Otto anni dopo la morte di Jacob Bernoulli (1654-1705), nell’agosto 1713, fu pubblicato in latino a Basilea il testo, lasciato incompiuto, dell’Ars Conjectandi, l’opera che fondò il moderno calcolo delle probabilità, che conteneva una teoria delle permutazioni e delle combinazioni, i cosiddetti numeri di Bernoulli, dai quali egli ricavò le serie esponenziali, lo studio della prevedibilità matematica e morale, lo studio della probabilità con la cosiddetta legge dei grandi numeri. Assieme ai quattro libri sull’«arte di fare previsioni» basate sulla matematica nel campo dei giochi e della vita civile, sociale ed economica, il volume conteneva anche il Tractatus de seriebus infinitis, che costituiva una ristampa unitaria delle cinque “dissertazioni” sull’argomento pubblicate separatamente (ma concepite come un tutt’uno) dal matematico svizzero tra il 1686 e il 1704. Concludeva l’edizione una lettera in francese sul Jeu de Paume, un antenato del tennis.
Una serie è la somma degli elementi di una successione (una lista ordinata di elementi, detti termini). Le successioni e le serie finite hanno il primo e l’ultimo termine definiti (ad esempio, i numeri naturali da 1 a 100), mentre le successioni e le serie infinite continuano indefinitamente (ad esempio i numeri pari). Nel secondo caso, data una successione infinita di numeri {an}, una serie è informalmente il risultato ottenuto sommando tutti i termini: a1+ a2+ a3+ … L’operazione si può scrivere in modo più compatto utilizzando il simbolo Σ. Il risultato può essere un valore finito (allora la serie è detta convergente), può essere infinito (serie divergente), oppure, se il limite non esiste, la serie si dice indeterminata o oscillante.
Nel trattato sulle serie infinite, Bernoulli vuole dare una struttura euclidea alla teoria delle serie, cioè organizzarla come una successione di proposizioni derivate da certi assiomi. Sul modello degli Elementi di Euclide, egli basa il suo studio su diversi principi impliciti (ad esempio, la possibilità di estendere all’infinito regole valide per processi finiti) e su nozioni indefinite (così egli non fornisce una definizione di somma o di limite). Il testo inizia con tre assiomi:
1. Ogni quantità può essere divisa in parti più piccole;
2. Data una quantità finita, si può assumere una quantità che sia più grande di questa quantità;
3. Data una quantità, se si toglie una sua parte e si sottrae da essa ciò che rimane, si ottiene quella parte (cioè: dato A, se A – B = C, allora A – C = B).
Le prime due proposizioni sono:
a) Una quantità più piccola di qualsiasi altra quantità è nulla;
b) Una quantità più grande di qualsiasi altra quantità è infinita.
Per dimostrare il primo teorema, Bernoulli sostiene che, se una quantità più piccola di qualsiasi altra quantità non fosse nulla, allora potrebbe essere divisa in parti più piccole e ciò è contrario all’ipotesi. Allo stesso modo, nel secondo teorema, se una quantità è più grande di qualsiasi altra quantità fosse finita, allora non potrebbe essere aumentata, il che è contrario all’assioma 2.
Dopo aver affermato che ogni progressione geometrica può essere continuata all’infinito, perché si possono aggiungere sempre nuovi termini (diversi da zero o da infinito), Bernoulli dimostra che:
c) Date una progressione geometrica A, B, C, D, E e una progressione aritmetica A, B, F, G, H, se i primi due termini di entrambe le progressioni sono identici, allora i termini C, D, E di una progressione geometrica sono più grandi dei corrispondenti termini F, G, H della progressione aritmetica.
Se poniamo A = 1 e B = 1 + a, questo teorema fornisce la disuguaglianza di Bernoulli:
(1 + a)n > (1 + a)
La dimostrazione di Bernoulli è la seguente. Dato che A : B = B = C, allora A + C > 2B = A + F e C > F. Inoltre:
A + D > B + C > B + F = A + G
Da cui D > G, e così via.
Poi il matematico svizzero dimostra i due seguenti enunciati:
d) Una progressione geometrica crescente a1, a2… può essere continuata fino a un termine an maggiore di ogni dato numero Z.
e) Una progressione geometrica decrescente a1, a2… può essere continuata fino a un termine an minore di ogni dato numero Z.
Per dimostrare il teorema e), Bernoulli considera una progressione geometrica crescente b1, b2… tale che b1 = Z e il rapporto b1 : b2 sia il reciproco del rapporto a1 : a2. Questa progressione può essere continuata fino a un termine bn > a1 (per l’enunciato d). Ora, continuando la progressione a1, a2… fino a an, dato che:
e a1 < bn, si ottiene
an < b1 = Z
Bernoulli fornisce anche due corollari ai due ultimi teoremi:
f) L’ultimo termine di una progressione geometrica crescente è ∞.
g) L’ultimo termine di una progressione geometrica decrescente è 0.
Non si preoccupi il lettore: qui sopra ho riassunto solo le prime 3 delle 66 pagine del trattato! Nelle rimanenti, egli raggiunge altri importanti risultati, quali:
h) la somma della serie armonica è infinita, cioè:
è divergente (Bernoulli credeva che la dimostrazione fosse nuova, ma in realtà era già stata fornita dal bolognese Pietro Mengoli quarant’anni prima);
è convergente, ma Bernoulli non è in grado di trovare una forma chiusa (cioè una formula), perché è un problema “più difficile di quanto ci si aspettasse”, anche se riesce a dimostrare che essa converge a un limite finito più piccolo di 2. Egli afferma: “Se qualcuno la trova, ce la comunichi, perché il nostro sforzo è stato vano, e avrà tutta la nostra riconoscenza”. Fu in seguito Eulero, nel 1737, a ottenere la soluzione di questo che divenne noto come il problema di Basilea, calcolando che la somma converge a π2 / 6.
La seconda parte del trattato si intitola De usu serierum infinitarum in quadraturis spatiorum et rectificationibus curvarum, e riguarda le applicazioni dei suoi risultati sulle serie infinite, che egli utilizza per la rettificazione di alcune curve algebriche e il calcolo di alcune funzioni notevoli. Così, dopo aver introdotto il concetto di serie mista (in cui, date due serie, ciascun termine della prima è moltiplicato per il corrispondente termine della seconda), Bernoulli dimostra ad esempio come le serie infinite possano consentire di rettificare un arco di circonferenza o calcolare il logaritmo di un numero o, ancora, calcolare i punti su una curva catenaria o su una lossodromica.
Naturalmente Jacob Bernoulli non era il solo a studiare le serie infinite, perché dell’argomento si erano già occupati, tra gli ultimi, Pietro Mengoli e l’olandese Christiaan Huygens. Nello stesso periodo Gottfried Wilhelm von Leibniz, il suo maestro, gli inglesi John Wallis e, naturalmente, Isaac Newton stavano ponendo le basi del calcolo infinitesimale, il Calculus per eccellenza. Eppure, in tutti questi uomini, man mano che procedevano le scoperte, rimaneva un senso di meraviglia per il fatto che una somma infinita potesse dare un risultato finito o che proprio il calcolo di grandezze estremamente piccole potesse rivelare connessioni inaspettate tra campi diversi come l’algebra, la geometria o la teoria dei numeri.
Questo sentimento è bene espresso dalla poesia in latino che Bernoulli volle porre a conclusione e commento del suo trattato:
sommetta, e nell'illimitato un limite esiste:
così persistono le vestigia dell’immensa divinità
in un piccolo corpo e nell'angusto limite il limite scompare.
Riconoscere nell'immenso il piccolo, quanta voluttà!
Nel piccolo l’immenso Dio discernere, quanta!
Nota: La traduzione è mia, mi perdonino i latinisti, perché quella fornita da Piergiorgio Odifreddi non mi è sembrata abbastanza fedele; inoltre, “numinoso”, termine inventato dallo storico delle religioni e teologo Rudolf Otto nel 1917, poco ci coglie in un’opera della fine del Seicento.