domenica 19 gennaio 2014

Lo spirito dell’animazione: intervista a Paolo Beneventi


Paolo Beneventi è un mio amico di Facebook da tanto tempo. È nato a Milano nel 1953 e ha vissuto quasi sempre a Brescia. Si è laureato al Dams di Bologna con una tesi sul teatro per ragazzi e poi si è inventato un mestiere di animatore pedagogico che da molti anni svolge come libero professionista, ideando e conducendo attività in collaborazione con scuole, dall'infanzia alle superiori, biblioteche, associazioni, enti pubblici e privati, scrivendo libri, realizzando video e prodotti multimediali. Gli piace soprattutto imparare e raccontare il mondo insieme con i bambini del mondo. Mi ha mandato alcune sue poesie per bambini dedicate agli insetti, davvero belle, e gli ho proposto di fare un’intervista per Popinga, incuriosito dalla sua attività nelle scuole, per parlare di pedagogia con una persona preparata, soprattutto perché la sua esperienza nasce sul campo e non solo tra i libri o, peggio, tra le circolari di qualche ufficio ministeriale. Eccola. 

Animazione è la prima parola che leggo sulla tua pagina web. Il significato originario è quello di “dare l’anima”, donare la vita alla materia inerte. Erri De Luca, biblista per passione, ha sostenuto che la parola più bella dell’ebraico è proprio ruah, spirito, respiro, o soffio vitale. Si tratta di un’etimologia interessante. Già in latino, animatio aveva tuttavia acquisito anche il significato figurato di ‘risveglio dell’interesse’ nell’uditore o nell’alunno per facilitare l’insegnamento, con una forte accezione pedagogica. Oggi si intende l’animazione culturale e pedagogica come indirizzata ad ottenere la partecipazione attiva dei componenti di un gruppo. Questa definizione ti soddisfa? E che ne è dell’iniziale spirito che vivifica? Animatori si nasce o si diventa?

Dire “partecipazione attiva” non rende completamente l’idea. Molti oggi pensano che un gesto attivo sia mettere un “mi piace” su Facebook, mentre la stessa parola animazione è usata abitualmente in contesti come i villaggi turistici e le discoteche, dove spesso assume un significato addirittura opposto. Lì le persone fanno e ripetono i giochi e i gesti dell’animatore, mentre in una situazione educativa il bravo animatore è quello che non fa e non mostra quasi nulla, ma mette i partecipanti nelle condizioni di tirare fuori da se stessi, dall’ambiente in cui si trovano, dagli strumenti che hanno a disposizione, dal rapporto con il resto del gruppo, le risorse per fare le cose. Ognuno partecipa per quello che è e che sa, possibilmente senza obiettivi e traguardi prefissati esterni all’esperienza che si sta vivendo, e spesso emergono potenzialità, abilità, capacità di osservazione e di pensiero che non si sospettavano. Da cui sorpresa, piacere di scoprire, di sentirsi attivi in qualcosa che si fa nascere insieme e a cui ogni singolo porta il suo contributo originale. Torna in questo senso lo “spirito che vivifica”, che si alimenta di un rapporto reale tra le persone, piacevole, facilmente intenso e tendenzialmente armonico e collaborativo, dato che gli altri sono percepiti come risorse. E i risultati, quale che sia l’attività, sono di solito notevoli, così come ne guadagna l’autostima dei singoli. 

Con un tale atteggiamento un po’ si nasce, ma soprattutto lo si impara dal piacere di incontrare e conoscere le persone, di vivere insieme con semplicità esperienze che fanno crescere dentro. 

Il coinvolgimento suscitato dall’animatore non è solo emotivo e mentale, ma implica anche la dimensione corporea. Qual è il ruolo del teatro nella tua attività? È vero che i bambini dimostrano una predisposizione naturale alla recitazione? Che cosa intendi quando tra gli obiettivi dell’animazione indichi il loro divenire “attori consapevoli” dell’attività pedagogica? 

Una volta si metteva in risalto come non a caso in diverse lingue europee i due concetti “giocare” e “recitare” si possano rendere con una sola parola: spielen, jouer, to play. Il tipico gioco di finzione dei bambini, in gruppo, a volte anche da soli, spesso si svolge proprio “interpretando” personaggi e usando oggetti, con cui i bambini rielaborano in modo immaginativo ciò che conoscono dalla vita reale, dalla televisione, dai videogiochi, dalle fiabe, e ricostruiscono, “recitandolo” il proprio mondo e la propria cultura. Oltre il vero e il falso, per i bambini è importantissimo il per finta. E la psicologia dell’età evolutiva ci insegna che il fare finta, con l’immaginazione, il gioco, la voce, il corpo è per loro un atto fondamentale di conoscenza. 

Per questo il gioco teatrale è particolarmente congeniale ai bambini e, insieme con il disegno (che però spesso l’adulto travisa, “interpretandolo”), permette a loro di tirare fuori e agli educatori di osservare aspetti della loro personalità, pensiero, visione del mondo, che non emergerebbero attraverso la parola, parlata o scritta. 

Diverso il discorso dello spettacolo, della recita, che non appartiene naturalmente alla cultura dei bambini e può risultare una esperienza negativa o positiva, a seconda di come la si organizza. Quando l’espressione dei bambini si libera, anche gli educatori possono imparare moltissimo. Importante è comunque che l’adulto mostri un interesse sincero per quello che i bambini sono e fanno, valorizzando, quali che siano, le risorse di ognuno, e li incoraggi ad affinare in senso coscientemente espressivo la loro capacità di giocare. Esprimersi nel teatro con corpo, intelletto, emozioni aiuta a crescere più sereni e sicuri di sé, meno bisognosi di conferme esterne e di mascherarsi nel gruppo, “attori consapevoli” della propria educazione.

Qual è il ruolo dell’immagine nella tua attività? Grazie all’informatica tutti hanno scoperto la verità della massima “Un'immagine vale più di mille parole” (basta pensare al “peso” di un file immagine rispetto a uno di testo!). Pensi che l’uso della fotografia, della pittura, le attività di disegno debbano essere maggiormente valorizzate nella scuola? Qual è il loro ruolo nella tua attività? 

I bambini, prima di venire addestrati alle “grammatiche”, hanno la naturale propensione a passare con disinvoltura da un linguaggio espressivo e comunicativo all’altro, e la capacità di scegliere di volta in volta quello più adatto: disegno e pittura, “teatro” spontaneo, a volte anche canto, oltre che la parola. Oggi, spesso sanno armeggiare con disinvoltura con mezzi tecnologici accattivanti e istintivi come il video, la fotografia, i computer, i telefonini, i tablet. 

Fondamentale, per i bambini come per gli adulti, perché un linguaggio o uno strumento vengano appresi con naturalezza, è che li si impari scoprendoli, nella vita vissuta, e non per imposizione dall’esterno. Questo spiega perché nella scuola tanti bambini fanno fatica a imparare la matematica e la grammatica e tanti docenti sono a disagio con i computer! 

Intervenendo nelle classi da esterno e di solito per un tempo limitato, non curo direttamente l’uso per esempio del disegno, ma lo incoraggio comunque come una verifica di come i bambini vivono le esperienze. La fotografia, se non la si deprime con certe “decodifiche” scolastiche, è un mezzo formidabile di osservazione della realtà, ingigantito dalle possibilità di proiezione e ingrandimento che esaltano i particolari. La visione macro dei piccoli animali, in particolare, potentissima estensione dei sensi, spalanca mondi meravigliosi e inaspettati che letteralmente cambiano il rapporto con la realtà. E nel disegno “dal vero” (cioè dalle foto ingrandite) i bambini non solo copiano quello che vedono, ma apprendono, interiorizzano, stabiliscono in modo permanente le osservazioni all’interno della propria cultura.

Dalle mie domande avrai capito che sono abbastanza d’accordo con la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner, che distingue diverse manifestazioni fondamentali dell'intelligenza, localizzate in parti differenti del cervello, delle quali quella logico-matematica è solo una di una decina almeno. Non ritieni che la scuola, soprattutto quella primaria, debba, diversificando l’approccio didattico, valorizzare maggiormente le capacità e le predisposizioni degli alunni? Ma come si può fare?

Ho sempre considerato con diffidenza i discorsi sul QI, i test, i quiz, che quando escono dal campo dei profili attitudinali (per cui possono essere senz’altro utili) e pretendono di comprendere la complessità dell’intelligenza umana, vedo istintivamente (ma la consuetudine di decenni con i bambini me lo conferma) come una faccenda soprattutto di ideologia e di controllo sociale, per quanta “scienza” i ricercatori cerchino di metterci. 

In una qualsiasi esperienza didattica, se si lasciano i bambini liberi di rispondere agli stimoli utilizzando i mezzi, i linguaggi, l’intelligenza che preferiscono, con l’adulto che all’inizio non spiega ma si pone come fulcro, moderatore, o anche solo osservatore attento, si ha di solito una pluralità di risposte che, dopo l’iniziale apparente disordine, converge in modo “naturale” e collettivo verso la “verità scientifica” (es. suggestivi i commenti “in diretta” al video della locusta). Non si verifica solo il raggiungimento di obiettivi prestabiliti e già conosciuti (che comunque si ottengono con facilità), ma si fa cultura, all’interno di un processo in cui anche l’educatore impara sempre qualcosa che prima non sapeva. Dalla scuola del sapere trasmissivo a una sorta di accademia della condivisione, probabilmente il modo più naturale e immediato di apprendere e subito produrre per umani nati e cresciuti tra radio, televisione, computer, videogiochi, aggeggi digitali vari (cioè, i bambini, ma anche tutti noi!), e che corrisponde al contesto culturale descritto per esempio da Pekka Himanen nel libro L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione. Basarsi sulle predisposizioni e le risorse di ognuno, sulla ricchezza e ridondanza di risposte individuali inizialmente divergenti che poi convergono verso un ordine collettivo, è anche forse il modo migliore per sviluppare un pensiero e un atteggiamento culturale adeguati all’era del web, in cui sapersi districare tra innumerevoli informazioni è ormai una questione di alfabetizzazione di base. Ed è proprio forse ritornando come bambini che possiamo trovare la strada per “entrare nel regno dei Cieli”!

Tutti concordano con l’introduzione delle tecnologie multimediali nella scuola. Purtroppo, a mio giudizio, molti confondono lo strumento con il fine e certi entusiasmi sono dettati da un “nuovismo” che deriva dal fatto di non aver mai messo piede in un’aula. Il tablet, la LIM necessitano di lezioni programmate ad hoc, e che agli allievi siano trasferite competenze tecniche che non possiamo dare per acquisite, senza contare il pericolo degli usi impropri dello strumento informatico. Tu che ne pensi? Che ruolo giocano le nuove tecnologie nell’animazione pedagogica? 

Il sottotitolo del mio primo libro sull’animazione, 1993, era “il corpo, le macchine, i ragazzi”. Nel 1999 ho pubblicato Come usare il computer con i bambini e i ragazzi e con I bambini e l’ambiente, per una ecologia dell’educazione (2009) ho cercato di sottolineare il collegamento tra le pratiche di animazione, applicate in particolare all’incontro con la natura, e un utilizzo attivo delle nuove tecnologie. La questione sta tutta in quella parola: attivo! Dagli anni Ottanta, con la videoregistrazione casalinga e i personal computer, chiunque, nella società dell’informazione, è potenzialmente produttore e, dopo il web 2, anche distributore di informazione. Il cittadino medio però si considera ancora sempre e solo un consumatore, fuorviato dalla retorica di una “tecnologia” che si identifica piattamente nel mercato, da leggende come quella dei “nativi digitali” che non trovano riscontri nella realtà, ma che acchiappano l’opinione pubblica, dalla confusione tra uso istintivo e “competenze” per esempio dei bambini (ma anche di anziani, gatti, gorilla!) nell’uso degli aggeggi “digitali”.

Nella scuola, si tende a imporre dal di fuori una “digitalizzazione” a tappe forzate, con le LIM, i tablet, il registro elettronico, le iscrizioni “on line” (probabilmente incostituzionali!), in un contesto in cui la maggior parte dei docenti ancora non sa tagliare una fotografia! Prendo l’esempio di questo gesto minimo, che si impara in pochi minuti, ma che se non lo sai fare, nella società dell’immagine, sei praticamente analfabeta, come emblema di un rapporto mai risolto con risorse tecnologiche ormai “storiche” (macchine fotografiche, videocamere, registratori audio, proiettori, computer) che, con un semplice cambio di atteggiamento, sono utilizzabili con facilità, ai livelli di base, all’interno di attività naturalmente multimediali di didattica viva, che attingano anche alla comune cultura “latente” extrascolastica di bambini, ragazzi e adulti, per fare, conoscere, produrre insieme. 

Hai fatto cenno ad alcuni tuoi contributi teorici, che il lettore curioso potrà trovare sul tuo sito. Recentemente hai anche pubblicato tre e-book per bambini, ricchi di fotografie e filastrocche, ma anche di informazioni scientifiche, curiosità, link a siti specializzati e video dedicati agli insetti. Perché questa scelta? Quale può essere l’utilità di simili prodotti per l’insegnamento delle scienze in generale? Ci dai un piccolo assaggio di un tuo libro?

Cercando e fotografando per anni gli insetti con i bambini, non solo ho raccolto, pur non disponendo di attrezzature professionali, molte immagini belle e interessanti, ma ho avuto modo di verificare modi efficaci di trasformare la loro curiosità e stupore immediatamente in “metodo scientifico”. Dopo la mostra Concittadini inaspettati e il Museo virtuale dei piccoli animali, ho pensato di mettere insieme scienza e didattica con la mia finora poco espressa vena poetica, provando a raccontare gli insetti rigorosamente in rima. Un libro stampato, coi tempi che corrono, era un impresa ardua e così, ma non solo per questo, ho deciso per agli ebook, trovando il supporto della casa editrice Mammeonline. Un ebook permette link immediati a contenuti multimediali in rete (riferimenti enciclopedici, pagine proprie o altrui di approfondimento, video che in un libro non ci starebbero), consente immediate correzioni di eventuali errori e periodiche riedizioni a costo zero, in questo caso in particolare sollecitando i piccoli lettori a mandare anche loro delle foto, per aggiornare la pubblicazione insieme. Trovo a proposito curioso che, nelle discussioni ricorrenti su libri stampati ed elettronici, questo aspetto di possibile produzione di base, collaborazione, democrazia intrinseche agli ebook sia tutto sommato così poco messo in rilievo. 

La mia speranza è che questi miei libri in rete non vengano solo “consumati” come opere d’autore, ma facciano venire voglia ad altri, in particolare bambini ed educatori, di fare anche loro qualcosa di simile.

Dal lavoro, ancora non pubblicato, sugli emitteri, una filastrocca: 

Pidocchi al pascolo 

Li portano le formiche come mucche 
li allevano li curano li mungono 
li sorvegliano tra e il sedano le zucche 
che pascolano e succhiano non pungono. 
Di melata di linfa succulenta 
è ghiotta la formica ed è contenta! 

Carinissima! Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Con gli ebook sugli insetti si va avanti, cogliendo l’occasione per risistemare il materiale fotografico e video raccolto duranti tanti anni e migliorare il Museo dei piccoli animali di cui sopra, con l’inserimento anche di documenti freschissimi da attività in corso con i bambini. 

Sto poi lavorando alla documentazione video di esperienze varie di educazione ambientale e di educazione al risparmio, dove l’attenzione è posta non tanto sui contenuti didattici in quanto tali, ma sul processo della comunicazione e sulle risposte dei bambini. Si vogliono pubblicare documenti rivolti non solo agli addetti ai lavori o ai genitori, ma alla comunità sociale e all’opinione pubblica più in generale, oltre le tradizioni educative che sfidano i secoli e i nuovi luoghi comuni dell’era digitale. 

Una parte significativa di queste attività sta per confluire in una nuova imminente associazione, che riunisce professionalità antiche, illustri e consolidate e giovani energie, e si propone come fulcro e motore di altre attività e associazioni, per eventi, progetti, proposte, riflessioni meta cognitive sui processi dell’apprendimento, dell’educazione, della comunicazione e produzione di cultura nel villaggio globale, con attenzione alla contaminazione e collaborazione tra le aree dell’esperienza e i diversi linguaggi, artistici e scientifici, in particolare quello matematico. Tra qualche giorno comunque tutti i riferimenti di questa nuova cosa saranno ufficialmente in rete.


1 commento:

  1. intervista molto interessante e ricca di riflessione sulla nostra scuola. ..

    RispondiElimina