sabato 18 agosto 2018

Scienza sul Tamigi (1): la puzza e il colera

La Grande Puzza 


Alla metà dell’Ottocento, Londra era la città più grande del mondo, una vera metropoli. La popolazione era in continua crescita, ma le infrastrutture sanitarie e idriche erano quelle della città ai tempi dei Tudor. Gli impianti fognari erano stati costruiti solo in pochi quartieri, e gran parte della città ne era priva. La gente faceva i propri bisogni negli scantinati, in pozzi neri che venivano chiusi quando erano pieni, mentre ne venivano scavati di nuovi nelle immediate vicinanze. A questo si aggiungevano le deiezioni dei cavalli per strada e quelle dei molti animali che venivano allevati nelle case e nei cortili a scopo alimentare: mucche per il latte e per la carne, pollame per le uova, ecc. Vivere era un’avventura precaria, specialmente per chi abitava nelle zone più povere, come i quartieri di Soho e soprattutto di Westminster, allora non bonificato e ricettacolo di mendicanti, ladri, prostitute e ciarlatani, al punto da essere chiamato “L’acro del Diavolo”, tra i tre simboli del potere, l’Abbazia di Westminster (Chiesa), Buckingham Palace (Corona) le Houses of Parliament (Stato), e il Tamigi, diventato una fogna a cielo aperto. Charles Dickens, da giovane cronista parlamentare, lo visitò e così lo descrisse: 
"Non c'è nessuna parte della metropoli che presenti un aspetto più contraddittorio di Westminster, sia fisico sia morale. Le strade più signorili sono spesso solo una maschera per i quartieri squallidi che giacciono alle loro spalle, mentre i luoghi consacrati agli scopi più elevati sono circondati da scene di indescrivibile infamia e inquinamento; la più nera marea della turpitudine morale che scorre nella capitale rovescia le sue sudicie onde fino alle mura dell'Abbazia di Westminster." 
Più tardi, in Casa desolata (1852-53) avrebbe scritto:
“Implacabile clima di novembre. Tanto fango nelle vie che pare che le acque si siano da poco ritirate dalla superficie della terra e non stupirebbe incontrare un megalosauro, di quaranta piedi circa, che guazza come una lucertola gigantesca lungo Holborn Hill. Fumo che scende dai comignoli come una soffice acquerugiola nera con fiocchi di fuliggine grandi come fiocchi di neve vestita a lutto, si potrebbe immaginare, per la morte del sole”. 

Sebbene la situazione del Tamigi fosse evidente già prima dell'inizio dell’era industriale, fu l'estate del 1858 che la portò all'attenzione dei legislatori. Quell'estate in particolare, tutta Londra fu colpita dagli effetti di un'ondata di siccità e caldo opprimente e, di conseguenza, tutti i liquami del Tamigi cominciarono a fermentare sotto il sole cocente: secoli di rifiuti stavano letteralmente cuocendo nel calore soffocante. Il risultato fu un odore penetrante, diffuso e disgustoso più di quanto si possa immaginare: era “The Great Stink”, la Grande Puzza. Correvano voci di “uomini uccisi dal tanfo, e da tutti i tipi di malattie mortali, che si vedono sulle rive del fiume". Fortunatamente per gli abitanti di Londra, anche l'élite non era esente da un odore così ripugnante: 
"Il caldo intenso aveva spinto i nostri legislatori verso le parti dei loro edifici che si affacciano sul fiume. Pochi membri, in effetti, si misero a indagare sulla questione fino in fondo e si avventurarono nella biblioteca, ma furono istantaneamente costretti a ritirarsi, ognuno con un fazzoletto al naso. " 
I membri del Parlamento inizialmente cercavano di mantenere lo statu quo e continuare le loro sessioni senza accettare piani drastici di riforma. Sapevano che qualsiasi azione intrapresa per liberare il fetore avrebbe comportato un'ardua revisione dell'intera infrastruttura del Tamigi. Molti legislatori erano riluttanti a prendere un tale impegno e cercavano invece di alleviare i propri sensi malridotti. 

Il loro primo tentativo di estinguere il fetore fu di impregnare le tende del Parlamento con una miscela di cloro e calce. Il rimedio si rivelò inutile, allora si prese in considerazione la possibilità di spostare l'intero governo dalla zona di Westminster, nonostante l'edificio fosse di recente costruzione e appena acquisito. Quell'idea fu presto abbandonata e intanto passavano giorni senza che fosse presa una decisione efficace. Alla fine, il fetore cominciò semplicemente a sopraffare la tenace sensibilità di molti dei deputati, alcuni dei quali furono persino “visti fuggire dalla Camera, fazzoletto al naso, lamentandosi ad alta voce dello “Stige infernale” che era diventato il Tamigi”


Uno dei sostenitori più noti e autorevoli dell’intervento sul Tamigi era il chimico e fisico Michael Faraday, che auspicava fermamente un completo risanamento del fiume. Il 7 luglio 1855 aveva inviato una lettera all'editore del quotidiano The Times. La lettera, intitolata "Osservazioni sulla sporcizia del Tamigi", sarebbe presto diventata un riferimento del crescente pubblico interessato a un recupero ambientale del fiume: 
Signore,
Ho attraversato oggi in battello a vapore lo spazio tra Londra e Hangerford Bridges tra l'una e l'una e mezza; c’era acqua bassa, e penso che la marea doveva essere vicina al cambio. L'aspetto e l'odore dell'acqua si offrirono subito alla mia attenzione. L'intero fiume era un liquido opaco e marrone chiaro. Per testare il grado di opacità, ho strappato delle carte bianche a pezzi, le ho inumidite in modo da farle affondare facilmente sotto la superficie, e poi ho fatto cadere alcuni di questi pezzi nell'acqua ad ogni pontile a cui si trovava la barca; prima che fossero affondati di un centimetro sotto la superficie, erano indistinguibili, sebbene il sole brillava in quel momento; e quando i pezzi cadevano di lato, la parte inferiore era nascosta alla vista prima che la parte superiore fosse sott'acqua. Questo è accaduto a St. Paul's Wharf, Blackfriars Bridge, Temple Wharf, Southwark Bridge e Hungerford; e non ho alcun dubbio che si sarebbe verificato ulteriormente su e giù per il fiume. Vicino ai ponti il fetidume si avvolgeva in nubi talmente fitte che erano visibili in superficie, anche in acque di questo genere. 
L'odore era molto cattivo e comune a tutta l'acqua; era lo stesso di quello che viene dai tombini delle strade; l'intero fiume era in quel momento una vera fogna. Essendo appena tornato dall'aria del paese, forse ne sono stato più influenzato rispetto ad altri; ma non credo che sarei potuto andare a Lambeth o a Chelsea, e fui felice di entrare nelle strade, in cui c’era un'atmosfera che, tranne che nei pressi dei fori di scarico, trovavo molto più salubre di quella sul fiume. 
Ho ritenuto doveroso registrare questi fatti, che possano essere portati all'attenzione di coloro che esercitano il potere o hanno responsabilità in relazione alle condizioni del nostro fiume; non c'è niente di retorico nelle parole che ho usato, o un qualsiasi approccio all'esagerazione; sono la semplice verità. Se vi è sufficiente autorità per rimuovere uno stagno putrescente dal vicinato di poche semplici abitazioni, sicuramente non si dovrebbe consentire che il fiume che scorre per molte miglia attraverso Londra diventi una fogna in fermentazione. La condizione in cui ho visto il Tamigi può forse essere considerata eccezionale, ma dovrebbe essere un caso impossibile, invece temo che stia rapidamente diventando la condizione generale. Se trascuriamo questo argomento, non possiamo aspettarci di farlo nell'impunità; né dovremmo essere sorpresi se, dopo molti anni, una stagione calda ci darà una triste prova della follia della nostra negligenza.
Con rispetto,
M. Faraday. 

Purtroppo, l’appello fu ignorato, almeno finché non furono gli stessi legislatori a provare nelle loro narici quanto Faraday aveva denunciato e che tutti i cittadini di Londra sperimentavano, come in questo episodio di Tre uomini in barca (1886) di Jerome K. Jerome: 
“Ci fermammo due giorni a Streatley e ci lavammo i vestiti. Avevamo provato a lavarli da soli, nel fiume, sotto la supervisione di George, ed era stato un fallimento. Anzi, era stato più che un fallimento, perché dopo esserci lavati i vestiti eravamo conciati peggio di prima. Prima che li lavassimo, erano molto, molto sporchi, è vero; ma erano almeno indossabili. Dopo averli lavati, beh, il fiume tra Reading e Henley era molto più pulito, dopo che ci eravamo lavati i vestiti, di quanto lo fosse prima. Raccogliemmo, durante quel lavaggio tutta la sporcizia contenuta nel fiume tra Reading e Henley, e l'avevamo tutta sui nostri vestiti”. 

Il colera 

Il sovraffollamento eccessivo, le scarse condizioni igieniche e l'assenza totale di profilassi delle malattie creavano il terreno fertile perfetto per ogni tipo di pandemia. Londra era infatti periodicamente colpita da epidemie più o meno gravi di colera, il morbo del XIX secolo. Durante i decenni tra il 1830 e il 1860, questa malattia epidemica gettò un'ampia rete di morte e distruzione su Londra. Nell'arco di trent'anni, devastò le comunità, creò panico diffuso e fece quasi quarantamila morti. 


Il colera si diffuse facilmente a Londra a causa del modo in cui si propaga. Si tratta infatti di una malattia che si diffonde tramite l'acqua inquinata da reflui fecali, in cui prolifera il suo vibrione. Questo batterio viene trasmesso attraverso l'assunzione di cibo e acqua contaminati. Una volta che si contrae la malattia, si possono manifestare sintomi che vanno dall'estrema disidratazione dovuta a una massiccia perdita di fluidi corporei, alla diarrea, al vomito. Sebbene il colera fosse originario dell’Asia e noto da secoli, prosperò a Londra a causa della mancanza di un efficiente sistema fognario. I rifiuti della città erano versati direttamente nel Tamigi, che era diventato una fogna gigantesca. Se l'abuso del Tamigi come pattumiera fosse stato l'unico guaio che i londinesi dovevano affrontare all'epoca, il problema non sarebbe stato così grave. Ma, in quei decenni, l'acqua potabile dell'intera città era prelevata dal fiume. Le persone stavano letteralmente bevendo e facendo il bagno nei rifiuti l’uno dell'altro. 

Quando il colera emerse per la prima volta, nessuno pensava di identificare l'acqua potabile infetta come la fonte del contagio. In effetti, l'idea che il colera fosse trasmesso tramite l’acqua inquinata non sarebbe stata introdotta fino a quasi due decenni dopo la sua iniziale esplosione. La teoria più diffusa era che il colera si diffondesse attraverso l'”aria cattiva”, un miasma simile a una nuvola. Altri credevano fermamente che, poiché la malattia si diffondeva più rapidamente nei quartieri più poveri, i ricchi li stavano avvelenando di proposito. Ancora più popolare era la credenza che il colera fosse una vendetta di Dio, che stava esigendo una punizione per la comunità a causa dei suoi peccati. Tali convinzioni oggi potrebbero sembrare inverosimili, ma all'epoca non erano inusuali. La conoscenza di microbi e batteri stava appena iniziando a emergere e solo un'élite scientifica era consapevole della loro esistenza. 


Il primo focolaio di colera in Gran Bretagna fu a Sunderland, nell'Inghilterra nord-orientale, durante l'autunno del 1831. Da lì la malattia si diresse verso nord, verso la Scozia, e verso sud, verso Londra. Prima che avesse finito il suo corso, costò 52.000 vite a livello nazionale. Dal suo punto di origine in Bengala ci erano voluti cinque anni per giungere in Europa e attraversarla, così che, quando raggiunse Sunderland, i medici britannici erano ben consapevoli della sua natura, se non della sua causa. La malattia era diversa da qualsiasi altra cosa allora conosciuta. Un medico commentò: 
"Le nostre altre piaghe erano familiari, e alcuni di noi, per così dire, avevano l'abitudine di guardarle con una fatale indifferenza, in quanto ci inducevano a credere che potevano essere efficacemente sottomesse. Era qualcosa di bizzarro, sconosciuto, mostruoso, i suoi tremendi segni, così a lungo previsti e temuti, così poco esplicabili, la sua marcia insidiosa su interi continenti, la sua apparente sfida a tutte le precauzioni convenzionali contro la diffusione della malattia epidemica, la circondarono di un mistero e un terrore che si impossessarono completamente della mente del pubblico, e sembravano ricordare il ricordo delle grandi epidemie del Medioevo ". 
Le autorità cittadine erano convinte che il colera si diffondesse attraverso i miasmi, non a torto associando il morbo alla scarsa igiene, ma sbagliando completamente sul mezzo di contaminazione. Poiché le esalazioni dei pozzi neri erano un problema sempre più grave, si ordinò di svuotarli tutti nel Tamigi, che era la principale fonte di approvvigionamento idrico della città attraverso una fitta rete di pozzi e pompe stradali che pescavano nella sua falda. La prevalente teoria del miasma portò il Parlamento ad approvare nel 1846 la Legge sulla Rimozione dei Morbi e la Prevenzione delle Malattie, che la stampa ribattezzò The Cholera Bill. Fu utilizzato durante la nuova epidemia di colera del 1848-9 per incoraggiare i proprietari a pulire le loro abitazioni e collegarle alle fogne. 

L'uomo che ispirò questa legge fu Edwin Chadwick, uno dei primi promotori di campagne per la salute pubblica, purtroppo totalmente convinto della teoria del miasma. Credeva che, se si potevano eliminare gli odori che avvolgevano le città, si poteva contribuire a sradicare la malattia. 

Chadwick ordinò che tutti i pozzi neri e le fognature di Londra fossero ripuliti e il liquame fosse scaricato nel Tamigi. L’idea era che, liberandosi dell'aria fetida, il problema del colera sarebbe calato fino a scomparire. Per mesi, un fitto traffico di carri portò il contenuto dei pozzi verso il fiume, inquinandolo e contaminandolo ancor di più: era stato creato un efficientissimo sistema per lo scarico delle acque reflue di Londra nel Tamigi, la sua principale fonte di acqua potabile. Naturalmente, il numero dei morti salì in modo drammatico. A Venezia commenterebbero “Peso el tacon del sbrego”. Alla fine dell’epidemia morirono quattordicimila persone in seguito alla decisione di Chadwick. L'impatto del provvedimento fu esacerbato dalla crescente popolarità del moderno gabinetto con sciacquone tra le classi medie di Londra, che aumentò la quantità di acque reflue che raggiungevano il fiume. Il colera continuava a imperversare: vi fu una nuova epidemia che causò la morte di undicimila persone nel 1853 e si crearono le condizioni per la Grande Puzza del 1858. 


Questo è lo scotto che devono pagare le metropoli in rapido sviluppo demografico prive di adeguate strutture fognarie e per l’approvvigionamento di acqua potabile. Il caso di Londra fu solo il primo, ma il secolo appena trascorso ci ha offerto analoghi esempi, e ancor oggi assistiamo, nei “paesi in via di sviluppo” a questi problemi di degrado morale e ambientale. Per fortuna di Londra e del suo fiume, nell'Inghilterra vittoriana c’erano uomini intelligenti e risorse pubbliche che riuscirono a migliorare la situazione e a sconfiggere inquinamento ed epidemie, come si vedrà nella seconda parte. Se invece oggi, con il progresso delle conoscenze e delle tecnologie, esistono ancora slum, favelas e bidonville, se esistono epidemie vecchie e nuove, con diverse modalità di contagio, che mietono milioni di vittime, non possiamo addebitare le responsabilità all'ignoranza, ma a precise ed egoistiche volontà economiche e politiche.

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