lunedì 20 agosto 2018

Scienza sul Tamigi (2): Martin, Snow e Bazalgette

La prima parte dell'articolo si trova a questo link

John Martin, il visionario 

Il primo ad affrontare il problema del risanamento del Tamigi e, più in generale, dell’assetto urbanistico di Londra, fu un bizzarro pittore, inventore e architetto autodidatta del Nord. John Martin era originario del Northumberland, dove era nato nel 1789. Svolse il suo apprendistato a Newcastle, studiando e copiando incisioni di opere di artisti celebri, come Claude Lorrain e Salvator Rosa. Nel 1806 si trasferì a Londra, dove si sposò e si manteneva dando lezioni di disegno. Alcuni suoi dipinti furono accolti dalla Royal Academy of Arts a partire dal 1812. Negli anni successivi, si impose all'attenzione del pubblico con tele di ampie dimensioni che avevano come soggetto episodi biblici o mitici, oppure vedute immaginarie ispirate ai più tempestosi paesaggi di William Turner. Grazie alla vendita delle sue opere, ottenne una certa tranquillità economica. Nei primi anni ’30 dell’Ottocento divenne famoso per diverse illustrazioni, con soggetto episodi dell'Antico Testamento, che gli diedero una certa notorietà negli ambienti romantici francesi. Negli ultimi anni si occupò di progetti per il miglioramento urbanistico di Londra, con particolare attenzione ai sistemi portuali, idrici e fognari.

Molti lo hanno dipinto come un visionario, ma l'inquinamento del Tamigi e i problemi delle infrastrutture del trasporto di Londra erano questioni urgenti e reali, ed egli, come molti altri, pensò che proporre soluzioni adeguate poteva essere un modo per fare fortuna. La sua passione per l'ingegneria civile era un aspetto delle sue inclinazioni commerciali (fu anche un prolifico inventore, con numerosi brevetti). La sua origine modesta e la mancanza di istruzione possono averlo indotto a investire troppo (tempo, denaro, energia) in imprese che promettevano di garantirgli prestigio sociale, fama e denaro. 


Martin dedicò quasi due terzi del suo tempo e enormi somme di denaro allo sviluppo di progetti ingegneristici sempre più ambiziosi. Dalla fine degli anni ’20, fino agli ultimi anni della sua vita, pubblicò una serie di piani dettagliati e proposte per trasformare i sistemi fognari e di trasporto di Londra. Sebbene i suoi modelli fossero seriamente considerati al più alto livello, nessuno di loro fu realizzato. La sua reputazione di pittore di scenari fantasiosi non lo aiutò, così come il fatto che la Grande Puzza non era ancora capitata. In retrospettiva, i piani di Martin possono sembrare 'visionari' come i suoi dipinti, ma fu il primo a pensare di arginare il Tamigi, cosa che sarebbe avvenuta solo dopo la sua morte. 


Forse perché privo di protezioni importanti, le sue idee urbanistiche furono giudicate con sufficienza, come in questo sprezzante articolo della rivista satirica The Punch della prima metà del 1843:

MIGLIORAMENTI DELLA METROPOLI 
“Un gruppo di gentiluomini si incontra talvolta per discutere di questo argomento delizioso; e in una delle recenti riunioni, un certo signor Martin è stato patetico per aver dedicato una vita lunga e faticosa alle fogne e ai pozzi neri della sua città natale. Quattordici lunghi anni ha lavorato per ingrandire le vie sotterranee e i corsi d'acqua della Babilonia moderna; ed è evidente che non morirà felice fino a quando il sudiciume di Londra non fluttuerà - a due penny alla tonnellata - sulla brughiera di Bagshot. Il signor Martin era emozionato quasi fino alle lacrime quando parlò dei suoi sforzi per portare il letame della metropoli in periferia; e il suo ambizioso desiderio di costruire un terrapieno lungo le rive del Tamigi è una bella illustrazione della forza dell'immaginazione che, nella ricerca di un oggetto amato, dimentica l'esistenza del molo, la necessità di vendere carbone da un chiatta, la correttezza di permettere al commercio di esistere ancora, e gli interessi acquisiti del comune venditore di carbone. Il signor Martin avrebbe voluto sulle rive del Tamigi una serie di terrazze, i palazzi e i laboratori di fognature per la pratica della chimica. Questo è tutto molto bello in teoria, ma ai nostri occhi (non volendo dire nulla di Martin) sembra piuttosto difficile da mettere in pratica. "La rosa con qualsiasi altro nome avrebbe un profumo altrettanto dolce;" e per quanto gentile sia l'appellativo che potremmo dargli, temiamo che ci vorrà uno zelo straordinario per la scienza per trovare incantesimi nelle fogne e nei pozzi neri. Se il signor Martin può morire felice solo a condizione di portare a termine le sue idee sul Tamigi e sul suo contenuto, dobbiamo necessariamente prevedere ciò di cui dovremmo sinceramente pentirci: una miserabile conclusione della sua esistenza”. 
Martin propose anche una linea ferroviaria circolare, che si estendeva da est di Londra, attraverso quella che allora era periferia settentrionale attraverso i campi aperti verso ovest (dove c’è oggi il centro) e verso sud fino a Greenwich. Come spesso gli accadde, le sue idee furono rubate da altri, in questo caso la Commissione Metropolitana, che, nello stesso momento in cui Martin pubblicò le sue proposte, propose il piano di circondare il centro di Londra con una rete di stazioni ferroviarie capolinea e impedire ai treni di arrivare nel centro della città. Martin continuò a lavorare fino alla morte, che avvenne nel 1854 sull'Isola di Man.



John Snow e la nascita dell’epidemiologia

Il 31 agosto 1854, dopo che alcuni piccoli focolai di colera si erano verificati in altre zone della città, ne capitò uno molto grave nel quartiere di Soho, nei dintorni di Broad Street. In tre giorni morirono 127 persone e, nella settimana successiva, gran parte della popolazione aveva lasciato il quartiere. Il 10 settembre erano già morte circa 500 persone, e il tasso di mortalità nel quartiere aveva raggiunto il 12,8% (alla fine dell’epidemia morirono 616 persone). La creazione delle fogne nel 1849 fu ritenuta responsabile da alcuni di questo nuova comparsa del morbo. Secondo alcune voci locali, le nuove fogne avevano liberato miasmi mortali da fosse sepolcrali nascoste della Grande Peste del 1665. Tuttavia, nonostante queste idee fantasiose, fu a causa di questa epidemia di colera a Broad Street che avrebbe trionfato la forza della ragione.


La teoria secondo la quale il colera si propaga attraverso l’aria era già stata contestata dal medico John Snow (1813-1858), che aveva pubblicato nel 1849 il saggio On the Mode of Communication of Cholera, nel quale, pur non conoscendo ancora che la malattia era trasmessa da un vibrione, addebitava il diffondersi delle epidemie all'acqua contaminata.

Egli, originario di York, si era laureato a Londra nel 1844 e, nel 1850, era stato ammesso al Royal College of Physicians. L’epidemia di Soho gli diede l’opportunità di verificare sul campo le sue idee, con un lavoro di indagine e raccolta di dati che fa di lui il padre della moderna epidemiologia. Con l’aiuto del reverendo Henry Whitehead, vice-curato della chiesa di San Luca a Soho, che conosceva profondamente il quartiere e i suoi abitanti, Snow interrogò centinaia di persone e raccolse informazioni sui morti, edificio dopo edificio, riuscendo a stabilire che essi si concentravano nelle immediate vicinanze di una pompa dell’acqua in Broad Street (oggi Broadwick Street). I suoi studi sulla diffusione dell’epidemia furono abbastanza convincenti da indurre la municipalità di Soho a chiudere la pompa (più per disperazione che per reale convinzione), rimuovendone la leva. Sebbene questo fatto sia comunemente associato alla fine dell’epidemia, Snow, da vero uomo di scienza, era dubbioso dei suoi stessi successi. Così scrisse:
“Non ci sono dubbi che la mortalità è diminuita drasticamente, come ho già detto, a causa della fuga della popolazione, che è cominciata subito dopo l’inizio del contagio, e i casi erano già molto diminuiti già prima che fosse bloccato l’uso dell’acqua, al punto che è impossibile stabilire se il pozzo ancora conteneva il veleno del colera in uno stato attivo, o se, per qualche motivo, l’acqua ne era stata liberata”.

Nella seconda edizione del suo saggio sulle modalità di diffusione del colera, uscito l’anno successivo all'epidemia di Broad Street, Snow utilizzò per la prima volta una carta con un’apposita simbologia per illustrare il legame tra la qualità dell’acqua nelle pompe stradali e i casi di colera. La sua concezione era semplice ed efficace: una mappa urbana semplificata, con le strade principali e gli edifici. Le pompe d’acqua erano simboleggiate da punti e etichette in caratteri maiuscoli. I casi di colera erano illustrati nel loro esatto indirizzo, con il numero dei morti rappresentato da colonne di barrette disposte all'interno di ogni singolo edificio parallelamente alla strada, in un modo che ricorda i corpi dei morti delle pestilenze allineati per essere portati via dai monatti.


Snow, che fece uso dei metodi della statistica per la sua ricerca sul campo, disegnò anche delle celle per rappresentare le aree più vicine a ogni singola pompa. E proprio la cella intorno alla pompa di Broad Street era quella che comprendeva gli edifici con il maggior numero di morti a causa del colera. Ecco le sue parole da una lettera all’editore del Medical Times and Gazette:
“Procedendo verso il punto, scoprii che quasi tutte le morti erano avvenute a una breve distanza dalla pompa [di Broad Street]. C’erano solamente dieci morti nelle case situate decisamente più vicino a un’altra pompa. In cinque di questi casi le famiglie delle persone decedute mi informarono che essi erano sempre andati alla pompa di Broad Street perché preferivano la sua acqua a quella delle pompe più vicine. In tre altri casi, i morti erano bambini che andavano a scuola vicino alla pompa di Broad Street (…) Riguardo poi alle morti avvenute nell'area appartenente alla pompa, c’erano 61 casi nei quali fui informato che le persone decedute erano solite bere l’acqua pompata a Broad Street, sia costantemente, sia di tanto in tanto (…) Il risultato dell’indagine, dunque, è che non c’è stato alcun particolare focolaio o prevalenza di colera in questa parte di Londra, tranne che tra le persone che erano solite bere l’acqua dalla pompa sopra menzionata”.
Come capita troppo spesso, le tesi di Snow, passata l’emergenza, furono oggetto di aspre critiche. La prestigiosa rivista medica The Lancet, tuttora autorevole, mise in dubbio l’ipotesi della contaminazione oro-fecale, che era troppo sgradevole per essere presa in considerazione dal pubblico e dalla comunità scientifica vittoriani. La teoria del miasma continuò a essere preferita da chi aveva il potere di decidere e la pompa di Broad Street venne successivamente rimessa in funzione.


Uno dei principali alleati di Chadwick nel far approvare il Cholera Bill del 1846, Sir Benjamin Hall (l'uomo da cui prese nome il Big Ben) finì in diretto confronto con Snow. Egli era diventato presidente del Board of Health nel 1854 e si era messo subito al lavoro per cercare di regolamentare fabbriche maleodoranti come quelle del gas e della bollitura di ossa, che riteneva inquinassero la metropoli e che fossero i principali veicoli di malattie. John Snow fu invitato da vari produttori a testimoniare contro le proposte di Hall. Lo fece il 5 marzo 1855 davanti a una commissione parlamentare presieduta da Hall. Gli argomenti di Snow non riuscirono a convincere Hall a modificare le sue convinzioni. Non era una sorpresa. Le teorie di Snow erano molto minoritarie. Poco dopo il dibattito, iniziò la guerra di Crimea, che mostrò fino a che punto Snow era lontano dal superare lo scetticismo pubblico. L'eroina della Crimea era Florence Nightingale, che ottenne una tale fama, grazie al ruolo di infermiera e benefattrice nella guerra, che le sue teorie sull'infermieristica basate sulla teoria del miasma avrebbero dominato la medicina inglese per buona parte del secolo.

John Snow morì d’infarto nel 1858, ricordato più per i suoi studi sul dosaggio dell’etere e del cloroformio ad uso chirurgico che per quello sul colera di Soho. La sua rivalutazione postuma dovette attendere qualche decennio: il vibrione del colera, identificato per la prima volta nel 1854 dall'anatomista italiano Filippo Pacini, fu studiato dettagliatamente nel 1884 dal medico tedesco Robert Koch, che provò l’origine batteriologica della malattia. In seguito, si scoprì che il pozzo pubblico responsabile del focolaio era stato scavato a soli tre piedi (circa 1 m) di distanza da un vecchio pozzo nero che aveva incominciato a disperdere batteri fecali. Solo nel 1890 il ministro della Sanità britannico John Simon riconobbe l’importanza dello studio di Snow.

Jerome K. Jerome, ancora, ci offre una testimonianza di come nel 1886 le idee di Snow avessero fatto breccia, almeno tra la classe colta, perché i protagonisti di Tre uomini in barca sanno che molte malattie sono trasmesse dall’acqua inquinata:
“Abbiamo provato l'acqua del fiume una volta, più avanti ne viaggio, ma non è stato un successo. Stavamo scendendo a valle e avevamo attraccato per prendere il tè in un'ansa vicino a Windsor. La nostra tazza era vuota, e si trattava di proseguire senza il nostro tè o prendere l'acqua dal fiume. Harris era per provarla. Disse che sarebbe andato tutto bene se avessimo fatto bollire l'acqua. Disse che i vari germi di veleno presenti nell'acqua sarebbero stati uccisi dalla bollitura. Così, riempito il nostro bollitore con acqua di ansa del Tamigi, la bollimmo; ed eravamo molto attenti a controllare che bolliva.
(...) George disse che non voleva tè e svuotò la tazza nell'acqua. Anche Harris non si sentiva assetato e ne seguì l'esempio. Avevo bevuto metà del mio, ma avrei voluto non averlo fatto.
Chiesi a George se pensava che avrei preso la febbre tifoidea.
Disse: "Oh, no" pensava che avevo davvero buone possibilità di evitarlo. Ad ogni modo, se l'avessi presa o meno, l’avrei saputo entro una quindicina di giorni”.
La mappa del medico di York non consentì solo di risalire alle cause di un focolaio di colera, dando il via alle moderne ricerche epidemiologiche, ma costituì un evento fondamentale nella storia della sanità pubblica e spinse a ripensare lo sviluppo delle città, dimostrando la necessità di efficienti reti fognarie e di distribuzione dell’acqua potabile.

Collegando l’incidenza del morbo a potenziali cause geografiche, la mappa di Snow aveva anticipato quello che oggi chiamiamo diagramma, o tassellatura, di Voronoi, che prende il nome dal matematico russo Georgii Voronoi, il quale se ne occupò nella sua forma generale nel 1908. Nella sua forma più semplice, cioè nel caso del piano euclideo, esso è una partizione dello stesso, determinata dalle distanze rispetto a un insieme finito di punti.


Dato un insieme finito di punti S, il relativo diagramma di Voronoi suddivide il piano in regioni a forma di poligoni convessi in modo tale che a ogni punto pS, detto generatore o seme, sia associata una regione V(p) i cui punti siano più vicini a p che ad ogni altro punto in S. Detto in modo meno formale, ogni regione poligonale contiene i punti che sono più vicini a ciascun punto generatore. I lati di ogni poligono contengono invece i punti che sono equidistanti tra il punto generatore e quelli più vicini.


I diagrammi di Voronoi hanno numerose applicazioni pratiche nella vita quotidiana. Ad esempio, sono utilizzati nei sistemi informativi geografici per trovare i servizi più vicini ad un determinato indirizzo. Così, considerando i luoghi dove si trovano certi servizi (ospedale, scuola, fermata dell’autobus, farmacia, ecc.) come punti generatori, è possibile determinare le aree più vicine a ciascun punto. Essi possono anche consigliare la scelta del luogo dove aprire un esercizio commerciale in modo che sia sufficientemente lontano dai luoghi in cui è situata la concorrenza.

Snow costruì le sue regioni considerando i luoghi delle pompe dell’acqua come punti generatori, riuscendo in tal modo ad associare le morti per colera ad una precisa pompa, quella di Broad Street. Un’idea semplice può essere davvero rivoluzionaria, a patto che a qualcuno venga in mente.

Bazalgette e la fine dell’incubo 

Fortunatamente, attraverso una combinazione di pressione pubblica e sofferenza nasale insopportabile, il Parlamento nel 1858 decise di agire invece di rimandare il problema a un'altra stagione calda. Fu quasi per caso che Sir Benjamin Hall, divenuto il principale assertore della teoria dei miasmi, promosse un atto del Parlamento che si rivelò decisivo per migliorare la salute dei londinesi. Fece approvare il Metropolitan Board of Works, che apportò molti miglioramenti ambientali e sanitari a Londra, e soprattutto, nominò Joseph Bazalgette (1819 – 1891) come capo ingegnere. 

Lasciamo perdere i motivi della decisione, ancora legati a una teoria sbagliata, ma resta il fatto che il fiume di Londra stava finalmente ricevendo le cure necessarie. La riforma del Tamigi comprendeva non solo l'implementazione di un sistema fognario, ma anche la costruzione di argini lungo le sue sponde. Con queste riforme, la Grande Puzza cominciò lentamente a dissiparsi e i londinesi poterono fare sospiri di sollievo, non solo per l'aria pulita, ma anche per gli altri benefici che accompagnavano la realizzazione del provvedimento. 

Il Metropolitan Board of Works di Hall fu in grado di superare secoli di interessi acquisiti legati alla natura parrocchiale del governo di Londra, basato sulle piccole parrocchie ecclesiastiche. Questa forma di governo era stata la ragione principale dell'inerzia nell'affrontare i crescenti problemi di salute pubblica della metropoli. Le prerogative della parrocchia erano limitate a mantenere basse le tasse locali e non avrebbero certamente favorito la costosa soluzione ingegneristica al problema delle acque reflue di Londra che Bazalgette avrebbe proposto. 

Il disegno delle fognature di Joseph Bazalgette fu una delle più incredibili imprese ingegneristiche del diciannovesimo secolo. Bazalgette, figlio di un capitano della marina militare, discendeva da una famiglia di ugonotti fuggiti dalla Francia. Iniziò la sua carriera lavorativa progettando linee ferroviarie e facendo esperienza in Irlanda nel settore della bonifica di terreni. Dal 1842 aprì il proprio studio. Nel 1856 diventò ingegnere capo del Metropolitan Board of Works, dove rimase fino 1889. 

I lavori iniziarono nel 1859 e impiegarono vent'anni per essere completati. L'ultima epidemia di colera fu nel 1866 nell'East End di Londra, una zona non ancora collegata al sistema di Bazalgette. L’opera di Bazalgette salvò innumerevoli vite, guadagnandogli il titolo di cavaliere nel 1874. 

Gli scarichi vennero realizzati nella parte inferiore del Tamigi e, per risparmiare tempo e risorse, il progetto prevedeva di riversare i liquami nel mare sfruttando il reflusso della marea presso la foce del fiume. Il progetto contemplava la costruzione di innovative stazioni di pompaggio. Intanto si completò il sistema di argini, per un totale di 3,5 miglia. 

Queste strutture restrinsero il letto del fiume e ne aumentarono la velocità di flusso, determinando un effetto "rinfrescante" che contribuì alla pulizia del fiume. Inoltre, gli argini erano progettati per funzionare come strade, alleviando la congestione nella metropoli affollata. La struttura fu anche concepita per ospitare una metropolitana, oggi la District Line. L'impegno di Bazalgette per la qualità era incrollabile, distinguibile nella scelta dei materiali, come il cemento Portland invece del cemento romano standard. 


Bazalgette si assicurò che il flusso di acqua sporca proveniente dalle vecchie fogne e dai fiumi sotterranei fosse intercettato e deviato lungo nuove fognature a un livello più basso, costruite dietro agli argini sul lungofiume, e portato lontano. Calcolò quanto dovessero essere larghi i collettori della fogna e poi raddoppiò la misura. Senza questa profetica scelta, il sistema di drenaggio di Londra sarebbe stato sopraffatto negli anni '50 del secolo scorso. La grandezza del suo lavoro e l'influenza che ebbe su Londra a metà del diciannovesimo secolo sono incarnate da questo giudizio a lui riferito:
"Se gli spiriti maligni che noi moderni chiamiamo colera, tifo e vaiolo, un giorno dovessero partire alla ricerca dell'uomo che è stato, negli ultimi trenta o quaranta anni, il loro nemico mortale in tutta Londra, probabilmente si dirigerebbero a St. Mary's, a Wimbledon." 

La conoscenza di come fossero diffuse le malattie epidemiche a seguito delle indagini di John Snow a Soho, e la costruzione del sistema fognario da parte del Metropolitan Board of Works consentirono a Londra di evitare ulteriori epidemie di colera. Gli ultimi casi furono segnalati alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento. Negli anni successivi all'intervento di Bazalgette, il Tamigi perse definitivamente la reputazione di fiume più sporco e inquinato del mondo.

sabato 18 agosto 2018

Scienza sul Tamigi (1): la puzza e il colera

La Grande Puzza 


Alla metà dell’Ottocento, Londra era la città più grande del mondo, una vera metropoli. La popolazione era in continua crescita, ma le infrastrutture sanitarie e idriche erano quelle della città ai tempi dei Tudor. Gli impianti fognari erano stati costruiti solo in pochi quartieri, e gran parte della città ne era priva. La gente faceva i propri bisogni negli scantinati, in pozzi neri che venivano chiusi quando erano pieni, mentre ne venivano scavati di nuovi nelle immediate vicinanze. A questo si aggiungevano le deiezioni dei cavalli per strada e quelle dei molti animali che venivano allevati nelle case e nei cortili a scopo alimentare: mucche per il latte e per la carne, pollame per le uova, ecc. Vivere era un’avventura precaria, specialmente per chi abitava nelle zone più povere, come i quartieri di Soho e soprattutto di Westminster, allora non bonificato e ricettacolo di mendicanti, ladri, prostitute e ciarlatani, al punto da essere chiamato “L’acro del Diavolo”, tra i tre simboli del potere, l’Abbazia di Westminster (Chiesa), Buckingham Palace (Corona) le Houses of Parliament (Stato), e il Tamigi, diventato una fogna a cielo aperto. Charles Dickens, da giovane cronista parlamentare, lo visitò e così lo descrisse: 
"Non c'è nessuna parte della metropoli che presenti un aspetto più contraddittorio di Westminster, sia fisico sia morale. Le strade più signorili sono spesso solo una maschera per i quartieri squallidi che giacciono alle loro spalle, mentre i luoghi consacrati agli scopi più elevati sono circondati da scene di indescrivibile infamia e inquinamento; la più nera marea della turpitudine morale che scorre nella capitale rovescia le sue sudicie onde fino alle mura dell'Abbazia di Westminster." 
Più tardi, in Casa desolata (1852-53) avrebbe scritto:
“Implacabile clima di novembre. Tanto fango nelle vie che pare che le acque si siano da poco ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una lucertola gigantesca lungo Holborn Hill. Fumo che scende dai comignoli come una soffice acquerugiola nera con fiocchi di fuliggine grandi come fiocchi di neve vestita a lutto, si potrebbe immaginare, per la morte del sole”. 

Sebbene la situazione del Tamigi fosse evidente già prima dell'inizio dell’era industriale, fu l'estate del 1858 che la portò all'attenzione dei legislatori. Quell'estate in particolare, tutta Londra fu colpita dagli effetti di un'ondata di siccità e caldo opprimente e, di conseguenza, tutti i liquami del Tamigi cominciarono a fermentare sotto il sole cocente: secoli di rifiuti stavano letteralmente cuocendo nel calore soffocante. Il risultato fu un odore penetrante, diffuso e disgustoso più di quanto si possa immaginare: era “The Great Stink”, la Grande Puzza. Correvano voci di “uomini uccisi dal tanfo, e da tutti i tipi di malattie mortali, che si vedono sulle rive del fiume". Fortunatamente per gli abitanti di Londra, anche l'élite non era esente da un odore così ripugnante: 
"Il caldo intenso aveva spinto i nostri legislatori verso le parti dei loro edifici che si affacciano sul fiume. Pochi membri, in effetti, si misero a indagare sulla questione fino in fondo e si avventurarono nella biblioteca, ma furono istantaneamente costretti a ritirarsi, ognuno con un fazzoletto al naso. " 
I membri del Parlamento inizialmente cercavano di mantenere lo statu quo e continuare le loro sessioni senza accettare piani drastici di riforma. Sapevano che qualsiasi azione intrapresa per liberare il fetore avrebbe comportato un'ardua revisione dell'intera infrastruttura del Tamigi. Molti legislatori erano riluttanti a prendere un tale impegno e cercavano invece di alleviare i propri sensi malridotti. 

Il loro primo tentativo di estinguere il fetore fu di impregnare le tende del Parlamento con una miscela di cloro e calce. Il rimedio si rivelò inutile, allora si prese in considerazione la possibilità di spostare l'intero governo dalla zona di Westminster, nonostante l'edificio fosse di recente costruzione e appena acquisito. Quell'idea fu presto abbandonata e intanto passavano giorni senza che fosse presa una decisione efficace. Alla fine, il fetore cominciò semplicemente a sopraffare la tenace sensibilità di molti dei deputati, alcuni dei quali furono persino “visti fuggire dalla Camera, fazzoletto al naso, lamentandosi ad alta voce dello “Stige infernale” che era diventato il Tamigi”


Uno dei sostenitori più noti e autorevoli dell’intervento sul Tamigi era il chimico e fisico Michael Faraday, che auspicava fermamente un completo risanamento del fiume. Il 7 luglio 1855 aveva inviato una lettera all'editore del quotidiano The Times. La lettera, intitolata "Osservazioni sulla sporcizia del Tamigi", sarebbe presto diventata un riferimento del crescente pubblico interessato a un recupero ambientale del fiume: 
Signore,
Ho attraversato oggi in battello a vapore lo spazio tra Londra e Hangerford Bridges tra l'una e l'una e mezza; c’era acqua bassa, e penso che la marea doveva essere vicina al cambio. L'aspetto e l'odore dell'acqua si offrirono subito alla mia attenzione. L'intero fiume era un liquido opaco e marrone chiaro. Per testare il grado di opacità, ho strappato delle carte bianche a pezzi, le ho inumidite in modo da farle affondare facilmente sotto la superficie, e poi ho fatto cadere alcuni di questi pezzi nell'acqua ad ogni pontile a cui si trovava la barca; prima che fossero affondati di un centimetro sotto la superficie, erano indistinguibili, sebbene il sole brillava in quel momento; e quando i pezzi cadevano di lato, la parte inferiore era nascosta alla vista prima che la parte superiore fosse sott'acqua. Questo è accaduto a St. Paul's Wharf, Blackfriars Bridge, Temple Wharf, Southwark Bridge e Hungerford; e non ho alcun dubbio che si sarebbe verificato ulteriormente su e giù per il fiume. Vicino ai ponti il fetidume si avvolgeva in nubi talmente fitte che erano visibili in superficie, anche in acque di questo genere. 
L'odore era molto cattivo e comune a tutta l'acqua; era lo stesso di quello che viene dai tombini delle strade; l'intero fiume era in quel momento una vera fogna. Essendo appena tornato dall'aria del paese, forse ne sono stato più influenzato rispetto ad altri; ma non credo che sarei potuto andare a Lambeth o a Chelsea, e fui felice di entrare nelle strade, in cui c’era un'atmosfera che, tranne che nei pressi dei fori di scarico, trovavo molto più salubre di quella sul fiume. 
Ho ritenuto doveroso registrare questi fatti, che possano essere portati all'attenzione di coloro che esercitano il potere o hanno responsabilità in relazione alle condizioni del nostro fiume; non c'è niente di retorico nelle parole che ho usato, o un qualsiasi approccio all'esagerazione; sono la semplice verità. Se vi è sufficiente autorità per rimuovere uno stagno putrescente dal vicinato di poche semplici abitazioni, sicuramente non si dovrebbe consentire che il fiume che scorre per molte miglia attraverso Londra diventi una fogna in fermentazione. La condizione in cui ho visto il Tamigi può forse essere considerata eccezionale, ma dovrebbe essere un caso impossibile, invece temo che stia rapidamente diventando la condizione generale. Se trascuriamo questo argomento, non possiamo aspettarci di farlo nell'impunità; né dovremmo essere sorpresi se, dopo molti anni, una stagione calda ci darà una triste prova della follia della nostra negligenza.
Con rispetto,
M. Faraday. 

Purtroppo, l’appello fu ignorato, almeno finché non furono gli stessi legislatori a provare nelle loro narici quanto Faraday aveva denunciato e che tutti i cittadini di Londra sperimentavano, come in questo episodio di Tre uomini in barca (1886) di Jerome K. Jerome: 
“Ci fermammo due giorni a Streatley e ci lavammo i vestiti. Avevamo provato a lavarli da soli, nel fiume, sotto la supervisione di George, ed era stato un fallimento. Anzi, era stato più che un fallimento, perché dopo esserci lavati i vestiti eravamo conciati peggio di prima. Prima che li lavassimo, erano molto, molto sporchi, è vero; ma erano almeno indossabili. Dopo averli lavati, beh, il fiume tra Reading e Henley era molto più pulito, dopo che ci eravamo lavati i vestiti, di quanto lo fosse prima. Raccogliemmo, durante quel lavaggio tutta la sporcizia contenuta nel fiume tra Reading e Henley, e l'avevamo tutta sui nostri vestiti”. 

Il colera 

Il sovraffollamento eccessivo, le scarse condizioni igieniche e l'assenza totale di profilassi delle malattie creavano il terreno fertile perfetto per ogni tipo di pandemia. Londra era infatti periodicamente colpita da epidemie più o meno gravi di colera, il morbo del XIX secolo. Durante i decenni tra il 1830 e il 1860, questa malattia epidemica gettò un'ampia rete di morte e distruzione su Londra. Nell'arco di trent'anni, devastò le comunità, creò panico diffuso e fece quasi quarantamila morti. 


Il colera si diffuse facilmente a Londra a causa del modo in cui si propaga. Si tratta infatti di una malattia che si diffonde tramite l'acqua inquinata da reflui fecali, in cui prolifera il suo vibrione. Questo batterio viene trasmesso attraverso l'assunzione di cibo e acqua contaminati. Una volta che si contrae la malattia, si possono manifestare sintomi che vanno dall'estrema disidratazione dovuta a una massiccia perdita di fluidi corporei, alla diarrea, al vomito. Sebbene il colera fosse originario dell’Asia e noto da secoli, prosperò a Londra a causa della mancanza di un efficiente sistema fognario. I rifiuti della città erano versati direttamente nel Tamigi, che era diventato una fogna gigantesca. Se l'abuso del Tamigi come pattumiera fosse stato l'unico guaio che i londinesi dovevano affrontare all'epoca, il problema non sarebbe stato così grave. Ma, in quei decenni, l'acqua potabile dell'intera città era prelevata dal fiume. Le persone stavano letteralmente bevendo e facendo il bagno nei rifiuti l’uno dell'altro. 

Quando il colera emerse per la prima volta, nessuno pensava di identificare l'acqua potabile infetta come la fonte del contagio. In effetti, l'idea che il colera fosse trasmesso tramite l’acqua inquinata non sarebbe stata introdotta fino a quasi due decenni dopo la sua iniziale esplosione. La teoria più diffusa era che il colera si diffondesse attraverso l'”aria cattiva”, un miasma simile a una nuvola. Altri credevano fermamente che, poiché la malattia si diffondeva più rapidamente nei quartieri più poveri, i ricchi li stavano avvelenando di proposito. Ancora più popolare era la credenza che il colera fosse una vendetta di Dio, che stava esigendo una punizione per la comunità a causa dei suoi peccati. Tali convinzioni oggi potrebbero sembrare inverosimili, ma all'epoca non erano inusuali. La conoscenza di microbi e batteri stava appena iniziando a emergere e solo un'élite scientifica era consapevole della loro esistenza. 


Il primo focolaio di colera in Gran Bretagna fu a Sunderland, nell'Inghilterra nord-orientale, durante l'autunno del 1831. Da lì la malattia si diresse verso nord, verso la Scozia, e verso sud, verso Londra. Prima che avesse finito il suo corso, costò 52.000 vite a livello nazionale. Dal suo punto di origine in Bengala ci erano voluti cinque anni per giungere in Europa e attraversarla, così che, quando raggiunse Sunderland, i medici britannici erano ben consapevoli della sua natura, se non della sua causa. La malattia era diversa da qualsiasi altra cosa allora conosciuta. Un medico commentò: 
"Le nostre altre piaghe erano familiari, e alcuni di noi, per così dire, avevano l'abitudine di guardarle con una fatale indifferenza, in quanto ci inducevano a credere che potevano essere efficacemente sottomesse. Era qualcosa di bizzarro, sconosciuto, mostruoso, i suoi tremendi segni, così a lungo previsti e temuti, così poco esplicabili, la sua marcia insidiosa su interi continenti, la sua apparente sfida a tutte le precauzioni convenzionali contro la diffusione della malattia epidemica, la circondarono di un mistero e un terrore che si impossessarono completamente della mente del pubblico, e sembravano ricordare il ricordo delle grandi epidemie del Medioevo ". 
Le autorità cittadine erano convinte che il colera si diffondesse attraverso i miasmi, non a torto associando il morbo alla scarsa igiene, ma sbagliando completamente sul mezzo di contaminazione. Poiché le esalazioni dei pozzi neri erano un problema sempre più grave, si ordinò di svuotarli tutti nel Tamigi, che era la principale fonte di approvvigionamento idrico della città attraverso una fitta rete di pozzi e pompe stradali che pescavano nella sua falda. La prevalente teoria del miasma portò il Parlamento ad approvare nel 1846 la Legge sulla Rimozione dei Morbi e la Prevenzione delle Malattie, che la stampa ribattezzò The Cholera Bill. Fu utilizzato durante la nuova epidemia di colera del 1848-9 per incoraggiare i proprietari a pulire le loro abitazioni e collegarle alle fogne. 

L'uomo che ispirò questa legge fu Edwin Chadwick, uno dei primi promotori di campagne per la salute pubblica, purtroppo totalmente convinto della teoria del miasma. Credeva che, se si potevano eliminare gli odori che avvolgevano le città, si poteva contribuire a sradicare la malattia. 

Chadwick ordinò che tutti i pozzi neri e le fognature di Londra fossero ripuliti e il liquame fosse scaricato nel Tamigi. L’idea era che, liberandosi dell'aria fetida, il problema del colera sarebbe calato fino a scomparire. Per mesi, un fitto traffico di carri portò il contenuto dei pozzi verso il fiume, inquinandolo e contaminandolo ancor di più: era stato creato un efficientissimo sistema per lo scarico delle acque reflue di Londra nel Tamigi, la sua principale fonte di acqua potabile. Naturalmente, il numero dei morti salì in modo drammatico. A Venezia commenterebbero “Peso el tacon del sbrego”. Alla fine dell’epidemia morirono quattordicimila persone in seguito alla decisione di Chadwick. L'impatto del provvedimento fu esacerbato dalla crescente popolarità del moderno gabinetto con sciacquone tra le classi medie di Londra, che aumentò la quantità di acque reflue che raggiungevano il fiume. Il colera continuava a imperversare: vi fu una nuova epidemia che causò la morte di undicimila persone nel 1853 e si crearono le condizioni per la Grande Puzza del 1858. 


Questo è lo scotto che devono pagare le metropoli in rapido sviluppo demografico prive di adeguate strutture fognarie e per l’approvvigionamento di acqua potabile. Il caso di Londra fu solo il primo, ma il secolo appena trascorso ci ha offerto analoghi esempi, e ancor oggi assistiamo, nei “paesi in via di sviluppo” a questi problemi di degrado morale e ambientale. Per fortuna di Londra e del suo fiume, nell'Inghilterra vittoriana c’erano uomini intelligenti e risorse pubbliche che riuscirono a migliorare la situazione e a sconfiggere inquinamento ed epidemie, come si vedrà nella seconda parte. Se invece oggi, con il progresso delle conoscenze e delle tecnologie, esistono ancora slum, favelas e bidonville, se esistono epidemie vecchie e nuove, con diverse modalità di contagio, che mietono milioni di vittime, non possiamo addebitare le responsabilità all'ignoranza, ma a precise ed egoistiche volontà economiche e politiche.

domenica 12 agosto 2018

John Tyndall, il Belfast Address e la laicità della scienza (2)

La prima parte di questo articolo si trova a questo link


La ricezione e le polemiche 

Nonostante il rifiuto di Tyndall del materialismo convenzionale, i pulpiti di Belfast lo sferzarono. A Belfast, protestanti e cattolici si unirono per definirlo un pericoloso materialista. Gli studiosi hanno valutato la controversia che circondò il Belfast Address come un evento importante nella "guerra" tra scienza e religione. È perciò necessario analizzare le reazioni e le principali interpretazioni della sua conferenza, che portò al mutamento della percezione pubblica su Tyndall, che a sua volta trasformò il modo in cui si considerava la scienza moderna. 

I naturalisti scientifici si affidavano a tre strategie strettamente correlate per la trasformazione della scienza e della cultura britanniche. In primo luogo, sostenevano che solo la scienza offriva una via verso la vera conoscenza della natura. Né la Chiesa né la Bibbia potevano essere considerate fonti autorevoli di verità scientifica. Durante la controversia sull'Origine delle specie di Darwin (1859) sostenevano che la teoria doveva essere giudicata unicamente per i suoi meriti scientifici, non per le sue implicazioni teologiche. Miravano a consentire agli scienziati di praticare le loro indagini sulla natura guidati da principi stabiliti indipendentemente dalle autorità religiose. Secondo, i naturalisti scientifici sostenevano che solo loro avevano l'esperienza per parlare a nome della scienza. La competenza era acquisita attraverso la formazione e poteva essere ottenuta solo in luoghi specifici, in particolare nel laboratorio, ed era realizzabile solo attraverso una disciplina di auto-rinuncia, un abbandono alla natura. Infine, i naturalisti scientifici sostenevano che la conoscenza scientifica forniva una buona conoscenza della condizione umana, non solo dello stato di natura. Spencer, ad esempio, applicò la teoria evolutiva per comprendere sia la natura che l'intero spettro del pensiero umano. I naturalisti scientifici sostenevano spesso che solo loro potevano comprendere le ramificazioni sociali, etiche e politiche di nuove teorie scientifiche come l'evoluzione. In breve, i naturalisti scientifici insistevano sul primato della scienza e della competenza scientifica. 

I tentativi dei naturalisti scientifici di ridefinire le basi intellettuali e istituzionali della scienza britannica e di usare la scienza come leva per trasformare la cultura e la società britanniche furono ostacolati da altri membri dell'élite intellettuale. Questi ultimi rifiutavano l’idea che una visione scientifica del mondo come quella di Tyndall e dei suoi colleghi potesse fornire un significato se separata da un fondamento religioso. Le teorie scientifiche materialistiche avevano perso la verità spirituale che si trova dietro tutti i fenomeni naturali. I rappresentanti del vecchio establishment aristocratico-anglicano includevano esponenti della Chiesa anglicana, come il vescovo Samuel Wilberforce, ai quali si unirono i principali rappresentanti cattolici, tra cui il filosofo, teologo e poi cardinale John Henry Newman, e altri importanti esponenti delle varie correnti religiose del Regno Unito. Eminenti scienziati anglicani, come l'anatomista Richard Owen, e potenti laici, come il filosofo e politico conservatore Arthur James Balfour, furono chiari nei loro attacchi al naturalismo scientifico. Altri membri dell'élite scientifica sfidarono le idee dei naturalisti scientifici, tra di essi i fisici con sede in Scozia, tra cui William Thomson (lord Kelvin) e James Clerk Maxwell, che volevano mantenere un quadro religioso per la scienza. Molti dei divulgatori della scienza, incluso John George Wood, erano desiderosi di perpetuare la tradizione della teologia naturale. Frances Power Cobbe, come altre femministe e antivivisezioniste, si scontrò con i naturalisti scientifici sulle loro opinioni sulle donne e sulla sperimentazione animale. Gli intellettuali socialisti liquidarono Darwin e Huxley come filo-capitalisti, a causa della loro enfasi sulla competizione nel processo evolutivo. 

Con così tanti nemici, i naturalisti scientifici dovevano stare attenti a ciò che dicevano, che fosse sulla stampa periodica o davanti al pubblico delle conferenze. I loro oppositori potevano cogliere qualsiasi cosa dicessero per collegare il naturalismo scientifico con il materialismo, che era associato con la corruzione morale e la dissolutezza. La strategia principale per danneggiare la rispettabilità del naturalismo scientifico era quella di collegarlo con la presunta immoralità dell'arte e della letteratura d'avanguardia. Nel loro giudizio che L’origine dell’uomo (1871) di Darwin aveva trasgredito gli standard di rispettabilità vittoriani, i critici lo collegarono all'eccentrico Algernon Swinburne, noto poeta del movimento estetico e del decadentismo. Il libro di Darwin divenne sempre più implicato con il radicalismo politico, il sensualismo estetico e la depravazione sessuale palese di Swinburne. Alcuni detrattori si lamentarono del fatto che l'apparente ossessione di Darwin per il sesso rendesse il suo nuovo libro adatto alla lettura solo per i gentiluomini più mondani. Questi tentativi di connettere Darwin con l'immoralità divennero ostacoli significativi nello stabilire la visione del mondo dei naturalisti come un'alternativa moralmente accettabile a quella cristiana. Darwin modificò la sua opera per evitare ogni accenno di indecenza, e anche Tyndall e Clifford furono costretti a modificare parti dei loro scritti per ragioni simili. Se volevano essere considerati membri dell'élite intellettuale, i naturalisti scientifici non avevano altra scelta che costruire il loro modello di autorità scientifica professionale in linea con gli standard di rispettabilità degli avversari. Tyndall non era stato abbastanza attento nel suo Belfast Address per proteggersi dall'accusa di materialismo. La sua rivendicazione per l'autonomia di una scienza basata sul materialismo metodologico favorì gli attacchi alla sua reputazione. 

Prima della conferenza di Belfast, Tyndall veniva solitamente visto in una luce positiva nella stampa periodica, sebbene con alcune riserve. Non era etichettato come materialista. Ma dopo Belfast fu visto come un materialista aggressivo, disonesto, subdolo e chiaramente non britannico. Anche nel 1870, l'accusa di materialismo era seria. Raggruppava Tyndall insieme a atei della classe inferiore, gettando aspre aspirazioni sul suo status di membro dell'élite intellettuale. I cristiani conservatori, indignati dal Belfast Address, cercarono di approfittare di tutte le connotazioni sgradevoli associate all'etichetta di materialista. Anche se Tyndall aveva dichiarato di non accettare il materialismo come una completa filosofia di vita, la frase riportata del Belfast Address dove affermava che "la promessa e la potenza di tutta la vita terrestre poteva essere trovata nella materia" era citata o riferita da molti dei suoi critici. Questa frase era tra le più controverse del discorso, specialmente se presa fuori dal contesto, e molti periodici la citavano come prova che Tyndall era un materialista, nonostante il suo rifiuto del materialismo volgare. L’Edinburgh Magazine faceva riferimento al "vangelo del materialismo" di Tyndall; il Christian Observer sosteneva che "il professor Tyndall è un esponente accettato del materialismo"; e l’Irish Monthly dichiarò che "tutto ciò che dice tende a preparare la mente per quella professione di fede materialistica in cui culmina il suo discorso". I nemici di Tyndall credevano di avere ora la "pistola fumante" che dimostrava che fosse un materialista. 


Una volta identificato come materialista, Tyndall poteva essere criticato per una serie di peccati mortali. Il suo materialismo fu presentato come originario di tradizioni intellettuali eterodosse e straniere. L’Irish Monthly la ricondusse alla Germania, la "terra dei filosofi folli", mentre la Dublin Review la collegava al buddismo. Sia che il materialismo di Tyndall fosse presentato come tedesco o asiatico, i critici furono d'accordo che non era né ortodosso né britannico. Dal momento che il materialismo di Tyndall non derivava da un buon lignaggio intellettuale britannico, era moralmente corrotto. Gli oppositori di Tyndall affermarono che la sua mancanza di autorità morale poteva essere vista nella scadente qualità degli studi, nell'uso disonesto del linguaggio e nell'abuso del ruolo di presidente della British Association. Di conseguenza, il suo discorso ripeteva le inesattezze storiche delle fonti e mancava di originalità. Tyndall fu anche criticato per aver cercato di nascondere le pericolose conseguenze materialistiche ed eterodosse del suo pensiero. La Contemporary Review contestò l'uso da parte di Tyndall del termine "anima", che, per il pubblico della rivista, portava con sé vecchie e amate associazioni religiose. Poiché Tyndall non credeva in un'anima, usava il termine "in modo disonesto e trasandato". Infine, Tyndall fu accusato di rompere con la tradizione usando il prestigioso discorso per diffondere il materialismo piuttosto che rivedere gli sviluppi scientifici dell'anno precedente. Abusare del ruolo del presidente della società scientifica più pubblicamente visibile della Terra era un peccato imperdonabile. Nell’Edinburgh Magazine, Tyndall fu criticato per aver usato un "luogo di privilegio" per esprimere le sue opinioni religiose private, che non avevano nulla a che fare con gli scopi dell'Associazione. C'era un "grado di impertinenza nell'aver approfittato di un'occasione del genere". 

Dopo il Belfast Address, era discutibile se Tyndall fosse o meno idoneo a far parte dell'élite intellettuale, per non parlare dell'élite scientifica. Gli mancava la rispettabilità. Facendo affidamento su una retorica accesa nel Belfast Address per difendere i metodi e gli obiettivi del naturalismo scientifico, Tyndall aveva fornito ai suoi nemici un'occasione d'oro per minare la sua autorità culturale. Ma i suoi critici non si fermarono qui. Estesero il loro attacco a Tyndall per colpire il naturalismo scientifico nel suo complesso. 

Tyndall era considerato il tipico rappresentante degli scienziati moderni. Secondo il Christian Observer, "il professor Tyndall può essere considerato un rappresentante della scienza moderna in grado eminente". I critici del naturalismo scientifico quindi lanciarono uno sforzo concertato per scuotere la fede del pubblico britannico nei confronti dell'autorità dei principali scienziati che si schierarono con Tyndall. 

Una strategia per minare l'autorità scientifica di Tyndall e dei suoi alleati era quella di metterli contro altri scienziati. Approfittando di una conferenza nel 1877 di Rudolf Virchow, professore di patologia a Berlino, che sosteneva che l'evoluzione non era ancora stata sperimentalmente dimostrata, la Quarterly Review sfidò la posizione di Tyndall secondo cui gli scienziati accettavano l'evoluzione umana come un fatto. "Ciò getta", dichiarò il commentatore, "come abbiamo detto, un grave discredito sul giudizio del professor Tyndall come uomo di scienza, che non dovrebbe trattare come una verità consolidata una speculazione che attualmente non è assolutamente scontata in base alle nostre recenti conoscenze". La Contemporary Review, per spezzare il legame di Tyndall tra teoria atomica e materialismo, sosteneva che i fisici moderni non credevano più che "polverizzando il mondo nelle sue particelle minime e contemplando le sue componenti dove sono vicine al nulla, ci imbatteremo in qualcosa di estremo oltre il quale non c’è nulla”. Porre Tyndall e i suoi amici contro stimati scienziati sia in Gran Bretagna che in Europa era una strategia per mettere in dubbio la loro autorità scientifica, la loro pretesa di parlare a nome della scienza.

L’universo invisibile di Tait e Stewart 


Nel 1875, preannunciato da un oscuro messaggio in codice su Nature, fu pubblicato in forma anonima il libro The Unseen Universe (L’universo invisibile). Il libro era senza dubbio l’opera di uno o più fisici e, siccome essi allora non erano poi molto numerosi, non fu difficile determinare la paternità dall'evidenza interna. Esso fu attribuito al fisico e matematico scozzese Peter Guthrie Tait, professore a Edimburgo e amico d’infanzia di Maxwell, e all'altro fisico scozzese Balfour Stewart, professore a Manchester. I loro nomi comparvero sulla copertina di The Unseen Universe solo con la quarta edizione, nel 1876. 

Nel testo i due cercavano di conciliare le ultime scoperte della fisica del tempo, di cui erano tra i protagonisti, con la religione, in un modo che oggi appare ingenuo e che allora affascinò alcune tra le menti più brillanti della scienza britannica. Il libro era una risposta alle posizioni razionaliste di Tyndall, realizzata, com'era nel loro stile, cercando di evitare i toni troppo polemici. I due autori affermavano che i miracoli e la fede nell'Aldilà sono compatibili con la scienza moderna, invocando un “Principio di Continuità” per il quale le idee umane, condizionate dal reale, possono svilupparsi verso l’incondizionato, l’assoluto. Così scrivevano nella prefazione:

“L’oggetto della presente opera è tentare di mostrare come la presunta incompatibilità di Scienza e Religione non esiste. Ciò, infatti, dovrebbe essere evidente a tutti coloro che pensano che il Creatore dell’Universo è egli stesso l’Autore della Rivelazione. Ma è stranamente impressionante notare come spesso pochissimo è sufficiente ad allarmare anche la fede più salda”. 

Preceduto da un primo capitolo ambizioso e sproporzionato, contenente una panoramica sulle idee riguardanti l’immortalità dell’anima presso i popoli antichi, il nucleo dell’opera può essere considerato l’affermazione che la materia è fatta da molecole, paragonate ad anelli a vortice immersi in fluido imperfetto, cioè l’etere. A sua volta, l’etere è fatto da particelle molto più piccole, che sono anelli a vortice di un secondo etere. Queste particelle più piccole, con l’etere nel quale fluttuano, costituiscono l’universo invisibile. 

Queste idee erano in perfetto accordo con le teorie prevalenti allora. Nel 1867 Tait aveva dimostrato la mutua relazione degli anelli di fumo, scoperta che a William Thomson, Lord Kelvin, ispirò la teoria degli atomi vortice, formati da un'onda intrecciata in un nodo chiuso. Annodandosi in maniere più o meno complicate, le onde darebbero origine ai diversi tipi di atomi, con differenti proprietà. Le molecole deriverebbero dall'unione dei nodi. La teoria fu presto falsificata, ma contribuì alla nascita della teoria dei nodi, la branca della topologia che si occupa delle curve chiuse intrecciate nello spazio, con applicazioni in fisica subatomica, chimica molecolare e biologia. Quando scrisse The Unseen Universe, Tait si stava occupando della classificazione dei nodi. 

A queste considerazioni fisiche, Tait e Stewart vollero aggiungere considerazioni più ardite. Ogni pensiero che viene pensato è accompagnato da certi movimenti delle molecole più grandi nel cervello, e questi movimenti sono propagati attraverso l’universo visibile, ma una parte di ciascun movimento è assorbito dalle particelle fini nell'universo invisibile. Nell'universo visibile, l’etere non è sottile e perfetto e ciò spiega il principio di entropia, secondo il quale l’energia si degrada costantemente, e la morte è il destino di ogni vita materiale. Pertanto, l’immortalità è impossibile nell'universo conosciuto, ma può tuttavia esistere in un universo parallelo, accessibile teoricamente attraverso il mezzo etereo comune a entrambi: 
(…) la legge di gravitazione ci assicura che ogni movimento che avviene nel cuore più profondo della Terra si avverte in tutto l’universo, e possiamo immaginare che la stessa cosa possa valere anche per quei movimenti molecolari che accompagnano il pensiero. Perché ogni pensiero che pensiamo è accompagnato da un movimento delle particelle del cervello, e, in qualche modo – con tutta probabilità per il tramite del mezzo – possiamo immaginare che questi movimenti si propaghino in tutto l’universo”. 
L’elettromagnetismo di Maxwell forniva la chiave per spiegare come poteva avvenire il trasferimento molecolare tra l’universo visibile e quello invisibile. Per i due autori, l’elettromagnetismo era sufficientemente immateriale per comprendere sia il corpo sia la mente senza dover ricorrere eccessivamente ai concetti teologici di anima o spirito. La sopravvivenza dell’identità personale sarebbe stata assicurata dalla natura molecolare delle tracce di memoria e dal principio di conservazione dell’energia. Anche le temibili conseguenze dell’entropia sarebbero state azzerate.

Secondo Balfour e Tait, il pensiero può influenzare la materia di un altro universo e spiegare uno stato futuro. Esiste una struttura costituita dalle particelle più piccole nell'universo invisibile che possiamo assimilare all'anima, che è dotata di un suo organo di memoria “molecolare”. Durante la vita è unita al corpo. Alla morte di quest’ultimo, l’anima, con il suo organo di memoria, è semplicemente lasciata libera dall'associazione con le molecole più grandi della materia visibile. In questo modo, facendosi prendere la mano, i due autori ritenevano di aver dimostrato la possibilità fisica dell’immortalità dell’anima. 

L’ultima parte del libro era ancor più curiosa: gli autori trasformavano la possibilità dell’immortalità dell’anima in un assunto, che utilizzarono per spiegare le principali dottrine del cristianesimo. Così, in modo assai bizzarro, è possibile trovare ad esempio una discussione sul ciclo di Carnot accanto a lunghe citazioni tratte dagli apostoli e dai profeti. 

Nel suo complesso il testo falliva, come tutti i precedenti e i successivi, nel tentativo di dare una risposta ai misteri della vita, dell’universo e del tutto. Non riusciva neanche a rassicurare il teologo diffidente che la scienza non gli è nemica. Inoltre, era ripetitivo, talvolta superficiale quando i due autori si avventuravano in aree scientifiche al di fuori del loro campo di competenza, per tacere della parte più prettamente teologica. 



Ciò nonostante, il libro riuscì per qualche tempo a rassicurare il pubblico colto sempre più impaurito dalle stupefacenti scoperte e realizzazioni della fisica, compresi quegli scienziati credenti disposti a sorvolare le molte imperfezioni, le fallacie logiche, le lacune. Tra questi lo stesso Maxwell, che era credente e, ciò nonostante, più di una volta aveva sostenuto la tesi che scienza e religione costituiscono due dimensioni separate. In una bozza della lettera di risposta che intendeva inviare al Victoria Institute, un’associazione che intendeva riconciliare la scienza e il cristianesimo, aveva scritto:
“Penso che si debbano considerare i risultati ai quali perviene ciascuna persona nei suoi tentativi di armonizzare la sua scienza con il suo cristianesimo come aventi significato solo per la persona stessa (…) e non debbano ricevere nessun sigillo sociale”. 
Vi fu anche chi non lesinò feroci critiche all'universo invisibile di Tait e Stewart. Il matematico e filosofo William Kingdon Clifford, in una lunga ed elaborata recensione assai satirica, comparsa sul Fortnightly Review del giugno 1875, si chiedeva come mai, se erano possibili due eteri, perché non quattro o cinque o sei? E allora perché solo due universi con il loro apparato di “mitologia cristiana – corpi spirituali, pieni di energia, angeli, arcangeli, incarnazione, demoni molecolari, miracoli e giudizi finali”? Per Clifford, The Unseen Universe “ha tutto lo stampo dello scritto cristiano apologetico”. Gli autori, per quanto fisici rispettati, hanno raggiunto conclusioni che “sono talvolta sollevate da ali teologiche al di là dei confini dell’assennata deduzione”, ma “saranno ben accolte e ampiamente lette da coloro per sostenere le cui amatissime convinzioni [il libro] è concepito”. Il diffuso desiderio di immortalità non è prova di verità, infatti “la vita senza fine è una cosa inconcepibile” e la brama di non aver fine significa “semplicemente la negazione della morte”. L’alternativa teologica alla morte, tuttavia, “non è ordinata, non naturale, non salutare, ma mostruosa o soprannaturale; il cui aspetto nebuloso si rispecchia a malapena nei sogni di un sonno agitato o le follie di un malato di mente”. Tipo tosto, il Clifford.

L’esame di McCosh


Molto meno ingenua fu la critica mossa a Tyndall e alla sua corrente di pensiero da James McCosh, filosofo scozzese divenuto insegnante di Filosofia Morale e poi presidente dell’università americana di Princeton. La sua replica, contenuta in Ideas in Nature Overlooked by Dr. Tyndall: Being an Examination of Dr. Tyndall's Belfast Address (1875), era sferzante e, per certi versi, documentata. La prima reprimenda allo scienziato irlandese riguardava la sua scarsa preparazione filosofica:
“Gli errori, che è sicuro che siano commessi da qualcuno che non è padrone della materia e confida nelle autorità secondarie, risaltano, e subito. Così [Tyndall] parla di Empedocle "che notò questa lacuna nella dottrina di Democrito", mentre ogni tirocinante in filosofia sa che Empedocle visse prima di Democrito. Parlando di Democrito e Lucrezio, Pitagora esegue "i suoi esperimenti sugli intervalli armonici", come se Pitagora non fosse morto prima della nascita di Democrito. [Tyndall] rappresenta Aristotele come se predicasse l’induzione senza praticarla, mentre egli praticava l'induzione nella sua storia naturale, ma certamente non la presentò come fece in seguito Bacone. Egli attribuisce, si potrebbe dimostrare, una dottrina a Protagora, il sofista, che nessuno studioso gli attribuisce. Uno scrittore (Thomas Davidson), nel numero di ottobre del Journal of Speculative Philosophy, dimostra che egli non ha dato un resoconto completamente corretto nemmeno della filosofia del suo prediletto Democrito, che sostiene fece dipendere tutte le varietà di cose dalle varietà di atomi "in numero, dimensioni e aggregazione", mentre Aristotele, l'unica autorità originale su questo argomento, dice che li fece dipendere dalla "figura, aggregazione, e posizione". Nello stesso articolo si dimostra che il Dr. Tyndall commette errori in tutte le poche allusioni che fa ad Aristotele”.  
Liquidate, non senza torto, le competenze filosofiche di Tyndall con il motto nec sutor ultra crepidam, McCosh si avventurava a sua volta in un terreno che non conosceva, trattando la teoria atomica. Citando Dalton e la legge delle proporzioni costanti, dubitava che lo stesso elemento possa manifestarsi in forme diverse e con pesi e densità diverse. Gli atomi erano mere creazioni intellettuali, alla stessa stregua del punto matematico, che non è altro che un indicatore di posizione. In fondo, affermava, nessuno ha mai visto un atomo isolato.
"Una disposizione", per usare l'espressione del dottor Chalmers, "di cose che non abbiamo difficoltà a immaginare siano state organizzate diversamente". Perciò conclude: "Sebbene nel corso dei secoli si siano verificate catastrofi e possano ancora accadere nei cieli, sebbene i sistemi antichi possano essere dissolti e nuovi sistemi si siano evoluti dalle loro rovine, le molecole da cui questi sistemi sono costruiti – le pietre di base dell'universo materiale – sono rimaste intatte e intonse. Continuano oggi come sono state create, perfette in numero, misura e peso, e, dai loro caratteri incancellabili, possiamo apprendere, dopo accuratezza nella misurazione, che quelle aspirazioni, la verità nell'affermazione e la giustizia nell'azione, che noi consideriamo i nostri più nobili attributi come uomini, sono le nostre perché sono componenti essenziali dell'immagine di Colui, che, all'inizio, ha creato non solo il cielo e la terra, ma i materiali con i quali cielo e terra sono fatti". 
Gli atomi e le molecole, affermava McCosh, sono ammissibili per spiegare l’organizzazione della materia, ma non potranno mai spiegare le leggi e le operazioni della mente:
“Non ci sono prove che c'è una sensazione in ognuno di questi atomi, o quella sensazione sarà prodotta da due o più di loro che si urtano l'uno con l'altro? Potremmo essere in grado di spiegare le forme di una pietra o di una montagna, di un pianeta o di una stella, da parte di agglomerati atomici. Ma possiamo, con ogni apparenza di plausibilità, spiegare in questo modo l'affetto di una madre per suo figlio, di un patriota per il suo paese, di un cristiano per il suo Salvatore? Aggregateli come preferite e lasciateli ballare come vogliono, ma non sembra esserci alcun potere in loro per generare le fantasie di Shakespeare, le sublimità di Milton, la penetrazione di Newton, o la grandezza morale della morte di Socrate”. 
McCosh criticava inoltre le idee riguardo alla casualità nell'evoluzione propugnate da Darwin, Huxley e Tyndall, cercando di dimostrare che la complessità di organi, organismi e sistemi biologici testimonia un’Intelligenza creatrice e un fine (una sorta di Disegno Intelligente, con persino i classici esempi della complessità dell’occhio o della collaborazione delle api alla riproduzione delle piante dotate di fiori). Inoltre, il materialismo di Tyndall non poteva giustificare l’emergere della vita e dell’intelligenza umana.

Il pamphlet di McCosh si concludeva con quello che allora sembrava l’attacco più penetrante, cioè quello alle credenze personali di Tyndall. Egli non sarebbe stato, per sua stessa ammissione, un ateo, ma non poteva nemmeno essere considerato un teista, perché non ammetteva un Dio al di fuori della natura, o un panteista, come Fichte, perché, in fondo, non vedeva nella natura alcunché di divino. Tindall era un materialista, ma il fatto di concedere che esiste un potere imperscrutabile e che "La scienza fisica non può coprire tutte le esigenze della natura umana", insomma di esprimere una posizione scettica e dubbiosa, lo esponeva a un altro genere di critica:
“Ma non c'è il rischio che questo sistema vuoto minacci i nostri sentimenti più grandi, dimostrando che questa regione al di fuori della scienza è una regione dell'oscurità? I nostri sentimenti, per essere permanenti e che non possono essere uccisi dalla malaria della "debolezza e del dubbio", devono essere fondati sulla convinzione e su una convinzione che può giustificarsi. Colui che rimuove il fondamento della convinzione dentro di sé mente per minare e disperdere le emozioni. La natura può suscitare in noi sentimenti di stupore, sublimità e amore, solo per quanto si suppone sia pervaso da intelligenza e bontà. Quali sono questi sentimenti, quali sono la loro natura e la loro origine? Qual è questa religione collocata nel cuore dell'uomo? Sono semplicemente il prodotto di atomi che fortunatamente si sono combinati in un certo modo in un periodo di "pensiero più forte e più sano", ma possono separarsi in un'ora immediatamente successiva di "debolezza e dubbio"? Se non lo sono, allora abbiamo qui qualcosa che gli atomi non possono spiegare, e l'intera teoria va in rovina (…) Sono convinto che la tendenza di questa teoria vuota, e la sua effettiva influenza, nella misura in cui è adottata dalla nuova generazione, è quella di sradicare quei più grandi sentimenti di ammirazione e di amore, che sono i più interessanti, vivificanti e influenti elementi nella nostra natura morale e religiosa. (…) Alla fine, i nostri sentimenti naturali e spontanei saranno più forti di qualsiasi forma artificiale di incredulità speculativa; e zampilleranno a volte come una fontana, nonostante tutti gli sforzi per reprimerle. Ma hanno un tale potere perché le acque sono profonde nella nostra natura e nella nostra costituzione e alimentate dal cielo sopra e dalla terra intorno, penetrate dalle influenze discese dal cielo". 
Così, con perfido ingegno, McCosh accusava Tyndall di propagandare una visione fredda e triste dell’universo e dell’uomo, privata dei sentimenti che, a suo dire, possono essere ispirati solo da Dio.

Il retaggio 

Un'analisi del Belfast Address e il conseguente dibattito offrono un eccellente punto di osservazione da cui partire per comprendere lo stato culturale del naturalismo scientifico vittoriano in quel particolare momento. Se figure come Tyndall o Huxley non fossero state molto attente al modo in cui difendevano il materialismo metodologico, una componente integrale del loro pensiero, avrebbero pagato un prezzo enorme: la loro autorità scientifica e culturale era sotto attacco. La loro appartenenza all'élite intellettuale fu contestata e la loro rispettabilità fu messa in discussione. Qualunque fosse la libertà intellettuale che erano riusciti a conquistare per coloro che desideravano rivendicare l'autonomia della scienza, l'espressione del sostegno al materialismo di qualsiasi tipo non era ancora tollerata in Gran Bretagna negli anni '70 dell'Ottocento. Qualunque potere avessero conquistato attraverso le loro strategie per riformare la scienza e la società britanniche, quel potere rimaneva precario. 

Eppure, lasciarono il segno nella cultura britannica. I naturalisti scientifici, in particolare Huxley e Tyndall, furono in grado di guidare la politica della scienza quando erano all'apice del loro potere, tra il 1870 e il 1880. Furono in grado di sfidare l'autorità scientifica, e persino quella culturale, del clero anglicano. Attraverso le loro conferenze e scritti, incoraggiarono il pubblico vittoriano a mettere in discussione credenze largamente diffuse sulla natura della società, sul ruolo dell'umanità nella natura e sul ruolo della religione in un mondo moderno e industrializzato. Di conseguenza, il Belfast Address fu considerato un evento culturale epocale ben oltre gli anni Settanta dell'Ottocento.

Quando Tyndall morì, nel 1893, terminate da tempo le dispute, la sua figura fu rivalutata, anche con quella certa dose di ipocrisia che da sempre i credenti mostrano quando un vecchio avversario indomito viene annoverato post-mortem tra le loro fila (penso ad esempio al Galileo di Zichichi). In un ricordo intitolato Professor Tyndall as a Materialist, pubblicato sulla North American Review il primo gennaio 1894, il filosofo e ministro presbiteriano John Gier Hibben, futuro presidente dell’Università di Princeton, sosteneva che Tyndall si distinse radicalmente dal rango dei materialisti puri. Trascurare questa differenza impediva una stima onesta e giusta dell'uomo, come scienziato e filosofo. È vero che trovava nella materia "la promessa e la potenza di ogni forma e qualità della vita", tuttavia, egli riconobbe francamente i limiti naturali alla posizione del materialista, vale a dire che, poste le proprietà e le leggi della materia, rimane da spiegare la sua genesi, altrimenti il problema è lasciato in uno stato irrisolto e insoddisfacente. Egli lo riconobbe, come pure riconobbe i limiti dell'ipotesi darwiniana come filosofia finale, e che anch'essa lascia senza risposta le molte domande su Dio, la natura e la vita umana. 

Al limite più estremo della sua indagine scientifica, Tyndall riconobbe sempre più un alone di mistero, verso cui guardò con interesse e riverenza. Si poteva definire la sua posizione agnostica, ma anche il suo agnosticismo doveva essere distinto da quello di molti che su di esso plasmano la loro filosofia o piuttosto la mancanza di filosofia. Per lui, la conoscenza era o un fatto osservato, o una legge indotta attraverso esperimenti verificati. Tutto il resto era al di là della sua comprensione. Egli era uno che ha un solo desiderio di conoscere la verità e aveva una sola paura: di credere a una bugia. Il suo agnosticismo non negava la possibilità che possa esserci una spiegazione alle domande sulla vita, presente e futura. Non aveva una risposta, ma era lontano dall'affermare che la risposta è impossibile. Riconosceva la parte che la natura emotiva dell'uomo ha giocato nella storia del suo sviluppo; e in questa natura emotiva i sentimenti e le aspirazioni religiose occupavano un posto di rilievo. Questo non è il linguaggio del materialismo. Qui c'è uno spirito non solo reverenziale, ma adorante; e non possiamo sopprimere la convinzione che nel profondo della sua anima c'erano molti tesori di fede e di speranza mai rivelati all'occhio umano. 

Così, all'ateo, materialista, perverso, indegno Professor Tyndall di vent'anni prima ora quasi si faceva indossare il colletto del bravo ministro protestante. Sic transit gloria Mundi.