giovedì 9 settembre 2010

Arte moderna e superfici algebriche

Il XIX secolo fu un periodo straordinario per la storia della geometria, con acquisizioni e personaggi straordinari. Come in tutte le epoche di sviluppo, vi furono disparati campi d’indagine e scuole diverse, che disputavano su che cosa e in che modo era meglio studiare. Una linea di indagine, seguita con grande entusiasmo per tutto il secolo fino all’inizio di quello successivo, fu lo studio e la classificazione delle superfici algebriche di grado n, cioè quelle superfici dello spazio reale i cui punti soddisfano un'equazione che si ottiene uguagliando a zero un polinomio di grado n in x, y e z.

L’unica superficie algebrica di grado 1, che soddisfa l’equazione generale x + y + z = 1, è il piano. Un piano è una superficie liscia, cioè priva di punti singolari: nell’intorno, sufficientemente piccolo, di un qualsiasi punto del piano, la superficie è una porzione del piano stesso.

Le superfici di grado 2, o quadriche, soddisfano l’equazione data dall’eguaglianza di un qualsiasi polinomio di secondo grado con lo zero. Ad esempio, la sfera nello spazio euclideo a tre dimensioni è definita come l'insieme di punti (x, y, z) che verificano l’equazione x2+y2+z2=1, il cilindro ha invece equazione x2+ y2=1, il cono x2+ y2–z2= 0. La sfera è un esempio di superficie quadrica liscia, mentre il cilindro e il cono sono superfici singolari: in essi esistono punti nel cui intorno la superficie si presenta irregolare e quindi distinguibile da una porzione di piano. Nel caso del cilindro il punto singolare si trova "all'infinito", e quindi non si può vedere e la superficie sembra liscia, mentre nel caso del cono il punto singolare è il suo vertice.


Esistono anche quadriche rigate, date da insiemi di rette. L’iperboloide a una falda (sopra) e il paraboloide iperbolico (sotto) sono superfici rigate, cioè per ogni punto di ciascuna delle due superfici passa almeno una retta che giace interamente sulla superficie. Gran parte di queste superfici è di relativamente facile rappresentazione sul piano.


L’attenzione degli studiosi di quel periodo si rivolse in particolare allo studio delle forme delle superfici di grado 3, dette cubiche, definite da un polinomio di terzo grado, e delle superfici di grado 4, dette quartiche, definite da un polinomio di quarto grado.

Un esempio di superficie cubica liscia è la superficie diagonale di Clebsch, la cui equazione ha la particolarità di poter essere descritta come somma di cinque “equazioni” di piani, ciascuna elevata alla terza potenza. Un’equazione possibile è x3+y3+z3+(x+y+z+1)3–(2x+2y+2z+1)3=0. Come si vede, si tratta di una superficie di difficile rappresentazione nel piano, e il suo studio era agevolato dalla costruzione di un modello che potesse essere maneggiato. Si scoprì inoltre in quegli anni che ogni cubica liscia è razionale e che contiene esattamente 27 rette. Tale scoperta fu salutata come una tappa fondamentale nello studio delle superfici cubiche e portò all'uscita di centinaia di pubblicazioni scientifiche sull'argomento.


Una superficie cubica singolare possiede un numero finito o infinito di punti singolari. Se il numero è finito, esso non può essere maggiore di 4. Una superficie cubica con quattro punti singolari è ad esempio la superficie di Cayley, di equazione possibile 9x3–4z3–27xy2+3(x2+y2)z–36(x2+y2) + 16z2= 0.


Le superfici di grado quattro, quartiche, emersero dalle ricerche nel campo dell’ottica e sono ancora più varie. Esse furono studiate in modo particolare da Kummer e Klein. Come le cubiche, le superfici quartiche possono avere un numero finito o infinito di punti singolari. Se una superficie quartica ha un numero finito di punti singolari, allora può averne al massimo 16. Una superficie quartica con esattamente 16 punti singolari è la superficie di Kummer.


Non sempre i 16 punti sono visibili: essi possono essere immaginari o trovarsi all'infinito. Una quartica con infiniti punti singolari è la superficie romana di Steiner, scoperta verso il 1836 da Jakob Steiner durante un soggiorno a Roma. L'insieme dei punti singolari forma tre rette doppie che si intersecano in un punto, punto triplo per la superficie.



Durante le ricerche nel campo delle superfici di grado superiore a 2, come si è visto, emerse la necessità di costruire modelli per illustrarne le proprietà. La costruzione e lo studio di modelli di gesso fu intrapresa particolarmente in Germania, soprattutto a Gottinga per lo stimolo dato da Felix Klein. Molti modelli, costruiti anche con cartapesta, legno e corda, o metallo, furono prodotti in serie e venduti ai matematici e ai dipartimenti di matematica di tutto il mondo. Si costruirono modelli anche di superfici oggetto di studio di altri campi della matematica, come la geometria e il calcolo differenziale. Questa stagione d’oro dei modelli di superfici durò per tutta la seconda metà del secolo, per poi conoscere un lento declino fino a quando negli anni ’20 cessò la loro produzione. Essi rimasero nei magazzini delle facoltà, dove sono rimasti fino ad oggi. Una delle più interessanti collezioni si trova proprio in Italia, presso il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino, che ha curato una bella pubblicazione e ha attivato un utilissimo sito sul web. La ricerca sulle superfici algebriche, integrata dallo sviluppo della topologia, sarebbe comunque continuata, con il fondamentale contributo della scuola italiana.



Fu negli anni ’30 che due diversi movimenti artistici, i surrealisti e i costruttivisti, scoprirono più o meno contemporaneamente il valore estetico dei modelli delle superfici cubiche e quartiche. Lo scultore russo Naum Gabo (1890-1977), pioniere dell’arte cinetica ed importante esponente del costruttivismo, incominciò a trarre diretta ispirazione dai modelli per le sue sculture, inducendo poi altri artisti a seguire il suo esempio. Anche il pittore e fotografo surrealista Man Ray si interessò attivamente ai modelli, facendo nel 1936 una serie di fotografie di quelli conservati all’Istituto Poincaré di Parigi.

I costruttivisti furono inizialmente molto attirati dalle scienze e dalla matematica, sia nello sviluppo della loro visione artistica, sia nel loro vocabolario di forme. Ciò attirò loro molte critiche e, alla fine delle loro carriere, molti di essi giunsero a smentire ogni influsso matematico o scientifico, anche quando questo era stato innegabile.


È probabile che Gabo abbia visto per la prima volta dei modelli di superfici mentre era studente a Monaco nei primi anni del secolo. Già adolescente egli aveva un certo interesse per l’arte, ma si trovava nella capitale bavarese come studente di medicina, tuttavia seguì anche corsi di fisica e ingegneria all’Università Tecnica, dove era disponibile una buona collezione perché la città era stata un centro della loro produzione. Le prime sculture dell’artista, influenzate dal cubismo, come Testa n. 2 (1916) ricordano i modelli di superfici fatti di cartapesta assemblando sezioni trasversali. Lo Studio per una scultura di pietra (1933, a fianco) ricorda molto il modello di una superficie rigata che egli poteva aver visto all’Istituto Poincaré durante il suo soggiorno parigino di quel periodo. Egli potrebbe anche aver visto loro immagini sulle enciclopedie o i testi di matematica disponibili in quegli anni. Secondo la biografia artistica scritta da Christina Lodder e Martin Hammer, il disegno del 1936 Studio per la costruzione nello spazio: Cristallo (sotto) sembra essere ispirato direttamente dalla figura che corredava un articolo sui modelli di superfici nella 14° edizione dell’Enciclopedia Britannica. Anche molte delle grandi sculture che eseguì in Germania negli anni successivi, molte delle quali sono andate distrutte durante la guerra, mostrano evidenti debiti verso i modelli delle superfici cubiche e quartiche.


Anche il fratello di Gabo, Antoine Pevsner (1866–1962), era scultore. Anche se negò sempre ogni diretta influenza matematica sulla sua opera, la sua serie Superficie sviluppabile della metà degli anni ’30 sembra ispirata dai modelli di superfici rigate. In effetti, queste opere sembrano costruite proprio come sviluppo di insiemi di rette, e la coincidenza difficilmente è casuale.


La scultrice inglese Barbara Hepworth (1903–1975) conobbe e frequentò Gabo durante il soggiorno inglese di quest’ultimo tra il 1936 e il 1946. Dalla sua corrispondenza sappiamo che conosceva la collezione di modelli conservata alla scuola matematica di Oxford, che probabilmente influenzò il suo lavoro. La scultura Elicoidi in una sfera (1939) assomiglia molto, ad esempio, alla superficie romana di Steiner. Anche Pelagos (1946, sotto) rammenta la forma dei modelli matematici in corda e gesso, materiali di uso comune tra i costruttori di modello, ma assai poco adoperati dagli artisti del tempo.


Un altro scultore inglese talvolta associato sia al costruttivismo che al surrealismo è Henry Moore (1898–1986). Egli dichiarò più di una volta che l’uso di corde nelle sue sculture, che iniziò nel 1937, fu influenzato dalla vista dei modelli del Museo della Scienza di Londra: “Ero affascinato dai modelli matematici che vidi là, che erano stati costruiti per illustrare la differenza della forma che sta a metà strada tra un quadrato e un cerchio. Un modello aveva un quadrato ad una estremità con 20 buchi su ogni lato (…) Attraverso questi buchi erano intrecciati altrettanti anelli che portavano allo stesso numero di buchi sull’altro estremo. (…) Non fu lo studio scientifico di questi modelli, ma l’abilità di guardare attraverso le corde come dalla gabbia di un uccello e di vedere una forma dentro l’altra che mi stimolò”. L’influenza di questi modelli è evidente in opere come Figura con corde n. 1 (sotto) del 1937. Più tardi avrebbe smentito se stesso, dicendo che le sue opere ispirate ai modelli “erano divertenti, ma troppo nella natura dell’esperimento per essere soddisfacenti. (…) Quando finì la guerra li abbandonai”.


Per i surrealisti, i modelli delle cubiche e delle altre superfici algebriche costituivano una perfetta contraddizione: allo stesso tempo fantastici e bizzarri pur avendo un’origine scientifica e razionale. Fu probabilmente Max Ernst (1891–1976) a farli conoscere agli altri surrealisti. Sia Marcel Jean sia Neil Baldwin, nelle loro monografie, concordano sul fatto che egli aveva visto la collezione dell’Istituto Poincaré, ne aveva parlato al direttore dei Cahiers d’Art, Christian Zervos, che a sua volta aveva chiesto a Man Ray (1890–1976) di fotografarli. Ernst aveva poi accompagnato Man Ray al Poincaré a fare le foto in uno stile deliberatamente impressionista. Nel film A Life in the Day of Man Ray, egli stesso conferma questa versione dei fatti, dicendo che “fui informato di alcuni oggetti matematici all’Istituto Poincaré di Parigi”, anche se non entra nei dettagli. In ogni caso, alcune delle fotografie, intitolate Oggetti matematici, comparvero nell’edizione del 1936 dei Cahiers d’Art accompagnate da un saggio di Zervos su matematica e arte astratta.


Le fotografie di Man Ray, così come la sue serie di pitture basate sugli Oggetti matematici, diedero molta notorietà ai modelli delle superfici. I surrealisti esposero oggetti matematici nella mostra parigina Exposition Surréaliste d’Objets del maggio 1936. Nel suo celebre Crisi dell’oggetto (1936), il guru del surrealismo André Breton (1896–1966) scrive: “I laboratori delle istituzioni matematiche in tutto il mondo già mostrano fianco a fianco oggetti costruiti secondo principi sia euclidei sia non-euclidei: entrambi apparentemente disorientano il profano, ma possiedono tuttavia una affascinante ed equivoca relazione l’uno con l’altro nello spazio come generalmente lo concepiamo”.


L’interesse di Man Ray per i modelli potrebbe aver influenzato anche la Mostra surrealista internazionale a Londra. Questa esposizione, alla quale partecipò anche Henry Moore, si tenne dall’11 giugno al 4 luglio 1936 e fu visitata da una media di 150 persone al giorno. Il catalogo della mostra mette in evidenza il fascino esercitato sul movimento dai modelli matematici: la copertina riproduce un collage di Max Ernst con una statua dalla testa di rettile che tiene in mano dei modelli di superfici, tra le quali la superficie di Kuen. Le fotografie di Man Ray furono esposte anche alla grande mostra Fantastic Art, Dada, and Surrealism che si tenne al Museum of Modern Art di New York nel 1936-37.


Max Ernst realizzò diversi altri collage e dipinti che si possono mettere in relazione con i modelli. Tra questi si possono citare La festa degli Dei (1948, sotto), Le nozze chimiche (1948) e Giovane incuriosito dal volo di una mosca non-euclidea (1942-47, più sotto), che contiene forme che rammentano superfici come la ciclide a fuso e la ciclide del corno.


Nel catalogo del MoMa, Georges Hugent parlava, a proposito degli oggetti matematici e di quelli esposti, di “regno dell’incertezza e dell’enigma”, di “incontro tra razionale e irrazionale”. L’interesse dei surrealisti per i modelli delle superfici fu fondamentalmente solo estetico.

Il rapporto tra i modelli delle superfici algebriche e il mondo dell’arte fu insomma temporaneo e superficiale. Non ci fu mai un dialogo tra i matematici che avevano costruito quei modelli e gli artisti, costruttivisti o surrealisti, che li usarono come fonte d’ispirazione. Il mondo dell’arte li considerò come oggetti dei quali i costruttori non avevano saputo cogliere la qualità estetica. Ciò è vero solo parzialmente, se si pensa che essi costituiscono manifestazioni tangibili dell’intrinseca bellezza della matematica.

4 commenti:

  1. Ma che meraviglia... Posso solo aggiungere che la superficie di Kummer è protagonista (insomma) del romanzo di fantascienza "Il cieco del non-spazio" di Bob Shaw.

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  2. Quando io frequentavo il Poli, si era costruito un modello di iperboloide a una falda in cemento armato, credo per una tesi ma non ne sono sicuro. Non credo che la cosa abbia avuto un seguito e mi è tornata in mente dopo più di 30 anni, solo oggi. OK, non c'entra niente con il post, ma dovevo dirlo. Ecco!

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  3. Meraviglie della matematica! A me piaceva, poi ho perso i contatti.

    La dimostrazione della mia involuzione la ebbi a lezione di Economia, alla domanda del prof: "qual è quel solido che si ottiene prendendo un rettangolo e unendone prima due lati e poi gli altri due". Be', dato l'orario pre-pranzo della lezione, pensai: - il tortellino...

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  4. Che bello questo lavoro, Kees!! E'davvero splendido! Complimenti!!

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