceramica. Coleridge scrive:

“L’Allumina, o terra d'argilla – procurata dal solfato di allumine, cioè allume –, soluzione di allume: versare nella potassa caustica / si forma immediatamente un precipitato bianco – questa è allumina pura – insolubile in acqua, ma in essa facilmente diffusa – combinabile con tutti gli acidi - si contrae di volume in proporzione al suo calore - da qui il pirometro di Wedgwood, l'allumina costituisce la base della porcellana e della ceramica - combinata con selce, magnesia e altre terre”.


Dopo aver frequentato le lezioni di Davy nel 1802, Coleridge iniziò a sentire che il significato della ricerca scientifica presso la Royal Institution era in qualche modo diverso da quello che si era aspettato quando sosteneva le pratiche scientifiche di Beddoes. Ciò derivava in parte dal cambiamento della situazione politica della Gran Bretagna, e, probabilmente, in parte a causa della pressione sociale su Davy. Nel 1804 Coleridge scrisse di aver detto a Davy di temere che avesse chinato la testa nel Tempio di Mammona, cioè alla classe dei proprietari terrieri. Ciò che il poeta notò nelle lezioni di Davy era il tentativo di esaudire la loro richiesta di risultati scientifici per migliorare la produzione agricola dei latifondi. In questo contesto, la scienza gli sembrava essere un mezzo più efficace per servire gli interessi dei proprietari terrieri piuttosto che per aiutare i poveri.

Davy era famoso per l’eloquenza durante le sue lezioni, spesso colorata di espressioni poetiche (fu anch’egli poeta dilettante). Fece importanti esperimenti, scoperte e invenzioni, e fu nominato cavaliere nel 1812; divenne presidente della Royal Society nel 1820.

La presenza attiva di Davy come uomo di scienza e divulgatore influenzò Coleridge e Wordsworth, i quali entrambi svilupparono le proprie idee sulla relazione tra poesia e scienza. Davy, alla sua prima conferenza alla Royal Institution nel 1801, aveva proclamato che: “La scienza ha fatto molto per l'uomo, ma è capace di fare ancora di più... e considerando la progressività della nostra natura, possiamo ragionevolmente aspettarci uno stato di maggiore cultura e felicità di quello di cui godiamo attualmente”. La forte convinzione nel progresso è in risonanza con ciò che Wordsworth scrisse nella prefazione alla terza edizione delle Lyrical Ballads nel 1802:

“Se le fatiche degli uomini di scienza dovessero mai creare una rivoluzione materiale, diretta o indiretta, nella nostra condizione e nelle impressioni che abitualmente riceviamo, il Poeta dormirà allora non più di adesso, ma sarà pronto a seguire il passi dell'Uomo di Scienza, non solo in quegli effetti indiretti generali, ma sarà al suo fianco, portando senso in mezzo agli oggetti della Scienza stessa”.

Wordsworth era informato da Coleridge delle lezioni di Davy, e questo riferimento alla collaborazione tra "il poeta" e "l'uomo di scienza" potrebbe essere considerato un'espressione del legame che Wordsworth e Coleridge vedevano tra la loro realizzazione poetica e quella scientifica di Davy.

L’interesse fondamentale di Coleridge per la scienza era dimostrare l'unità del mondo materiale e della mente, non alla maniera del materialismo di Priestley, ma alla ricerca di un potere unificante sulla natura. Per Coleridge, esistevano vari modi per cercare un elemento unificante che comprendesse l'universo materiale e il mondo spirituale. I fenomeni dell'etere e dell'elettricità, ad esempio, diedero vita a pensieri analoghi sulla possibilità di postulare una legge unica al di sotto della superficie del mondo materiale. Coleridge scrisse di non dubitare "[che molte sostanze sono o] non ancora scoperte, o, sebbene conosciute, sono confuse sotto il nome comune di Idrogeno, formando una catena continua di cose dall'Azoto all'Idrogeno... e da dall’idrogeno al carbonio, non per combinazione fittizia ma per co-inerenza primaria”. Egli riteneva che se tutte le sostanze sono collegate tra loro dalla "co-inerenza primaria", il mondo materiale è, fondamentalmente, "indecomponibile". Così la teoria corpuscolare della natura era totalmente rifiutata, e la decomposizione delle sostanze, che Davy aveva condotto nei suoi esperimenti in molti modi, non era considerata come la preoccupazione principale della sua filosofia chimica, o, si potrebbe dire, della sua ricerca filosofica di un principio unificante.


Le preoccupazioni metafisiche di Coleridge forse contribuirono, all'inizio del XIX secolo, alla sua rinuncia alla poesia come forma prediletta di scrittura. La causa di questa nuova attitudine potrebbe essere attribuita, seguendo lo stesso Coleridge, ad una situazione coniugale sempre più insopportabile, o a dolori artritici persistenti, oppure ad una crescente dipendenza dall'oppio (inizialmente utilizzato per alleviare i dolori). Ciò nonostante, egli tornò spesso, in particolare, alla sua incapacità di liberarsi del bagaglio filosofico accumulato quando iniziava a scrivere in versi.

Il 19 luglio 1802 scrisse a William Sotheby a Londra per spiegare perché stava traducendo Gessner dal tedesco. Il lavoro di traduzione sembrava liberarlo: "Volevo svincolarmi dai pensieri metafisici - che, quando mi fidavo delle mie idee, mi colpivano senza motivo - e quando volevo scrivere una poesia, mi trovavo a pensare cose di tutt'altro genere - invece di un branco di poetiche pernici con ali fruscianti di musica, o di anatre selvatiche che modellano il loro volo rapido in forme sempre regolari ... si alzava un'otarda metafisica, sollecitando il suo volo lento, pesante, laborioso, rasoterra, su rifiuti squallidi e livellati."

Molti commentatori hanno deplorato che il giovane Coleridge non abbia riconosciuto che in lui il poeta e il filosofo non si escludono, ma si presuppongono a vicenda. Come dirà lui stesso nella sua Biographia Literaria (1817), “nessuno è mai stato un grande poeta senza essere al tempo stesso un profondo filosofo”. La poesia, per Coleridge, deve sublimare la natura imprimendole il segno di uno spirito arricchito e affinato dallo studio. Quindi non è in questo, nonostante alcuni suoi commenti, che dobbiamo cercare la causa di questa impotenza.

Quello che Coleridge perse davvero a cavallo del secolo è la capacità di godere dell'armonia tra sé e il mondo, i sentimenti e lo spirito, le bellezze della natura e la ricerca astratta. Questa armonia, era la base di tutto il suo pensiero, ma egli non si sentiva più abitato da essa allo stesso modo: la gioia e la speranza che lo alimentavano erano scomparse. Comunque sia, l'ultima poesia degna di nota di Coleridge, Dejection: An Ode (pubblicata in forma definitiva nell’ottobre 1802 sul Morning Post) è un "canto del cigno" che esprime la sua sterilità in termini paradossalmente molto poetici, nonostante la sua ossessione per le otarde metafisiche:


My genial spirits fail; And what can these avail

To lift the smothering weight from off my breast?

It were a vain endeavour, 

Though I should gaze for ever 

On that green light that lingers in the west: 

I may not hope from outward forms to win 

The passion and the life, whose fountains are within.

 

I miei spiriti geniali vengono meno;

e per cosa possono essere utili,

per sollevare il peso soffocante dal mio seno?

Sarebbe uno sforzo vano,

anche se dovessi guardare per sempre

quella luce verde che indugia a occidente:

non potrei sperare di vincere grazie alle forme esteriori

la passione e la vita, le cui fonti sono dentro me.


Seppure con un reale senso di smarrimento, la creatività era ancora presente, come testimonia la varietà delle sue pubblicazioni successive: dalla rivista The Friend a Aids to Reflections e On the Constitution of the Church and State, comprese le Lezioni su Shakespeare e la sua Biographia Literaria, il Coleridge del dopo Dejection moltiplicò le opere, combinando, tra l'altro, analisi di questioni sociali, considerazioni filosofiche, esegesi religiosa, teoria estetica, critica letteraria, opinioni politiche. Questi testi vengono da molti interpretati come uno sforzo da parte dell'autore di spiegare ai suoi lettori (ma anche a se stesso) il filo del suo pensiero su un argomento che inevitabilmente porta ad un altro, poi ad un altro, ad infinitum. Certo, il tutto è spesso irregolare, nonostante il progetto sempre reiterato di Coleridge di produrre un Opus Maximum che riflettesse tutto il suo pensiero, estetico, morale, metafisico, religioso, politico, sociale. Ma questo fallimento dell'impresa totalizzante indica proprio un ancoraggio alla realtà legato al riconoscimento che essa è sempre aperta, sempre sorprendente, sempre, in parte, sfuggente.